Posts written by Walter Brown

  1. .
    Sebbene qualcosa nel mio istinto mi suggerisse che quella fosse davvero la volta buona di imbroccare Azzurra, rimasi lo stesso meravigliato di sentire rumore di passi - umani - eccheggiare tra i lunghi corridoi di villa Martinengo.
    Rimasi a fissare, in attesa, nello spiraglio tra la porta e lo stipite, al di sopra dell'Elfo che sembrava essersi irrigidito del tutto.
    Spuntò prima la sua pancia di lei.
    Merlino, sembrava fosse sul punto di scoppiare.
    Possibile il parto fosse davvero così imminente?
    Se facevo un conto veloce, ora su due piedi… sì, dovevano mancare un paio di settimane, forse tre.
    L'avevo trovata in tempo. O meglio… Theodora aveva voluto questo accadesse. E ora comprendevo il perché.
    Sapeva il bambino sarebbe venuto alla luce a breve, così come doveva aver saputo che sua madre non fosse in grado di proteggerlo.
    L'ascoltai alzando gli occhi dal ventre pronunciato per incontrare i suoi e fulminarla con lo sguardo alle sue derisorie parole di accoglienza.
    Mi aveva fatto impazzire in quei mesi, anzi, mi aveva fatto impazzire da quando la conoscevo.
    Avevo piantato Venus ed i ragazzi per trovarla, per assicurarmi fosse in grado di rispettare la parola data, ovvero essere in grado di dare sicurezza alla creatura in grembo anche una volta che fosse stata messa al mondo, facile preda dei suoi nemici.
    Avevo lottato, duellato, ero stato ferito, ero scampato all'assalto di strambe creature notturne, avevo girato in lungo ed in largo, giornate e nottate intere per trovarla e adesso… Adesso che si era degnata di incontrarmi, si permetteva pure di trattarmi in quel modo?
    No era troppo. Sarebbe stato troppo per chiunque, figuriamoci per un tipo affatto paziente ed accomodante come me.
    Entrai, ormai il passaggio era sgombro della fastidiosa presenza di Tippy, sbattei il portone alle spalle ed infischiandomene altamente dell'arredo sfarzoso di cui quell'ambiente strabordava mi fiondai su di lei. L'ingombro del pancione forzò il mio arresto, altrimenti le sarei andato ad un palmo dal viso e sono certo, avrebbe notato senza fatica le vene di irritazione pulsarmi sul collo.



    "Non sono venuto fin qui, dopo averti cercato per due mesi, DUE MESI, per farmi prendere per il culo da una ragazzina superficiale e sciocca, quindi chiudi il becco e stammi a sentire…"

    Parlai senza prendere fiato, la tentazione di prenderla a male parole, offenderla e riversarle addosso tutta la frustrazione maturata negli ultimi tempi era fortissima, ma, fortunatamente per lei, non c'era un momento da perdere e non potevo sprecare fiato per questo.
    Semmai più tardi, con calma, se ci fosse stata occasione.

    "Mi avevi assicurato avresti messo al sicuro mio figlio e come credi di farlo? Stando qua, a casa TUA, nella tua città natale, a gingillarti come una stupida nel primo posto in assoluto dove verranno a cercarti?"

    Ancora non avevo ben chiara l'identità degli aguzzini della Martinengo. Kurt? Altri Oscuri? Nemici storici della sua famiglia?
    Tutti loro?
    In ogni caso, più aspettavamo lì, più incorrevo il rischio di scoprirlo.
    Non capivo proprio perché Azzurra avesse deciso di tornare nel luogo meno sicuro in assoluto per la sua/loro incolumità, ma non mi importava adesso.
    La bruna fece per ribattere, senza successo. La interruppi con un gesto stizzito, non volevo ascoltarla.

    "Non me ne frega nulla di quel che pensi tu, prenditi qualche cambio da portare dietro e andiamo. Adesso vieni via con me."

    E non osasse ribattere. L'avrei altrimenti presa per un orecchio e portata via di peso, di certo a me non interessava affatto se fosse stata costretta a portare lo stesso paio di mutande e stracci da lì a… tempo indeterminato.
  2. .
    Le ricerche erano durate ben più di tre settimane.
    Partii dalla prima tappa, l'enorme villa dei Martinengo senza nutrire grandi speranze.
    Di fatto Azzurra, alla fine, non si trovava lì. Sarebbe stato troppo semplice, troppo scontato.
    Avevo chiesto indicazioni a sua zia, una strega stramba, senza peli sulla lingua, l'unica che avesse acconsentito a ricevermi e darmi delle non risposte.
    Mi avevo riso in faccia quando non mi ero attardato in inutili, stupidi convenevoli ed ero passato subito al dunque, chiedendole dove potessi trovare sua nipote.

    "E così è lei l'insegnante di Pozioni."

    Senza smettere di ridacchiare tra sé e sé, aveva ricambiato il mio sguardo accigliato e confuso.



    "Mia nipote è un'ingenua, i guai sono il suo pane quotidiano. Però ha buon gusto in fatto di uomini, questo va riconosciuto."

    La risata gracchiante che ne era seguita mi aveva fatto storcere la bocca e fatto alzare la voce, invitandola a non perdersi in sciocche chiacchere e darmi risposte. Ma i toni minacciosi non avevano sortito effetto.
    Diceva di non sapere dove si trovasse. Diceva fosse partita senza lasciare indicazioni a nessuno.
    Mi congedai con l'amaro in bocca.
    Primo buco nell'acqua.
    La seconda tappa andò leggermente meglio, almeno per quanto riguardava le informazioni, perché per arrivarci fu una vera e propria scalata infernale, che mi richiese due settimane piene di ricerche.
    Trovai Kurt solo dopo essermi scontrato con altri Oscuri, aver lottato, aver camminato e girovagato per chilometri al freddo della notte, sotto le intemperie, all'ombra di boschi sperduti o popolati da strane creature, viaggiando da un lato all'altro del paese, seguendo sue tracce, orme, segni del suo passaggio che la maggior parte delle volte erano accompagnati dalla morte.
    Lo scovai una sera umida, con il cielo in tempesta, nei pressi di una minuscola cittadina sulla costa Scozzese.
    Anche lui mi accolse ridendo. A quanto pareva la faccenda doveva essere particolarmente divertente, peccato che io non trovassi affatto la parte comica della situazione.

    "Non è qui."

    Rispose, ancor prima gli rivolgessi qualsiasi domanda.
    Ad uno sguardo veloce il Mangiamorte non se la doveva passare bene. Era forse più magro di quanto lo ricordassi, il volto scavato e segnato da tumefazioni, sotto gli occhi l'ombra di grosse occhiaie.
    Io comunque non stavo tanto meglio di lui. Da quando me ne ero andato da Londra avevo ripreso a mangiare in modo frugale, i vari scontri intrapresi avevano peggiorato di nuovo la mia gamba, costringendomi all'uso di un bastone ricavato dal ramo di un albero, il viso segnato dalla mancanza di sonno e dalla preoccupazione.

    "Ho un conto in sospeso da saldare con te, Walter Brown. Ti dirò dov'è andata. È partita per l'Italia, nella sua città natale, Venezia. Ma non la troverai più lì. Le stanno addosso."

    Aveva sogghignato crudele alle ultime parole.

    "Il piccolo Brown è in pericolo."

    Cantilenando, aveva alzato l'indice, muovendolo al ritmo di un pendolo che scandiva un tempo troppo breve.
    Non venne fuori altro di interessante ai fini della ricerche, perciò il giorno dopo ero partito per Venezia, dove ovviamente, come predetto da Kurt, non trovai Azzurra.
    Fu il suo Elfo Domestico ad accogliermi, anzi, a NON accogliermi alle porte della villa.
    Mi aveva squadrato da capo a piedi, prima di parlare.

    "Un burbero Mago ombroso e scorbutico, azzoppato della gamba destra, privo di due falangi nella mano sinistra, con segni evidenti di scontri su braccia o altre parti visibili del corpo… Lei deve essere Walter Brown."

    Lo avevo scrutato interdetto, non propriamente felice della descrizione appena ricevuta sebbene, dovessi ammetterlo, attinente alla realtà.


    "Chi…?"
    "La Signora Padrona ha parlato a Tippy di lei. Ha detto a Tippy che se si fosse presentato alla porta Walter Brown di sbattergliela in faccia, dopo avergli fatto presente che la padrona non è qui, né la troverà mai qui…"


    Avevo aperto bocca nel tentativo di bloccare lo sproloquio senza senso dell'Elfo, ma lui aveva proseguito imperterrito.

    "Signor Walter Brown, la Signora Padrona non è qui, né la troverà mai qui."
    "Sì, ma…"


    Mi ritrovai il legno levigato del portone di ingresso a pochi centimetri dal mio naso, richiuso con un tonfo sordo.
    Ripresomi da quel bizzarro e fugace incontro/scontro, iniziai a borbottare tra i denti una sequela di epiteti poco carini indirizzati alla Martinengo.
    Quella ragazza sconsiderata era in pericolo, perché lo era davvero dato che il suo stesso amato maritino lo aveva affermato divertito, ed invece di accettare il mio aiuto preferiva deridermi con il suo Elfo e prendermi per i fondelli in quel modo irrispettoso.
    Non appena l'avessi trovata, gliene avrei cantate… ah sì, se lo avrei fatto. Suonate no, ma solo perché era incinta.
    Ci vollero quasi due mesi, prima della svolta. Fino ad allora i miei viaggi si erano conclusi con amara delusione e crescente irritazione.
    Seguendo le sue tracce, sembrava fossi quasi sempre lì lì per raggiungerla, salvo poi ritrovarmi, come uno stupido Troll a girellare per le aree toccate da Azzurra senza mai raggiungerla.
    Fu grazie a sua zia che il mio girovagare trovò finalmente una meta.

