Posts written by venus

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    Sentii crollarmi il mondo addosso nell’udire
    <come vuoi>
    Non era frase da Walter, non era nel suo stile darmi ragione e avevo la netta sensazione che non stesse affatto assecondando.
    Fu inutile fare resistenza quando percepii quelle che erano le sue intenzioni. Mi stava riportando a casa e io non avevo la forza di contrastarlo. Insistendo avrei finito per spaccarmi e fare del male Lui.

    Appena sentii sotto gli stivali il contatto col pavimento di casa mi accasciai appoggiando a terra le ginocchia. Mi tenevo lo stomaco che pareva volesse uscirmi di bocca. A testa china e con gli occhi chiusi dovetti attendere tutto attorno a me smettesse di girare. Le braccia di Walter mi sostennero fino a quando non fui in grado di riaprire gli occhi e tendergli la mano per avere un sostegno.
    Avrei dovuto sentirmi meglio fra le mura di casa nostra, amavo la mia casa, avevo vissuto molti momenti felici al suo interno. Era il punto di riferimento in cui si riuniva la mia famiglia.
    In quel momento, mentre cercavo una stabilità che stentavo a trovare mi sopresi ad odiarla. Nell’accusare il dire di Walter già immaginavo il passare lento dei giorni, le domande dei bambini, la preoccupazione di non sapere come e quando e se sarebbe torntato.
    Avevo già vissuto troppe volte l’agonia dell’attesa, non riuscivo a concepire il pensieri di dover tornare daccapo un’altra volta. Anche se fosse stata l’ultima, e non potevo esserne certa, sarebbe comunque stata una di troppo.
    Lui parlava e io scuotevo il capo. Lui comunicava le sue decisioni e le sue scelte e io non le condividevo.
    Non poteva essere che ancora una volta avesse deciso di escludermi per fare di testa sua. Fra tutti gli uomini del mondo proprio del più testardo mi ero innamorata. Mi chiesi se fosse un caso ma evitai di rispondermi.
    Forse il suo ‘ti amo’ riuscì ad intenerirmi ma non fu sufficiente.
    Speravo ardentemente, con tutto il cuore di rivederlo tornare sano e salvo ma altrettanto ardentemente e con tutta l’anima speravo che, prima di svignarsela a tradimento, potesse udire il mio gridato e rabbioso proposito.
    Vai! Insegui il pericolo, corri dei rischi. Non ci pensi a quel che mi stai facendo? Mi stuggerò dall’ansia fino a quando non saprò che sei tornato ma quando lo farai… non sarò qui. Non posso sapere dove vai e cosa fai? Non posso accompagnarti? Come vuoi. Ti ripago con la stessa moneta e vediamo se ti piace. Ti amo anch’io e spero che torni presto per poterti cavare gli occhi.
    Parole sensate unite ad altre che davano il senso della frustrazione che provavo. Parole vere gridate con la voce e con la pancia ad una casa ormai vuota, immersa nel silenzio.
    Solo il rumore della pioggia e tuono a farmi compagnia, miei unici amici e alleati per quella notte. A temporale finito sarei rimasta completamente sola con i miei pensieri, con qualche senso di colpa e con la voglia di farla pagare al mio uomo che mi aveva costretta a non poter scegliere. Non potevo andare con lui e ora non ero nemmeno più certa che desiderasse avere un altro figlio e questa seconda ipotesi faceva quasi più male della prima.
    Dovevo fare qualcosa. Non potevo rimanere inattiva. L’ultima volta che mi ero fatta sopraffare dal dolore ne ero quasi morta.
    Mi alzai in piedi e raggiunsi il bagno. Buttai acqua fredda sul viso tirato dalla ridda di sentimenti che stravolgevano i miei tratti. Mi spogliai degli abiti bagnati per indossare l’accappatoio e calde calze.
    Salii al piano di sopra, nella zona notte, trovandola pateticamente silenziosa. Procedetti lungo il corridoio fino ad arrivare alla botola che portava in soffitta. Feci appello alla mia valigia e agli zaini dei ragazzi che riempii con le mie cose e con quelle dei miei figli.
    Sistemai i bagagli accanto alla porta, andai in cucina e mi preparai un the che bevvi sul divano, davanti al fuoco spento. L’unica luce che illuminava il salotto era quello dei lampi e sarebbe dovuto bastarmi come consolazione per il momento.
    Attesi l’alba, preparai panini per tutti e thermos con the e acqua fresca poi incantai bagagli riducendoli in modo da potersi inserire nella mia borsa e scrissi un gufo ai Brown.
    CITAZIONE
    Sto venendo a prendere i bambini. Grazie per averli tenuti per la notte.

    Non potevo dire ai genitori di Walter in che casino si era cacciato il proprio figlio. Non lo meritavano. Una volta arrivata a casa loro avrei trovato la scusa di voler andare a vedere come stava mio padre e con l’occasione avrei portato con me Alexander e Alice avvisando che saremmo stati assenti per po’ e che non dovevano preoccuparsi.
    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC


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    Per quanto cercassi di correre più forte che potevo non avevo ancora smaltito l’alcol ingurgitato. La strada era scivolosa per la pioggia e per il residuo della grandine che pur avendo cessato di cadere rimaneva a rendere insidiosi i passi.
    Prima raggiungere la meta che mi ero prefissata la presa delle braccia di Walter mi costrinsero dapprima a rallentare e poi a fermare la corsa.
    Ansimante e frustrata per il mancato obiettivo cercai in tutti i modi di svicolarmi dalla sua stretta. Non volendo, o forse volevo, piantai le unghie nelle mani del mio compagno che ostacolavano i miei movimenti. Ero con le spalle al muro ma non mi davo per vinta.
    Sentivo le gocce scendere dai capelli fradici, rigarmi la fronte per approdare sulle ciglia e bagnarmi gli occhi. Le sentivo scivolare sul collo e proseguire lungo la schiena. Gli stivali completamente zuppi avevano fatto passare l’acqua e avevo i piedi gelati.
    Solo dentro ero calda. Il petto in fiamme per la fatica della corsa, lo stomaco bruciava per via dell’alcol ma era la stizza il migliore carburante. Ecologico ma non economico. Era fatica reggerla e fomentarla, costava molto in termini di dispersione di energia ma quella sera sentivo di aver fatto il pieno e di non essere ancora in riserva.
    Le parole di Walter mi giungevano con lo stesso senso e lo stesso fastidio di una ramanzina fatta ad una bambina dispettosa che scappava per non buscarle dopo aver combinato una marachella.
    Temporaneamente rassegnata lo ascoltai. Se le sue parole avevano un senso, se ci credeva …beh…per me non erano abbastanza convincenti.
    <venus ascolta! Non ti ho detto di accantonare completamente l'idea. Soltanto… di lasciar perdere qualche mese, giusto il tempo di trovare Azzurra ed assicurarci che lei ed il bambino siano al sicuro. A quel punto potremo riprenderci in mano le nostre vite.">

    A quale punto Walter! Quando? Quando saremo completamente sereni al sicuro sarà perché siamo morti.
    Potevano passare mesi, forse anni prima che le sue previsioni potessero avverarsi e a quel punto, sicuramente, altri motivi, altri pretesti sarebbero giunti a stabilire che non era ancora il momento giusto.
    Forse si era dimenticato che c’era la fila dei Mangiamorte che avrebbero potuto invalidare il suo piano in qualsiasi momento. Sempre ammesso e non concesso che fossero stati i nostri figli a ficcarsi in qualche casino. O noi stessi che eravamo estremamente abili nel farlo.
    Questa è la nostra vita. Prendine atto, fattene una ragione. Ne abbiamo una sola e ne stiamo sprecando una buona parte per uscire da un ginepraio per infilarci in un altro.
    Mi desse torto se poteva. La mia voce era così alta da sovrastare il rombo dei tuoni e quello della pioggia. Rimbombava nello stretto vicolo risvegliando dal sonno l’eco che pensava, data l’ora, di aver finito il lavoro per quel giorno.
    Capivo che aveva rischiato la vita fin troppe volte. Capivo che lo aveva fatto per proteggere i nostri figli e me e che poteva averne abbastanza di guardarsi continuamente le spalle nel timore e nell’attesa del prossimo disagio. Capivo anche che la sua imperterrita ostinazione a proteggerci poteva servire solo fino ad certo punto, la apprezzavo ma non potevo più condividerla in quanto ci stava limitando la vita.
    Se pensi che rimanga a casa a fare la torta di mele mentre tu fai quel che è giusto tu faccia ti sbagli di grosso.
    La sentenza venne accompagnata da uno stivaletto che battè violentemente sul terreno impegnato d’acqua.
    Non avrai torta di me o altro tipo di torta se continui a pretendere di fare tutto da solo. In due faremo prima e ridurremo i tempi.
    Non avevo un solo dubbio di poter essere fraintesa. La minaccia di non mangiare torta di mele forse l’avrebbe anche potuta affrontare ma avevo motivi, parecchi, di pensare che altro tipo di rinunce potessero indurlo a riflettere e per battere il ferro fino a quando lo sentivo caldo rimarcai il concetto.
    Sollevando la mano la mostrai. Bene aperta, distesa, con tutte e cinque le dita bene in vista. Era fredda e bagnata ma non dava affatto l’idea di tremare. Abbassai per primo il mignolo poi ci pensai su un attimo e l’anulare seguì il fratello più piccolo lasciando tese le testanti dita.
    Tre. Tre settimane e non una di più. Non da solo ma con me.
    Non volevo infierire dicendole che appena lo perdevo di vista combinava un guaio in quanto questo mi pareva superfluo.
    Se non accetti da stasera dieta e io non torno a casa.
    Era un ricatto? Assolutamente no. A mio parere era un’assicurazione sulle nostre vite che rischiavano di venire stravolte ogni volta che rimanevamo lontani.
    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC


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    Edited by venus - 4/10/2022, 15:56
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    Il buon Merlino aveva deciso di essere fin troppo generoso quella sera quanto a tempo meteorologico. Forse anche lui, come Walter, si sentiva in colpa per tutti i casini che lasciava che accadessero. Pure lui, come Walter, non aveva prestato attenzione.
    Contro ogni logica la similitudine, o forse si trattava solo dell’alcol che circolava nelle mie vene, mi fece ridacchiare mentre mi trovai addosso il giaccone del mio compagno.
    Almeno un punto lo avevamo chiarito, anzi due: era una situazione di merda e fregarsene di ciò che era accaduto era impossibile. Sarebbe stato duro metabolizzare fino in fondo la vera portata degli eventi ma un passo in quella direzione era stato fatto anche se la realtà era talmente impattante da far sembrare la grandine che aveva iniziato a scendere come una pioggia di soffici piume.
    La gragnuola di palline ghiacciate, grosse quanto noci, ci costrinse ad arrestare la marcia e a trovar riparo sotto un porticato. Davanti a noi una piazza deserta la cui pavimentazione si stava ricoprendo di ghiaccio. Vero era che pioveva sempre sul bagnato.
    Sarebbe stato inutile cercare, nella tasca del mio cappotto, la bacchetta per proteggerci dal freddo. Nella smania di uscire da casa non avevo nemmeno lontanamente pensato a portarla con e probabilmente anche quella di Walter era rimasta all’asciutto nel nostro salotto.
    Il tepore dell’indumento asciutto, il profumo di Walter addosso, mi diedero l’illusione che qualche pezzo di me stessa potesse tornare a trovare la sua collocazione.
    La sua mano sul viso e il suo ‘grazie’ così sentito mi riportano al presente e il seguito del suo discorso venne accolto con un deciso cenno del capo e mezzo sorriso.

    <meriteresti molto di più e molto meglio di un coglione come me che combina sempre e solo cazzate>
    Sono assolutamente d’accordo. Purtroppo sono generosa e altruista, sto conte te solo per proteggere il resto delle donne dal disastro che sei.
    Non era il momento di scherzare ma se avessimo dovuto farlo solo quando non c’erano problemi la nostra relazione sarebbe stata una mesta ed eterna processione quaresimale.
    Forse mai, come in quel momento, seppur ancora stranita dal bere, comprendevo che eravamo uno il pilastro dell’altra. Se io crollavo mi sarei trascinata dietro anche lui e valeva anche il contrario.
    Abbassai il capo quando mi parlò della rivalutazioni in merito ai nostri desideri. Volevamo, io forse più di lui, avere un altro figlio. L’ultimo. Ne avevamo parlato. Un figlio concepito con la consapevolezza di entrambi visto che Alexander era giunto come un fulmine a ciel sereno e Alice era arrivata nel momento sbagliato, in quello più nero della nostra lunga relazione.
    Come hai detto?
    Pensai di non aver capito bene, forse l’alcol aveva danneggiato il mio udito, o forse Walter si era espresso male ma la sua espressione parlava per lui. Stava dicendo sul serio e altrettanto seriamente, anche se con modi meno pacati, gli risposi.
    TU rivaluterai. Io ho deciso.
    Sentendo scivolarmi di dosso i pochi pezzi che avevo faticosamente ricomposto appoggiai i palmi delle mani sul suo petto e mi scostati da un abbraccio che bramavo più che mai.
    Mi tolsi il giaccone e glielo restituii in malo modo mettendoglielo fra le mani. Più che l’alcol era la stizza a parlare per me e non avevo nessuna intenzione di tentare di placarla.
    Non era bastata la notizia del lieto evento, anche questa mi chiedeva di digerire. Il mio stomaco però era sazio di ‘belle’ notizie.
    Ero stravolta e non lo nascondevo. Nella mia testa era chiaro un solo concetto. Lui poteva avere un figlio e io no; dovevo attendere, aspettare che facesse il possibile. No, no e poi no. Non se ne parlava nemmeno. L’idea mi spaventava tanto quella di una visita del Mangiamorte marito di quella Azzurra con la quale si era distratto.
    Se non ci sono altre belle notizie io vado e NON seguirmi!
    Mi sentivo perfino corretta nell’ anticipargli le mie intenzioni. Diversamente da lui non lo avrei colto di sorpresa mettendolo di fronte ad un fatto già compiuto.
    Per dar credito alle mie parole mi riparai la testa con le mani e cominciai a correre in direzione del pub dal quale eravamo usciti poco prima sperando di trovarlo ancora aperto.
    Non aspettarmi stanotte.
    Avrei avuto bisogno di diversi bicchieri per cercare di dimenticare quell’immane casino e non vedevo l’ora di raggiungere la soglia dell’oblio che mi avrebbe permesso di mettere una pausa nei brutti pensieri che mi passavano per la testa.
    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC


