Partners In Crime

Privata

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  1. Amy Lee~
     
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    Le dita di Alexander si strinsero rapide intorno al polso di Amy, animate dalla volontà del loro proprietario di destinare le restanti ore della giornata ad un’attività non propriamente legale, ma come tale indubbiamente elettrizzante. Un impercettibile sussulto scosse appena il corpo della Tassa, colta di sorpresa dal gesto fulmineo dell’altro. L’entusiasmo del suo improbabile compagno di avventura le strappò un sorriso fuggevole, alimentato dalle parole che poco più tardi le rivolse, rivelando di avere un piano per giungere nei pressi della foresta senza essere visti. Nessun mantello dell’invisibilità li avrebbe celati agli sguardi di prefetti, capiscuola o, peggio ancora, della preside, bensì un incantesimo di disillusione magistralmente castato da una fidata conoscenza del biondo tra le mura del castello, a cui Amy promise l’assoluto riserbo. La bacchetta esperta sfiorò il capo della ragazza mentre udì distintamente le parole della formula, sussurrate a pochi centimetri dal suo orecchio. Un brivido convulso, ma rapidamente represso, ne agitò per un istante il corpo minuto, investito da quella che avrebbe facilmente definito una doccia gelata. Ringraziò l’amico di Alexander con un frettoloso cenno del capo, dimentica di essere invisibile agli occhi altrui come pure ai suoi stessi, e seguì con lo sguardo la sua figura tornare a passi affrettati verso il castello. Solo a quel punto Amy inclinò debolmente il capo per osservare il proprio corpo, stupendosi di non vedere le gambe là dove si sarebbe aspettata di trovarle. Un’espressione stupita le si stampò sul volto mentre levava un braccio verso il cielo per osservarne i contorni camuffarsi alla perfezione con la coltre di nubi biancastre. I due giovani avevano appena assunto la camaleontica capacità di mimetizzarsi alla perfezione con l’ambiente circostante, diventando ora foglie, ora rami di una grossa quercia, ora tronchi secolari graffiati dalle intemperie.
    «Alexander!» rispose al richiamo sussurrato dell’altro, strizzando gli occhi per individuarne i contorni, invano. Seguì quindi la sua voce e mosse un paio di passi nella direzione dalla quale proveniva. Una flemma innaturale ne guidò i movimenti, figlia del timore di scontrarsi violentemente contro la corporatura muscolosa del biondo, più alto di lei di almeno una quindicina di centimetri. «Rimani fermo dove sei, ti raggiungo.» Allungò entrambe le braccia tastando febbrilmente l’aria nella speranza di afferrare i lembi della divisa del Serpeverde, quando un rumore sordo proveniente da un gruppo di cespugli poco distanti ne arrestò l’avanzata. Volse quindi lo sguardo alle sue ore due, come suggeritole dal compagno, senza però scorgere alcunchè tra il fogliame. Riprese ad apprestarsi al punto in cui credeva si trovasse Alexander, fendendo l’aria gelida con le dita fino a che queste non raggiunsero quelle del ragazzo, tese nel vuoto allo stesso scopo. Fece quindi scivolare la mano nella sua, cercando di non pensare a quanto quel contatto sarebbe sembrato strano in una situazione normale, e la strinse debolmente.
    «Okay, possiamo andare ora.» Sentenziò infine, dirigendo le iridi verso il punto in cui si sarebbero incamminati, come a valutare la difficoltà del percorso da seguire. Non essere in grado di individuare la punta delle sue scarpe, e di conseguenza non riuscire a prevedere il momento in cui queste avrebbero toccato il suolo per muovere il passo successivo, rendeva la sua camminata piuttosto instabile tanto che la stretta solida di Alexander divenne fondamentale per non rischiare una caduta. Giunti in prossimità dei cespugli, una piccola volpe sgusciò da sotto i rami, palesando la sua presenza con un lieve rantolo.
    «Per Merlino, è ferita!» sussurrò, liberando la presa dalla mano del ragazzo e abbassandosi per osservarla meglio. Inaspettatamente la bestiola si librò in aria, il muso appuntito ora a pochi centimetri dal suo naso. «Che diamine sta succedendo?» Imprecò, arretrando di un paio di passi, gli occhi sgranati fissi in quelli dell’animale, neri come il buio che ammantava la foresta proibita. «Oh, devi averla presa in braccio!» Aggiunse assottigliando lo sguardo, seccata per aver palesato tanto platealmente il suo immotivato timore.
    «Fammi vedere la zampina.» Mormorò con voce carezzevole mentre le dita sfioravano leggere il pelo rossiccio dell’animale. Un brusco sobbalzo la scosse non appena i polpastrelli raggiunsero i morbidi ciuffi vermigli, ammansendosi poi, una volta abituata alle carezze ritmiche sul capo. «Ferula!» formulò puntando la bacchetta di fronte alla ferita sanguinante. Una benda candida comparve dalla punta per poi avvolgersi intorno alla zampa dell’animale. «Questo dovrebbe fermare il sangue, per curarla del tutto credo serva un po’ di dittamo. Rose sono sicura che ne abbia un vasetto in dormitorio, più tardi possiamo passare a prenderlo, se vuoi.» Aggiunse, un’espressione accigliata che il Lancaster non avrebbe notato ad accompagnarne le parole. Decisamente non si sarebbe aspettata tanta premura per un animale ferito, non da parte di un cinico figlio di Salazar, perlomeno.
    «Bene, proseguiamo? Non credo andrà lontano, sono sicura che la ritroveremo in questo esatto punto al nostro ritorno.» La mano corse alla tasca della divisa, dove si strinse intorno al piccolo unicorno argenteo, che ora scalpitava per uscire, forse animato dal richiamo della foresta. «Puoi pure castare un Incarceramus, se credi, così sei certo che non scappi.» Sfilò la mano dalla tasca, estraendo così il piccolo unicorno che ora pareva fluttuare leggero nell’aria pungente di dicembre. «Non ti facevo così premuroso, sai?» Confessò allargando le labbra in un invisibile sorriso, la mano libera dall’unicorno di nuovo alla ricerca di quella dell’altro per non perderlo tra il folto degli alberi.
     
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