A secret I've kept locked away

Helena

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    25 giugno


    Si era preparato opportunatamente, spogliandosi di sentimentalismi e vestendosi di freddezza e scostante grigiore. Aveva lasciato le proprie speranze sul divano della baita, là dove la notte precedente si erano consumate suppliche e promesse, ansimi di turbamenti da sciogliere a vibrare all'unisono. La facilità con cui ricadeva in quelle malsane abitudini gli stava stretta, quasi quanto gli strati di tessuto scuro che gli ricoprivano e mascheravano i connotati. Si aggirava tra corridoi di attese, fiducia, disfatte, rassegnazione, indossando paraocchi assetati di vendetta, criminali. Ci volle un po' prima di raggiungere la stanza in totale calma, prima che i parenti disperati, soffusi tra i dubbi infinitesimali non si trattasse di nient'altro che di stronzi, ma brava gente, si allontanassero da quelle quattro pareti cui il figlio, nipote, cugino si ritrovò a combattere. Ma alla fine toccò al Chesterfield arrestare la sua avanzata. Gli toccò, pregno di adrenalina alcolica e non nelle vene, fissare nella propria mente il dolore patito da Helena per rendere giustificabile quel nuovo atto d'assassinio che l'avrebbe marcato forse più del precedente. Fissava il suo corpo addormentato, chiuso in sospiri ed abiti camuffati. I suoi occhi sfoggiavano una crudeltà che non gli apparteneva. Le sue mani tremavano tradendo il patimento che lo consumava dall'interno. 'Tranquillo, farò in modo che il tuo amico Lorence ti raggiunga presto.' Sussurrò all'addormentato ragazzo, prima che l'insistente segnale dei macchinari si zittisse in assenza di corrente. Forse sarebbe stato sufficiente, ma in quel mondo lasciare spazio alle incertezze sarebbe equivalso a scavare la propria fossa. Di fatto, rapide, le sue mani corsero al suo collo, alla faccia, opprimendo la gola, il naso, la bocca, qualsiasi angolo di respiro che lo legasse ancora a quel mondo. E solo quando si rese conto di aver portato a termine il proprio operato, di aver assistito alla brutalità con cui la vita lasciava il suo corpo, allora riattaccò i macchinari. Una linea retta, un "bip" continuo ed insistente. Un nuovo peso da sopportare nel petto, mentre cancellava ogni traccia del proprio arrivo. 'Questo è per Helena.' E solo per lei avrebbe accettato di rivestire quel ruolo da assassino.

    27 gennaio


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    Siede su una panchina di ferro, nascosta in un borgo pacifico di Londra. Mentre la terza sigaretta si consuma tra le sue labbra, la schiena aderisce con stanchezza alla parete di un palazzo qualunque, in un giorno qualunque di una vita qualunque. Soffia via pensieri sconnessi, tra lo stucco imbrattato di scritte, ricolmo di sogni più o meno superficiali, di promesse mature o acerbe, di spensierata giovinezza o consapevole esperienza. Di vita, vissuta e vivente, passata e presente. Lontana dal vuoto che avvolge lui. Ci è voluto un po' di tempo per adeguarsi a quel segreto trattenuto, Helena l'unica con cui condividerlo. Lei però, sotto la spinta di tossica consapevolezza sollevatasi in entrambi, non è stata più così vicina. Si sono dati del tempo, senza azzerare i contatti, solo assopendoli appena, limitandoli da remoto. Hanno avuto modo di ritrovare se stessi. O forse si sono persi di più, lasciando andare le vane certezze che si erano reciprocamente cuciti addosso, soffiate via dal flusso della distanza. Non è tuttavia una sorpresa che l'attesa del Chesterfield si riduca ad un incontro di cui è proprio la Haugen ad essere protagonista. Lei, come uno scrigno di confidenze e timori, è stata la prima a venirle in mente quando troppi interrogativi hanno preso ad affollargli la testa. Non le ha anticipato nulla. Le ha solo chiesto di incontrarlo, servendosi di un gufo spoglio, di un messaggio slegato dalle loro consuetudini. Passi lenti e cauti i suoi, per comprendere come, se addentrarsi di nuovo nella vita della ragazza. 'Ehi.' Esordisce nel vederla, un cenno del capo ad accompagnare la sua voce, prima di invitarla a sedere a sua volta al suo fianco. 'Grazie per essere venuta.' Sincero, racchiuso in un'angoscia che ha bisogno di dimezzare con l'unica che abbia il potere di recuperare il suo dolore e renderlo meno soffocante. 'Come ti vanno le cose?' Prima di inglobarla di nuovo nel proprio mondo marcio, vuole rendersi conto di cosa il tempo abbia comportato in lei. In loro.


