-
..
-
.E’ strano averlo a casa. Vivo con il costante timore possa succedergli qualcosa di brutto - tra queste mura non sarebbe così irreale - eppure non riesco a lasciarlo andare. A volte mi capita di osservarlo in silenzio mentre la mia mente è bombardata da pensieri che non capisco e non accetto. Se mia madre potesse guardarmi dentro, mi aggiungerei probabilmente alle vittime in cantine e quando nel mio inconscio si fissa l’ipotesi di essere sbagliato, il benessere lascia spazio ad un’agitazione incontrollabile. L’idea di essere un abominio mi repelle. Solitamente la metto a tacere con un po’ di polvere bianca. Chiuso nella mia stanza, tiro su un po’ di felicità e l’adrenalina che mi scorre nelle vene annienta ogni altro pensiero. Lo faccio anche oggi. Mi nascondo nella mia camera, mi nascondo da Drayton e da ciò che mi provoca, concedendomi una parentesi di pace. Così immagino possa essere. Presto però mi ritrovo a ricredermi. Quando raggiungo il salone e più lontano il corridoio che porta a parti di questa villa che non dovrebbero esistere, mi coglie un senso d’angoscia. Paura oserei definirla. Vedere la porta dello scantinato aperto mi toglie il respiro. Provo a richiamare Drayton prima di fiondarmi di sotto, ma quando non ricevo risposta, corro a perdifiato.
Tic toc, è il rumore delle lancette che mi pesano sulla testa. Tempo. Mi sembra di non averne più. Ogni passo sembra rallentato mentre scendo le scale a due a due. I miei genitori potrebbero essere qui da un momento all’altro e quel punto cosa accadrà? Lo so cosa accadrà. Dinanzi agli occhi, mentre supero gabbie di inumanità, vedo sangue, catene. Vedo la sua testa bionda lontana dal suo corpo. Quando finalmente lo vedo, lo afferro per un braccio in malo modo, strattonandolo per richiamarlo a me. “Sei sordo o pazzo?” Pazzo. Folle. Morto. Ignoro quello che dice mentre mi coglie un ingestibile senso di panico. Le mani fisse alle tempie e il respiro accelerato ne sono un chiaro esempio. “Fanculo.” Un calcio al muro incurante del dolore.
“Perchè sei venuto qui?” Glielo urlo rosso in viso, lo sguardo lucido quanto il suo. Mi tremano le mani mentre lo riafferro con violenza. Non gli darò modo di liberarsi, non se lo può permettere. Non posso permettermelo. “Stai zitto.” Gli intimo mentre provo a trascinarlo via di lì. Un calcio all’elfo domestico prima di afferrare anche lui per la collottola. “ZITTO.”
Chiusi in stanza ragiono sul da farsi. Darwin è qui. Sono stato io a richiamarlo cercando supporto. Mentre Jonas è sigillato nella mia stanza, io sono nel bagno della mia camera a parlare con il mio socio cercando una soluzione mentre mi sciacquo il viso cercando di calmarmi. “No. Lui non dirà nulla. Te lo assicuro.” Rispondo così alle sue ingiurie, alla possibilità che Alexander vada in giro a spifferare ciò che ha visto mettendo in pericolo se stesso. E quando si offre di sistemare le cose, a modo suo ovviamente, lo spingo contro la parete di mattonelle. Un rumore chiarisce l’impatto. “Non osare. Devi lasciarlo in pace. Me ne occupo io!” E’ l’unico modo che ho per poterlo salvare. Devo provarci almeno. Darwin però non si placa. Offre la possibilità terribile di una risoluzione definitiva ed io lo colpisco con un pugno, mentre la mano contro il suo collo chiarisce quale sarebbe la mia reazione dinanzi ad un atto simile. “Tu provaci soltanto e ti giuro che ti uccido. Ci sono quasi riuscito una volta, no? Posso rifarlo.” Lo caccio via dal bagno, dalla stanza. Me ne occupo io. Me ne occupo da solo. Non ho bisogno di nessun altro.