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    Edited by venus - 3/10/2022, 13:25
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    Anche potendoci pensare non mi sarei resa ben conto di quanto e quale spettacolo stavo dando. Al contrario di Walter che ambiva ad un dialogo io sentivo come irresistibile bypassare le parole rendendole concrete.
    Non capivo nemmeno perché i clienti del locale si divertivano mentre io ero di tutt’altro umore. La tentazione di far passare il sorriso su quelle bocche sconosciute era forte. Nella mia mente li sentivo tutti complici di Walter, avevo l’impressione parteggiassero per lui.
    Appoggiai le mani sui fianchi vagamente consapevole che sarei apparsa più minacciosa se mi fossi alzata in piedi ma la testa girava e probabilmente sarei finita lungo distesa sotto il tavolo.
    Ce n’è anche per voi se non fate sparire da quelle brutte facce il sorriso.
    Forse per qualcuno ero stata credibile. Un paio di uomini si alzarono e si avvicinarono a Walter che era seduto a fianco a me. Uno di loro batte una mano sulla sua spalla tenendomi d’occhio.
    Complimenti e auguri amico. Bel caratterino la signora. E’ sempre così? Anche a…
    Eh no! Era troppo. Potevo anche essere brilla ma non fino al punto da non cogliere l’allusione. Caricai con tutta la forza l’unico piede calzato e lo spedii dritto sulla sua caviglia. A mio parere era la miglior risposta che potesse avere.
    Puntando gli occhi sul compagno feci chiaramente intendere che ce n’era anche per lui in caso gli passasse per il capo di voler aggiungere qualcosa.
    Probabilmente era bastato ed entrambi, uno zoppicante e l’altro perplesso presero la via dell’uscita senza proferire parola.
    Piegando il busto raccattai lo stivaletto. Provare a rimetterlo si rivelò un’ardua impresa. Mentre cercavo di infilarlo ascoltai il dire del mio compagno cercando di recepirne il senso cosa che richiedeva un notevole sforzo di concentrazione nelle mie condizioni.
    Quante scarpe ho nella scarpiera? Quando avrò finito di lanciartele tutte, prima o poi, ci penserò a perdonarti.
    Sapevo di star tirando la corda. L’effetto che aveva su di me l’alcol era quello di rendermi aggressiva e ora lo sapevo ma pur essendo furiosa e fuori controllo una piccola parte di me, quella più profonda, non poteva negare che stavo reagendo in maniera sconsiderata nei suoi confronti. Non stavamo assieme quando aveva fatto la cazzata e anche se ai fini del risultato era irrilevante non potevo accusarlo di tradimento.
    Non avendo più niente da lanciare o nessuno da aggredire gratis fui indotta ad ascoltare Walter che quella sera era particolarmente loquace.
    Probabilmente diceva cose sensate, compreso quella che presto sarei stata da schifo. Le tempie martellavano preannunciando un’emicrania da record.
    Cercai un po’ di sollievo premendo contro la fronte la mano fredda gelata recependo i concetti espressi dal mio compagno.
    Che situazione di merda.
    Un’altra espressione che non faceva parte del mio usuale vocabolario partì senza che potessi e volessi far nulla per trattenerla. Pur essendo colorita rendeva appieno quello che era e che pensavo del contesto.
    Nell’imminente vedevo solo due ipotesi. Uscire da quel posto o continuare a bere fino a perdere coscienza. Il timore di cadere sul pavimento sudicio mi fece escludere la seconda opzione.
    Avvicinai la mano alla sua accettando il suo contatto. La strinsi forse più forte del dovuto in cerca di un sostegno del quale avvertivo la necessità in senso fisico ma anche morale.
    Ero una madre, ero la sua donna, avevo partorito i suoi figli e dentro me sapevo che non poteva finire così fra noi. Nemmeno l’alcol era riuscito a mettere in dubbio quella certezza.
    Aiutami ad alzarmi prima che beva anche il barista.
    Mi parve di vedere una specie di sospiro di sollievo sul viso di Walter. Lo spensi con un’occhiataccia mentre gli tendevo la mano affinchè mi aiutasse a guadagnare l’uscita.
    Il vento fresco dell’esterno calmò lo stomaco in subbuglio. Mi appoggiai al muro della bettola chiudendo gli occhi. La tettoia ci riparava, in parte, dalla pioggia che continuava a scendere. Strano come in quella situazione riuscissi ad udire il rumore delle gocce che picchiettavano sui tetti poi cadere sul selciato pieno di buche per incrementare il volume delle pozze.
    Acqua. Linfa per le mie vene, elemento amato e indispensabile che sapeva compiere il miracolo di darmi un barlume di lucidità anche in quello stato.
    La mente lavorava, i pensieri confusi iniziarono a prendere una sorta di ordine. In tutto quel casino avvertivo la necessità di trovare il bandolo della matassa e quando mi resi conto di avere trovato quello che ritenevo giusto puntai il dito verso il petto dell’uomo che, anche se in quel momento non pareva, amavo e avrei amato per tutta la vita.
    Ascoltami bene Walter Brown perché non lo ripeterò.
    Era già troppo doverlo fare una volta mi augurai si sturasse le orecchie.
    Quello che riesco a comprendere e che è mi è ben chiaro è che se tieni alle dita che ti rimangono non mi darai la delusione di far finta di niente. Quel bambino è tuo figlio e non è frutto di un tradimento.
    Se così fosse stato non avrebbe rischiato solo le dita. Non ritenni necessario specificarlo. Era un argomento che non volevo nemmeno prendere in considerazione. Se lo avessi fatto la scenata del pub gli sarebbe parsa romantica.
    Azzurra o Rosa quella donna porta in grembo una creatura tua e che lo voglia o meno tu hai delle responsabilità nei confronti di tuo figlio.
    Rimanendo attaccata al muro cercai di assumere una posizione altera per quanto l’alcol rendesse difficoltosa la cosa. Continuando a tenerlo sotto tiro con l’indice affondai le iride azzurre nelle pozze nere dei suoi occhi senza retrocedere di un millimetro.
    L’uomo che amo non lo farebbe mai. Non mi deluderebbe scrollando le spalle e se tu non sei quell’uomo significa che io non ho capito niente.
    Sapere come l’avremmo risolta era decisamente una cosa troppo complicata da affrontare in preda ai fumi dell’alcol. Ne avevamo davvero passare tante e questa era bella grossa da digerire.
    Da donna non potevo nemmeno pensare a come mi sarei sentita sapendo di aver concepito un figlio con uomo che non era il mio uomo. Da madre comprendevo che la priorità andava al bambino e che non potevo lasciare che Walter si sentisse diviso fra la responsabilità che aveva verso la sua famiglia e quella che, inevitabilmente, sentiva nei confronti della creatura che aveva contribuito a mettere in cantiere.
    Ora, se vuoi, possiamo anche andare a casa. A piedi. Ho bisogno di camminare ma dovrai aiutarmi.
    Forse era anche questo il senso dello stare assieme. Sorreggersi uno con l’altro. Nonostante tutto. Nonostante tutti.
    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC


    Parlato
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    Mi lasciai cadere sulla sedia. Curvai le spalle, lo sguardo fisso verso una crepa del tavolo di legno usurato dal tempo e appiccicoso per la scarsa pulizia. Non ero in vena di fare la schizzinosa, il rospo che dovevo digerire è cosa ben più grossa di qualche macchia o di qualche ammaccatura.
    Il calore che mi aveva riscaldata durante la corsa stava diminuendo. Sentivo il freddo penetrarmi nelle ossa tramite gli abiti bagnati. Era niente in confronto al gelo che avevo dentro.
    Mi resi conto di star battendo i denti mentre sbiascicavo un poco cortese ‘grazie’ al cameriere che mi aveva servito da bere. Il ragazzo, forse mosso da compassione, mi aveva servito un grog caldo bollente e questo mi aveva fatto ancora più arrabbiare. Detestavo essere compatita. In quel momento detestavo tutto e tutti e non guardai nemmeno il viso il tipo che, annusando il tempo, non si perse in chiacchiere allontanandosi muto.
    Mi presi fra le mani la fronte e appoggiai gomiti al tavolo al quale forse sarei rimasta appiccicata per sempre ma non mi importava. Stavo annegando nella frustrazione e se fossi stata appena un pochino più lucida avrei dovuto pensare a mantenere un minimo di controllo. Non sapevo gestire la rabbia. Non ero solita arrabbiarmi e non mi veniva bene.
    Sentendo le gambe del tavolo traballare dedussi che no, non avevo nemmeno quel minimo di lucidità necessari per tenere a freno la magia involontaria che stava reagendo al mio stato d’animo.
    Sollevando lo sguardo vidi il liquido fumante nel bicchiere che ondeggiava. Lo afferrai al volo stringendolo nel palmo con il risultato di scottarmi.
    Maledizione!
    Imprecai ad alta voce facendo voltare qualcuno dei presenti. Intercettai un paio di sguardi che rimandai al mittente aggrottando le sopracciglia e tracannai, ad occhi chiusi, metà del contenuto del bicchiere.
    Fuoco liquido per la mia gola non avvezza ai sapori dell’alcol. Stimolante per la mia mente confusa dalla frustrazione e dalla rabbia generata dall’impotenza di non poter rimediare.
    D’un tratto pensai di essere brilla. Mi sentivo rinfrancata, avevo meno freddo e la testa parve diventare più leggera. Forse anche la vista era confusa. Davanti a me vedevo due bicchieri; uno mezzo vuoto e l’altro completamente pieno. Sollevando gli occhi dal piano mi accorsi che di fronte a me si era seduto un tizio.
    Posso offriti il secondo giro dolcezza?
    Dolcezza? A me? Forse potevo anche essere brilla ma dolce, in quel momento, proprio no.
    Tu sei un uomo?
    Domanda poco consono anche per chi stava alzando il gomito. Era evidente che non si trattava di una donzella.
    Vi odio, tutti.
    In quel momento forse era vero ma in quel momento avevo bisogno di sfogarmi ed era meglio farlo verbalmente prima che qualcuno si avvedesse che stavano succedendo cose strane. I bicchieri sul tavolo si mossero come se avessero vita propria e allungai la mano per prendere il mio e portarlo alle labbra.
    Nel riappoggiarlo sentivo il viso prendere colore e la lingua sciogliersi. Non potevo alleggerire la stretta che mi attanagliava il petto ma forse potevo dar sfogo alla frustrazione.
    Anche te. Sicuramente anche te, come LUI fai danni e poi dici ‘mi dispiace’ e pensi che sia tutto a posto.
    Non c’era niente di ‘a posto’. Era tutto un kaos nella mia testa. Pensieri confusi che si accavallavano ed uscivano in un rabbioso disordine senza alcuna cronologia logica.
    Un figlio. Ma ti rendi conto??? Un figlio!!! LUI aspetta un figlio e…io…cosa avrei dovuto dirgli secondo te? Beh caro, cose che succedono, può capitare andando con una donna.
    Nel discorrere gesticolavo. Muovevo le mani, piegavo il viso, storcevo la bocca. Guardavo con disprezzo il soggetto che avevo davanti ma nel contempo gli ero grata per l’ascolto che mi dava. Mi accorsi di essere in errore quando lo vidi con lo sguardo puntato sulla mia scollatura e fu a quel punto che udii la SUA voce.
    <questa è mia moglie. Togliti dai piedi>
    Trasalii e afferrai il bicchiere ancora intonso pronta a lanciarlo ma pensai che prima era meglio svuotarlo nel mio stomaco.
    Non credergli. Non sono sua moglie.
    Il tizio si arrese senza nemmeno lottare e non me ne sopresi. Walter sapeva essere convincente quando era in quel mood.
    Lo salutai muovendo le dita per poi dedicarmi al mio non marito.
    Cosa combino io???? Avresti dovuto ubriacarti anche tu invece di…
    Le parole morirono in gola soffocate dalla valvola di sfogo che era saltata. La pressione accumulata esplose alla stregua del bicchiere che gli lanciai sbagliando, di poco, la mira. La mia vista non era perfetta ma la forza era intonsa, rafforzata dall’alcol che mi rendeva disinibita e disinvolta come forse mai mi ero sentita. Non paga mi tolsi uno stivaletto strizzando gli occhi per centrare l’obiettivo del suo petto.
    Non c’è niente da spiegare. Ho capito perfettamente. Voglio bere per dimenticare.
    Sollevando il braccio abbassai appena un po’ la voce. Avevo urlato e per richiamare il cameriere non c’era bisogno.
    Un altro. Anzi due. Tre. Uno anche per LUI
    Probabilmente se avessi provato ad alzarmi mi sarebbe girata la testa, girava anche da seduta ma mi sentivo più stabile con sedere appoggiato alla sedia. Afferrando la mano che mi tendeva lo trascinai verso la sedia più vicina e lo spinsi . Voleva parlare? Io volevo litigare. Ne avevo tutte le intenzioni e, a parere mio, anche qualche buon motivo.
    Battendo con forza entrambe le mani sul piano del tavolo resi palese l’evidenza che non avevo più freddo oltre a quella di non essere completamente in me.
    Cosa vuoi spiegarmi? Come hai fatto? Credo di saperlo.
    Non ero in grado di pensare a come uscirne. Se ci avessi provato avrei dovuto ordinare due bottiglie e forse non sarebbero bastate.
    Nuovamente sentii il tavolo barcollare, staccai le mani contrando il furore alcolico nello sguardo.
    Hai fatto una bella cazzata.
    Non ero solita esprimermi in quel modo ma in quel momento mi sembra molto appropriato.
    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC


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    Edited by venus - 1/10/2022, 11:04
  6. .