    CITAZIONE
    Azzurra è un pericolo e con lei il figlio che aspetta. So tutto e non si chieda come. E’ a Venezia ma non ci starà per molto. Se le importa del bambino si dia una mossa prima che sia troppo tardi.
    Theodora

    Quando mi arrivò la lettera io mi trovavo in un paesino sperduto del sud Italia, lì dove sapevo fosse giunta anche lei.
    Non avevo idea di quando Theodora avesse spedito il Gufo, non c'erano date. Sicuramente il suo animale ci aveva messo un po' a trovarmi, dato che non soggiornavo in hotel o luoghi dai quali avrebbero potuto risalire a me, tramite le generalità.
    Il mio rifugio era una piccola, mezza rotta, vecchia tenda rimediata in un mercatino dell'usato magico un paio di mesi prima.
    Mi ero comunque subito messo in viaggio, tanto valeva tentare, e stavolta quando mi ritrovai di nuovo il malefico Elfo Tippy non mi lasciai incantare dai suoi sproloqui.

    "So che è qui, lasciami entrare!"
    "No Signor Brown signore, lei non può accedere!"


    Tippy aveva alzato una mano nodosa contro di me.
    Sapevo gli Elfi avessero poteri non indifferenti, anche senza l'uso della bacchetta.
    Sapevo però bene pure di non avere più pazienza. Ero stanco, sfibrato, stufo, svuotato da qualsiasi briciolo di pazienza.
    Sapevo quindi che se avessi sfoderato la bacchetta contro l'Elfo gli avrei fatto male. Molto male.
    E la mia parte razionale mi bloccava dal farlo. Quella creatura, per quanto insopportabile, non c'entrava nulla in tutta questa faccenda. Stava semplicemente obbedendo agli ordini di quella sciocca, odiosa, testarda della sua padrona.
    Perciò gonfiai i polmoni di rabbia, irritazione e ossigeno prima di urlare a gran voce all'interno dell'abitazione alle spalle di Tippy.

    "MARTINENGO!!!!! MARTINENGO VIENI SUBITO FUORI, LO SO CHE SEI QUI!!!"

    L'Elfo sobbalzò spaurito, ma coraggiosamente, non abbandonò la sua posizione. I suoi enormi occhi verdognoli mi fissavano con cipiglio battagliero.
    Ringhiai, non avendo ricevuto alcuna risposta.

    "MARTINENGO FATTI VEDERE O GIURO SULLA MIA GAMBA SANA CHE SFONDO LA PORTA E MANDO ALL'ALTRO MONDO QUESTO MOSTRO PETULANTE CHE HAI COME SERVO!!!"

    E la tentazione era bella forte. Oh sì, se lo era.
  3. .
    < A quale punto Walter! Quando? Quando saremo completamente sereni al sicuro sarà perché siamo morti. >
    Non aveva torto e lo sapevamo entrambi. Il momento perfetto per il nostro quinto ed ultimo figlio non sarebbe mai esistito, non con una vita caotica come la nostra.
    Non cercavo infatti la perfezione, ero consapevole non l'avremmo mai raggiunta.
    Cercavo solo un po' di… pace. Era chiedere troppo?
    Un minimo di pace per godermi la gravidanza della mia compagna senza stare a rimpiangere errori passati, senza vivere con il terrore costante di cosa sarebbe accaduto l'indomani.
    Senza tremare al pensiero di mettere al mondo una vita la cui incolumità sarebbe stata messa in pericolo ogni giorno, fin dal suo concepimento.
    Comprendevo non fosse facile da accettare per Venus. L'ennesima grossa delusione da dover digerire, dopo esserci illusi entrambi di poter respirare un minimo di felicità e serenità.
    Ma no, Merlino ci aveva riportati subito con i piedi per terra, come a volerci ammonire di aver solo pensato di poter osare tanto.
    E magari… era davvero un segno? Un modo di farci intendere che non era proprio il caso per noi di allargare la famiglia?
    Avrei avuto intanto un altro figlio da proteggere e, tra l'altro, quasi sicuramente mi sarebbe stata preclusa la possibilità di farlo. Non avrei mai saputo, magari, quali fossero le sue sorti. Avrei dovuto vivere con il tarlo pungente e doloroso di cosa fosse stato di lui. Perché, ne ero sicuro, non sarebbe stato facile mettersi sulle tracce della Martinengo.
    Aveva tanti strumenti a disposizione per riuscire a sparire nel nulla, in primis il potere e le infinite possibilità della sua nobile famiglia.
    Non una parola uscì dalle mie labbra sigillate. Fissavo Venus con l'acqua che mi grondava sul volto, fin dentro gli abiti madidi, non c'era una sola singola parte del mio corpo che fosse all'asciutto.
    Sentivo le sue unghie arpionare le mie mani.
    Le sue minacce, i suoi ricatti… doveva ormai aver capito, dopo tutti questi anni, che non funzionavano con me, no? Specialmente se mi trovavo a scegliere tra la mia gratificazione e beatitudine personale e la sicurezza sua e della mia famiglia.
    Mi costava, mi costava immensamente sapere che non avrei potuto vederla, né toccarla, né accarezzarla e baciarla per almeno un mese. Però, se questo era il sacrificio che mi veniva imposto affinché lei fosse al sicuro… ebbene, tutti i dubbi finivano dissipati, taciuti, divenivano certezze concrete. Sapevo cosa fare a quel punto.

    Il mio sguardo si indurì, aggrottai la fronte, la presa su di lei si fece ancora più sicura.

    "Come vuoi."

    Senza avvertirla né darle alcun indizio delle mie intenzioni, smaterializzai entrambi di fronte all'ingresso di casa nostra. Durante lo spostamento percepii la sua resistenza e riluttanza a seguirmi, ma la mia determinazione, unita probabilmente alla maggior resistenza all'annebbiamento dell'alcool, ebbero la meglio.
    Atterrammo proprio di fronte alla porta principale, sotto la tettoia di legno che ci riparava dalla pioggia.
    Aiutai la donna a non perdere l'equilibrio quando i nostri piedi toccarono terra, senza mollare le sue braccia. Prima di parlare ancora, le diedi tempo per riprendersi un minimo.
    Sapevo bene quanto fossero fastidiose le smaterializzazioni da brilli o ubriachi.
    Il mondo non smetteva di girarti intorno, mentre lo stomaco ballava la tarantella riproponendoti il sapore della cena del giorno precedente.
    Continuai a sostenerla, osservandola intensamente. Non avrei voluto enunciare quella decisione, ma dovevo farlo. E dovevo approfittare del suo momento di confusione.

    "Non posso assicurare basteranno tre settimane. Ce ne potrebbero volere sei o otto o venti. Mesi. Finché non avrò notizie del bambino, finché non lo saprò salvo ed al sicuro, non potrò pensare di mettere al mondo un'altra vita."

    La guardavo. Era ancora provata da quel breve, brusco viaggio, mi ascoltava ma sembrava quasi più concentrata sul proprio respiro affannato, nel tentativo di calmare la nausea e ritrovare una stabilità che ancora le mancava.

    "Però sono certo di una cosa. Lo farò senza di te, non voglio coinvolgerti più di quanto tu non lo sia già. Sono persone pericolose e devi starne alla larga. Per questo…"

    Fui costretto a bloccarmi, le parole mi morirono nella gola divenuta arida e stretta.
    Non avrei mai creduto di trovarmi obbligato, ancora, a seguire quella strada.
    Non avrei mai pensato che il destino, infame, sarebbe riuscito a separarmi di nuovo dalla mia famiglia. Non così presto.
    Non sapevo cosa ne sarebbe stato di me mettendomi tra i piedi di una famiglia potente e pericolosa come quella dei Martinengo, legata strettamente perfino ai Maghi Oscuri.
    Non ero sicuro di uscirne indenne, proprio per questo dovevo impedire a Venus di seguirmi.
    E lei, quella testarda della mia compagna, non me lo avrebbe mai permesso. Non se fosse stata in grado di tenermi costantemente sott'occhio.
    I nostri sguardi si incrociarono. Venus sembrò comprendere dalla mia espressione ancora prima che continuassi a parlare.

    "... Per questo me ne andrò io. Tornerò quando avrò delle risposte."

    Mi staccai, deglutendo la frustrazione, l'amarezza che mi occludeva la gola e rendeva la vista offuscata.
    Feci qualche passo indietro, accertandomi la donna avesse l'appoggio della parete di casa nostra e riuscisse ai stare sui suoi propri piedi.
    Sforzai un sorriso, mesto, un sorriso che chiedeva perdono, ancora, ma che voleva anche rassicurarla: quello non era un addio.
    Sarei tornato da lei e dai nostri figli. Loro avrebbero accettato meglio la mia assenza, oramai ci erano abituati. Non ero invece affatto sicuro avrebbero potuto fare a meno della presenza costante e rassicurante della loro madre.

    "Fino ad allora… Ricordati che ti amo."

    L'ultima cosa che vidi, furono le sue mani protese verso di me.
  4. .
    Mi accorsi troppo tardi di aver commesso l'ennesima cazzata.
    Venus mi era sembrata fin troppo razionale fino a quel momento, chissà, forse proprio a causa o per l'aiuto dell'alcool, e questo mi aveva spinto a parlare a cuore aperto, a condividere con lei i miei pensieri, le preoccupazioni che mi premevano sul momento.
    Sì perché non appena avevo ricevuto la notizia dalla Martinengo, uno dei miei primi pensieri era proprio corso al desiderio di Venus di avere un altro bambino.
    In che modo avremmo mai potuto accogliere, alla luce dei nuovi accadimenti, felicemente una gravidanza? Come mai avremmo potuto viverla serenamente?
    Avevo sperato, creduto, la mia compagna avesse seguito la linea dei miei stessi ragionamenti, e invece…
    Eccomi di nuovo lì che tentavo di fermarla, mentre lei si spogliava restando adesso senza cappotto, né giaccone imponendomi di non seguirla.
    Non se ne parlava neppure.
    La chiamai a gran voce prima di buttarmi dietro di lei sotto la pioggia e la volta del cielo illuminata da fulmini e saette.
    Perlomeno aveva finito di grandinare, altrimenti rischiavamo pure di procurarci lividi e bernoccoli sotto la cascata dei chicchi marmorei.
    La mia gamba malandata, seppur adesso mi permettesse di camminare quasi normalmente, mi era di grande intralcio nella corsa, soprattutto sull'asfalto scivoloso del marciapiede. Dovetti stavolta ringraziare la disgustosa bevanda alcolica del pub, se Venus non fosse così tanto sicura sulle proprie gambe, costringendola a rallentare l'andatura.
    Riuscii a raggiungerla, la presi per le braccia spingendola contro il muro di una casa, riparato dal tetto.
    Le stavo praticamente addosso, a pochi centimetri dal viso, le mani strette sulle sue spalle.