Lo raggiungo, il labbro spaccato dalla breve discussione con Darwin. Non mi frega un cazzo del dolore, è Drayton il mio obiettivo ora. Lo raggiungo. So che sarà poco collaborativo, lo conosco, ma farei di tutto per convincerlo a non fare cazzate. “Drayton, tu non hai visto nulla, okay?” Provo ad avvicinarmi, le mie mani alla ricerca delle sue braccia. “Ascolta le mie parole e guardami, per favore.” Una supplica. E’ a questo che sono arrivato prima ancora di sentirlo parlare. E’ il timore di vederlo sparire che mi annienta. E’ la paura che gli Hollingsworth mi hanno sempre intimamente trasmesso a farmi sembrare come ciò che non sono stato mai: impaurito.
“Tu sei sempre rimasto qui a fare quello che ti avevo chiesto di fare. Fine.” La mia voce trema appena mentre il mio sguardo ancora cerca il suo e le mani si stringono nella presa, quasi a volerlo tenere qui, vivo. “Per favore per favore per favore. Non avere strambe idee. Non fare pazzie.”. -
..
-
.Panico. Poche volte ne sono stato vittima. Generalmente, sono io ad avere il controllo, o così mi piace credere. Quando la paura aumenta e l’ansia comincia a rendere opaco il mio mondo, faccio ricorso a mezzi che mi aiutano ad essere vivo, energico. Sprezzante della paura e del pericolo. In questo momento non servirebbe a nulla, nè riesco a perdermi nell’inconsapevolezza del pericolo. Non ora che c’è di mezzo la vita di Drayton. Potrei fregarmene, come ho sempre detto di fare, ma il timore di quel che potrebbe accadergli se i miei genitori sapessero della sua irruzione nelle segrete, mi toglie il fiato. “Chiudendo gli occhi e ringraziando il cielo di non essere qui o morto. Perché se parlerai la fine che farai sarà esattamente questa.” Diretto ed incauto. Non voglio indorare la pillola, ora non avrebbe più senso. Non posso nascondergli l’ovvio senza rischiare di spingerlo ad una reazione avventata. Tutto ciò che posso fare è dirgli la verità e sperare che questo basti a tenerlo lontano da questo mondo. Da me. "Drayton, per favore.” La mia voce si piega in un sussurro mentre i miei occhi impauriti cercano appoggio nel suo sguardo chiaro.
Scuoto il capo, osservando oltre il muro dietro il quale l’ho condotto per assicurarmi che siamo ancora soli. Ci metto un po’ a rispondere alla sua domanda. “Cosa cambia saperlo?” Gli dico infine. Sapere quanto e come sono coinvolto in questa macchina letale, non mi scagionerà dal male che ho fatto e che mi porto addosso come una cicatrice, nè lo salverà dalle mire dei miei genitori. “Basta, vieni via da qui.” Lo afferrò per il braccio, conducendolo oltre un passaggio sotterraneo che dovrebbe condurci all’esterno, in una terra apparentemente abbandonata. “Io lo so che non puoi capire e capirò se vorrai andartene e scappare lontano. Anzi ti invito a farlo. Sarò io a coprirti. Ma non dire nulla a nessuno. Ti prego. I galeoni che ci sono in gioco metterebbero a tacere anche gli auror più diligenti e tu e la tua famiglia finireste male.” Verità. Sono stati pochi i momenti in cui mi sono concesso di dirla. Ora la dico a lui. Spero potrà servire a qualcosa. Mi fermo, lo guardo. Le mie mani toccano il suo viso cercando un contatto che possa fungere da catalizzatore per le mie parole. Un tocco che possa indurlo a credere alle mie parole. “Non è una cosa che si può combattere o da cui puoi scappare. Io lo so bene e devi fidarti di me. E’ l’unica cosa che ti chiedo.”.