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Helena

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    25 dicembre

    Buon Natale. È l'eco tipica di giornate come quelle. Feste, sorrisi, affetto spropositato. Si è interrogato per anni sulla veridicità di quelle espressioni, costretto a giudicarle ostentazioni false non solo tramite gli insegnamenti di Hubert. Si è protetto dalle proprie mancanze vestendo quelle occasioni del vuoto protagonista della sua esistenza. La vita non gli ha mai più fatto dono di una famiglia, racchiusa nei canoni di cui molti altri in genere godono. In casa Chesterfield, la parola d'ordine è sempre stata "impenetrabilità", affiancata al duro lavoro ed alla riservatezza. Niente ha mai potuto scalfire le spesse mura di distacco applicate ad ogni persona o qualunque rapporto intrapreso. E sebbene il ragazzo sia stato negli ultimi anni colto da novità più dolci da cui lasciarsi accarezzare, c'è sempre qualcosa a spingerlo ancora nei meccanici malsani metodi di risoluzione con cui illudersi ogni volta.

    Tranne quest'anno.

    0jENCZb
    Calpesta i ciottoli del cimitero di Hogsmeade rompendo la quiete che vi regna. È sempre stato metaforicamente bravo a spezzare gli equilibri altrui, seminando rumore laddove nessuna anima tira un sospiro. Non si è mai mosso tra quelle strade dormienti prima. Ha eluso la debolezza che ne sarebbe derivata, quella sincera ed ingenua vulnerabilità che lo tormenta dalla notte del 31 ottobre. Un dolore che si è tenuto dentro, aspettando svanisse da sé. Ed ora, stretto nel proprio silenzio, resta fermo dinanzi a quel pezzetto di realtà che ha crudelmente messo da parte. Il nulla. Solo freddo che gli penetra le ossa ed un'esasperazione esalata in sospiri che non comunicano null'altro. Dinanzi alle lapidi dei tre Hollingsworth, le immagini immutabili a segnare la fermata del loro tempo, non riesce ancora a lasciarsi andare. Bloccato nell'ineluttabile angoscia incastrata in un senso di colpa troppo ampio, resta immobile a braccia conserte. Non una lacrima. Neanche un singhiozzo. La mente gelata, senza alcun pensiero a fomentare le sue emozioni. Gli occhi scuri, vitrei e distanti, scorrono sulle foto di quel passato lontano. Un uomo pacato sorride quasi timidamente all'ambiente dinanzi a sé. Una donna, all'altro capo, lancia invece sguardi più furbi, accesi. I tratti così simili a quelli del ragazzo lì in piedi. Ed al centro, infine, un ragazzino pieno di vitalità. Il contrasto più forte in quel campo nero e freddo. Lo è, fino al momento in cui vi si affianca la vita, quella vera e tangibile, palesatasi nella voce di una ragazza che richiama l'attenzione del Chesterfield. Curioso, considerato il crudele disegno del destino, sia proprio Helena ad intervenire in quel fato già scritto ed immutabile. Non è tuttavia una sorpresa sia lei a tirare fuori Mason dai suoi loop di apatica devastazione. 'Mason? Mason, dove sei?' Prima che alcun allarmismo si incida sul volto dell'altra, il proprio profilo si riflette sullo specchio retto tra le mani. 'Al cimitero di Hogsmeade.'