    "Basta scappare adesso, ascoltami!"

    Cercò di divincolarsi più volte, ma riuscii in qualche modo a trattenerla. Mi rendevo conto di non essere affatto delicato, però non potevo lasciarla andare. Se l'avessi persa di vista avrei rischiato di non ritrovarla e non poteva starsene tutta la notte fuori casa in quelle condizioni. Non sarebbe stata al sicuro, oltre che rischiare di buscarsi un bel malanno.

    "Non te ne vai da nessuna parte senza di me e senza perlomeno indossare questa!"

    Le ributtai sulle spalle il mio giaccone. Il suo cappotto molle e zuppo di acqua lo tenni invece stretto sotto braccio.
    Fu un'ulteriore battaglia quella per convincerla ad indossare l'indumento.

    "Venus! Smettila, non fare la bambina!"

    Stavolta le presi i polsi, bloccandola, impedendole di fuggire, allontanarsi o spogliarsi ancora.
    Non gradí sentirsi messa alle strette, ma la mia presa era ben salda e poteva ben poco.

    "Venus ascolta! Non ti ho detto di accantonare completamente l'idea. Soltanto… di lasciar perdere qualche mese, giusto il tempo di trovare Azzurra ed assicurarci che lei ed il bambino siano al sicuro. A quel punto potremo riprenderci in mano le nostre vite."

    Ci credevo veramente?
    La mia voce risuonava, nella strada deserta, convinta e ferma. Il mio sguardo, fisso nel suo, non tradiva incertezze.
    Eppure, dentro di me, nel petto, il cuore tremava. Molto più delle membra ghiacciate dal freddo e dalla pioggia.
    Qualcosa mi bisbigliava crudele nella testa che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Ma non volevo ascoltarla. Volevo solo convincermi che tutto sarebbe andato bene. Che saremmo stati felici ancora. Che Venus lo sarebbe stata, con me.
    Che i ragazzi non sarebbero tornati a soffrire, per colpa mia.
    Sospirai, nel tentativo di liberarmi da quel peso e, senza lasciarla, provai ad ammorbidire modo e toni.



    "Torniamo a casa ora. Ti prenderai una broncopolmonite se continui a stare sotto questa pioggia…"

    Le mie dita restarono serrate attorno ai suoi polsi. Temevo non avesse alcuna intenzione di ascoltarmi e seguirmi. Se così fosse stato, non mi sarei fatto problemi a smaterializzare entrambi fino a casa prima che potesse azzardarsi di darsela a gambe di nuovo.
  5. .
    wolverine-awesome
    La situazione stava precipitando di brutto.
    Venus ebbe da ridire contro gli altri presenti nel locale, cercare di fermarla fu inutile.
    Anche quando assestò una bella stivalata sulla gamba di uno dei due impavidi che si erano fatti avanti per fare battutine idiote.
    Mi limitai a coprirmi mezza faccia con la mano ed ad osservarli battere in ritirata con la coda tra le gambe.
    Per carità, se lo erano meritati pienamente… ma per un attimo avevo temuto li volesse arrostire entrambi con una fattura orcovolante, il ché avrebbe causato più di un problema da risolvere.
    Fui quasi sollevato quando tornò a rivolgere la sua rabbiosa attenzione verso di me.
    Zitto e muto ascoltai le sue minacce. Ero disposto a prendermi scarpe, stivali, pantofole o l'intero armadio addosso se questo l'avesse aiutata a stare meglio ed ad accettare, almeno in parte, quella nuova batosta.
    < Che situazione di merda. >
    Seppur non avessi mai sentito la mia compagna parlare in certi termini, non potevo che concordare con lei.
    Annuii, sospirando e passando una mano sul volto stravolto.

    "Già, una vera situazione di merda…"

    Era la sintesi più accurata.
    Mi sentii liberato già da un grosso peso della zavorra quando sentii la sua mano cercare la mia ed udii il suo invito ad aiutarla ad alzarsi.
    Non me lo feci ripetere due volte, scattai in piedi offrendole il braccio per farle da sostegno.
    Le avrei accennato un sorriso se non mi avesse scoccato l'ennesima occhiata astiosa.
    Decisamente, la tempesta non era ancora finita. E neppure fuori. L'aria gelida ci travolse costringendoci a stringerci nei nostri indumenti inumiditi dalla pioggia.
    Ma non era di certo il freddo o il maltempo ad impensierirmi.
    Venus, seppur provata dalla situazione e dall'alcool stesso, mi puntò addosso un dito minaccioso. E tutti - io ed i ragazzi specialmente - sapevamo che tal gesto non presagiva nulla di buono.
    Restai rigido e teso ad ascoltarla, e pronto com'ero a dover affrontare la peggiore delle sue reazioni a tal notizia, quasi rimasi stupito e positivamente sorpreso nel sentirla parlare in quel modo.
    < Quello che riesco a comprendere e che è mi è ben chiaro è che se tieni alle dita che ti rimangono non mi darai la delusione di far finta di niente. Quel bambino è tuo figlio e non è frutto di un tradimento. >
    Imbambolato, la fissai come se non riuscissi a capire una sillaba di ciò che stesse dicendo.
    Quindi… la pensavamo davvero allo stesso modo? Era d'accordo con me?

    "Sì… sì esatto…"

    Riuscii solamente ad esternare, meravigliato.
    Ero convinto le ci sarebbe voluto molto di più per tornare ad essere razionale abbastanza da accettare quelle che erano a tutti gli effetti le mie responsabilità di padre.
    Credevo che la parte emotiva avrebbe sopraffatto tutto il resto.
    Venus non finiva mai di stupirmi.
    < Ora, se vuoi, possiamo anche andare a casa. A piedi. Ho bisogno di camminare ma dovrai aiutarmi. >
    Continuai a guardarla come un ebete per diversi secondi, prima di afferrare il senso della sua richiesta.
    Solo quando realizzai mi stesse osservando di rimando, in attesa, mi riscossi tutto insieme e la affiancai, pronto a sostenerla.
    Detti uno sguardo intorno per individuare la strada da prendere per inforcare la via di casa e le lasciai il lato del marciapiede più vicino al muro, quello che era meglio riparato dalle tettoie delle case. Nessuno dei due aveva un ombrello dietro, ma lei era decisamente molto più fradicia di me e temevo si sarebbe presa un malanno dopo tutta l'umidità che si era tenuta addosso per ore.
    Camminammo in silenzio per qualche minuto, stavo attento ad evitarle pozzanghere ed a sorreggerla con una mano avvolta attorno la vita sottile.
    Zeus o chi per lui non era dalla nostra parte, perché il temporale andò a peggiorare. Cominciò a grandinare, costringendoci a cercare riparo sotto il porticato di una piazza.
    Non potei fare a meno di notare che la mia compagna stesse tremando dal freddo, le temperature erano notevolmente scese rispetto a quel pomeriggio.

    "Prendi questa."

    Mi sfilai la giacca, costringendola a togliere il suo cappotto completamente pregno di acqua.
    La mia era più calda, asciutta ed impermeabile, speravo l'aiutasse a proteggerla di più.
    Incrociai le braccia sulla camicia chiara di flanella, osservandola affondare nella giacca più grande di diverse taglie.
    Nonostante tutto, nonostante la situazione di merda, nonostante il tempo di merda - anche se io normalmente amavo la pioggia -, le mie labbra si stirarono involontariamente in un timido, appena accennato, sorriso mentre la guardavo. Perché, adesso lo sapevo. Venus, contro qualsiasi aspettativa, c'era e sarebbe rimasta al mio fianco.
    Compii i pochi passi che ci separavano parandomi di fronte a lei.

    "Grazie."

    Allungai una mano sul suo volto, delicatamente, accarezzandole la pelle fredda.

    "Meriteresti molto di più e molto meglio di un coglione come me che combina sempre e solo cazzate."

    La nostra vita sarebbe potuta essere perfetta se non avessi sempre fatto scelte sbagliate, preso strade pericolose, se avessi seguito decisioni in modo meno impulsivo.
    Era tutto un cercare di rimediare e mettere toppe lì dove io avevo fallito e di mezzo ci andavano sempre Venus ed i ragazzi.
    Inspirai l'aria fresca, riempiendomene i polmoni e per brevi attimi anche la pressa dolorosa alla testa mi dette tregua.
    Abbassai la mano dal suo volto, avvicinandomi ancora.

    "Noi… dovremo rivalutare alcune scelte che abbiamo preso, ma ti prometto farò di tutto per rendere possibile il tuo… nostro desiderio."