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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Come spesso accadeva non riuscivo a resistere alla tentazione di uscire sotto la pioggia. Avevo fatto una lunga passeggiata per cercare di stemprare la tensione causata dall’attesa. Ogni volta che attendevo il ritorno di Walter mi passavano per il capo le volte che era tornato ferito, le volte che era tornato irascibile e scontroso, le volte che non era tornato affatto.
    Sarebbe mai passata la paura di non vederlo tornare? Probabilmente no. Nemmeno per una inguaribile e testarda ottimista quale ero. Il timore di altri pericoli, di altri problemi non mi avrebbe mai abbandonato. Dovevo imparare a gestirli senza farli ricadere su Walter per non sciupare il momento in cui sarebbe tornato da me.
    Gli stivaletti facevano schizzare l’acqua delle pozzanghere dentro le quali finivo un po' per distrazione un po' perchè mi piaceva. il lungo Tamigi era poco affollato a causa del maltempo. Il cielo grigio piangeva fredde lacrime di una pioggerella fitta che picchiettava sulla tela tesa dell’ombrello che ogni tanto spostavo per sollevare il viso e sentirla sulla pelle.
    Acqua. Ovunque fossi era l’acqua che cercavo sia quando ero preoccupata che quando ero felice.
    Solo quando le gambe cominciarono ad accusare la stanchezza ripresi la via di casa. Il battito del cuore leggermente accelerato dalla speranza di ritrovare il mio uomo sul divano, o sotto la doccia o in qualsiasi altra camera della nostra dimora.
    Passando davanti ad un negozio di gastronomia mi venne l’idea di prendere qualcosa di buono per accoglierlo. Uscii con una borsa al cui interno c’era formaggio francese, prosciutto spagnolo e pane fresco.
    Una bottiglia di vino italiano aveva attirato la mia curiosità. Rosso come il sangue e costoso come un rubino ma per una volta pensai che ce lo saremmo potuto permettere. Mi ripromisi di tornare dal venditore per cruciarlo se non fosse stato all’altezza del prezzo. Prima di uscire avevo cucinato la torta di mele. I dolci preferivo farli in casa e con l’inizio dell’autunno i frutti erano maturi e succosi al punto giusto.
    Varcai la soglia della porta decisamente umida. Nel cuore la speranza di poter gustare il comprato assieme al mio uomo più tardi, dopo aver messo a letto i bambini.
    Nell’accendere la luce il cuore mi si allargò nel vedere la figura tanto amata seduta sul divano. Quella sera mi veniva risparmiato il supplizio dell’attesa e insieme al cuore anche le labbra sorrisero.
    Ciao! Bentornato!
    Ci misi un po’ a realizzare che c’era qualcosa che non andava. Appoggiai l’ombrello, mi tolsi il cappotto e appoggiai la spesa sul tavolo del salotto prima di averne conferma.
    Walter non stava bene, accusava mal di testa. Evitando di fare troppo rumore mi tolsi le scarpe per indossarne altre, asciutte. Mi strinsi nelle spalle cercando di ignorare il brivido che mi correva lungo la schiena che attribuii al freddo.
    Usando la bacchetta accesi il camino per poi recuperare una calda coperta che appoggiai sulle sue gambe sperando non si trattasse di influenza. Solo più tardi mi sarei resa conto che...magari fosse stata influenza.
    Al momento non potevo saperlo ma il primo indizio arrivò dopo un lungo silenzio durante il quale mi sedetti accanto a lui appoggiando il palmo della mano sulla sua fronte per testare la temperatura.
    Non hai febbre. Probabilmente sei stanco.
    Cominciavo ad arrampicarmi su specchi scivolosi, potevo sentire il rumore graffiante delle unghie contro il vetro. Avrei voluto tapparmi le orecchie con le mani come faceva Alice quando non voleva sentire ma diversamente da nostra figlia non potevo farlo. Il fatto che non lo avessi assalito con le mie solite domande poteva fare intendere che ero all'erta.
    Sapevo dove era andato Walter e chi aveva incontrato. Ci avevo girato attorno da quando era uscito cercando di non pensare al peggio, cercando di non immaginare il peggio. Speranza vana la mia che venne spenta da un soffio di vento gelido. Così recepii le sue parole. Non solo non era andata come speravo ma evidentemente c’era altro e di più.
    Dapprima ignorai il foglio che mi porgeva. Continuavo a guardarlo con la mera illusione di riuscire a comprendere da sola quel sentivo avesse timore di dirmi.
    Ne avevamo passate così tante. Possibile non ci fosse mai un fine ai problemi?
    Evidentemente se c’era non lo avremmo scoperto quel giorno.
    Gli occhi a forma di punto interrogativo non perdevano di vista i suoi che rifiutavano di guardarmi. Per più di un attimo gli unici rumori che potevo sentire erano quelli del mio cuore che batteva troppo forte e il ronzio delle orecchie che sovrastava quello del respiro.
    Per cosa si stava dispiacendo? Era tornato tutto intero e non era affatto scontato. Pareva sofferente ma non ferito, non più del solito. Continuando a graffiare lo specchio e scivolare inesorabilmente verso il basso sperai mi fosse sfuggito qualcosa di evidente, di tangibile, di rimediabile come un taglio, una botta, un danno marginale provocato da un incantesimo che aveva schivato perché Walter pareva davvero in preda ad una sorta di incanto.
    Tendendo la mano mi venne altro tipo di paura. Ipotizzai che il foglio contenesse un referto medico, pensai ad una malattia che mi aveva tenuta nascosta per non farmi preoccupare e sentii la bocca farsi secca. Passai la lingua sulle labbra e deglutendo ebbi l’impressione di mandare giù della sabbia.
    Dovetti forzare la sua mano per prendere possesso e visione del contenuto del foglio. La mia tremava mentre lo stringevo fra le dita. Le righe presero a ballare davanti ai miei occhi mentre tentavo di leggere. Dovetti alzarmi, avvicinarmi al camino e farmi aiutare dalla luce delle fiamme per mettere a fuoco.
    Per quanto rileggessi il senso dello scritto non cambiava. Lessi decine di volte sperando di aver capito male, sperando mi fosse sfuggito un particolare che poteva cambiare il senso di quel che non volevo credere.
    Dandogli le spalle, col viso rivolto al fuoco lasciai cadere ai miei piedi il pezzo di carta. Le spalle curve, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Mi girava la testa, vedevo sfocato. Chiusi gli occhi e appoggiai la fronte alla mensola del camino trattenendo a stento un singhiozzo.
    Mi pareva di vivere un incubo, l’ennesimo.
    Ti dispiace.
    Ripetei le sue parole nelle quali impressi il mio dolore. Il destino, ancora una volta, mi metteva davanti ad un bivio e non sapevo quale strada prendere.

    Passarono diversi minuti prima che riuscissi a dire altro. Non potevo certo consolarlo, io stessa avrei avuto bisogno di consolazione. Conoscendolo sapevo che non avrebbe aggiunto altro se non dietro specifica richiesta ma in quel momento non mi interessava sapere come e perché era successo. Mi bastava il risultato che attestava la sua paternità per l’arrivo di un figlio che non avrei partorito io. D’istinto portai una mano al ventre. Era ancora troppo presto, non potevo pensarci, non dovevo farlo e non dovevo far intuire nulla.
    Non ti aspetterai che io sia felice. Non posso farti le congratulazioni.
    Lentamente mi scostai dal camino, rimisi le scarpe fradice e appoggiai sulle mie spalle il cappotto umido. Non presi nemmeno l’ombrello. Sbattendo la porta uscii sotto l’acqua senza avere idea di dove sarei andata. Dovevo calmarmi, non potevo ucciderlo ma non potevo nemmeno guardarlo o sostenere una conversazione in quello stato.
    Presi a correre. Le auto schizzavano acqua ovunque e ben presto mi trovai fradicia. Stava facendo scuro, presto sarebbe stato buio. Avrei dovuto andare a riprendere i bambini da scuola ma non potevo farmi vedere da loro in quello stato. Dalla tasca estrassi il cellulare, in qualche modo riuscii a fare il numero dei Brown chiedendo se potevano provvedere loro, per quella sera, ai miei figli. Non attesi nemmeno la risposta. Ricacciai in tasca il telefono e ripresi a correre sperando che la fatica attutisse il senso di costrizione che provavo. Non sapevo dove andare, non sapevo cosa fare ma sapevo di non poter tornare a casa ad affrontare una discussione che fino a poco prima mai avrei pensato di dover immaginare.
    Fino a quando le gambe mi ressero continuai a correre. Potevo aver percorso almeno un paio di chilometri quando il fiato e le gambe vennero meno. Mi appoggiai contro un muro sperando mi inghiottisse ma anche quello mi venne negato. Ero finita in un vicolo buio e deserto. Le case ai lati della stradina mostravano le finestre illuminate e non volevo pensare ai loro abitanti che stavano per riunirsi attorno al tavolo per la cena, il momento del ritrovo, del rilassamento e del godimento della reciproca compagnia.
    Oltre la strada l’insegna di pub. Penzolante, male illuminata da lampadine che a tratti si spegnavano per poi riaccendersi. Senza pensarci due volte per il timore di cambiare idea attraversai la strada ed entrai nel locale.
    Lasciai una pozza sulla soglia mentre mi guardavo attorno. Non c’erano molte persone. Tutti uomini con facce strane da farmi pensare fossero alticci.
    Sentii una scarica di adrenalina scorrermi lungo le vene. La situazione non rientrava affatto nelle mie abitudini come non rientrava recarmi da sola, in un pub, a quell’ora. Forse avevo davvero bisogno di mettermi in pericolo per non pensare e per aiutarmi ordinai la cosa più alcolica che servivano e mi lasciai cadere sulla sedia del tavolo accanto alla finestra.



    Parlato


    Edited by venus - 1/10/2022, 21:41
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    Che non volesse dare un nome ai cuccioli non lo capivo. Che dovessimo non affezionarci mi pareva una richiesta impossibile da esaudire.
    Guardando stranita il mio compagno iniziai a pensare ad un soluzione. Casa nostra non era effettivamente adatta ad accogliere Eva insieme alla sua prole.
    C’era già abbastanza confusione e tre cuccioli…non ci potevo nemmeno pensare. Elsie si sarebbe ammutinata. D’altra parte mi spiaceva dar via i cagnolini, trovare chi li avrebbe accolti e trattati in maniera adeguata non sarebbe stato facile. Non erano cani di razza e non erano di piccola taglia. Accasarli poteva diventare un problema. E poi c’erano i bambini. Si sarebbero innamorati a prima vista dei cuccioli e non osavo pensare al momento in cui avrebbe dovuto cederli ad estranei. Ultimo ma non ultimo c’era il problema del giardino. In breve tempo sarebbe stato pieno di buche, i miei fiori e le mie piante sarebbero stati sradicati dall’irruenza dei figli di Eva.
    Portando la mano al mento rimasi assorta per qualche minuto poi mi venne l’illuminazione.
    Potrei portarli ad Epping, da Ebenezer. Gli scriverò per avvisarlo ma penso e spero che non abbia problemi ad accoglierli. La sua casa è immersa nel bosco. Staranno benissimo. Potranno correre e scavare a piacimento e potremmo andare a trovarli ogni volta che vogliamo. E potremo dargli i nomi che vogliamo.
    Wolf sarebbe rimasto nel cerchio delle nostre conoscenze e questo rendeva un tantino evidente quanto la mia testardaggine non si fosse sopita col passare degli anni. Rimarcai l’ultima frase con una strizzatina d’occhi mentre il mento si sollevava in una espressione compiaciuta.

    Era tempo che non andavo a trovare il mio migliore amico, il mio padre preferito, il buon vecchio saggio che adoravo. Avrei affidato la mia vita e quella dei miei figli nelle sue mani ad occhi chiusi, era la persona verso la quale provavo un affetto così profondo che….se avesse avuto un’ottantina d’anni in meno ci avrei fatto più di un pensierino.
    Ipotizzando che Walter avrebbe accolto la proposta mi sentii più tranquilla. Era raro che fossi io quella ad avere idee sensate ma quando me ne veniva una ero orgogliosa e non lo nascondevo.
    Terminai la cena più serena. Eva si era messa tranquilla. Ogni tanto leccava i cuccioli che facevano sentire le loro vocine ancora flebili. Erano talmente minuscoli che si addormentavano suggendo il latte. Facevano tanta tenerezza e, da madre, invidiavo un po’ la cagnolona. Non per tutti i parti avevo avuto il piacere di poter allattare ed avevo provato dispiacere quando non avevo potuto farlo. Durante l’allattamento si creava un feeling speciale fra madre e figlio e…dovetti distogliere lo sguardo per non far andare di traverso bistecca e patate a Walter mettendo al corrente dei miei dubbi. Non era il momento e se non fosse capitata l’occasione avrei atteso di avere la certezza dei miei sospetti di prima di informarlo. Non avevo buoni ricordi in merito a quel tipo di comunicazioni.
    Per quanto poco in forma fosse, lo stomaco di Walter pareva funzionare a dovere. Apprezzò il cibo che mangiò di appetito e di gusto. Anche le mamme a volte avevano ragione. La mia diceva sempre che la via per raggiungere il cuore di un uomo passa attraverso il suo stomaco. Nel caso di Walter forse non era sufficiente. C’erano altre vie più piacevoli da seguire e nel pensarci mi accorsi di sorridere sguardandolo maliziosa mentre, sotterrata l’ascia di guerra, ammise di non essere più arrabbiato.
    Eri arrabbiato? Non me ne sono accorta. La prossima volta che ne farò una delle mie mi preoccuperò di farla con la tavola imbandita.
    Era un momento perfetto. Nonostante la situazione pericolosa in cui ci trovavamo fra noi c’era armonia. Lavorare fianco a fianco per assistere Eva, avere lo stesso obiettivo ci aveva fatto mettere da parte rimbotti e rimproveri ed era bello, dopo aver discusso, ritrovarsi vicini, a consumare un pasto semplice condito con amore.
    La nostra relazione non sarebbe mai stata esente da scontri, faceva parte di noi cercare di far prevalere le nostre ragioni ma col tempo e con tutto quello che avevamo passato eravamo maturati anche come coppia e il sentimento forte che ci univa ci avrebbe aiutato a superare le incomprensioni. Forse non era evidente ma mi impegnavo per curare e far crescere il nostro rapporto. Sentivo e capivo che Walter stava facendo lo stesso. Ogni giorno, ogni ora insieme a lui era vita. Ogni giorno lontano da lui, ogni ora passata a discutere era tempo sottratto a far cose più piacevoli.
    Non avrei ammesso nemmeno sotto tortura che Eva era stata un pretesto per raggiungerlo. Era stata una buona occasione e l’avevo colta. Ero stata sola per troppo tempo per non accusare la mancanza del mio compagno, anche se questa era di breve durata.
    Il bacio breve, troppo breve, che ci scambiammo venne seguito dalla sua voce. Dopo ben due giorni e mezzo di silenzio dovevo ammettere che mi era mancata terribilmente.
    <non ringraziarmi, hai fatto tutto tu. Senza di te sia io che Eva saremmo stati persi.>
    Eva aveva più bisogno di te che di me e tu c’eri. C’eri quando sono nati i tuoi figli e, mi duole dirtelo, ti toccherà di sopportarmi ancora a lungo.
    Nei momenti cruciali c’era sempre stato e speravo con tutto il cuore che ci sarebbe stato anche in tutti gli altri momenti, compreso quello in cui gli avrei detto, in caso di conferma, che sarebbe diventato padre un’altra volta. Quel pensiero continuava a ronzarmi nella testa. La maternità di Eva doveva aver smosso più di quel che avrei voluto a riguardo. Cominciava a diventare difficile tacere. Avevo la fortissima tentazione di condividere il dubbio con lui.
    Finito di cenare ci attardammo sul divano a contemplare la cucciolata. Sorridevo ad ogni guaito, attiravo l’attenzione del mio compagno ad ogni smorfia buffa dei cuccioli facendola notare e commentandola. Nemmeno avessi partorito io. Nemmeno fosse merito o opera mia. Mi sarebbe bastato un gancio, un pretesto qualsiasi per intavolare il discorso ma Walter, inconsapevolmente, mi distolse dal farlo annunciando che la partenza era rimandata al giorno dopo.
    Dal tetto della tenda si sentiva la pioggia che aveva cominciato a cadere copiosa. Il crepitio delle fiamme veniva coperto dal rombo dei tuoni e la luce dei lampi prese a illuminare ad intermittenza il salotto.
    Accoccolata accanto a Walter, con le sue braccia attorno, la stanchezza cominciò a farsi sentire. Il mio compagno era convalescente, per lui doveva essere molto peggio in quanto univa alla fatica e alla tensione del pomeriggio anche il dolore delle ferite, non ancora guarite, che si era procurate durante lo scontro con l’Oscuro.
    Non volevo pensare a domani, non volevo pensare a niente tranne che a passare la notte con lui. Da sempre, per noi, la pioggia e i temporali erano elementi che accomunavano i nostri pensieri in una direzione ben precisa.
    Mi pare la soluzione migliore. Non vorrai buttarci fuori con questo tempo!
    Lo sguardo di Walter era eloquente. Non me lo feci ripetere due volte. Nel volgere di pochi minuti eravamo distesi sul materasso uno allacciato all’altra. Pareva che nemmeno il dolore delle ferite ponesse limiti al mio compagno, le sue pozioni evidentemente funzionavano alla grande. Liberi dei vestiti, pelle contro pelle, le mani scivolavano sul corpo del mio uomo al quale accarezzai prima il viso, soffermandomi sulle sue labbra. Pensando di avere tutta la notte a disposizione non volevo perderne nemmeno un minuto. Le carezze divennero più audaci andando a solleticare i punti dove sapevo di poter cogliere la sua reazione ed ero certa di avere tutta la sua attenzione quando uno stramaledetto trillo interruppe il preludio a quella che doveva essere una notte movimentata.