     
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    29 giugno
    Era successo di nuovo. Non capiva come potesse essere possibile. Si impegnava a votarsi ad una vita normale, quasi noiosa, e finiva con l’ottenere l’esatto opposto. La cosa peggiore era che le persone a cui teneva, e che tenevano a lei, si spingevano con lei oltre il limite del consueto. Era quella la normalità. Eccedere nella propria esistenza. Lasciare che la propria anima si piegasse dinanzi l’ennesimo errore e poi andare avanti, trascinandosi dietro il proprio carico di negative emozioni, fingendo di non averne.
    Mason aveva ucciso per lei. Si era sacrificato, di nuovo, per salvarla.
    La riconoscenza dovuta e il dolore provato li avevano fatti ritrovare nudi su un divano scomodo. Giorno dopo giorno però, il fantasma di quell’errore aleggiava tra loro. Opprimeva i loro gemiti, incupiva i loro volti. Stavolta Helena non era riuscita a lavare il sangue dalle mani di Mason, e le sembrava chiaro il ragazzo se lo sentisse addosso. Lo percepiva in ogni suo respiro. Si era rassegnato a quella vita e alla sua sofferenza. Lo aveva fatto per lei, ed Helena non poteva più accettarlo.
    Dopo aver visto il modo in cui Mason evitava il proprio sguardo allo specchio, Helena aveva scelto per entrambi spazio e tempo. Per la prima volta, era sembrata ad entrambi una scelta plausibile. Nessuna lite, nessuna tragedia.
    Aveva viaggiato, portandosi lontano da ogni dettaglio che potesse ricordarle la sua vecchia vita. Ci aveva provato almeno, stupidamente convinta bastasse oltrepassare l’oceano per non essere più perseguitata da vecchi timori. La solitudine e la malinconia non fecero altro che alimentare il suo tormento e l’unica soluzione trovata a quel patimento, fu una costante e ricercata sensazione di smarrimento. Era per quello che si dedicava a feste, azzardi, assordanti serate tra amici fittizi. I social a cui la sua generazione era tanto avvezza, mostravano il profilo di una ragazza rinata, felice e forte, che si riappropriava della spensieratezza che le era stata preclusa.
    Quando le feste finivano però e lei restava sola, l’unico palliativo al panico che tornava a prenderla per il collo spezzandole il fiato, era un pillola sciolta sulla lingua. Il mondo perdeva i suoi contorni e lei si lasciava andare.
    27 gennaio
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    Aveva tentennato dinanzi a quel gufo. Le comunicazioni tra lei e Mason non si erano interrotte del tutto. A volte si ricercavano rivolgendosi convenevoli. Altre, più rare, si concedevano a vecchie rimembranze condite di un’amara nostalgia. Era stata Helena a chiamare la sua voce allo specchio l’ultima volta, più di un mese prima. Visibilmente su di giri, aveva ricordato di loro, di un affetto provato a cui non aveva mai saputo dare un nome, di fisiche sensazioni che, ebbra, non aveva avuto timore di confidargli con voce roca, tra sospiri lenti terminati in una brusca interruzione e in un pianto imbarazzato.
    Lo sapeva che rivederlo sarebbe stato inopportuno ma il potere che sortiva su di lei, sembrava essere più forte dopo tutti quei mesi. E la sua smania di eccessi, richiedeva la sua spalla.
    «Ehi.» Lo aveva raggiunto tardando di circa dieci minuti. Vedendola, chiunque avrebbe detto di avere dinanzi la vecchia Haugen. Di nuovo a suo agio in pantaloncini molto corti e con un trucco calcato. Gli si sedette di fianco, rubandogli la sigaretta tra le dita per concedersi l’ultimo tiro. Sospirò il fumo al cielo, tirando indietro il capo per tirare fuori il fumo, prima di gettare la cicca sull’asfalto.
    «Bene credo.» Rispose facendo spallucce, puntando lo sguardo oltre le nubi in lontananza. «Sono stata sei mesi a New York ma te l’avevo già detto.» Aggiunse poco dopo, facendogli dono della stessa versione che aveva dato a chiunque. La visione di una lei felice, libera, era la consolazione che voleva dare al mondo anche se non corrispondeva a verità. Nessuno avrebbe dovuto preoccuparsi di lei, non più. Di sicuro non avrebbe dovuto Mason. «Londra cominciava a starmi stretta, avevo bisogno di cambiare aria e ritrovare me stessa. Non c’è posto migliore della grande Mela e di un gin tonic per l’introspezione.» Sorrise con un mezzo cenno, prima di rivolgergli uno sguardo. Non gli chiese di rimando come stesse. Il timore era quello di ricevere una pessima risposta che avrebbe alimentato il senso di colpa che aveva tentato di soffocare. Estrasse una chiave dalla tasca degli shorts, mostrandoli all’altro. «Ho un auto. E’ quella.» Indicò l’auto dei suoi genitori che aveva sottratto nonostante la mancanza di patente. Era ben conscia che quel che avrebbe dovuto dirle richiedeva un clima particolare e una tranquillità assoluta. Nulla che una panchina in un parco potesse offrir loro. «Dimmi quel che devi mentre arriviamo in un posto in cui possiamo tranquillamente fumare questa.» Aggiunse poco dopo, mostrandogli una sigaretta d’erballegra già rollata.