    La mia compagna desiderava un altro figlio. Ne avevamo parlato e discusso a lungo, prima che mi ritenessi pronto, nel fisico e nella mente, ad affrontare questo nuovo - almeno in parte - grande passo.
    E proprio ora, che avevamo deciso di compierlo, l'inaspettato ennesimo sgambetto da parte della vita ci costringeva a rivalutare le nostre scelte.
    Non era proprio il caso di mettere in cantiere un bambino adesso, con uno già in arrivo, di cui non conoscevo e temevo le sorti.
    Sapevo quello fosse un duro colpo per Venus, così come sapevo che razionalmente avrebbe concordato con me.
    Mi feci avanti per abbracciarla con la scusa di scaldarla. Ora come non mai avevo la necessità di sentirla vicina.
  6. .
    Mi sa che ero stato fin troppo ottimista.
    Venus non solo non aveva la benché minima intenzione di ascoltarmi. Non solo era talmente furiosa da far vibrare l'atmosfera intorno a noi del suo potenziale magico…. Ma aveva, evidentemente, il forte desiderio, di uccidermi o comunque non farmi uscire illeso da quel locale.
    Prima ci provò con un bicchiere di vetro che andò a scagliarsi sul pavimento appiccicoso. Subito dopo ricevetti in pieno petto un suo stivale, mentre le infamazioni non mancavano all'appello.
    Tentai vanamente di ripararmi dagli oggetti volanti chiedendole, quasi implorante di smetterla.
    Gli avventori del pub erano ora diventati nostri spettatori. Sghignazzarono tra loro, divertiti e piacevolmente sorpresi per quel teatrino inatteso. Mi voltai il giusto per notare gran parte dei volti paonazzi girati nella nostra direzione, in attesa di scoprire quale fosse il prossimo colpo di scena.

    "Venus… Dai non qui, torniamo a casa per parlarne…"

    Abbassai la voce, in netto contrasto con la sua, che invece invocava altro alcool.
    Con l'aria da cane bastonato le resi indietro lo stivaletto. Fosse mai che decidesse di fuggire di nuovo, stavolta a piedi nudi sull'asfalto bagnato.

    "No, adesso basta. Hai bevuto abbastanza, andi…"

    Come non detto. La donna mi trascinó tirandomi con tutto il peso del suo corpo sulla sedia vicino a lei. La rabbia, l'agitazione, forse lo stato alterato stesso per emozioni e alcool le stavano dando una forza ed energia che ero certo di non averle mai percepito addosso.
    La squadrai seriamente preoccupato. Era fuori di sé. Mai, neppure se scavavo nei ricordi, quelli che ero riuscito a riacquisire dal mio ritorno, mai l'avevo vista in quello stato.
    Neanche nei nostri momenti peggiori.
    Stavolta sembrava aver accusato il colpo in modo più violento. Forse perché, semplicemente, era l'ennesimo colpo inaspettato che era costretta ad incassare.

    Poggiando le braccia sul tavolino tremante - anche questa opera sua, lo sapevo - mi incurvai verso di lei, fissando gli occhi nei suoi.
    Inspirai a pieni polmoni prima di parlare. Dovevo trovare il modo di calmarla prima che facesse implodere quel posto… Sapevo che ne sarebbe stata in grado, anche se inconsapevolmente.

    "Sì. Sì è vero, sono un coglione, un imbecille di prima categoria, un idiota. Lo so, Venus… Lo so e non meritavi di dover affrontare anche questo…"

    Incassai il capo tra le spalle. Aveva tutto il sacrosanto diritto di odiarmi adesso, lo capivo benissimo. Io ero il primo ad avercela con me stesso.
    Ero stato ingenuo e stupido. Non avevo usato precauzioni con Azzurra quel pomeriggio, convinto di essere stato abbastanza cauto da non aver causato incidenti. E invece, per qualche ora di godimento, eccomi lì, in quel pub sudicio a tentare di riparare l'irriparabile. Sì perché avevo la paura folle adesso, mentre guardavo l'espressione delusa e ferita della mia compagna, di rischiare di perdere tutto ciò che avevo e amavo. Stavolta per davvero e per sempre.

    "Lo capisco se non vorrai parlarmi né guardarmi in faccia per un bel po' adesso. O se avrai voglia di tirarmi un'altra scarpa in faccia… È giusto, me lo merito. Spero però che riuscirai a perdonarmi prima o poi…"

    Le parlavo a cuore aperto, lo sguardo affranto fisso nel suo, ancora vibrante di ira.
    Il cameriere sfilò veloce, probabilmente intimorito dalle reazioni della bruna, a portarci i tre bicchieri da lei ordinati.
    Ne presi uno e lo tracannai senza pensarci due volte. Al diavolo il mal di testa, avrei tanto voluto sbronzarmi anch'io se ormai non fossi stato totalmente assuefatto all'alcool. Però questa roba aveva un sapore orrendo.
    Schioccai la lingua disgustato, poco prima di adocchiare Venus allungare una mano per prendere la sua parte.
    La bloccai per un polso, guadagnandomi un'altra occhiataccia.

    "No, basta adesso. A cosa serve? Domani o già stanotte starai uno schifo più di ora. Venus, ascoltami ti prego…"

    Appoggiai l'altra mano sul suo braccio, sperando non si scostasse ed accettasse davvero di sentire cosa avessi da dirle. Era fondamentale.

    "Quella donna… la madre del bambino… non vuole coinvolgermi ulteriormente per la sua crescita. Mi ha chiesto, anzi esige io resti alla larga da loro. Per questo credo… che non avrò più altre notizie su mio… sul bambino."

    Ero consapevole questa non fosse una consolazione per lei. Proprio come me, adesso che conosceva la verità, non sarebbe passato giorno senza che il pensiero volasse a quella creatura sangue del mio sangue.
    Proseguii, tutto d'un fiato, temendo di venire interrotto dalla sua giustificata veemenza.

    "Quel che temo è per la sua incolumità. Se ricordi questa ragazza è moglie di un Mangiamorte, lui non accetterà mai di avere tra i piedi il figlio di un altro. Azzurra mi ha assicurato di poterlo proteggere e tenere al sicuro, ma io non mi fido affatto delle sue parole. Non… non posso stare con le mani in mano e far finta di niente. Lo puoi comprendere… vero?"

    Sapevo lo avrebbe fatto. Da madre di quattro figli avrebbe compreso la mia esigenza di assicurarmi che il bambino non incorresse in gravi pericoli, l'innato istinto di provvedere alla sicurezza ed, in questo caso, salvezza della propria prole, sebbene la mancanza di alcun legame emotivo con la madre.
    Di lei mi interessava il giusto, soltanto che provvedesse seriamente al sostentamento e la cura di mio figlio. Che gli potesse assicurare davvero una vita degna e, per quanto possibile, felice.
    I dubbi erano molti, troppi, affinché potessi ignorarli o accettare di portarli sulle spalle senza sentirne il peso costante.
    Se Venus avesse continuato ad accettare il mio contatto avrei rafforzato la presa sul suo braccio, la mano stretta al polso sarebbe scivolata sulla sua destra, cercandola.
    Prima di qualsiasi cosa, però, avevo bisogno se non del suo sostegno, perché capivo di chiedere troppo, perlomeno della sua presenza al mio fianco.
  7. .
    Osservai Venus alzarsi, accogliere la notizia, assorbirla, assimilarla, comprenderla.
    Non mi aspettavo affatto l'accettasse, per quello ci sarebbe voluto molto, moltissimo tempo e forse non sarebbe neppure bastato. Io per primo non sapevo in che modo sarei stato in grado di conviverci, potevo a malapena immaginare cosa stesse provando lei.
    Mi rendevo conto di non aver usato le parole giuste… Erano state banali, superficiali.
    Mi dispiace lo dici se bruci la cena sui fornelli per una distrazione.
    Se ti cade un bicchiere per terra.
    Se urti involontariamente qualcuno mentre cammini per strada.
    Non alla donna che ami, dopo averle annunciato di aspettare un bambino da un'altra.
    Non sapevo bene cosa fare adesso, né cosa aggiungere.
    Venus si era allontanata da me, era questo di cui aveva bisogno al momento evidentemente. Starmi lontana. Prendere le distanze, i suoi spazi, capire lei stessa come reagire per non lasciarsi sopraffare dalla delusione. Dal dolore.
    < Non ti aspetterai che io sia felice. Non posso farti le congratulazioni. >
    Alzai il busto, continuando a fissare la sua schiena. Il documento maledetto abbandonato ai suoi piedi, mentre le ombre provenienti dal caminetto danzavano sulla sentenza.

    "No… Certo che no… Io… non avrei mai potuto immaginare che… Aspetta, che fai?"

    La guardai rinfilarsi il cappotto inumidito dalla pioggia, mettersi gli stivali. Le sue intenzioni erano chiare.
    Mi alzai in piedi giusto in tempo per vederla aprire la porta e sbatterla alle proprie spalle.

    "Venus!"

    Le corsi dietro, sull'uscio, sul viottolo di casa, ma non riuscii a raggiungerla perché lei aveva già svoltato l'angolo della strada principale, confondendosi tra il via vai di persone ed ombrelli che affollavano il passaggio.

    "Venus aspetta!"


    Restai quindi così, come un babbeo quale ero, sotto la pioggia battente a chiedermi cosa dovessi fare adesso, dove stesse andando la mia compagna e come avrei potuto fare per raggiungerla.
    E soprattutto… era davvero il caso di raggiungerla? O forse era meglio lasciarle perlomeno il tempo di metabolizzare ed, in parte, sbollire?
    Imprecando fra i denti rientrai velocemente a casa. Come prima cosa decisi di avvertire i miei affinché andassero loro a recuperare i bambini… e fu con poca sorpresa che appresi da mia madre fosse stata Venus stessa a chiamarli pochi minuti prima.
    Chiusi la chiamata evitando di rispondere ai quesiti della signora Brown.
    Non avevo testa per stare dietro anche a lei adesso.
    In realtà non avevo testa per fare nulla, se non dannarmi e maledire il giorno in cui avevo acconsentito a dare lezioni di Pozioni alla Martinengo.
    Le tempie continuavano a pulsare dolorosamente, il petto mi doleva dall'ansia, camminai avanti ed indietro per l'ampio salotto per minuti o forse ore, comunque abbastanza da iniziare seriamente ad impensierirmi per il non rientro di Venus.
    Ok, era normale volesse starsene per i fatti suoi. Ma per quanto ancora avrebbe ignorato le mie chiamate insistenti?
    Sarebbe rincasata quella notte? E adesso dove era? Al sicuro da qualche parte o sotto il diluvio della città semideserta?
    Non aveva portato con sé nemmeno l'ombrello.
    Continuai a dannarmi per diverso tempo ancora, perché un accenno di vita arrivò soltanto un'ora più tardi.
    Il suono della notifica del telefono mi fece scattare come una molla, salvo poi constatare con delusione ed irritazione allo stesso tempo si trattasse solamente di un mio collega di lavoro. Che diavolo voleva a quell'ora?
    Aprii distrattamente il messaggio. Un paio di brevi righe che mi bloccarono al centro del salotto.