    Dopo aver sbuffato più e più volte insistendo per sapere cosa diavolo fosse quell’ accidenti che suonava ne appresi l’origine e …non ero contenta. Per niente.
    Di nuovo il pensiero dell’Oscuro e della sua mogliettina vennero a turbare l’atmosfera. Ascoltai a braccia conserte le ipotesi fatte da Walter sulla possibile causa dell’allarme.
    Gli ingredienti usati per le pozioni dei Maghi potevano essere un ghiotto bottino. Alcuni erano preziosi, altri pericoli, altri ancora potenzialmente letali. Nelle mani sbagliate avrebbero reso fior di galeoni se vendute a chi non poteva procurarsele. Avrebbero potuto nuocere gravemente se usati per scopi illeciti.
    Capivo fosse preoccupato. Capivo anche il motivo per cui non aveva espresso a viva voce l’ultima delle sue ipotesi. Finii io stessa la frase abbandonando le braccia sul lenzuolo.
    Oppure…può essere una trappola.
    Non mi piaceva per niente quella storia. Andava risolta. Non potevamo vivere con quella spada di Damocle continuamente appesa sulla testa. Fino a quando ci fosse stata quella minaccia era anche difficile fare programmi e progetti oltre ad essere costantemente impegnati a tenere alta la guardia.
    Vengo con te. Oppure vado da sola. Non stai ancora bene.
    Non mi aspettavo che facesse i salti di gioia. Non mi aspettavo nemmeno approvasse. Non mi aspettavo nulla di buono e non avevo nessuna voglia di ricominciare a discutere. Sapevo fosse tempo sprecato. Una partita persa dall’inizio. Non mi avrebbe permesso di accompagnarlo e tantomeno mi avrebbe mandata da sola. Dal canto mio non mi sarei arresta tanto facilmente a rimangiarmi il detto. Non stava ancora bene e non poteva negarlo.
    Mi resi conto, prima ancora che aprisse la bocca, di non avere nessuna possibilità ma avevo un piano B e glielo esposi con risolutezza, mettendomi seduta sul letto e fissandolo dritto negli occhi.
    Dimmi dove si trova il laboratorio. Domattina andrò ad Epping a portare Eva e i cuccioli da Ebenezer e poi ti raggiungerò. Rimarrò nei paraggi, staremo in contatto tramite gli specchi e, Merlino non voglia, se avrai bisogno…voglio esserci.

    Sarebbe stata una bella maratona ma potevo farcela. La nidiata non poteva rimanere senza cure, senza acqua e senza cibo. Io non potevo rimanere troppo lontana dal luogo che poteva rappresentare un pericolo per Walter. Mi pareva perfetto.
    Se avesse condiviso, pur di malavoglia, la mia proposta la nottata avrebbe potuto riprendere da dove il trillo l’aveva interrotta e con quella speranza che mi accendeva lo sguardo tesi le braccia.
    Adesso vieni qui. Qualsiasi cosa tu decida non devi farlo ora. Discuteremo domani. Forse.
    Forse avremmo discusso ma non intendevo rinunciare alle poche ore di tregua che avevamo per azzuffarci a parole. Sapevamo farlo molto meglio a gesti e mi sentivo particolarmente bellicosa.
    Spegnendo la luce gli fui sopra nel tempo di un respiro. Non doveva stancarsi ma io potevo farlo benissimo e non mi costava proprio nulla.






    Parlato
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    Figurarsi se non perdeva l’occasione per farmi sentire responsabile. Era un uomo e non avrei mai potuto spiegargli che una ‘donna’, in un momento così delicato della vita come quella del parto, aveva bisogno di avere accanto persone amiche, che le volevano bene, persone delle quali fidarsi.
    D'altronde Walter era, da sempre, la parte razionale della nostra coppia per cui, secondo la sua prospettiva, affidarsi ad un veterinario sarebbe stata la cosa più logica. Capivo il suo punto di vista ma da donna avevo dato la priorità al mio ritenendolo, giustamente o meno, il più adatto alla situazione.
    Avevo e avrei ringraziato il cielo milioni di volte per aver avuto la fortuna di avere accanto l’uomo che amavo, un uomo che fungeva da filo conduttore della mia vita. Inguaribile sognatrice com’ero mi sarei persa senza la sua concretezza, sapevo di averne bisogno ma sapevo anche che non avrei mai potuto vivere un’esitenza priva di sogni. A volte creavano solo guai, altre volte erano necessari per dare l’input necessario a raggiungere traguardi che la sola razionalità non concepiva. Se il nostro rapporto avesse dovuto basarsi solo i miei sogni saremmo rovinati, se avesse dovuto basarsi solo sua logica…anche.
    Ci saranno complicazioni se continui a brontolare. Eva non ha bisogno di un veterinario più di quanto non ne abbia di te quindi risparmia le energie per il tuo ruolo di padre adottivo e ostetrico in prova… e prega Merlino che vada tutto bene.
    La situazione stava evolvendo ed essendo entrambi poco esperti del contesto in cui ci trovavamo era necessario darsi da fare. Avendo ben quattro parti all’attivo capivo come potessi sentirsi Eva. Aveva paura, soffriva e cercava aiuto con gli occhi che imploravano attenzioni.
    Trovato il luogo adatto per la nascita che non pareva tanto imminente ma che era ormai arrivata al punto in cui serviva sostegno sia morale che concreto lasciammo che la natura seguisse il suo corso. Affrettare i tempi non era possibile e non era nemmeno saggio. Bisognava attendere che il canale del parto si dilatasse a sufficienza per far uscire il cuccioli e sapevo quanto fosse doloroso quel processo. Sapevo anche che era inevitabile per cui, stringendo i denti, pregai che a Eva venissero risparmiate complicazioni. Era già abbastanza impegnativo affrontare l’espulsione.
    Dopo l’ennesima, inutile, ovvia domanda di Walter circa il decorso del travaglio mi spazientii.
    Vai fuori a fumarti una sigaretta se non riesci a star tranquillo. Non eri così agitato nemmeno quando sono nati i tuoi figli. Non è una passeggiata partorire. Chi vuoi che chiami? Ti devo ricordare che siamo isolati? Andrà tutto bene se smetti di agitarti.
    Non ne ero sicurissima. Eva era una primapara e in quanto tale meno elastica di chi aveva già avuto cuccioli. Il processo era più lento, la vista del sangue poco piacevole e quella degli asciugamani che si arrossavano ancor meno. Io almeno avevo avuto la possibilità di imprecare partorendo. Eva non poteva fare nemmeno quello. Non poteva nemmeno aggrapparsi alle braccia del padre dei suoi figli come avevo fatto io ricamando di graffi quelle del mio compagno.
    La cagnolona aveva bisogno di idratazione e non facemmo mancare a lei acqua fresca. Più che avere un vero e proprio dialogo ci rapportavamo con lei a gesti tesi a tranquillizzarla e Walter, non essendo fumatore, non uscì a frasi una sigaretta beccandosi occhiatacce e qualche malaparola che non gradì. D'altronde nessun uomo avrebbe mai potuto capire cosa si provava in quel momenti. Nella riproduzione la natura era stata molto in giusta riservando ai maschi la sola parte piacevole.
    Chinata presso la bestiola controllavo a vista l’apparato genitale evitando di sollecitarla per non far danni. La pazienza era obbligatoria, non c’erano scorciatoie e dopo ore di travaglio, finalmente, il primo cucciolo scivolò fuori dal corpo della madre e dovetti mordermi le labbra per l’emozione.
    Eccolo!!! Guardalo. E’ così piccolo ma è perfetto! Brava Eva! Fai vedere al tuo padrone di cosa sei capace!
    La neo mamma si occupò di ripulire il primogenito che muoveva le zampette chiedendo aria e quando emise il primo guaito guardai il mio compagno commossa.
    Avrei potuto dire tante cose ma la prima che venne in mente fu la stupida.
    Comincia a pensare ad un nome. Non mi fido molto di affidarti questo compito ma ce la puoi fare.
    Per quel che riguardava i nostri figli avevamo discusso per mesi prima di raggiungere un compromesso accettabile. Io ero più fantasiosa in quanto ai nomi, me li bocciava tutti.
    Il prossimo lo scelgo io.
    Ridacchiando osservai il cucciolo iniziare a suggere il latte della mamma. E poi dicevano che essere istintivi era un difetto. L’istinto era fondamentale. Sia per gli animali che per gli umani e mio istinto mi aveva già suggerito il nome del secondo genito che venne alla luce dopo un’ora abbondante dal fratello.
    Walter, rinfrancato, rassicurato e addolcito dalle nascite pareva essersi rassegnato ad accettare la situazione senza andare in escandescenza e quando anche il terzo cucciolo vide la luce ponendo fine alle sofferenze di Eva e alle sue cambiò posizione alzandosi da quella che per lui era sicuramente scomoda.
    Doveva essergli costato più di quel che avrebbe ammesso rimanere per ore accovacciato accanto ad Eva ma dalla sua espressione immaginavo stesse pensando che ne era valsa la pena.
    Tornò da bagno nel quale si era rifugiato per rinfrescarsi esausto. Eva si era appisolata con i cuccioli accanto, tenevo d’occhio l’ultimo arrivato. Era il più piccolo, il più gracile, quello che aveva più difficoltà a nutrirsi. Avevo coperto madre e figli con un plaid, con l’aiuto della bacchetta avevo ripulito il pavimento e fatto sparire gli asciugamani insanguinati. Avevo dovuto andare in bagno anch’io per darmi una sistemata. Mi dolevano i lombi ma ero soddisfatta.
    Tornando in salotto misi legna al camino assicurando a madre e figli il calore del quale avevano bisogno e dando le spalle al fuoco incrociai le mani dietro alla schiena.
    <siamo stati fortunati. Ed Eva è stata molto brava.>
    Tu sei stato fortunato. Hai rischiato di essere preso a gomitate. Al posto di Eva ti avrei morso.
    Eva non lo avrebbe mai fatto. Io ero stata tentata.
    Se anche nelle mie più rosee previsioni avessi messo in conto che la mia collaborazione fosse stata gradita Walter mi fece intendere che mi ero illusa ma almeno aveva smesso il broncio e il mezzo sorriso che gli spuntava da sotto i baffi era molto più rassicurante delle minacce che mi aveva rivolto.
    Non sia mai che io la passi liscia ma grazie, senza di te poteva andare molto peggio. Forse.
    Cercavo di star seria ma lo sguardo che andò a posarsi sui cuccioli panciuti e dormienti non poteva non indurmi a sorridere.
    Bisogna tener d’occhio il più piccino. I primi due sono quasi il doppio e vorranno accaparrarsi tutto il latte. Mi fa ben sperare il fatto che penso sia una femmina. Si farà valere.
    Grandi o piccole di dimensioni, le donne, di qualsiasi razza e specie, erano più tenaci ed avevo motivo di credere che presto la piccina avrebbe messo in riga i fratelli.
    Rivolgendo un’occhiata muta ma significativa al mio compagno mi si aprì il cuore quando mi propose di cenare. La prospettiva di essere rispedita a casa con tutta la nidiata al momento pareva essere rimandata nel nome di una causa che pareva essere più urgente: i bisogni dello stomaco.
    Cosa non da poco, in quelle ore, il pensiero degli Oscuri e del pericolo che rappresentavano era stato messo in secondo piano e il rilassamento per l’operazione appena conclusa aveva ridato una parvenza di serenità a quella lunga giornata iniziata col piede sbagliato.
    Certo, preparo subito qualcosa. Ho appena scoperto che i parti fanno venire appetito e ho fame.
    Rinvigorita dalla prospettiva di poter rimanere ancora un po’ e prima di dar modo a Walter di cambiare idea sfilai avanti a lui con un sorriso raggiante. Avevo incassato una bella ramanzina, mi ero sfogata e avevamo assistito alla nascita di ben tre cuccioli. Che cosa volevo di più.
    Passai una ventina di minuti ai fornelli. Un po’ di magia accelerò i tempi per la preparazione della cena, o meglio, dello spuntino di quasi mezzanotte dato che erano trascorse ore da quando ero arrivata.
    Non mi preoccupai di preparare la tavola. Il divano poteva andare. Era vicino al camino e cenando avremmo potuto tener d’occhio la parte canina della nostra famiglia allargata.
    Porgendo a Walter il piatto con bistecca al sangue e patate arrostite mi sedetti accanto a lui. Il vino elfico sul tavolino era pronto ad essere stappato per festeggiare il lieto evento.
    Un tuono improvviso venne ad interrompere il silenzio che precedeva l’assaggio. Eva sussultò dal suo giaciglio, vedendoci richiuse gli occhi riprendendo a dormire.
    Allora? Hai pensato al nome da dare al primo nato? Il secondo si chiamerà Wolf e non si discute.
    Prima che potesse fare obiezioni infilai una patata nella forchetta e gliela avvicinai alla bocca. Le mie labbra sorridevano. Il mio sguardo non ammetteva repliche. In qualche modo un Wolf in famiglia ci voleva ed Eva mi aveva offerto l’occasione per poterlo inserire nell’incasinato contesto di quella che era la nostra numerosa tribù fatta di uomini e donne grandi e piccoli e di animali di dubbia genealogia. Quello che rendeva la nostra famiglia speciale era l’amore che la univa. Guardando il mio compagno negli occhi il mio sguardo dapprima si addolcì per poi abbassarsi. Avvicinando la fronte alla sua lo ringraziai con le parole e con i fatti.
    Grazie tesoro. Sei insopportabile, partorire al tuo fianco sfianca ma credo di poter parlare anche a nome di Eva dicendo che sei indispensabile. In questo contesto…e in tanti altri.
    Un bacio salato, che sapeva di arrosto, andò a posarsi sulle labbra mentre la pelle veniva solleticata dalla barba che pareva essere cresciuta di un po’ nelle ultime ore. Chissà se ne prosieguo della cena avrei avuto modo di accennargli che potremmo avere occasioni per discutere anche di un altro nome.