     
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    Quella di Helena appare come una messa in scena ideale. Ha scavato nel passato, recuperando di sé quei tratti che tanto la caratterizzavano, rifacendoli propri, provandoci nel tentativo quella serenità svanita possa fare ritorno tra le membra della sua essenza. Per un attimo persino Mason si ritrova a credere quella distanza le abbia giovato. Solo un attimo, forse nell'amara speranza di potersi aggrappare ancora alla consapevolezza lei sia migliore, felice, lontano da lui. Eppure c'è meccanicità nei gesti della ragazza, latente ed evidente al contempo, perché l'occhio attento e consapevole del Chesterfield ha imparato negli anni a scavare oltre le facciate superficiali di un po' di trucco e frivolezze soffiate tra un tiro di sigaretta e l'altro. Ascolta tuttavia le sue confidenze, sforzandosi per l'ennesima volta di credere alla meraviglia di quella parentesi ricercata altrove, eclatante ed esplicita per la maggior parte delle giornate, prima che i vaghi e rari sospiri di realtà affrante taciute si lasciassero scorgere in pochi picchi di fragilità suggeriti al loro specchio. Si tratta comunque di una reazione ed è un sollievo approssimativo saperla impegnata a combattere - o eludere - il proprio malessere piuttosto che arrendersi ad esso, lasciarsene vincere. 'Non so, i cocktail non sono roba mia.' Vorrebbe suonare diverso, smorfioso e sbruffone come in quella stessa dimensione temporale accolta dall'altra, quando gli era semplice darle filo da torcere, farlo con la leggerezza di chi non sopportava ancora il peso di così tante croci e conflitti sulla propria coscienza. La sua capacità di fingere si è però esaurita assieme alla voglia di ritrovarsi diverso, estraneo a quell'oscurità che lo avvolge ora più che mai. A ruoli invertiti, è lui adesso che non trova appiglio ad altre realtà. E' lui che si arrende, forse senza aver mai provato seriamente a combattere. Solleva lo sguardo verso l'auto indicata dalla ragazza. Un mezzo sorriso sbuca fuori accidentalmente sulle sue labbra. Un secondo, solo uno, in cui cancella il grigio dai propri occhi per dedicarsi a qualcosa di consueto, stranamente rassicurante. 'Certe cose non cambiano mai, mh?' Vale tanto per la bravata della macchina, quanto per il secondo invito rivoltogli. Un'offerta di pace, di calma reciproca cui straordinariamente non tentenna a cedere.