    Hey Walt, forse sono inopportuno ma sono ad un pub e c'è qui tua moglie da sola che non mi sembra stare tanto bene. È fradicia, sta bevendo e qui dentro non c'è bella gente. Forse è il caso che vieni.

    Il mio cuore scalpitò nel petto.
    Santo Dottor Jackson! Gli avrei offerto tutti i pranzi fino alla prossima estate, questo era certo.
    Mi inviò la posizione e nemmeno un minuto dopo, grazie alla smaterializzazione, ero di fronte all'entrata del suddetto pub.
    Entrai. Era buio, l'aria umida e calda era quasi irrespirabile a contrasto con quella frizzante esterna.
    Gli avventori erano tutti uomini. Tranne una.
    La adocchiai in un attimo. Era impossibile non notarla in mezzo a quel branco di ubriaconi.
    Aveva tra le mani un bicchiere di non sapevo cosa e ciò mi preoccupava. Venus non reggeva nemmeno un bicchiere di analcolico.
    Però ciò che mi agghiacciò molto più fu constatare stesse dando relazione ad un tipo seduto vicino a lei. Lui si stava limitando ad ascoltarla. La mia compagna gesticolava infervorata.
    Molto probabilmente stava infamando me.
    Avvicinandomi posai le mani sul tavolino per attrarre l'attenzione e fare notare la mia presenza, dato che - avevo constatato - il gentleman non era affatto interessato alle chiacchiere di Venus, quanto più al suo scollo.

    "Questa è mia moglie. Togliti dai piedi."

    Il tizio si mise in piedi traballante, alzò le mani in segno di resa, con un sorrisetto sornione stampato in faccia.

    "Oookay… mi dispiace per te allora amico, ti sei ficcato in un bel guaio!"

    E se ne andò via ridendo sguaiato.
    Ubriaco fradicio ma tutti i torti non ce li aveva.
    Venus mi squadrò astiosa, prima di portarsi il bicchiere di alcool alle labbra.

    "Ferma ferma ferma!"

    Cercai di toglierlelo dalle mani. Da quello che potevo constatare aveva già bevuto abbastanza. Non abbastanza per dimenticare però.
    Era evidente non fosse affatto felice di rivedermi.

    "Cosa combini, Venus, non puoi ubriacarti! E sei tutta bagnata… Dai forza, andiamo a casa e parliamo con calma…"

    La invitai ad alzarsi offrendole il mio aiuto. Non avevo intenzione di fare scenate lì in mezzo a quel covo di ubriaconi e pervertiti. Senza contare che lì da qualche parte c'era pure Jackson che, nonostante le sue nobili intenzioni, si sarebbe divertito da matti a sbandierare tra i corridoi del Saint Mary i drammi familiari del Dottor Brown.

    "Per favore, lasciami spiegare."

    Addolcii lo sguardo e la voce, mentre attendevo afferrasse la mano tesa pronta a sorreggerla perché immaginavo non sarebbe stata in grado di uscire da quel locale da sola sui suoi piedi, non senza sbandare ed incespicare ad ogni passo.
  8. .
    L'incontro con Azzurra mi aveva devastato molto più delle conseguenze dopo il duello contro suo marito giusto qualche mese addietro.
    Fisicamente ero, in apparenza, illeso. Ma dentro di me ero lacerato.
    Aspettavo un altro figlio. E non dalla donna che amavo e con cui avevo concordato di allargare la famiglia appena un mese prima.
    Martinengo era e sarebbe stata la madre del mio bambino.
    Proprio lei, la moglie di un Mangiamorte, una Strega che anteponeva l'amore per un malato, psicopatico, assassino, alla protezione e salvezza dei suoi propri figli.
    Una donna che non aveva alcuna intenzione di ricevere nessun tipo di aiuto per evitare che i bambini incorressero in qualche grave pericolo.
    La testa mi scoppiava quando rincasai nella dimora buia. Per fortuna non c'era ancora nessuno. Avevo bisogno di qualche ora per metabolizzare la notizia. Anzi, LE notizie. Avevo pure scoperto Kurt fosse un mio lontano parente, sebbene questa novità, al momento, andava decisamente in secondo piano rispetto alla consapevolezza di stare per diventare padre di nuovo.
    Mi sedetti sul divano del salotto illuminato solo dalla fioca luce proveniente dall'esterno e da lì non mi mossi più.
    Avevo ancora la giacca, la testa pulsante stretta tra le mani, il panico che sentivo premermi nel petto pronto a scoppiare, lo stomaco annodato dall'ansia, quando sentii la serratura della porta di ingresso scattare.
    Alzai gli occhi giusto quel tanto per riconoscere la figura di Venus varcare la soglia di entrata e sistemare distrattamente ombrello e cappotto sull'attaccapanni.
    Era iniziato a piovere e neppure ci avevo fatto caso.
    La luce che venne accesa mi costrinse a stringere le palpebre, mentre un mugolio infastidito mi sgusciò fuori dalle labbra alla fitta dolorosa che mi aveva attraversato le viscere del cervello.
    Solo allora la mia compagna si accorse della mia presenza, sobbalzando sorpresa nel riconoscermi.

    "Mal di testa…"

    Mi limitai solo a spiegare, non appena udii i suoi passi avvicinarsi.
    Era arrivato il momento. Dovevo parlarle. E dovevo farlo prima che la giornata di scuola per Alex e Alice si concludesse.
    Venus sapeva dove fossi stato e con chi mi fossi incontrato quel pomeriggio. Niente più segreti tra noi.
    Vedermi ridotto in quello stato, sicuramente, le avrebbe fatto intuire non si fosse trattata di una chiacchierata tranquilla e piacevole.
    Sospirai, appoggiando le spalle allo schienale del divano ed aprendo gli occhi le feci cenno di accomodarsi vicino a me.
    Dove avrei trovato le parole? Ero stato a rimuginarci tutto quel tempo fino a farmi quasi esplodere la testa, eppure non avevo trovato nessun modo adatto, né delicato - ammesso esistesse - per metterla al corrente dell'accaduto.
    Era chiaro non l'avrebbe presa bene. Questo avrebbe messo in discussione, di nuovo, tutto il nostro equilibrio familiare dal momento che io non avevo alcuna intenzione di lasciare perdere la faccenda, come invece espresso e richiesto dalla Martinengo.

    "Non è andata bene."

    Complimenti Walter, di certo lo avrà intuito bene da sola avendoti trovato sofferente, al buio, sul divano come una bestia morente.
    La guardai, riuscendo a malapena a sostenere il suo sguardo preoccupato.

    "Mi… mi ha dato una notizia che… ci cambierà la vita."

    E ora, come dirlo?
    Sto per diventare padre, però, senti un po', non sei tu la madre.
    Ti ricordi quando ci sono andato a letto? Ecco, ora è incinta.
    Ho fatto una cazzata. Un'altra. Martinengo aspetta mio figlio.
    Tutte suonavano da schifo.
    A dirla tutta, non esisteva un modo giusto per confidare alla tua donna che stai aspettando un bambino da un'altra.
    L'unica era sputare il rospo. Subito.
    Presi fiato e rovistando nella tasca della giacca arraffai i documenti consegnati da Azzurra quel pomeriggio.
    Lentamente li aprii per rileggerli, tenendo per me quello attestante la mia parentela con Kurt. Un problema alla volta. Prima di tutto, dovevamo affrontarne uno ben più grande.
    Le allungai, quasi timoroso e con mano tremante il foglio a riprova della mia paternità.
    Attesi che lo prendesse per poi fissare lo sguardo sul suo viso, osservando i suoi occhi cerulei guizzare da una riga all'altra, avidi di conoscere una realtà fino ad allora inimmaginabile per entrambi.

    Solo quando li notai fissarsi sulla carta, sgranarsi appena, riempirsi di consapevolezza e, forse, orrore, mi sentii in dovere di dire qualcosa, qualsiasi cosa.
    Socchiusi le labbra, incerto e confuso, stordito dal mal di testa, dalla sua espressione agghiacciata, dal suo silenzio assordante.

    "Mi… mi dispiace…"

    La voce arrochita dal peso della colpa avrebbe voluto sicuramente esprimere di più, ma non ne trovò la forza.
    Neppure la mano, quella sinistra priva di due falangi, che si era allungata verso di lei ebbe il coraggio di toccarla veramente. Andò a posarsi vicino alla sua gamba ed in attesa rimasi di incontrare il suo sguardo ed accogliere la sua reazione che, di certo, non mi aspettavo sarebbe stata accomodante e comprensiva.
  9. .
    hugh-jackman-sad

    < Chi ti ha detto che Connor è privo di protezione? Siamo in tanti a vegliare sulla sua sicurezza. Suo padre compreso. >

    "Non mi riferivo a Connor."

    Sebbene mi facesse pena pensare quella povera creatura nelle mani incoscienti di sua madre e quelle macchiate di sangue di innocenti di suo padre, ammettevo che lui, nonostante tutto, sarebbe stato protetto nel bene e nel male. Kurt avrebbe sempre difeso il frutto dei suoi lombi.
    Era l'altro bambino, quello che sarebbe nato di lì a poco, mio figlio ad essere in serio pericolo. Il Mangiamorte non avrebbe sopportato di averlo tra i piedi. Non avrebbe sopportato il costante richiamo di come sua moglie si fosse infilata sotto le lenzuola con un altro uomo.
    E per quanto lei facesse la piccata e la sicura di sé, non riusciva affatto a convincere me. Anzi. Più insisteva, più i miei dubbi aumentavano.
    La fissavo serio, come se davvero mi aspettassi che da un momento all'altro ammettesse la verità. Il piccolo non sarebbe mai stato al sicuro finché Kurt avesse avuto traccia di lei.
    < Cosa proponi di fare? Portami a casa tua col pancione e annunciare la lieta novella alla tua donna e ai tuoi figli? Non lo meritano e io non merito di venire giudicata da nessuno. >
    Sospirai interrompendo per brevi attimi il contatto visivo. Certo, quella era una nota dolente che per il momento non avevo proprio idea di come affrontare, lo ammettevo.