    Parlato


    Edited by venus - 20/11/2021, 14:01
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    In quanto a testardaggine fra Walter e me c’era rivalità. Nessuno dei due voleva fare un passo indietro, nessuno dei due avrebbe ammesso che la ragione di uno era più importante di quella dell’altro e in quel caso avevamo ragione o torto entrambi.
    Walter aveva atteso con impazienza venisse il tuo turno per parlare provando ad obiettare ai punti uno, due, tre, quattro e cinque.
    Beccarmi della ragazzina poteva anche andarmi bene. Viziata mica tanto. Non era per vizio o per sfizio che lo avevo raggiunto. Lui lo chiamava brutto carattere e non era una definizione errata. Io lo chiamavo temperamento e nemmeno questo era un termine del tutto sbagliato. La differenza era sottile ma in entrambi i casi poteva non essere considerata una dote.
    Il mio compagno lasciò in sospeso la reprimenda focalizzando il problema. Eva stava per avere i cuccioli e non potevo biasimarlo per non esserne avveduto. Io stessa me nero ero resa conto solo il giorno prima. Di alibi ne avevamo a bizzeffe, gli ultimi giorni erano stati frenetici e pregni di ansie e pensieri che non ci avevano dato modo di osservare il cambiamento della cagnolona. Nel periodo precedente invece eravamo stati impegnati in ben diverse situazioni. Riunire la nostra famiglia, ritrovarci, recuperare un po’ di quello che ci eravamo persi aveva richiesto tutta la nostra attenzione ed era stato più che piacevole farlo. Un sogno che si era interrotto in maniera brusca facendoci piombare nell’incubo più scuro.
    Mentre Walter stava cercando di far pace con la sua bestiola accarezzandola e rendendosi finalmente conto del suo stato pareva avesse dimenticato come funzionavano le cose. Forse le torture degli Oscuri avevano cancellato dalla sua memoria il ricordo della nascita dei suoi figli. Quando arrivava il momento non si poteva rimandare, non era cosa che si potesse posticipare a data da destinarsi ma evidentemente secondo lui era possibile.
    <sì, beh… non può partorire qui.>
    Appoggiando le mani sui fianchi mi rivolsi a lui con un mezzo sorriso affatto convinto.
    <portala da mia madre, senti un veterinario, ma non può avere i suoi cuccioli qui, adesso. Non è un posto sicuro. Nel caso venissi trovato ed attaccato rischierebbero la vita. Riprendila e portala via. >
    E’ troppo tardi, è iniziato il travaglio
    Alexander era nato di notte, Alice era nata di notte. Per qualche motivo che non comprendevo i cuccioli preferivano nascere nei momenti più scomodi anche se i padri non erano felici di venire svegliati all’improvviso, nel bel mezzo del sonno, dalla rottura delle acque che era il chiaro e tangibile segnale che era giunto il momento. Purtroppo non potevo fare affidamento sul padre dei cuccioli di Eva e quindi era necessario che qualcuno si prendesse carico della faccenda e io, da sola, non ero sicura di poter fare un buon lavoro, soprattutto se, come temevo, il parto sarebbe stato multiplo.
    Mi serviva collaborazione, la sua. Eva era tranquilla con Walter accanto e questo avrebbe reso le cose più semplici o così speravo.
    Avevo sbottato ben bene ma non potevo dire di essere tranquilla. Trovano inopportuna l’insofferenza di Walter oltre alla poca fiducia che mostrava di avere e pensai di rimarcarla rinfrescandogli la memoria.
    Sia Alexander che Alice sono nati di notte, senza tanto preavviso. Hai brontolato anche quelle occasioni chiedendo se non era possibile rimandare all’indomani. Non è stato possibile per me, non lo sarà nemmeno per Eva quindi evita di protestare e diamoci da fare. Se la porto via ora moriranno tutti, madre e cuccioli.
    Non poteva affrontare il viaggio di ritorno in quello stato, mi rendevo conto fosse già stata fortunata ad arrivare sana e salva dal suo padrone e se Walter voleva continuare a discutere avrebbe dovuto farlo durante il travaglio, ad Eva si erano rotte le acque e l’animale si stava agitando. I suoi occhi cercavano quelli Walter come ad implorare aiuto e lui si ostinava a voler rimarcare la mia sconsideratezza minacciandomi.
    Non provarci nemmeno o questa ‘sconsideratezza’ di parrà la cosa più ragionevole che abbia mai fatto.
    Continuava a mettermi limiti e paletti. Era una cosa che destavo e che mi faceva ribollire il sangue facendomi reagire comportandomi in maniera opposta a quella che mi era stata chiesta o imposta. Sapeva benissimo che non avrei sopportato non mi informasse dei suoi spostamenti ed andava a toccare un punto debole verso il quale ero particolarmente sensibile.
    Visto che il parto non si poteva rimandare sperai che lui fosse in grado di rimandare la discussione anche se non ero convita. Mi tirai su le maniche cercando di rimanere lucida. Lui non era in grado di correre ma non era quello il suo compito in quella occasione
    .

    Rimani accanto a lei e tranquillizzala.
    Ignorando i rimbotti procurai acqua da bere per la bestiola, asciugamani e una coperta per tenerla al caldo. Far nascere i cuccioli avrebbe richiesto ore probabilmente e con quell’atmosfera non sarebbe stato facile mantenere la calma di cui Eva aveva bisogno.
    Pareva fatto apposta. Ogni volta che avevo il sospetto di attendere un figlio c’era tensione fra noi, c’era sempre qualcosa di più importante, di più urgente, di più grave da affrontare e questa volta pareva non essere l’eccezione.
    Da quando era tornato, da quando ci eravamo rimessi insieme erano cambiate molte cose. Il nostro rapporto era maturato, la reciprocità di intenti e di sentimenti lo aveva reso qualcosa di unico e speciale. La nostra relazione era sopravvissuta a talmente tanti scossoni, aveva subito talmente tante svolte da potersi considerare solida. Amavo alla follia l'uomo che avevo davanti, per un suo sorriso avrei dato l’anima, per un suo bacio avrei rinunciato al paradiso, per un suo abbraccio avrei ucciso ma quando mi sfidava riusciva a tirare fuori il peggio di me. Quello non era cambiato e probabilmente non sarebbe cambiato mai. Non avremmo mai convissuto pacificamente ma anche questo faceva parte del nostro rapporto. Un continuo alternarsi di umori e alzate di teste che ora si fronteggiavano a suon di sguardi torvi e di parole forse non pensate che uscivano d’istinto quasi a voler dire: siamo noi. Siamo sempre noi. E va bene così.
    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC

    Parlato


    Edited by venus - 18/11/2021, 20:23
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Eva zitta!
    Guardandomi attorno mi assicurai fossimo sole sulla spiaggia. Non era stagione di turismo ma meglio, molto essere attenti data la situazione. La cagnolona pareva posseduta da quando aveva appoggiato le zampe a terra. Il suo fiuto pareva essere ancora più sensibile del mio odorato e probabilmente aveva già rilevato la presenza del suo padrone. La vidi sfrecciare in tutta la sua mole verso la direzione dove sapevo esserci la tenda e fu allora che lo vidi.
    Consapevole di aver contravvenuto alle regole non mi sopresi dell’accoglienza. Il mio compagno, zoppicante e appoggiato al bastone, mi raggiunse subito dopo essersi liberato dell’invadente felicità del suo cane.
    Senza tante cerimonie venni trascinata fuori dalla vista e dall’udito di presenze occulte e sottoposta ad una bella ramanzina. Walter era visibilmente adirato e non c’era da stupirsi.
    <perché sei venuta? Tre giorni, Venus. TRE giorni, ne sono passati appena due. E poi cosa avevo detto? NON DA SOLA.>
    Merino mi era testimone che lo capivo e che cercavo di stare calma, di sorbirmi i rimproveri e i toni alterati ma erano stati due giorni E MEZZO duri anche per me, inoltre non avevo dormito e questo non aiutava.
    Abbassando lo sguardo mi sforzai di tacere pur avendo già in lista due obiezioni da rilevare. Mi morsi la lingua e forse sarei anche riuscita a star zitta se Walter non avesse continuato.

    <questo non è uno scherzo, te ne rendi conto o no? Basta un solo passo falso per mettere in pericolo te ed i ragazzi. Se non ti interessa niente della tua incolumità pensa almeno alla LORO!>
    Non avrebbe dovuto aggiungere l’ultima frase. No. Non avrebbe proprio dovuto farlo.
    Potevo accettate di essere ritenuta istintiva, era una verità inconfutabile e convivevo con quel lato del mio carattere da quando ero nata, ma ciò di cui il mio compagno mi stava accusando era di essere irresponsabile verso i nostri figli, di non pensare a loro, alla loro sicurezza mentre mettere al sicuro al bambini era stata la prima cosa che avevo fatto. Loro avevano la priorità assoluta, venivano molto prima di me. Alexander ed Alice erano al sicuro. Seth era un uomo in vista nel nostro mondo, la sua attività e il suo nome erano conosciuti. Nessun Oscuro avrebbe potuto avvicinarsi a lui senza sollevare polveroni e agli Oscuri non piaceva farsi pubblicità.
    Quanto a me mi ritenevo in grado di badare a me stessa e mi irritava parecchio che il mio compagno sottovalutasse questo aspetto. Non ero una sprovveduta e lui tentava di farmi passare per tale.
    Strattonando le braccia per liberarmi dalla sua stretta le lasciai cadere lungo i fianchi. Il mio sguardo si accese prima ancora che le labbra si aprissero. Lui era arrabbiato? Anch’io a quel punto lo ero e quindi la calma poteva andare a farsi benedire. Sperando che avesse castato ottimi incanti di insonorizzazione il tono della voce si alzò di diversi decibel nel rispondergli mentre il braccio destro si sollevava e la mano si chiudeva a pugno lasciando libero solo il pollice: il numero uno della lista stava per essere reso noto.
    Ho provato a contattarti e non mi hai risposto,
    Il fatto che potessi preoccuparmi di non avere sue notizie era stato esposto così come era stato esposto il fatto che ci avessi provato ad avvisarlo. Il braccio opposto a quello occupato si alzò e la mano disegnò una virgola nello spazio facendo intendere che non avevo affatto finito.
    Battendo un piede a terra unii al pollice anche l’indice che si protese, insieme al fratello verso l’alto.
    Sono passati due giorni E MEZZO. La scadenza era ormai prossima,
    Stare a sottilizzare per mezza giornata non mi pareva il caso. Era un dettaglio che non mi pareva fondamentale data la situazione ma la realtà era che io mal sopportavo le regole e le scadenze, non mi veniva bene assoggettarmi, non mi veniva bene nemmeno rimanere in attesa e questo avrebbe dovuto metterlo in conto.
    Il dito medio scattò subito dopo. Dritto e deciso andò a far compagnia ai primi due mentre il tono saliva in proporzione alla lunghezza della dita.
    Non sono venuta SOLA infatti. Sono con Eva e non l’ho portata con me per farmi compagnia,
    Non gli era venuto da chiedersi per quale motivo avevo portato con me il SUO cane? La povera bestia, dopo aver dato fondo all’adrenalina per aver ritrovato il suo padrone si era accucciata in un angolo. Aveva capito tirasse brutta aria ma io sapevo che non era solo per quel motivo che se ne stava mogia mogia.
    Nonostante l’anulare fosse di lunghezza inferiore al dito che lo aveva preceduto il tono della mia voce non accennò a diminuire. Walter non era in forma ma se era in grado di discutere evidentemente stava meglio e quindi continuai con punto quattro della lista.
    So bene che non è uno scherzo, non serve me lo rammenti. Mi sono occupata dei nostri figli in questa ed in altre situazioni per cui TI PROIBISCO di accusarmi di negligenza nei loro confronti. Loro sono al sicuro. Tu meno in questo momento,
    Anche la quarta virgola venne messa in risalto, la mano che la disegnava svolazzò imprimendo con forza nello spazio il segno di punteggiatura. Non voleva essere tanto una minaccia quanto una inconfutabile realtà. Era lui ad essere in pericolo in quel momento, non i ragazzi. Ero prima di tutto una madre ma ero anche la sua compagna e non poteva impedirmi di preoccuparmi per lui. Avevo appena iniziato ad assaporare il gusto della pace, se per raggiungerla dovevo osare ero pronta. Se si fosse fatto un breve esame di coscienza, cosa della quale dubitavo visto il suo stato alterato, avrebbe ammesso che se fossi stata io a correre rischi di quel tipo non mi avrebbe lasciata sola per tre ore, altro che tre giorni.
    Il mignolo era il più piccolo, il più sottile e corto ma non era meno importante dei suoi quattro colleghi e quando venne il momento di alzarlo, cioè immediatamente, apparve come il più irruento. Anche le gambe a quel punto si mossero. Con un passo annullai la poca distanza che c’era fra noi parandomi davanti a lui con gli occhi che non si staccavano dai suoi.
    Sono in grado di badare a me stessa e ho usato le opportune precauzioni per arrivare fin qui. Chi pensi che sia? Biancaneve o la bella addormentata nel bosco? Non mi sottovalutare Walter.
    Quella era una minaccia. L’unica di tutta la lista. O divideva con me l’istinto di protezione o avemmo potuto continuare a discutere fino alla fine dei tempi. L'indice indicò con un gesto il punto che metteva fine alla lista. Non mi avrebbe mai convinta a farmi da parte. Che lo capisse o meno la mia incolumità aveva corso rischi peggiori stando lontana da lui. Se avessi potuto scambiare la mia vita per la sua non ci avrei pensato un’attimo, lo amavo al punto che il pensiero di perderlo in maniera definitiva mi era insopportabile perché ricordavo bene come era stato senza di lui e temevo più la sua assenza che la minaccia degli Oscuri.
    Mi sentivo meglio. Mi ero sfogata e il sospiro che usci dalla mia bocca fu liberatorio. La lista, per il momento, era finita e la mano si abbassò. Le braccia di distesero nuovamente lungo i fianchi per rispondere con un tono meno accesso, più pacato e quasi ironico. Era un post scriptum quello che avevo intenzione di comunicargli.
    Vado se proprio lo desideri ma prima vorrei rispondere al ‘perché’ sono qui.
    Girando il viso portai lo sguardo verso Eva. La cagnolona forse si sentì coinvolta ed aprì gli occhi senza alzarsi dalla posizione che aveva scelto. Avvicinandomi a lei girai le spalle al mio compagno, mi accucciai piegando le ginocchia che posai a terra appoggiando la mano sulla pancia delle bestiola che guaì al mio tocco. Aveva lo sguardo implorante di chi soffre e non sa come chiedere aiuto.
    Eva sta per partorire, non voleva farlo senza di te.
    Ovviamente non ero proprio certa che avesse potuto evitarlo. La natura avrebbe seguito il suo corso ma era indubbio che la presenza del suo padrone sarebbe stata se non fondamentale più agevole per il suo primo parto, soprattutto se fossero intervenute complicazioni. Eva si fidava di Walter, molto più che di me.