    Si ritrovano in macchina poco dopo, alla ricerca di una libertà da condividere. Di una spensieratezza che cozza tremendamente coi motivi alla base di quell'incontro ricercato. E va bene così. Incrocio dopo incrocio, svoltano tra i quartieri più silenziosi e vuoti della città. Affiancano il fiume, ripercorrendo vecchi sentieri battuti agli albori del loro rapporto, dai più confortevoli a quelli che hanno raccolto i loro frantumi disperati. Una sequenza di dejavu, di diapositive che scorrono con tutto ciò che la malinconia trasmette di bello e di brutto. Riempie i primi minuti di quelle stesse chiacchiere di poco conto che li hanno intrattenuti di tanto in tanto negli ultimi mesi. Solo dopo aver recuperato un po' di coraggio e la forza per poter mettersi di nuovo a nudo senza trasformare il momento in un'imminente tragedia, si decide a concederle qualche spiegazione. 'Ricordi quella storia sulla mia famiglia e sulla presunta colpevolezza dei miei zii?' Un piccolo passo indietro, verso tristi spazi che hanno condiviso. 'Ho avuto modo di scavare a fondo... e più mi avvicino ai loro crimini, più mi sembra di allontanarmi dall'accaduto.' Ne parla con un filo di freddezza in meno, chiuso però in una serietà che ben comunica quanto importanti quelle risposte ricercate siano ancora per lui. E' un tassello indicativo, quello, che non è mai mutato nel tempo. 'Credo che gli Hollingsworth siano coinvolti, ma non in prima persona.' E se da un lato ha provato sollievo nel constatarlo, ritrovarsi di nuovo immerso in un mare di ambiguità ed enigmi l'ha destabilizzato prepotentemente. Aggira un ultimo angolo, prima di ritrovarsi in un anfratto grondante di familiarità. Il ricordo di fuochi d'artificio e confessioni su un futuro incerto e limitante per entrambi, nella notte di un primo capodanno passato insieme, si ferma solo sotto il suono sferzante del freno a mano tirato su. Il motore si zittisce ed un silenzio appena pesante si frappone tra loro, rotto dalla palpabile preoccupazione incisa nella voce del Chesterfield. 'C'è qualcosa che Hubert non mi dice.' La più desolante delle constatazioni, vicina probabilmente a tutti i sospetti che Helena in fondo ha di consuetudine riposto in quell'uomo. 'Devo scoprire cos'è.' Si libera quindi di quel peso che ha macerato nel suo petto insieme al resto. Prende un attimo di tempo, lo concede ad entrambi, attendendo che l'offerta della Haugen entri in gioco, accesa da lei stessa per poter digerire quel carico di angoscianti realtà e permettere poi a lui di fare lo stesso. 'Lo so, è un'idea del cazzo, ma ho pensato che tu fossi l'unica a potermi aiutare.' A poter stargli vicino, anche soltanto proteggendo confidenze che nessun altro potrebbe mai reggere tra le mani. 'Non voglio rovinarti l'umore, però avevo bisogno di parlarne e non volevo farlo attraverso un cazzo di specchio.' Rivela infine con sincerità, pregando fino all'ultimo istante di non vedere un solo briciolo di turbamento fiorire sul volto della ragazza.


     
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    Gli rivolse un mezzo sorriso, di quelli che la sapevano lunga. Il motivo principale per cui apprezzava la compagnia di Mason e la ricercava comunque nonostante i loro alti e bassi, era il modo in cui riusciva a comprenderla, conoscerla e mai giudicarla. Non la faceva sentire come la pecora nera della famiglia nè come la ragazzina bugiarda o presunta tale che aveva inventato un’accusa, poi ritrattata, poi tirata fuori di nuovo. Con lui era solo Helena, una ragazza spinosa ma con cui vivere non era poi così male o impossibile. La vita con lui non era così male. « Non le buone abitudini.» Rispose quindi al suo commento, affidandosi a lui lungo quel nuovo tragitto insieme.
    Mason guidò per venti minuti ed Helena si impegnò a condire il silenzio con canzoni cantate male e chiacchiere leggere. Si finse normale come qualche volta si illudeva di poter ancora essere. Il posto in cui si fermarono, un ampio parcheggio buio e abbastanza isolato in cui poter parlare in tranquillità, accese la sigaretta, concedendosi un paio di tiri prima di condividerla con l’altro. Fu piacevole la complicità di quei gesti. Silenziosi e naturali. Le parole in quel contesto sarebbero state superflue. Lo erano senz’altro.
    Il fumo inondò l’abitacolo e le loro menti, rendendo il clima appena più disteso. Non fu il fumo però a dare ad Helena l’input di liberarsi delle catene di rigidità degli ultimi anni. Con naturalezza, quella che sembrava mancare tra loro da più di un paio di mesi, poggiò la schiena contro la portiera alle sue spalle, allungando le gambe sulle sue. Un gesto che sarebbe potuto sembrare persino eccessivo visti i limiti che si era autoimposta nell’ultimo periodo. Aveva passato così tanto tempo a chiudersi in se stessa che aveva quasi dimenticato come fosse ricevere calore dalla persona giusta.
    Liberò la propria mente da qualsiasi pensiero superfluo, prestando a Mason e alle sue problematiche tutta la sua attenzione. Avrebbe voluto dirsi sorpresa di veder affrontare un simile argomento ma non lo fu. Mason non aveva mai superato quell’ostacolo e come avrebbe potuto dopotutto? Helena si sentì in quel momento un’egoista. Aveva sottratto all’altro tutto il tempo e le forze necessarie per reagire dinanzi all’ingiustizia più grande della sua vita. Quel che avrebbe potuto fare a quel punto era dedicargli tutto il proprio tempo.
    Indugiò solo un attimo prima di rispondergli. «Hai prove concrete o è soltanto una tua sensazione?» Una domanda importante da cui partire. Doveva capire a che punto fosse in quella crociata, così da poter dargli tutto il supporto desiderato.
    Si sporse verso lui rubandogli la sigaretta che gli aveva porto per concedersi un nuovo tiro. Respirò tra loro il fumo bianco, tirando su lo sguardo per incatenarlo a quello dell’altro.
    «Ci sto, ma ad una condizione.» Alzò un dito, aspettando qualche attimo prima di proseguire. «Qualunque cosa accadrà, intendo qualunque sul serio, sarò al tuo fianco, non alle tue spalle. Sarò tua complice in tutto.» Non era negoziabile. Mason si era sacrificato per lei tante e troppe volte. Non sarebbe più dovuto accadere. «Non devi prenderti altri malefici per me. Non scapperò se non lo farai anche tu. Saremo insieme, dall’inizio fino alle fine.» Annuì, mostrando tutta la sua convinzione mentre gli esponeva quelle parole. Non era il capriccio di una bambina, ma le condizioni di una donna, di una partner. Stava a lui adesso essere abbastanza coraggioso da accettare. «Se puoi accettare che una ragazzina ti salvi il culo, allora possiamo cominciare anche subito.» Lo guardò con un sorrisetto di sfida.