    "Non so ancora cosa fare, ma non starò con le mani in mano fingendo che questo bambino non esista. Mi dispiace Martinengo, se hai davvero pensato potessi reagire in questo modo significa che non hai capito proprio nulla di me."

    Insomma, se mi avesse voluto davvero escludere dalla sua vita e da quella di nostro figlio avrebbe fatto bene a non mettermene a conoscenza. Inutile blaterasse avessi il diritto di sapere, doveva immaginare ci sarebbero state conseguenze alla sua decisione.
    Il suo modo di agire mi faceva pensare che inconsciamente, sotto sotto, una parte di sé volesse essere certa che io ci sarei stato, in caso di necessità, per quel bambino, altrimenti sparire del tutto da parte sua sarebbe stata la scelta più ovvia.
    < Non devi preoccuparti di niente. Se ti fa stare più tranquillo ti aggiornerò sulla sua nascita e sulla sua crescita ma starà bene. >
    Strinsi le mani nelle tasche, continuando ad osservarla.
    Per quanto mostrasse di essere sicura, forte e determinata, il mio sesto senso mi suggeriva che tutta questa spavalderia celasse in realtà un animo irrequieto e, da un lato, pure intimorito. La sua vita doveva essere tutto fuorché facile. E, sebbene non lo stessi dimostrando poiché preso da ben altri pensieri, non era piacevole essere consapevole di essere stata una causa determinante ad averle incasinato ed aggravato ulteriormente la sua situazione.
    Per quanto avessi potuto, per quanto me lo avesse concesso, avrei cercato in tutti i modi di non far finire nella melma di un intrigo familiare complicato, pure quella povera creatura in grembo.

    "Ti ricontatterò quando saprò cosa fare. Non resterò a guardare ed aspettare inerme. Kurt non lo farà."

    Non mi aveva nemmeno risposto alla domanda. Questa era già quindi una bella risposta.
    Kurt le aveva fatto del male in passato. Ora avrebbe avuto un pretesto in più ed un soggetto ancora più indifeso su cui rifarsela quando avrebbe desiderato.
    Ma io non glielo avrei permesso.
    Se la bruna non avesse aggiunto altro, le avrei dato le spalle per andarmene. Prossimo obiettivo, informare immediatamente la mia compagna.
  10. .


    Alzai scettico un sopracciglio ascoltando le sue affermazioni riguardo a Kurt.
    Certo, che stupido, era stato troppo credere che pure lei potesse pensare all'incolumità di suo -nostro- figlio a fronte di un uomo crudele, meschino e senza scrupoli. Un assassino in piena regola.
    Anche in questo caso, con non uno ma ben due bambini di mezzo da difendere, lei preferiva tapparsi gli occhi pur di difendere suo marito.
    Assurdo. Assurdo ed impossibile cercare di ragionare con una persona che non voleva guardare in faccia la realtà. Infatti era pronta a defilarsela.
    Mi aveva scaricato la patata bollente tra le mani ed ora mi chiedeva di ignorare le ustioni e fingere non esistessero. Ma era completamente impazzita?
    Mi alzai in piedi un secondo dopo di lei, la sedia dietro di me stridette contro il pavimento.
    Stringendole un braccio la fermai, i volti talmente vicini che bastava un sussurro per udirci.

    "Come puoi solo pensare possa uscire da qui facendo finta di niente, dimenticando ciò che mi hai detto e di avere un figlio costantemente in pericolo e privo di qualsivoglia protezione, dato che tu ti ostini a raccontarti storielle?"

    Alcuni sguardi dai tavolini vicini si erano posati su di noi, curiosi sussurravano tra loro chiedendosi cosa stesse succedendo. Era palese la nostra non fosse una conversazione tranquilla e pacifica. Era evidente, nonostante i miei sforzi nel nasconderlo, fossi parecchio innervosito ed agitato.
    Avere pure gli occhi addosso degli estranei attorno non mi aiutava affatto a cercare di rimanere calmo. Avrei voluto urlare a tutti di farsi gli affaracci loro, ma no, non sarebbe stato decisamente il modo giusto per non attirare ulteriori attenzioni.

    "Usciamo di qui…"

    Proposi, dopo essermi dato una breve occhiata attorno. Rovistai nelle tasche prendendo qualche moneta di troppo e buttandola sul tavolino. La cameriera perlomeno sarebbe stata felice della generosa mancia. Non dimenticai di prendere i documenti con me, mi sarebbero potuti tornare utili.
    Solo a quel punto, se Azzurra avesse acconsentito, l'avrei preceduta fuori dal locale dove senza pensarci un secondo in più l'avrei affrontata faccia a faccia, finalmente più liberi di poter esternare le nostre reazioni senza occhiate indiscrete.

    "Ascolta, tu non piaci a me ed io non piaccio a te. Non andremo mai d'accordo probabilmente, ma dobbiamo provarci in qualche modo. C'è un bambino di mezzo, non un giocattolo. Ne hai già uno, dovresti saperlo."

    Espirai profondamente, alzando il viso al cielo.
    Ma in che razza di casino mi ero andato a ficcare? E solo perché avevo pensato non fosse poi una così cattiva idea passare qualche piacevole ora di godimento con una bella donna.
    Che idiota.
    Riabbassai gli occhi su di lei, la mascella contratta ed i pugni chiusi.

    "Non ho voglia di farti ramanzine. Veniamoci incontro. Dimostrami che questo bambino crescerà felice ed al sicuro. Dimostrami che non ho motivo di preoccuparmi per la sua incolumità."

    Non poteva farlo, lo sapevo. Perché nessuno, neanche lei sebbene fosse convinta del contrario, era in grado di comprendere ed immaginare cosa passasse nella testa di un Mangiamorte psicopatico. E ovunque lei avesse tentato di nascondersi… lui sarebbe riuscito a trovarla se avesse voluto.

    "Lui… Kurt… Ti ha già fatto del male in passato? Perché se lo ha già fatto, lo rifarà. A te ed a lui." Abbassai per una frazione di secondo gli occhi sul ventre rigonfio che appena si intravedeva sotto il mantello. "Soprattutto a lui. Perché gli ricorderà sempre della tua unione con un altro."

    Avrebbe smentito, ne ero certo. Ma non mi avrebbe mai convinto del contrario. Non mi fidavo del suo giudizio nel modo più assoluto e questo complicava non poco le cose. Rischiavamo di iniziare una nuova guerriglia senza fine, senza vincitori e con un solo vinto accertato: nostro figlio.
  11. .


    Continuavo a fissarla senza capire dove volesse andare a parare. Le sue esternazioni non avevano un vero significato logico per me. Non finché non sfilò di tasca un foglio. Un altro. Non finché non mi colpì allo stomaco con tre semplici parole: aspetto un figlio.
    Era vero allora? Ciò che aveva accennato mesi addietro, nel laboratorio, dopo aver scampato per un soffio la morte sua e del suo consorte, non era stata tutta una messinscena?
    E quel documento, avrebbe dovuto attestarlo?
    Lo aprii, oramai incuriosito.
    Ricercai prima di tutto la firma del medico, il timbro in fondo alla pagina, il nome della clinica in cima. Tutto autentico.
    Poi lessi ed il mondo mi franó sotto i piedi. Il secondo colpo allo stomaco arrivò ancora più preciso e violento.
    Rilessi, non ci potevo credere. Non poteva essere vero.
    Quel figlio… era anche mio.
    Mi portai inconsciamente una mano alla bocca, fissando sconvolto la sentenza.
    Aprii la bocca per parlare, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono. La gola era secca e riarsa, e mi resi conto solo dopo diversi secondi che stavo trattenendo il fiato.
    Guardai Azzurra, sperando il suo sguardo tradisse una verità diversa da quella appena letta. Speranza vana perché era seria ed il suo grembo, ora scoperto dal mantello, non mentiva.
    Era incinta. Di mio figlio.
    Provai a parlare di nuovo, inutilmente. Mi mancava l'aria.
    Alzai un dito facendole cenno di aspettare, mi alzai e mi diressi nel bagno del locale, dove cercai di sfogare il mix devastante di emozioni che sentivo scoppiarmi nel petto. Camminai avanti ed indietro con le mani fra i capelli, mi sciacquai il volto più volte, rimasi a fissare il mio riflesso, che rimandava un volto stravolto dallo specchio sporco. Imprecai tra i denti e tirai un paio di pugni sulla ceramica del lavandino, sotto lo sguardo sconcertato di coloro che entravano ed uscivano dalle toilettes.
    Il primissimo pensiero fu su come avrei fatto a dare la notizia a Venus. Mi avrebbe ucciso, giustamente.
    Proprio da un mesetto avevamo preso la decisione concreta di cercare un altro bambino. Era un suo grandissimo desiderio, me lo aveva espresso a cuore aperto.
    Adesso… avremmo dovuto rivalutare tutto.
    Inspirai ed espirai profondamente un paio di volte, prima di sentirmi pronto a tornare ad affrontare Azzurra senza avere una crisi di nervi.
    Buffo, avrei preferito mille volte avere altri venti scontri con suo marito piuttosto che ritrovarmi, come adesso, faccia a faccia con la bruna per disquisire proprio riguardo a… nostro figlio.
    Mi sedetti di nuovo di fronte a lei. Percepivo il sangue scorrermi ancora gelido nelle vene.