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    Edited by venus - 17/11/2021, 12:03
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Era successo per davvero. Walter se ne era andato. Quello che pareva un incubo si era ripetuto. Ancora una volta lo avevo lasciato andare. Lo avevo guardato varcare la porta ancora dolorante, debole, pallido e …solo. Mi ero strinta addosso la vestaglia abbracciandomi per trattenere il suo profumo ma ormai ci ero passata, lo sapevo che sarebbe svanito e con lui se ne sarebbe andato anche il suo calore lasciandomi addosso il freddo della lontananza e l’ansia per ciò che poteva accadere. Rispetto al passato mi aveva lasciato una cosa fondamentale: il suo amore, la sensazione e l'emozione di essere amata, la possibilità di poterlo ricambiare con tutto il cuore e con tutta l'anima. Era partito alle prime luci dell’alba lasciando un bacio sulla fronte dei suoi figli ancora addormentati. Prima di uscire mi aveva stretta in un abbraccio che era finito troppo presto, mi aveva baciata e fino all’istante prima di sparire mi aveva raccomandato di seguire i suoi consigli, le sue istruzioni, i suoi desideri.
    Mi ero impegnata a farlo. Ci avevo messo tutto l’impegno. Avevo cercato di tenermi ancora più occupata del solito sollevando Elsie di alcuni dei suoi impegni. Avevo preparato io stessa i cambi di Alexander e di Alice, finalmente sfebbrata, e avevo portati bsmbini da mio fratello, al sicuro. Mi ero impegnata a spiegare al più grandicello che si trattava solo di qualche giorno, gli avevo detto che la mamma doveva lavorare e che papà era stato chiamato ad assolvere ad un compito che richiedeva la sua presenza fuori città, che saremmo tornati a prenderli al più presto. Avevo ricordato ai nostri bambini che volevamo loro un bene immenso e che dovevano fare i bravi con gli zii e con la cuginetta.
    Da quando li avevo lasciati avevo smesso la maschera del sorriso, era stato difficile fingere una calma che non provavo, avevo l’anima in subbuglio, un continuo nodo alla gola. Lo stomaco era, ormai da qualche giorno, difficile da gestire. Ritenevo plausibile imputare il mio stato all’ansia o ai virus stagionali che circolavano in quel periodo ma poteva trattarsi d’altro. Non ne avevo la conferma, era un sospetto prematuro che aveva bisogno di tempo e di analisi che posticipavo e che speravo di poter eseguire con più calma.
    Eva pareva assorbire il mio stato d’animo. Gironzolava per casa mesta annusando in ogni dove. Sentiva la mancanza del suo padrone, mangiava poco, mi guardava con gli occhioni tristi di chi non sta bene. La capivo ma il rapporto fra me e la bestiola non si era mai sviluppato in una completa intesa. Pur accettandola come parte integrante della famiglia ero ancora un po’ diffidente verso di lei e lei questo lo sentiva e lo ricambiava. Ritrovandoci da sole avevamo dovuto far fronte comune alla comune mancanza e allearci nella resistenza.
    Il giorno successivo alla partenza di Walter dal quale avevo avuto brevi notizie tramite lo specchio che ci permetteva una sorta collegamento l’aspetto di Eva mi parve più mesto del solito. Non mi era mai venuto spontaneo prodigarmi in coccole verso la cagnolona ma vedendola più abbacchiata del solito cominciai ad osservarla più attentamente. Dopo ore che aveva passato rintanata nel suo angolo preferito, quello accanto al camino, mi avvicinai all’animale per accarezzarlo e notai che era ingrassata. Toppo ingrassata per essere cosa che non destasse sospetti.
    Passando le mani sul suo ventre ingrossato non tardai a capire di cosa si trattava. La birichina doveva aver avuto un fidanzato del quale non ero a conoscenza. Facendo appello alla memoria ricordai di aver visto gironzolare attorno a casa un cagnetto nero, di taglia media. Ricordai anche di aver trovato, qualche settimana prima, un buco nella recinzione del giardino e fare due più due divenne la cosa più scontata.
    Eva aspettava i cuccioli e solo Merlino sapeva da quanto. Non ero esperta nel settore animale rispetto a queste cose ma a giudicare dal volume della pancia e dal subbuglio che sentivo nel toccarla pareva che fosse parecchio avanti con la gestazione.
    Pregai il cielo non partorisse subito, mi avrebbe trovata impreparata. Forse sarei riuscita ad affrontare la situazione se avessi avuto la calma sufficiente ma ero in uno stato di perenne agitazione e temevo di non essere abbastanza capace o lucida per affrontare anche quel problema.
    Avrei voluto parlarne con Walter, lui avrebbe saputo consigliarmi, dirmi cosa fare o dove portarla in caso di complicazioni ma quella sera non ero riuscita mettermi in contatto con lui.
    La mancanza di notizie durò anche il giorno successivo aggiungendo paura alla paura. Eva aveva guaito per tutta la notte, l’avevo vegliata dal divano dove mi ero appisolata solo alle prime luci dell’alba. Verso mezzogiorno la situazione parve peggiorare. Eva rifiutava non solo il cibo ma anche l’acqua, non guaiva nemmeno più, pareva divenuta apatica ed era una cosa anomala a mio parere.

    Dopo aver provato un paio di volte di avvisare Walter di quel che stava succedendo mi resi conto che non potevo più attendere. Lui sicuramente aveva altri pensieri per la testa e non pensieri da poco ma sapevo anche quanto fosse affezionato ad Eva. Se le fosse successo qualcosa probabilmente non mi avrebbe incolpata di negligenza ma non volevo dargli un altro dolore oltre all’angoscia che sicuramente stava vivendo.
    Ben sapendo di contravvenire alle sue istruzioni decisi di prendermi le mie responsabilità seguendo il mio istinto. Avevo la netta sensazione che se Eva avesse avuto Walter accanto si sarebbe ripresa, era patica non solo per il suo stato ma lo era per la sua mancanza e sicuramente la creatura non era in grado di capire che il mio compagno non si era allontanato da noi volontariamente.
    A mio avviso non c’era tempo da perdere, forse non c’era proprio più tempo ed ogni minuto diventava fondamentale. Raccolsi in fretta l’occorrente per il viaggio, castai incanti protettivi ed antiintrusione alla nostra casa, presi fra le braccia il cane e partii usando la vecchia passaporta a forma di libro che avevo adoperato tempo addietro per raggiungere il mio compagno al lago.
    Atterrai sulla spiaggia adiacente alla tenda finendo a gambe all’aria. Eva era pesante, ingombrante e spaventata per quell’insolito trattamento. Di buono c’era che si riscosse dall’apatia agitandosi fin troppo. Non appena mise tutte e quattro le zampe sui sassi della riva fiutò l’aria cominciando ad abbaiare. Forse Walter non avrebbe apprezzato la visita ma Eva era visibilmente felice di essere tornata in un luogo in cui aveva vissuto giorni felici col suo padrone.



    Parlato


    Edited by venus - 29/1/2023, 18:04
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Quel che diceva era il vero. L’Oscuro non lo aveva ucciso e se non lo aveva fatto era sicuramente per un suo tornaconto personale ma…una volta raggiunto il suo obiettivo che ne sarebbe stato del mio compagno? Aveva visto in volto il Mangiamorte e questo non era affatto un buon segno.
    Inutile mettere anche quella carne al fuoco. Il barbecue era già fin troppo sostanzioso e colmo di incognite. Guardare troppo avanti ci avrebbe deconcentrati dal qui ed ora ed era necessario fare un passo alla volta se volevamo avere la prospettiva giusta.
    Tormentando le mani intrecciavano e strecciavano le dita incapaci di stare ferme e mi costringevo a non pensare al peggio. Non ero mai stata molto brava a seguire protocolli, mai come in quella occasione il mio essere istintiva mi spaventava. Non potevo commettere passi falsi: ne andava della vita del mio uomo e di quella dei nostri figli. Tenere a freno i miei impulsi sarebbe stata un’altra fatica da aggiungere alle altre che aspettavano.
    Umettandomi le labbra le avvertii secche, come arida era la gola che rendeva la mia voce quasi roca nel parlare. Non volevo perdere il sorriso, non volevo che lui partisse portando con se l’immagine di una donna confusa, lacerata dal senso della lontananza che già cominciavo ad avvertire.
    <grazie, piccola. Risolverò la faccenda il prima possibile, te lo assicuro.>
    Avvicinando una mano al suo volto pallido e stanco sfiorai la sua guancia. Il palmo assorbiva il suo calore che avrei voluto trattenere sotto pelle per i giorni a venire e sorrisi. Nonostante tutto e tutti il nostro rapporto era solido e questo mi avrebbe dato il coraggio nei momenti in cui questo avrebbe potuto vacillare.
    Lo so tesoro, ne usciremo. Abbiamo passato di peggio.
    Emotivamente forse era vero. Ora avevo paura, tanta paura ma sapevo di poter contare su di lui cosa che non era avvenuta in passato quando avevo dovuto cavarmela da sola e speravo, contavo che per lui fosse lo stesso.
    In realtà non compresi benissimo il significato del prosieguo del suo discorso. Non capivo che tipo di visione potesse avere quella donna. A parte il buon gusto in fatto di uomini. Non avevo idea di come potesse aver sposato un Mangiamorte senza far parte della schiera. Difficilmente persone appartenenti ai due lati del nostro mondo si accompagnavano, proprio a noi era toccata quella stranezza, Merlino bracconiere non ce ne risparmiava nemmeno una.
    Non era l’unica incognita di quella storia per cui sorrisi. Sorrisi al mio uomo cercando di infondergli una tranquillità che ero ben lungi dal sentire mentre per l’ennesima volta mi sentivo ripetere di dover rispettare i patti.
    La saliva mi andò di traverso nel deglutire, il tempo che dovetti prendermi per tossire affinchè il respiro tornasse a scorre più o meno normalmente servì per calmare un po’ i nervi che mal sopportavano il dover tirare il freno.
    Mi si accese una luce negli occhi sentendo Walter nominare lo specchio. Me lo aveva regalato diversi anni prima, durante il periodo della nostra convivenza. A quei tempi spesso si assentava per lavoro anche per periodi piuttosto prolungati e il magico oggetto serviva per poter tenere i contatti nonostante la distanza evitando di dover ricorrere ai gufi.
    Facendo mente locale su dove potevo averlo messo ricordai. Avvicinandomi all’armadio della nostra stanza aprii l’anta sinistra, quella più vicina alla finestra. Sullo scaffale più alto, fuori dalla portata delle mani curiose e poco sicure dei bambini, c’era una grossa scatola. Sollevando le punte dei piedi allungai entrambe le braccia per afferrarla e una volta avuta ben salda la presa mi girai verso il letto. Ai piedi dello stesso appoggiai il contenitore; sul coperchio c’era un velo di polvere che si attaccò ai polpastrelli delle dita.