     
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    'Ho qualcosa.' Sorride appena, forse invaso dalla leggerezza che il fumo detta, forse dall'atmosfera di una pacifica riconciliazione. In qualche modo, tra le tremolanti immagini dei loro profili assuefatti, i loro sorrisi vanno a coincidere. Una rarità, considerati gli ultimi tempi, se non persino la stampa sbiadita di una pagina appartenente a tempi remoti ormai caduti. Vorrebbe tirarsi indietro alla proposta dell'altra, eppure la consapevolezza della caparbietà di Helena allontana istantaneamente quella possibilità. D'altro canto, forse è il disperato bisogno di ricevere calore, un appiglio o appoggio che sia, a riempirlo di una gratitudine che ripone speranza in quell'alleanza ritrovata. 'Perché, ho scelta?' Esordisce quindi, sorridendo sommessamente mentre una mano, spontanea raggiunge il ginocchio dell'altra, il palmo a sfregare con affettuosa familiarità la pelle diafana ed appena fredda. Nulla di anomalo, se solo la linea temporale fosse diversa. Relegata a quel passato che hanno messo da parte nel loro presente. Sembrano addentrarvisi con l'incuranza di chi calpesta ogni buon proposito messo in chiaro. Un circolo di cattive abitudini cui tengono fede con la stessa costanza di un tempo, le gambe di lei sulle sue, le mani di lui su di lei. 'Posso accettare che una donna mi salvi il culo.' Un muto ringraziamento, condito dall'immagine giustamente riformulata della ragazza. Helena è cresciuta, lo ha fatto a prescindere dal numero di candeline spente su una torta di compleanno. Le sue esperienze hanno modellato il carattere di una donna, fatta di tante cicatrici quanto di suture che ha saputo apporvi per andare avanti. E' tornata a respirare, forse momentaneamente, forse con un briciolo di fermezza in più. Non può fare a meno però, perso in quella nuova, piccola parentesi di serenità, di augurarle si tratti solo del primo passo verso la libertà vera. Non l'unico prima di una nuova caduta, né l'ultimo da compiere nell'arco della propria vita. Tira ancora un po' di quieta imperturbabilità, prima di essere lui stesso a riporre la sigaretta tra le labbra dell'altra, i polpastrelli a sfiorarle senza il minimo ripensamento. Un tuffo nel passato, in testa e nelle parole pronte a raggiungerla. 'Cazzo, avevi sedici anni quando ti ho incontrata in quel vicolo.' Permane quel sorriso stampato sulle sue labbra, un po' consapevole, un po' nostalgico. Lo aiuta ad affievolire il sangue che sino a pochi minuti prima vedeva scorrere sulle proprie dita. Non una sorpresa, solo forse l'ennesimo passo azzardato che i due hanno deciso di compiere, insieme. 'Che pedofilo di merda.' Ghigna appena, un soffio di risata leggera a condire le nuove immagini che lascia scorrere tra loro. Quelle di un vissuto condiviso, turbolento senz'altro, ma il più forte ed emotivamente appagante che abbia mai fatto parte della sua vita. Quello che rimpiange ogni giorno, soffocandone il ricordo su ricerche che sistemino anche solo un pezzo della sua storia crepata. Poi passa ad altro. Si distende anche lui, la schiena appena inclinata in direzione dell'altra, le dita a tamburellare noncuranti appena sotto il ginocchio, giochicchiando un po' con gli indicativi calzettoni che sbucano fuori dai suoi scarponi, un po' con la cerniera di questi ultimi. Nella voce, la speranza di ricevere una nota positiva vestita di sincerità da parte dell'altra. 'La "Grande Mela" sembra averti fatto bene.' Sembrare, un dettaglio che non può tuttavia ometterle, calcando nelle orecchie di Helena la consapevolezza non basti così poco a cancellare tutto il male cicatrizzatosi sul suo vissuto. Magari però condire quell'esistenza di esperienze simili può rendere l'atmosfera meno pesante. Fornirgli scenari diversi, più distesi, la prossima volta che i loro volti s'incontreranno in uno specchio. 'Pensi di tornarci o resterai qui definitivamente?' Il solito ago della bilancia disperso nei suoi sospiri: la voglia di lasciarla andare ad un mondo migliore ed il desiderio di vederla, tenerla, ancora.