    "D'accordo…"

    Perlomeno avevo ritrovato la voce. Trangugiai in un sorso il bicchierino di Whisky rimasto pieno.
    Riguardando distrattamente il documento che segnava un nuovo, l'ennesimo, grande dirottamento della mia vita, cercai le parole giuste da usare. A questo punto la situazione cambiava. Per quanto ce l'avessi con lei dovevo tentare il più possibile di mantenere la calma per instaurarci un dialogo civile. C'era molto di cui parlare e da stabilire.

    "Tu.. sei al sicuro?"

    Alzando gli occhi su di lei realizzai non sarebbe stato affatto facile. Aveva già accennato poc'anzi di volermi tenere al di fuori della sua vita. Peccato non fosse possibile. Non con un figlio di mezzo.
    Non con un Mangiamorte come consorte che, ne ero sicuro, avrebbe volentieri eliminato alla radice quel "piccolo" intoppo.

    "Tuo marito potrebbe benissimo farti… farVI del male. Non accetterà mai che tu abbia un bambino da un altro."

    E lei lo sapeva meglio di me. Volevo sapere in che modo pensava di tenere entrambi al sicuro, perché io avevo dei dubbi ne fosse realmente capace. Non potevo fidarmi dopo ciò che avevo visto e conosciuto di lei.

    "Ho intenzione di prendermi le mie responsabilità e…"

    Abbassai di nuovo lo sguardo sul foglio, sospirai pensando a Venus. Lei nonostante tutto sarebbe stata d'accordo con me. Inutile discutere su quanto fosse stato stupido e sconsiderato da parte sua portare avanti la gravidanza. Oramai la frittata era fatta, mio figlio nutrito dal corpo di una donna che non era la mia, esisteva, era lì, stava crescendo e sviluppando. Sarebbe nato a distanza di pochi mesi. Non avevo intenzione di abbandonarlo, soprattutto consapevole che la sua minuscola innocente vita fosse già in pericolo ancora prima di venire al mondo.

    "... Voglio essere certo siate al sicuro. Vi aiuterò."

    Rialzai gli occhi decisi su Azzurra. Il suo sguardo rimandava la stessa sicurezza che, purtroppo prevedevo, sarebbe andata in netto contrasto con la mia.
  12. .


    Se io non ero affatto felice di trovarmi lì, lei sembrava condividere interamente il mio sentire.
    Non l'ombra di un sorriso, per carità, i trascorsi erano quel che erano e non potevamo di certo abbracciarci come vecchi amici, però che diamine un minimo di riconoscenza nei miei confronti avrebbe pure potuto averla.
    Aveva usato contro di me una maledizione senza perdono, colpendomi alle spalle. Sotto l'influenza della stessa ero stato in grado di salvare la pelle al suo amato.
    La volta precedente l'avevo lasciata andare senza torcerle un capello, pur essendo venuto a conoscenza del suo piccolo segreto oscuro.
    Infine, li avevo pure risparmiati entrambi. Insomma, aveva ben poco da guardarmi con rancore e risentimento.
    Se la sua vita andava a rotoli era solo e soltanto per causa sua e per le sue discutibilissime scelte personali.
    Ma non importava. Che facesse pure l'offesa. Ciò che contava era che non mi creasse ulteriori problemi. Volevo liquidarla il prima possibile e, soprattutto, scoraggiarla dal tornare a cercarmi.
    < Se hai finito potresti sederti e ascoltami. Premetto che non voglio niente. Non ho bisogno di aiuto ne per me e nemmeno per mio marito. Me la so cavare da sola. >
    A stento mi trattenni dallo scoppiare a riderle in faccia. Lei, proprio lei, Azzurra Martinengo che sapeva cavarsela da sola. Come no.
    Avrei voluto ricordarle che appena tre mesi prima aveva desiderato suicidarsi al fianco del marito Mangiamorte dal quale aveva ricevuto tutto fuorché reali sentimenti di apprezzamento, abbandonando senza pensarci due volte un povero bambino già orfano di padre.
    Ecco come se la cavava la Martinengo.

    "Stento a crederlo."

    Mi limitai a commentare con le labbra increspate in un mezzo sorrisetto sardonico e senza perdere l'espressione beffarda, abbassai gli occhi sul foglio che la ragazza stessa mi aveva allungato sotto il naso. Lo presi tra le dita, leggendo attentamente il contenuto.
    Il volto, via via che ne apprendevo il significato, si adombrò perdendo ogni traccia di ilarità.
    Con la mano libera, senza staccare gli occhi dal documento di attestazione di una parentela non vicinissima, ma neppure tanto recondita, andai a cercare il bicchierino di Whisky portato pochi istanti prima dalla cameriera.
    Ne trangugiai il contenuto in un unico sorso, senza quasi pensarci.
    Nonostante ciò, la stretta in fondo all'esofago non si allentò.
    Rilessi di nuovo, stavolta anche le diciture scritte in minuscolo, in alto riportanti i dati della clinica a cui Azzurra si era rivolta.
    Non era un falso. Il timbro in calce era originale, in quanto Guaritore avevo esperienza e non avevo dubbi.
    Alzai gli occhi aldilà del foglio. La bruna mi studiava, aspettava una mia reazione.

    "Sì… Beh…"

    Schiarii la voce divenuta improvvisamente rauca.
    Era assurdo. Assurdo tutto l'intreccio di quella faccenda. Io e Kurt parenti. Lontani cugini potevamo dire. Non lo avremmo mai scoperto se non fosse stato per la Strega che mi sedeva di fronte. I nostri destini si erano incrociati solo per caso. Un caso beffardo.
    Abbassai il documento, lo appoggiai sul tavolo e su di esso incrociai le mani stringendole l'un l'altra.
    Non potevo dire di non essere se non proprio turbato, almeno un pochino scosso da quella sorpresa inattesa.
    Grattai la barba pensieroso prima di tornare a guardare Azzurra.

    "Si sa… che esiste del marcio in ogni famiglia. Ora, grazie a te, posso dare nome e provenienza a quello della mia, ma…"

    Drizzai le spalle, poggiai la schiena alla sedia ed incrociai le braccia al petto, studiandola.

    "Perché ci tenevi tanto a mettermene a conoscenza? Sai che questo non cambierà le cose…"

    Se sperava tale parentela potesse creare una sorta di alleanza tra noi, si sbagliava di grosso. Tuttavia ero certo non fosse un'ingenua a tal punto. C'era qualcos'altro sotto. Qualcosa che non riuscivo ad afferrare.

    "E poi perché hai fatto questa ricerca? A quale scopo?"

    Insomma, a cosa le serviva sapere che io e suo marito condividevamo parte del patrimonio genetico?
    E ora che ci riflettevo su, un altro quesito mi scivolò fuori dalle labbra un attimo dopo averlo elaborato.
    Appoggiai entrambe le braccia sul tavolino, sporgendomi verso di lei.

    "Aspetta un attimo… Da dove hai tirato fuori il mio DNA per fare questa valutazione? Non inventarmi la storiella di esserti ritrovata per caso un mio capello tra i tuoi vestiti, non reggerebbe. Stai provando a fregarmi di nuovo, per caso?"

    A sto punto non mi sarei stupito se fosse solo tutta una messinscena per raggiungere chissà quali altri contorti scopi che non riuscivo a prevedere.
    Poteva aver usato un campione di DNA da un parente di Kurt e fatto spacciare per mio.
    Non riuscire ad intuire le sue intenzioni mi innervosiva ed irritava parecchio.
    Cosa voleva ancora da me?
  13. .
    Ero stato ingenuo.
    Completamente immerso nella mia quotidianità, una quotidianità che stavo cominciando a godermi ed apprezzare di nuovo come forse mai avevo fatto prima di allora, avevo creduto veramente che i guai, perlomeno quelli grossi, avessero preso una pausa dalla mia vita. Era troppo pensare non ne avrei mai più avuti. Ero una calamita nel ficcarmi nelle situazioni più complicate, nell'attirare gli imprevisti, i problemi.
    Avrei dovuto insospettirmi.
    Gli ultimi tre mesi erano stati fin troppo tranquilli. Talmente tanto che stavo ricominciando, piano piano, a rimettere piede nel mondo del lavoro, sempre nel mio settore.
    Circondato e sostenuto dall'amore della mia famiglia, mi ero ripreso nel fisico, quasi totalmente. Avevo messo su peso, avevo più vigore, forza e resistenza. La gamba continuava a far male ogni tanto, zoppicavo appena ma non avevo più bisogno del sostegno del bastone.
    E anche le cicatrici meno evidenti, seppur più profonde, quelle nello spirito e nell'animo, stavano iniziando a sanarsi. I terribili, spaventosi ricordi della prigionia degli Oscuri perdevano sempre più nitidezza, a fronte del mio lento recupero di memoria. Ancora non ricordavo tutto. Mi mancavano pezzi fondamentali del mio passato… Però, Venus specialmente, era caparbia e convinta nel voler recuperare ogni immagine, ogni spezzone, ogni emozione, pezzo per pezzo, della mia vita.
    Le ero infinitamente grato per tutto quello che faceva per me, per noi. Ed insieme a questo senso di gratitudine, cresceva nei suoi confronti la forza del sentimento che ci teneva uniti e ci aveva fatto ritrovare nonostante tutte le avversità affrontate insieme e separati.
    Ero convinto davvero di poter essere felice ancora. Di potermelo, forse, meritare.
    Eppure… non mi stupii quando un Gufo, in un pomeriggio soleggiato di inizio primavera, portò con sé una missiva che dette un nuovo scossone alla serenità faticosamente riconquistata delle mie giornate.
    L'animale, elegante ed aggraziato, tradiva le sue origini. Doveva provenire sicuramente da una famiglia abbiente.
    Sfilandogli via la busta, provai una serie di brividi lungo la schiena.
    La sgradevole sensazione arrivò a colpirmi lo stomaco non appena lessi il contenuto e la firma.
    Era di nuovo lei. Non diceva nulla di che, se non che avesse urgenza di vedermi. Ancora.
    Dopo aver ignorato i suoi messaggi, mesi addietro, avevo davvero sperato avesse desistito. Invece no. Eccola di nuovo a bussare con insistenza pronta a minare la tranquillità e soprattutto la sicurezza della mia famiglia.
    Compresi che continuare ad ignorarla non l'avrebbe fatta sparire. Sarebbe tornata a cercarmi. Ancora ed ancora e magari, se avessi perseguitato a non risponderle, avrei rischiato di trovarmela sulla porta di casa faccia a faccia con Venus o uno dei miei figli.
    No, non potevo permetterlo.
    Quindi, dopo averci rimuginato sopra ed aver condiviso le mie intenzioni con la mia compagna, sebbene nessuno di noi due ne fosse entusiasta, decisi di incontrarla.
    Aveva scritto che sarebbe passata ogni pomeriggio alla testa di porco, alle sedici in punto e lì mi avrebbe aspettato, così mi presentai al locale.
    Rispetto all'ultima volta mi avrebbe visto cambiato. La barba ormai riusciva a coprire le piccole cicatrici su un volto riposato ed abbastanza rilassato. Solo l'usuale ruga tra gli occhi tradiva l'irratibilitá per quell'appuntamento non gradito.
    Sotto le vesti leggere, il mio corpo non era più debilitato, ma di nuovo nel pieno del suo vigore.
    Varcata la soglia e dopo essermi guardato brevemente intorno la riconobbi seduta ad un tavolino. Non mi vide subito, aveva lo sguardo rivolto altrove, sembrava pensierosa. Avvicinandomi, mi concentrai sulla mia andatura, volevo che anch'essa risultasse decisa e non troppo claudicante. Non sapevo cosa volesse da me, ma non mi fidavo più di lei dopo quello che mi aveva fatto e conoscendo, per di più, i suoi contatti diretti con gli Oscuri.
    Quando si accorse della mia presenza ero già vicino a lei, presi posto sulla sedia di fronte, senza troppi complimenti.