    Estrassi l’oggetto magico mostrandolo al mio compagno. Le sue dimensioni erano troppo grandi affinchè potessi portarmelo appresso in ogni momento della giornata e non intendevo affatto separarmene, nemmeno per un minuto.
    Facendo incanto d’appello richiamai a me la bacchetta che puntai contro lo specchio. Agitandola come sapevo di dover fare pronunciai al formulaReducioche lo avrebbe rimpicciolito facendogli assumere la dimensione di un orecchino che, seduta stante, appesi al lobo dell’orecchio destro. Il contatto era stabilito e sebbene non fosse il massimo era pur sempre meglio che rimanere isolati senza aver notizie per i tre lunghi giorni imposti dal patto di Walter.
    Ecco fatto, ora siamo collegati.
    Mostrando quello che era diventato un monile di uso comune rimisi la scatola al suo posto e mi ripulii le mani dalla polvere.
    Nonostante la situazione dovetti ridere. L’ipotesi di Walter circa un mio ipotetico incontro con la moglie del suo futuro alleato che ci vedeva più o meno tranquillamente sedute a sorseggiare un the aveva del comico mentre l’altra ipotesi, quella che io stessa, accidenti a me, avevo suggerito, era di ben altro tenore.
    Vedi di stare accorto. Attrattiva o non attrattiva se non ci riesce l’Oscuro o la sua dolce e giovane metà a farti fuori lo farò io stessa se saldi i conti in maniera sbagliata.
    Rimarcai acidamente la parola ‘giovane’. Quello era un particolare del quale non avevo chiesto conto e, dannazione, mi scocciava un bel po’ essere stata proprio io ad offrirgli l’occasione su un piatto d’argento.
    Nonostante tutti i casini che avevamo l’idea che rivedesse la signora Mangiamorte mi non allettava affatto. Sapevo potesse servire ma la gelosia era ancora meno razionale di me e mordicchiava nello stesso modo in cui io mordicchiavo le labbra guardando di sbieco il mio compagno che pareva parecchio divertito dalla prospettiva.
    Meglio che tu non abbia nemmeno problemi a riferirmi cosa succede e fai in modo di essere credibile. Non sono ancora abbastanza anziana per non sgamarti.
    Mi sarei fatta raccontare per filo e segno ogni singolo instante dell’incontro quando e se questo avesse avuto luogo, di quello poteva star certo ed era meglio prendesse appunti.
    Quel momento un po’ scherzoso, fatto di parole e occhiate a tratti severe a tratti maliziose ci aveva leggermente distratti da quelle che erano le nostre ansie.
    Quando mi tese la mano per invitarmi a raggiungerlo la presi andando a sdraiarmi al suo fianco.
    Le molle inossidabili del nostro collaudato materasso non emisero nessun cigolio mentre gli voltavo le spalle avvicinando il mio corpo al suo. La mia schiena contro il suo petto, le gambe vicino alle sue attente a non appoggiarsi in maniera pressante contro la ferita appena curata e il fondo schiena incuneato nell’angolatura del suo bacino.
    Non potevamo nemmeno salutarci nel modo in cui ci sarebbe piaciuto fare ma potevamo rimanere vicini, sentire uno la concreta presenza dell’altro cecando di evitare di pensare che sarebbe stato solo per qualche ora.

    Quando tutta questa storia sarà finita vorrei poterti fare una sorpresa.
    Se il mio campanello d’allarme non aveva suonato invano ci sarebbe potuta essere davvero una novità che, poi, tanto novità non era. Avevo anche un po’ di recondito timore scaramantico nell’anticipare quello che era un sospetto. L’annuncio dell’attesa di Alexander era giunto improvviso cogliendoci di sorpresa: Walter all’inizio non era stato affatto entusiasta nell’apprendere che sarebbe diventato padre. Per Alice peggio di peggio. Ricordare il giorno che gli avevo comunicato di attendere un figlio era stato il peggiore in assoluto di tutta la mia vita. Riprovarci di nuovo, senza averne la certezza, in un momento così critico e delicato mi pareva un gesto prematuro e sconsiderato. Sperai potesse, al momento, ipotizzare che stavo programmando una vacanza, un breve e intenso soggiorno in un luogo ameno e tranquillo. In caso contrario, se avesse modo, della qual cosa dubitavo, avrebbe potuto nutrire sospetti di altro tipo e forse era meglio non avesse anche quel pensiero in quel frangente.
    Se non lo sei fingi di essere curioso e prometti di tornare da me, da noi, sano e salvo per capire di cosa si tratta.
    Solo dopo aver parlato rivolta alla parete mi girai verso di lui. Il suo viso non era stato risparmiato dalla furia dell’Oscuro ma le sue labbra erano intonse e baciarlo non gli avrebbe recato dolore.














    Parlato
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Se non fossi la sua compagna potrei dirgli ha strani gusti in fatto di donne ma temo che mi tirerei la zappa sui piedi facendolo.
    Strinsi le labbra che avrebbero voluto incresparsi in un mezzo sorriso quando lo udii accusarsi di essere idiota ma purtroppo non era il momento di scherzare. Aveva bisogno che fossi dalla sua parte, dalla parte della nostra famiglia per proteggerla e per cercare di uscire da quella situazione assurda.
    Pensarlo addirittura alleato con un Oscuro mi pareva la cosa più inverosimile del mondo. Li odiava e ne aveva ben d’onde. Gli avevano portato via la moglie e la figlia, lo avevano torturato per mesi lasciandolo marcire nelle loro prigioni, lo avevano obbligato a mettere a loro disposizione la sua arte per raggiungere i loro sporchi obiettivi. Che si trovasse ora ad avere un obiettivo in comune con uno di loro non solo era bizzarro, era folle, una folle beffa del destino.
    Questo pensai di primo acchito. Sollevando il sopracciglio fermai le mani per osservarlo.
    Sei impazzito?
    Allearsi con un Oscuro voleva dire firmare un patto col diavolo. Un Mangiamorte non sapeva nemmeno cosa volesse dire mantenere un patto, sapevano mentire, sapevano piegare le persone fino ad annientarne fisico e volontà. Le usavano fino a spremerli per poi farli sparire. E lui lo sapeva meglio di me.
    Sapevo di star parlando al vento. Ne avevamo già discusso sere prima, quando la cosa pareva essere una ipotesi, addivenendo ad una specie di compromesso. Ora che l’ipotesi non era più un’ipotesi ma un fatto ancor più complicato di quello che si era prospettato occorreva prendere provvedimenti e non avevamo molto tempo.
    L’ansia che sentivo salire ad ogni sua parola era evidente. Sentivo lo stomaco contorcersi. Avevo la nausea. L’odore del dittamo mi dava fastidio e non era da me. Lo usavo di frequente, praticamente ogni giorno eppure dovetti allontanare da me la boccetta del disinfettante arricciando le narici. Un gesto che venne spontaneo e al quale, pur non dando troppo peso, seguì un campanello dall’arme che trillò nelle mie orecchie impegnate ad ascoltare il mio uomo che stavo per perdere.
    Di nuovo.
    Per motivi non imputabili alla sua volontà e con l’incertezza di se, come e quando poterlo rivedere sano e salvo.
    Grazie al cielo una giusta l’avevo detta. Accettando di andare al Lago avevo almeno il conforto di sapere in che luogo avrebbe trovato rifugio. La nostra tenda era ben testata. Altri Oscuri si erano avvicinati alla spiaggia senza riuscire ad individuarla. Protetta da potenti incantesimi la vecchia ma inossidabile tenda di famiglia dove avevamo trascorso le vacanze con i bambini quando erano piccoli aveva dimostrato di saper fare il suo dovere.
    Deglutii sapendo che ormai era mattina. Mancavano poche ore all’alba ormai. Girando il viso volsi lo sguardo alla finestra. Fuori era ancora buio ma non sarebbe mancato molto prima di vedere i primi chiarori della giornata che sarebbe iniziata senza di lui.
    Così…presto?
    Era quasi un balbettio il mio che mi costrinse a riportare lo sguardo sul mio compagno. Volevo poterlo guardare, sentire e toccare fino a quando potevo farlo. Non potevo nemmeno pensare che poteva essere l’ultima volta. Ce n’erano stati abbastanza di addii nella nostra vita, eravamo rimasti separati per tanto tanto tempo e pensare di rimanere sola, di lasciarlo solo, nuovamente mi faceva stringere la gola.
    Stringendo le labbra annuii. Seth e Susan si sarebbero presi cura dei nostri figli e la compagnia della cuginetta avrebbe mitigato, almeno in parte, il dispiacere di quella che a loro sarebbe stata raccontata come partenza di Walter per un viaggio di lavoro. Sarei stata libera di muovermi o così speravo ma Walter era rimasto fermo sulla sua decisione e me ne resi conto quando, continuando il suo discorso, mi rese edotta del resto del suo piano.
    Avrei voluto gridare che era necessario ed indispensabile averlo sempre accanto ma non potevo farlo. A lui costava partire, ne ero certa. Gli costava tanto quanto costava a me lasciare la sua casa, i suo figli e la sua compagna.
    Inevitabile pensare che anni prima ero stata io ad imporre un termine di scadenza per il suo ritorno. Il destino continuava a prendersi gioco di noi ed era terribile pensare a cosa potesse avere in serbo per il nostro futuro ma non potevo lasciarmi sopraffare. Ne avevamo superate tante, dovevo pensare che avremmo superato anche questa ma tre giorni senza avere notizie erano davvero tanti dato che sapevo che il tempo era capace di scorrere con una lentezza esasperante quando l’attesa era accompagnata dalla paura e dall’ansia.
    Accettai anche quella condizione. Con l’amaro in bocca e col cuore in tumulto; per farlo star tranquillo e al sicuro tre giorni senza notizie avrei dovuto e potuto affrontarli. Quando di mi disse, prendendomi il viso fra le mani, che non sarei potuta andare a cercarlo da sola alzai gli occhi al soffitto.
    Ero stata io stessa a prospettare l’ipotesi di rivolgermi a professionisti qualificati in caso non fosse tornato e ora mi sarei mangiata le mani e morsa la lingua per averlo fatto. Mi aveva presa in parola purtroppo. Nemmeno il tempo di protestare che altre informazioni, altri dettagli si aggiunsero a quelli conosciuti. Se possibile erano ancor più inquietanti dei primi.
    Questa Blue del cavolo sapeva che aveva famiglia e questo aumentava il punteggio del rischio. Piangere sul latte già versato non aveva senso, quel che era fatto era fatto e bisognava cercare di rimanere razionali e la cosa non mi era mai venuta spontanea.
    Raccogliendo il materiale che non serviva più lo feci sparire con uno schiocco delle dita. La ferita alla gamba era protetta dalla fasciatura, le escoriazioni disinfettate, le scottature curate con l’unguento che lui stesso aveva preparato. Sicuramente non era al massimo della forma ma il pericolo di infezioni al momento pareva scongiurato. Al momento. Era la seconda volta che veniva colpito e che rimaneva ferito da Magia Oscura. Quanto poteva resistere prima di riportare danni permanenti? Quali conseguenze potevano avere quegli incanti nel lungo termine? Domande che non potevo e non volevo nemmeno prendere in considerazione ma che sapevo avessero un fondamento.
    Ricambiai il suo bacio che aveva già il sapore della mancanza e della nostalgia. Indugiai a lungo sulle labbra tanto amate sperando di poterne trattenere la sensazione il più lungo possibile. Avevo la mente confusa, stava succedendo tutto così in fretta che pur avendo avuto le opportune avvisaglie stentavo a metabolizzare.
    Farò quel mi chiedi. So che ti costa quanto costa a me; vorrei che partissi tranquillo. Andrà tutto bene. Risolveremo anche questa in qualche modo ma ti avviso…tre giorni e poi se non ho notizie qualcosa mi inventerò. Anche questa donna è un’Oscura?
    Trovavo inconcepibile pensare che Walter avesse potuto avere rapporti con una donna che faceva parte della schiera di persone che più detestava ma era opportuno lo sapessi. In caso non lo fosse stata poteva essere la parte più debole, quella su cui poter agire con meno rischi.
    Trovare udienza presso il Ministero avrebbe potuto richiedere un tempo che non ero per nulla certa di poter attendere. Mi sarei attivata immediatamente prendendo accordi con Seth affinchè mi consigliasse la procedura più veloce per trovare un valido contatto con qualcuno di compente che potesse prendersi carico di quella che era una situazione che col passare dei minuti diventava sempre più assurda ma non avevo idea delle tempistiche Ministeriali. Prima si interveniva, meglio era.
    Mi alzai dal materasso incapace di rimanere ancora ferma. Nonostante non avessi dormito per nulla sentivo l’adrenalina scorrermi nelle vene e stare immobile mi era impossibile. Coprii il corpo del mio compagno che si era adagiato, esausto, sul cuscino.
    <anche loro hanno un figlio. Farò leva su questo per scendere a patti.>
    Non mi faceva star meglio la notizia. Un bambino non poteva pagare per le colpe di chi lo aveva generato ma capivo il punto di vista di Walter anche perché, conoscendolo, sapevo che mai avrebbe pensato di far del male ad un ragazzino cosa che non avrebbe esitato a fare il suo presunto alleato se fosse giunto a conoscenza dell’esistenza dei nostri figli.
    Per una donna forse era diverso. Una madre diventa aggressiva ed irrazionale quando fiuta il pericolo che minaccia i suoi cuccioli.
    Stringendo gli occhi fissai il viso pallido del mio uomo prima di digrignare i denti e ringhiare.
    Se osa toccare anche solo un capello ad uno dei nostri figli….
    Gli lasciai immaginare il seguito. La mia espressione parlava per me. Non avrei saputo resistere, mi sarei vendicata con tutti i mezzi che avevo a disposizione, legali o illegali che fossero. Blue o Green che fosse la tipa che si era sollazzata con il mio compagno e il suo Oscuro marito avrebbe passato quello che stavo passando io, avrebbe sentito il fiato sul collo come lo sentivamo noi e da quel pensiero scaturì una domanda.
    Si potrebbe provare a contattare la donna. E’ una madre. Forse è più sensibile del marito.
    Non potevo farlo io. Da un lato non mi sarebbe spiaciuto affatto vedere che faccia aveva ma dall’altro probabilmente non avrei avuto un buon controllo e, cosa ancor più grave, avrei rivelato la mia esistenza e la mia identità cosa che, Walter non avrebbe mai permesso. Non mi piaceva affatto l’idea che la risentisse e solo Merlino sapeva quanto mi costava dover essere proprio a suggerirglielo ma la situazione era grave. A mali estremi occorrevano estremi rimedi e dovevo incassare anche quel colpo per il bene di tutti noi. Per indurlo a prendere sollecitamente una decisione al riguardo soffiai il fiato dalle narici con lo stomaco in preda alla nausea lanciando quella che era una provocazione bella e buona. La destra si alzò per portarsi sotto lo sterno dove c'era un po' di subbuglio ma anche quel malessere venne imputato al momento critico che stavo vivendo. Incrociando le braccia al petto sibilai.
    Posso parlarci io se non vuoi farlo tu.