    Edited by numb - 16/2/2023, 18:03
     
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    Gli mostrò il dito medio, accompagnato da una smorfia. Un modo semplice di tornare alla loro mai scontata monotonia, a quella complicità che dopo tante peripezie non si era mai persa, nè incrinata. C’erano stati momenti in cui l’oscurità del male che stavano vivendo non aveva reso facile vedersi, non era stato facile esserci. Il tempo passato, scontato dietro le sbarre di quelle sofferenze, non aveva cancellato il loro dolore, lo aveva solo lenito. Ed ora, in qualche modo, sapienti per l’esperienza vissuta, si dicevano pronti a far combaciare i loro mali in quel modo che era solo il loro. E andava bene così. «E meno male, o saresti spacciato.» Lo canzonò, fingendosi vestita di quella superiorità che aveva sempre usato nel rapporto con gli altri. Il loro rapporto non prevedeva un prevalersi l’uno sull’altro. Era muta ed eguale alleanza.
    Accolse la sigaretta offerta dall’altra, stringendo tra le labbra quella cicca che sapeva di lui. Ne avevano passate tante insieme. Si erano visti e conosciuti in così tante sfaccettature da dirsi ormai privi di vergogna nei confronti dell’altro. Eppure dinanzi a gesti così spontanei, dolci, il suo corpo ancora reagiva. La sua presenza era epinefrina. Le bastava un contatto per esplodere in reazioni che, nonostante la sua volontà, non riusciva a reprimere. Le pupile dilatate, le gote rosse, il cuore a mille. Dopo, da sola, si sarebbe data della cretina.
    E ricordare di quei momenti passati, di quegli stralci quasi cinematografici di un vissuto insieme, non aiutò a placare il suo corpo. Fu però l’amarezza della malinconia ad accompagnare ogni battito impazzito del suo cuore. « Eri più infantile di me. Lo sei ancora.» Non lo erano mai stati. Il mondo di sofferenze che si portavano dentro, li avevano resi solo estranei a quella realtà omologata.
    Fece spallucce alle sue parole. Avrebbe voluto realmente acconsentire alle sue parole. Dirgli che sì, un viaggio era bastato a cancellare quanto di brutto avevano vissuto. Ovviamente non era così. Da quello squarcio nella sua anima, non avrebbe mai potuto trovare reale sollievo. «La grande Mela non può starmi dietro.» Si adeguò tuttavia al personaggio che aveva sempre interpretato. La ragazzina ribelle che non poteva essere contenuta in alcuna regola. Si girò verso di lui, le gambe tirate su sul sedile, le scarpe lanciate via. «Non ci tornerò.» Una risposta veloce alla sua domanda. Una rassicurazione che aveva da fare ad entrambi. Non voleva più scappare. Non aveva alcun senso continuare a farlo. Ci aveva pensato molto in quei mesi. Sapeva che non avrebbe trovato rimedio a quel che provava, e che il dolore lo avrebbe portato con sè per sempre, ma andar via di lì, da lui, era stato anche peggio. «Ho delle cose che mi tengono qui e scappare è del tutto inutile. Ci ho messo un po’ a capirlo.» Con le gambe incrociate, rimase a guardarlo intensamente per qualche attimo. La schiena rilassata poggiata al finestrino alle sue spalle, una mano a reggere la sigaretta mentre si concedeva un altro tiro. E si concesse un attimo in quella semplicità. In quella complicità. In quelle confidenze fatte senza problemi e senza pretese. In quel batticuore che ancora non la lasciava. Si era preclusa in passato ogni sensazione per paura di soffrire e ne aveva sofferto comunque. Ora si sentiva decisa a liberarsi di ogni limite e costrutto. Voleva tornare indietro,a quando si erano conosciuti ed ogni azzardo era vita. Spinse il busto contro di lui, lentamente e senza irruenza. Posò una mano sulla sua guancia ruvida di barba, prima di posare le labbra sulle sue e mentre gli rubava un bacio, soffiava sulle sue labbra il fumo trattenuto fino a quel momento. La mano di lui portata sulla sua coscia, spinta oltre i limiti che lei stessa si era imposta. «E tu? Dove vuoi andare?»