    "Niente convenevoli Martinengo, cosa vuoi?"

    Tagliai corto, volevo arrivare subito al sodo. Un tempo sarei stato contento di vederla. Avevamo passato dei momenti piacevoli insieme, ci eravamo divertiti, la sua compagnia mi aveva anche aiutato a non deprimermi troppo in un periodo parecchio difficile. Però… purtroppo mi aveva deluso. Si era dimostrata per ciò che realmente era, una donna sconsiderata accecata da un amore malato. Mi aveva usato e non escludevo fosse ancora quella la sua intenzione.
    Alzai una mano, richiamando l'attenzione di una cameriera di passaggio.

    "Un Whisky incendiario… Anzi due."

    Aggiunsi notando la bruna di fronte a me non avesse ancora ordinato nulla. Un po' di alcool avrebbe aiutato a distendere le tensioni. Forse.
    Appoggiando un avambraccio sulla superficie in legno che ci separava la squadrai, serio, ora in silenzio.
    Io ero cambiato, ma anche lei non scherzava. I suoi lineamenti sembravano essersi addolciti, il viso era più morbido, i capelli più lucenti a discapito della fioca luminazione del locale, la bocca più gonfia e carnosa di quanto ricordassi. Però, nonostante l'aspetto più florido, mi dava l'idea di essere parecchio stanca. Non che mi stupisse. Stare dietro ai capricci di un Oscuro come Kurt avrebbe prosciugato le energie a chiunque.

    "Sebbene dubiti delle tue capacità intellettive oramai, dovresti comunque aver ben chiaro non abbia intenzione di essere più di aiuto né a te, né al tuo caro maritino per nessuna ragione. Perciò, se siamo qui per questo risparmia il fiato e le forze. Ne hai bisogno a quanto pare."

    Non era in forma ed intendevo si rendesse conto fosse evidente. Non per lei, ma per me.
    Non era una minaccia concreta se era la prima a mostrarsi debole.
  14. .
    Mi stavano facendo venire il mal di testa.
    Ora capivo perché Kurt dissertasse casa così spesso, non riuscivano ad instaurare un dialogo senza attaccarsi e rimpallarsi le colpe. Avere a che vedere con Oscuro non era di certo divertente, né facile, però diamine anche Azzurra ci metteva del suo.
    Mi massaggiai le tempie al loro ennesimo scambio di frecciatine, sospirai, i miei figli adolescenti erano molto più ragionevoli di quei due.

    "Adesso basta, non vi sopporto più!"

    Ascoltai le ragioni del Mangiamorte con una certa diffidenza. Assolutamente non credevo alla sincerità dell'uomo, però ero sempre convinto del fatto potesse essermi davvero utile così come lui stesso stava affermando.
    Mi venne solo da ridere quando mi assicuró con certezza circa le intenzioni di sua moglie.

    "Lo ha già fatto, mi ha già attaccato. Due volte. Entrambe alle spalle."

    A quel punto guardai la donna, le rivolsi uno sguardo tagliente, celato però da un'espressione tra il divertito ed il derisorio. Continuava a blaterare di dover fare quel dannato test, chissà, forse nel vano tentativo di conquistare le attenzioni del Mangiamorte che non la calcolava se non per urlarle addosso tutto il suo disprezzo.
    Mi faceva quasi tenerezza. Perciò allungai prima a lei la sua bacchetta, invitandola ad andarsene.
    Solo una volta essermi accertato si fosse realmente defilata, feci lo stesso con l'uomo di fronte a me. Gli porsi l'arma, trattenendola nella mia stretta affinché alzasse i suoi occhi di ghiaccio nel nero dei miei che lo fissavano seri.

    "Se stai provando a prenderti gioco di me, la prossima volta ti uccido davvero."

    Era una promessa.
    Aspettai uscisse dal laboratorio prima di ripristinare gli allarmi e tornare al lago.
    Il mio sesto senso mi diceva che avrei avuto a che fare ancora con quei due molto presto. Speravo perlomeno non insieme nello stesso momento. Non li avrei sopportati di nuovo.


    Chiusa
  15. .


    Ascoltai le scaramucce tra i due appoggiato al mio bastone, con aria quasi annoiata.
    Insomma, non mi interessava niente delle loro problematiche Inter coniugali, ne avevano a bizzeffe e questo era evidente ancor prima che si mettessero a bisticciare e rinfacciare accuse.
    Più di una volta avevo alzato le sopracciglia, forse sorpreso, forse incapace di non mostrare del tutto il mio pensiero, ascoltando il Mangiamorte parlare. Ebbene sì, aveva ragione da vendere e molta più razionalità di quanto dimostrasse sua moglie.
    Solo una cosa non capivo. Si diceva convinto di non essere il padre, immaginai fosse perché probabilmente non toccava Azzurra da diverse settimane. In tal caso però lei non avrebbe dovuto avere dubbi sulla paternità.
    Oh, ma era uno spreco di tempo ed energie anche solo rifletterci. La genietta della situazione aveva sparato la sua ultima cartuccia senza nemmeno essere convinta di essere incinta. Era solo una presunzione, o una speranza o banale sproloquio. Semplice delirio di una mente che non sa più cosa inventarsi per… Boh, semplice manie di protagonismo.
    Desideravo andarmene adesso. Andarmene, avvertire Venus fossi tutto intero e metterla al corrente del delirio di quelle ultime ore. Prima però, era assolutamente necessario chiarire dei dettagli, occasione che mi venne presentata dall'Oscuro stesso.
    Lo guardai muoversi per il laboratorio, prendere una boccetta di antidolorifico e sventolarla davanti ai miei occhi, ricattandomi affinché gli dessi la sua bacchetta.
    Martinengo seguì a ruota la richiesta del marito.
    Sospirai, sarebbe stato bello risolverla così facilmente. Purtroppo non era possibile.

    "Proteggerlo… Pf!"

    Mi rivolsi prima di tutto alla mora. Che diamine, più parlava, più dava segni di squilibrio. Dopo avermi obbligato sotto Imperio a salvare l'uomo che invece avevo desiderato veder sparire una volta per tutta dalla faccia della terra, ora mi chiedeva di proteggerlo. Ma per la barba ispida di Merlino, cosa diavolo aveva in testa quella Strega? Api Frizzole?

    "Sì certo stai tranquilla, non appena te ne andrai gli rimboccherò le coperte e gli canterò la ninna nanna."

    Ovviamente non le consegnai il catalizzatore. Visto il suo atteggiamento ero certo mi avrebbe attaccato di nuovo per favorire la sua dolce metà che attendeva, indebolito ma evidentemente fuori di sé dalla rabbia, l'arma.
    Andai ad osservarlo. Io non stavo bene, aveva l'occhio fino ed il particolare non gli era sfuggito. Tuttavia lui stava molto peggio di me. In alcun modo, per di più disarmato, poteva pensare di attaccarmi.

    "Illuminami, perché non possiamo essere nemici?"

    Era ovvio non fosse perché lo avevo richiamato dall'oltretomba. Non era stato per mia volontà.

    "Devo ricordarti che giusto un paio di notti fa hai tentato di uccidermi?"

    Cosa era cambiato in quell'arco di tempo?
    Se non fossi stato tanto indebolito avrei potuto benissimo farlo fuori adesso, sarebbe stato facile, un gioco da ragazzi. Nemmeno Azzurra avrebbe potuto fare alcunché per proteggerlo, tuttavia… io non ero così. Non uccidevo se non avevo motivo di farlo. Non avrei posto fine alla vita di un uomo, sebbene Mangiamorte, se questo dimostrava di non essere un pericolo per me e soprattutto per la mia famiglia.

    "Dammi un motivo valido per fidarmi e ti lascerò andare. Vi lascerò andare entrambi."

    Per dare fiducia ad un Oscuro doveva giocarsi davvero bene le sue carte. Ero certo non gli mancassero Jolly interessanti da buttare in tavola nel momento del bisogno.
    Ebbene, era giunto quello giusto per usarli.
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