    Parlato


    Edited by venus - 14/11/2021, 13:18
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    L’esperienza di anni di convivenza mi suggeriva di non sollecitare oltre le confidenze del mio compagno. In altri tempi avrei atteso invano, in passato Walter si chiudeva in silenzi ostinati quando chiedevo conto dello stato in cui, tante, troppe volte, era tornato a casa. Spingerlo ad aprirsi spesso si era rivoltato contro di me ricevendo borbotti o facendolo irritare. Ora le cose erano cambiate. Il nostro rapporto era cambiato. Fra noi c’era la sintonia che avevo sempre sperato e desiderato di sentire ma le abitudini erano dure a morire e preferivo fosse lui stesso ad aprirsi, in maniera spontanea, dandogli l’occasione per farlo. Ero la sua compagna, la madre dei suoi figli; volevo e potevo essere anche la sua confidente e la sua complice se occorreva. In passato avevamo ucciso insieme, non avrei esitato a prendere in considerazione l’idea di rifarlo se necessario. Proteggerlo ed amarlo non era una missione, era una necessità ed un piacere ai quale non avrei rinunciato per nulla al mondo perché lui, insieme ai nostri figli, era il mio mondo.
    Sapevo di fargli male, lo vedevo da come serrava i denti e da come corrugava la fronte. Il tocco, seppur leggero, delle mie mani gli provocava dolore. Le mie mascelle contratte e il pensiero fosse necessario procedere alla cura delle ferite mi inducevano a non desistere mentre operavo sulle carni arrossate che stentavano a smettere di sanguinare.
    Ebbi una esitazione che fermò, per più di attimo, sia il mio respiro che il mio cuore quando lo sentii ammette che aveva visto in viso il suo aggressore.
    Mi morsi le labbra e abbassai lo sguardo riconcentrandomi sul taglio della coscia. Il più profondo, quello che necessitava di un intervento più urgente ed importante. Scostando i lembi della ferita appoggiai la garza disinfettata per rimuovere eventuali corpi estranei non visibili ad occhio nudo per poi applicare l’unguento cicatrizzante che avrebbe aiutato il rimarginarsi del danno.
    Un po’ per distrarlo un po’ per renderlo partecipe di cosa stavo facendo gli mostrai filo di sutura e ago mentre mi approssimavo a cucire la ferita.
    Tenevo la parte irrazionale della mente in folle cercando di usare tatto e ragione. Per me era difficile farlo. L’istinto mi avrebbe indotta a sacramentare buttando giù dagli altarini santo e profano compreso Merlino che proprio non aveva altro da fare che mettere ostacoli sul nostro cammino.
    Uno a viso scoperto mi sembra più che sufficiente.
    Il mio timore era confermato. Mitigato, in parte, dal fatto che non si trattasse di chi lo aveva rapito. Come spesso succedeva un dubbio ne generava altri in una sequenza che a volte poteva essere lunga se non infinita. Speravo solo non fosse uno di quei casi. La mia mente si agganciava alla mera ipotesi di uno scambio di persona, ad un errore. Il tutto venne smentito dalle parole di Walter tramite la sua ammissione.
    Forse involontariamente la mano che reggeva l’ago punse con un po’ troppa veemenza nell’udirlo parlare della sua avventura. Non potendo rinfacciarglielo deglutii ascoltando con attenzione le sue parole.
    Non mi importava molto di come andassero le cose fra quella ragazza e suo marito in verità ma essendo lei coinvolta nella situazione dovevo fare attenzione a ciò che Walter diceva. La sua ‘conoscenza’ con la donna risaliva al periodo in cui lui ed io non stavamo insieme ma questo non me la rendeva più simpatica. Ad aggravare il tutto c’era il fatto che la loro tresca aveva suscitato le ire del ‘marito di facciata’. Forse non era poi così di facciata quel matrimonio ed essendo io la prima ad aver assaggiato sulla pelle i morsi della gelosia e il desiderio di vendetta cominciavo a comprendere che la storia era diventata pericolosa e poteva peggiorare.
    Vedendo il viso di Walter reagire con una smorfia alle mie maniere diventare meno delicate alleggerii il tatto riprendo a cucire tenendo a bada il temperamento ma non la lingua che, purtroppo, era ancora meno delicata delle mani.
    Ringrazio il cielo che sei vivo ma Merlino impestato proprio la moglie di Oscuro dovevi ‘conoscere’?
    Era stato un scatto. Uno dei miei soliti sbotti che trattenere era impossibile ma essendo acqua passata non intendevo dare attenzione a quel che era successo fra Walter e la ragazza ma piuttosto alle conseguenze di ciò aveva causato.
    Il taglio era suturato. Dopo aver messo una spessa garza sterile sulla ferita ricucita fasciai la coscia del mio compagno. Nel farlo i capelli, sciolti e un po’ in disordine a causa delle nottata movimenta, accarezzarono il suo torace mentre i miei occhi incontrarono i suoi. Le iridi chiare si scurirono nell’apprendere il seguito dello scontro con l’Oscuro. A Walter era stata chiesta collaborazione oltre che rivalsa.
    Mi sedetti sul materasso. Goccioline di sudore freddo imperlavano le nostre fronti.
    Walter sudava per il dolore io per la paura di quello che stava per aggiungere. Avevo il fermo sentore che mi sarebbe piaciuto ancor meno delle premesse.
    <a detta sua gli Oscuri che mi hanno imprigionato sono suoi nemici… Vuole… Vuole essere condotto da loro… Per ucciderli.>
    Sgranando gli occhi prima ancora della bocca non v’era dubbio che la mia espressione era stralunata e confusa.
    Vuoi dire che….avete conoscenze in comune?...Oltre alla ragazza intendo.
    Il mondo era davvero troppo piccolo e Merlino troppo beffardo. Con tutti gli abitanti di questo pianeta proprio il mio compagno doveva fungere da tramite fra il tradito e coloro che lo avevano massacrato.
    Stavo ancora mettendo a fuoco quella notizia il cui impatto faceva tremare le mie mani mentre applicavo cerotti sulle ferite più lievi quando ne arrivò un’altra.
    <tornerà a cercarmi. Non mi avrebbe lasciato vivo altrimenti. Ed è necessario non arrivi a voi, perché vorrà usare qualsiasi strumento a disposizione pur di obbligarmi a scendere a patti con lui.>
    Chiusi la bocca solo per prendere fiato e riaprirla di nuovo. La voce era roca nell’esprimermi, sentivo la gola graffiare mentre provavo a parlare.
    Voi? Vuoi dire i bambini?
    Ovvio che si riferiva a loro e il terrore che leggevo nei suoi occhi me ne dava la certezza mentre di certezze ne seguì subito un’altra. La sua.
    <andrò io da lui. Prima di allora… Dovrò sparire almeno per un po' dalla circolazione.>
    Nel ‘voi’ ero compresa anche io. Non lo aveva specificato ma glielo leggevo negli occhi, lo capivo da come mi prendeva la mano, lo assorbivo dal tono della sua voce e dal suo sorriso teso a rassicurarmi.
    Avrei voluto con tutto il cuore ricambiare il sorriso. Strinsi le sue dita intrecciate alle mie mentre il mio capo scuoteva negando quella che era una evidenza.
    Nononono! Non se ne parla.
    Era impossibile non reagire in quel modo a caldo. Ci eravamo appena ritrovati e dovevamo separaci di nuovo. Non ci potevo credere, non volevo crederci.
    Cominciai ad arrovellarmi il cervello per pensare ad una soluzione. Una qualsiasi che non fosse quella della separazione.
    Ero impietrita, tutta la concentrazione tesa ad uscire dal ginepraio in cui eravamo coinvolti perché che lui lo volesse o meno c’eravamo dentro tutti.
    Il Lago. Puoi tornare al lago. Porterò i bambini al sicuro e farò la spola fra loro e te. Userò la polisucco per raggiungerti, non mi scoprirà nessuno e tu sarai al sicuro fino a quando non decideremo il da farsi ma non aspettarti che stia ad attendere alla finestra che non arrivi nessuna notizia. Non lo farò.
    Non avevo idea se avrebbe compreso le mie esigenze di non venire tagliata fuori. Quel che aveva in mente era volto a proteggere la sua famiglia e lo capivo ma avevo le stesse sue esigenze. Lui era la mia famiglia, ne faceva parte. Era una parte di me, quella che mi faceva sentire a casa.






    Parlato


    Edited by venus - 12/11/2021, 16:33
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    Venus McDolan • 35 y. o. • Guaritore • PC
    Non è insolito per un bambino avere la febbre. Con l’autunno ormai inoltrato era iniziata la stagione delle influenze e puntualmente anche casa nostra non era stata risparmiata dall’epidemia. Alexander era stato il primo a cadere, se l’era cavata in fretta ed ora era Alice ad avere la temperatura alterata. Claire era tornata in Accademia preferendo non seguire i nostri consigli. Walter ed io l’avevamo esortata a partire per la Scozia ma non avevamo avuto molto successo. Ci eravamo dovuti arrendere alla sua volontà incrociando le dita e tenendo le orecchie tese.
    Alice pareva essere al culmine del disturbo quella notte. Non riusciva a dormire, piangeva non appena la appoggiavo sul letto. Era una pena vederla così e pur sapendo che la malattia stava facendo il suo regolare corso non potevamo non preoccuparci. Si calmava solo in braccio quindi, rinunciando al sonno, ci eravamo alzati per constare che in casa mancavano gli antipiretici per bambini. Gli ultimi erano stati usati per Alexander. Walter era uscito per andare alla farmacia aperta per turno a prendere la medicina adatta a lei mentre io ero rimasta a girare per casa col dolce fardello fra le braccia cercando di consolare il pianto della piccolina.
    Erano passati i minuti, poi i quarti d’ora e le mezz’ore. Il mio compagno non tornava. La farmacia non era tanto distante, non così lontana da dover tardare così tanto.
    Alice era sfinita dal pianto e si era assopita fra le mie braccia. Se avessi provato ad appoggiarla si sarebbe svegliata. Avvolgerla nella sua copertina pareva averla tranquillizzata giusto per dar modo alla stanchezza di farle chiudere gli occhi e riposare un po’ ma questo non aveva placato il mio animo. Col passare dei minuti, contando i passi per cercare di tenere impegnata la mente, canticchiavo distrattamente una vecchia ninna nanna alla piccola mentre sentivo salire l’ansia.
    Quando sentii la chiave girare nella toppa trassi un sospiro di sollievo. Grazie al cielo Walter era tornato. L’istante durò giusto il tempo di girarmi verso la porta pronta a chiedere conto di tanto ritardo. La domanda mi morì in gola mentre ad occhi spalancati osservavo la figura del mio uomo che era….era…ridotto da far paura.
    Con Alice in braccio non potevo fare più di tanto e le parole di Walter, in quello stato, non lasciavano spazio alle trattative.
    Se da un lato saperlo a casa mi rincuorava dall’altro, vederlo in quelle condizioni mi apriva scenari che mai avrei voluto prendere in considerazione.
    Prendendo la medicina dalle sue mani lo vidi salire la scala zoppicando. Dietro di lui la scia rossastra del sangue che stava perdendo. Strinsi gli occhi intimandomi di occuparmi di Alice alla quale somministrai il medicamento. La piccola piagnucolò mentre col cucchiaino versavo fra le sue labbra la medicina che le avrebbe fatto abbassare la temperatura. Ci volle un po’ prima che si riaddormentasse. Riuscii a metterla nel suo lettino dopo averla cullata ed averle tenuto la manina fino al sopraggiungere del sonno profondo indotto dall’abbassamento della febbre.
    Con passi felpati uscii dalla camera di Alice lasciando la porta socchiusa. Il bagno era li, davanti a me. Premendo sulla maniglia aprii l’uscio e dopo aver varcato la soglia me lo rischiusi alle spalle.
    Walter era riuscito a spogliarsi e il suo corpo mostrava il devasto che aveva subito. Mi rimboccai le maniche. Muovere le mani ed agire era sempre stato il mio modo per cercare di non farmi prendere dall’angoscia.
    Alice sta meglio. Ora dorme. Lascia che ti aiuti. Hai bisogno di qualche punto.
    Lo rassicurai circa la piccola anche se la mia attenzione era concentrata su di lui. Il suo zigomo era tagliato, le braccia erano un reticolo di ferite più o meno profonde, la schiena e il torace parevano essere stati frustati con un tentacolo di ardemonio e la sua gamba, quella già compromessa, era ridotta in pessimo stato, continuava a sanguinare nonostante il dittamo.
    Chi gli aveva riservato quel trattamento sapeva il fatto suo e dubitavo che Walter avesse perso tempo ad azzuffarsi con dei ragazzini ubriachi per cui non era difficile arrivare alle conclusioni ma non volevo dare per scontato nulla.
    Vieni, appoggiati a me. Ti accompagno in camera. Hai bisogno di stenderti.
    Il bagno era troppo angusto per potersi muovere liberamente in due e Walter stentava a reggersi in piedi.
    Piano piano e in silenzio attraversammo il corridoio che separava il bagno dalla nostra camera. Non appena raggiunto il materasso lo aiutai a sdraiarsi e usai la magia per fare incanto di appello affinchè avessi disponibile l’occorrente per arginare i numerosi danni.
    Cominciai lavando il suo corpo con disinfettante misto ad acqua. L’acqua lavava, lasciava scoperte e pulite le ferite mettendone in evidenza profondità, specie e gravità. Il dittamo curava le più lievi, fermava il sanguinamento di quelle meno profonde dandomi modo di valutare da dove iniziare.
    Il mio compagno teneva gli occhi chiusi. Stringeva i denti mentre la garza sondava i tagli per pulirli e rendere più efficace l’assorbimento dei medicamenti.
    Mi pareva di essere tornata indietro nel tempo. Al giorno in cui lo avevo trovato nella sua vecchia casa e ai giorni trascorsi al lago mentre mi prendevo cura di lui.
    Allora non pensavo che sarebbe successo di nuovo ma ora, valutando le ferite, era evidente che erano state inferte da una mano che praticava Magia Oscura.
    Forse non era il momento ma non era la mia specialità quella di saper cogliere l’attimo giusto. Le mie mani continuavano operose a lavorare mentre le mie labbra si schiusero per parlare.
    Dov’erano? Li hai visti in faccia?
    Mentre la prima domanda aveva poco valore, il luogo non era molto importante, la seconda la temevo e pregavo che mi dicesse di non essere riuscito ad identificare gli aggressori. Vedere in volto gli Oscuri non era un buon modo per rimanere vivi e attendendo la risposta avevo il cuore il gola per il suo esito.






    Parlato


    Edited by venus - 10/11/2021, 20:00
291 replies since 22/9/2014
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