     
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    rRzefpo
    Vorrebbe fosse vero, possedere la libertà di dichiarare le loro storie immature, i loro vissuti conditi d'infantilità e spensierata scelleratezza. Hanno condiviso anni che chiunque altro trascorre nei più leggeri degli scenari, e l'hanno fatto muovendosi tra attimi di soggiogamento ed umiliazione, sospesi tra crudeltà ed ingiustizie. Rari si sono stagliati in quel brullo complesso d'amara sussistenza quegli anfratti di tregua, reciproca ed agognata fino allo stremo. Momenti simili a quel presente costruitosi sotto il tettuccio di una macchina che non gli appartiene, rubando tempo e spazio ad un universo che non li ha mai accolti senza filtri o indignazione. Va crescendo la complicità mai svanita che freme per tornare a galla ad ogni buona opportunità. Si imprime sulle guance di Helena, sui suoi occhi dilatati da palpitazioni incontrollabili, le medesime che Mason maschera con maggiore capacità, sebbene siano le smorfie sul suo viso a tradire il ritorno a sensazioni che l'altra conosce bene. Tornano a vedersi, per un attimo, sperando forse quell'ennesima nicchia di emozioni e confessioni senza veli duri di più, per una volta. Più di un battito di ciglia. Più di un alito di vento in un torrido pomeriggio d'estate. Utopia che preme puntualmente l'interruttore del passato, riportando in vita ciò che è stato e che sperano esista anche solo un'altra volta. 'Meglio tardi che mai. Così si dice.' Commenta fintamente impassibile alle parole dell'altra. Eppure lui, il suo cuore, hanno sussultato sbalorditi nell'esatto istante in cui tale consapevolezza ha sfiorato ancora una volta le labbra della ragazza. Quella prolungata assenza è sembrata così reale da solidificarsi in un inscalfibile risultato. Ha creduto che in quei sei mesi si sia fossilizzata con ufficiosità la sentenza ghigliottinante della loro relazione, di sconosciuta ma placidamente plasmata entità. Quella latenza sollevatasi di tanto in tanto sotto gli occhi della luna silenziosa, e delle stelle complici di quel segreto, gli è sembrata sgretolarsi sotto la potenza di un esulcerazione fatale. Nessuno dei due è sembrato più disposto a farsi carico di quella tossicità contagiosa. Ma il cuore ha sempre qualcosa in serbo per chi ne possiede uno; ci mette solo più tempo, quando le pareti d'indifferenza poste lì per proteggerlo s'inspessiscono al punto da rendere quasi impossibile distruggerle. Ad Helena basta sempre poco, un tanto di accenno, un tocco col dito, un sospiro vicino a quello di Mason, per frantumare quella finzione che lei, solo lei, è capace di disintegrare con facilità estrema. Con la mano che sfiora la sua barba, al ragazzo appare già palese il proseguo di quelle idee. Di contro, debole, non trova forza di volontà per opporvisi, per sfuggire all'incontro delle loro labbra, lo stesso identico sapore che la malinconia innesta naturalmente. Come nulla fosse cambiato. Sono le sue dita a tentennare tuttavia. Si lasciano condurre dalla ragazza nella richiesta di un nuovo azzardo. E per un attimo, sfuggente ed incerto, i polpastrelli indugiano tra il lembo degli shorts ed il calore di quella pelle non più sua, ma ancora tremendamente familiare. Sono gli occhi quindi ad intervenire; cercano nello sguardo di Helena una risposta. E' l'assuefazione a guidare la sua incoscienza? O è solo la chiave d'accensione di un desiderio altrimenti dissipato in una costrizione scomoda? 'Helena...' Un sospiro, un fiato che raccolga il fumo da lei soffiato, una completezza che renda reale quel momento. Non il sogno che ha più volte bussato alla sua porta, in notti di emarginazione ed amarezza. Non il riflesso di uno specchio perso poco dopo nella vergogna. Il susseguirsi di quelle immagini cancellano ogni perplessità. Sovrappone la propria solitudine a quella dell'altra. Le loro necessità si incontrano, al seguito della mano di Mason che si dirige sapiente dove Helena ha bisogno. Via il bottone, giù la cerniera. 'Da nessuna parte.' E' la risposta più sincera che possa offrirle, la più seria sebbene il raziocinio cominci ad annullarsi sotto la prepotenza di una voglia spropositata. Di un'aspirazione smaniosa, che sappia affiancarsi a quella dell'altra senza violarla, né sopraffarla. Avanza così per un po', permettendole di abituarsi a quel percorso ritrovato e riottenerlo, farlo proprio con la stessa naturalezza di un tempo. E lui stesso si affianca a quei sospiri, incentivandoli mentre il volto ed il busto si avvicinano ai suoi, oltrepassando il sedile, col solo intento di rivelarsi a sua volta. 'Questa è casa mia.' Lei. L'unico spazio in cui voglia abitare. L'unica dimora in cui accomodarsi e ripararsi. Una realtà che suggella con un secondo bacio, celere, come un calcio d'inizio che la renda consapevole degli stessi bisogni, degli stessi desideri reconditi mai cancellati, soltanto soffocati da impegni che non hanno mai davvero risanato la sua mente. E resta a labbra schiuse sospirando contro le sue il crescere di quella sete, sfiorando i sospiri di Helena col fiato pregno di soddisfazione e graduale impazienza. Al limite della stessa, si tira indietro, trascinandola con sé, su di sé, cavalcioni sul sedile di guida. Si riappropria del suo corpo con mani frementi, intente a scacciare gli shorts che ancora indossa, imboscate sotto i tessuti che ricoprono il suo addome alla ricerca di tutte quelle forme che ha imparato a memoria, che ricorda ancora come se non fosse trascorso un solo giorno dal loro ultimo incontro. Sono gli stessi odori, gli stessi sapori, la stessa incontrollata gratificazione, il compiacimento, che li hanno accompagnati per tre anni di turbolento ma inarrestabile viaggio. Solo un attimo la mano destra arresta la propria corsa, per guidare quelle dell'altra sui lembi della tuta indossata, su quegli stessi sentieri scontati, condotti alla ripetizione di uno schema da smezzare ancora, tra i vetri appannati di uno scrigno che custodisca un nuovo segreto da apporre alla loro storia.


     
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    Ricominciare. Farlo ripercorrendo gli stessi passi del loro vero inizio, fu divertente. Illuminante. Si muovevano con un tempo ma con una consapevolezza maggiore. I loro corpi, le loro menti, non erano privi dei dolori vissuti in quegli anni, ma consci delle sofferenze proprie e altrui, si mischiavano senza timore. Non evitavano le loro ferite, ma le sfioravano con sapienza. E non c’era dolore, ma sollievo. Un respiro. Sospiri, come quelli che la mano dell’altro le strappava, che si univano alla voglia di avere e di aversi. All’impazienza di incontrarsi.
    Sulle sue gambe, le labbre a sfiorare le sue, si riconobbe. Dopo mesi di divagare, di perdite, ora si sentiva. «Anche la mia.» Biascicò contro di lui, seguendo il percorso che la sua mano le imponeva. Si rese conto di aver desiderato così tanto lui e quel momento, da aver sofferto per mesi. Inutilmente. Si era costretta ad una distanza che avrebbe dovuto salvarla ma la sua salvezza era lì, e trattenersi oltre sarebbe stato stupido. Trattenersi, non l’avrebbe più fatto. Lo baciava, come se da quelle labbra colasse il nettare di vita che le era mancato nei tempi passati. Muoveva la mano come se i sospiri di lui potessero alimentare i suoi. E fu così. Quando i corpi d’entrambi cominciarono a tremare d’impazienza, fermò la mano e quella dell’altro. Si liberò dei pochi impicci rimasti a separarli, e con un sospiro più forte, si unì a lui. Fu frenetico e disperato. Fu famelico ed assetato ma fu tutto ciò di cui sentì di aver bisogno. Fu la consapevolezza d’essere tra le mani dell’unica persona che era sempre stata dalla sua parte. L’unica che le avesse mai dimostrato amore e per cui, di rimando, ne provasse anche lei.
    I vetri opachi nascosero i loro corpi mentre l’auto si riempiva dei loro gemiti. Poi il silenzio, delimitato solo dai respiri affannati dei loro corpi. Poggiò la fronte madida contro quella di Mason e rise. Una risata cristallina. Piena. La risata di gioiosa di chi si ritrova dopo tanto tempo e sta bene come prima. Anche di più. In un impeto di inspiegabile affetto, lo abbracciò, posando un bacio sulla sua guancia ruvida di barba. E godette di quel gesto, di quell’affetto, dei loro corpi ancora così vicini. Per la prima volta dopo troppo tempo si sentì felice.
    Si concesse di godere di ogni secondo di quel momento. Soltanto quando il freddo cominciò a pizzicare sulla pelle, tornò alla realtà, sciogliendo l’abbraccio ma non allontanandosi da lui. «Quindi…» Cominciò, con quel sorriso impossibile da nascondere ancora stampato sulle labbra. «Ti sei ripreso o la tua età ti richiede una pausa più lunga?» Lo punzecchiò com’era solita fare in precedenza, mentre afferrava la sua felpa per indossarla. «Abbiamo degli stronzi da prendere a calci in culo, no?» E lo avrebbero fatto. Sentiva che sarebbero riusciti in qualsiasi cosa da quel momento in poi. Le sarebbe bastato stare insieme.


     
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