     
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    Erano rimasti in pochi all'interno delle mura di Hogwarts. Molti degli studenti avevano fatto ritorno a casa per passare il Natale con la propria famiglia, com'era normale fosse. Helena invece aveva preferito restare lì, praticamente da sola ma al sicuro. Le sarebbe piaciuto uscire dalla scuola per incontrare poche persone, Mason ad esempio, ma l'idea di farlo la spaventava. Quando in un impeto di fiducia ed entusiasmo si convince va a fare un passo al di fuori del seminato di panico che aveva creato Lorence intorno a lei, una paura incontrollabile prendeva il sopravvento sulla sua labile tranquillità. Perché era quella la prigione peggiore in cui il Volhard era riuscito a rinchiuderla: quella della paura.
    Dopo aver scritto un gufo a Mason però, si era fatta impellente la voglia di rivederlo. Di stringersi a lui e non solo per il timore dato dalla possibilità che qualcosa di spiacevole per lei sarebbe potuto accadere la notte precedente tra Mason e Sèline, ma perché ne aveva bisogno. Bisogno di vederlo. Di stringerlo. Era questo il motivo per cui aveva poi deciso di rintracciarlo allo specchio. Rivedere il suo profilo nel vetro frammentato, aveva fatto accelerare il battito del suo cuore. Sentirlo l'aveva tranquillizzata, ma il suo tono e il luogo in cui era avevano poi smosso la sua coscienza. Aveva così affrontato la sua paura ed indossato il mantello regalatole da Hugo, si era spinta fin oltre i confini dietro i quali si nascondeva.
    Il cimitero non era un luogo che era solita frequentare, per fortuna. Ritrovarsi tra le tombe innevate in quel giorno di festa, la rese malinconica e preoccupata. Non fu difficile immaginare il motivo per cui Mason fosse lì, eppure a volte era in qualche modo facile dimenticarsene. Lei dopotutto non aveva mai vissuto una perdita così grande. Mason invece era costretto a convivere con quel vuoto.
    Dopo tanto vagare, finalmente riuscí ad individuarlo. Avanzò di qualche passo, lasciando orme di sé nella neve alta. Solo a pochi metri da lui si liberò dal mantello, venendo così allo scoperto. «Mason?» Richiamò pacatamente la sua attenzione, avvicinandosi a lui. Poggiò una mano sul suo braccio, quasi ad assicurarsi fosse vero, fosse lì. L'attimo dopo si strinse a lui, in un abbraccio mancato in cui si perse per qualche attimo.
    «Cosa è successo?» Biascicò contro il suo corpo, allontanandosi poi quel tanto che bastava per poter indirizzare il proprio sguardo in quello dell'altro. «Perchè sei qui?»
     
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    Si gira debolmente quando la voce di Helena interviene ancora spezzare quel silenzio. Non un riflesso, neanche uno spettro. Il suo profilo in carne ed ossa, che solca neve e silenzio per affiancarlo in una comprensione muta. 'Ehi.' Reagisce altrettanto calmo, non mancante di sorpresa nel vederla in quel luogo, ma troppo spento e distaccato dalla realtà per poter cedere ad emozioni che rompano la quiete regina del posto. Non si costringe pertanto a tirarsi fuori da quell'apatia; invita lei ad entrarvi, rispondendo al suo abbraccio in una cinta leggera ma decisa, il palmo a carezzare la sua schiena. 'Ti avrei chiesto di vederci più tardi in un posto migliore.' Nessun piano ha sfiorato la sua mente, né si è reso conto di quanto tempo abbia passato bloccato lì, tra macerie di un'esistenza che non gli appartiene più. E quanto ancora ci sarebbe rimasto, resta un dubbio cui nessuno potrebbe dare risposta. E' certo però che il desiderio più forte tra tutti, incatenato tra consapevolezze inscalfibili, è quello di vederla, di saperla stare bene, di poter toccare con mano la sua tangibilità. Una necessità stretta tra le dita che scorrono tra i suoi capelli ed il tessuto dei vestiti che la ricoprono. In silenzio, per un po', non le risponde. Pretende il proprio tempo, che Helena non fatica a concedergli, reprimendo l'insieme di emozioni che, aperta bocca, sgorgherebbero dal tono strozzato come dai suoi occhi in una pietà cui non vuole cedere. Non perché sia davanti all'altra, ma perché farlo lo farebbe solo sentire peggio, incollando sulle sue guance umide e nell'anima fratturata quelle consapevolezze che non è capace di affrontare. Né sopportare. Quando ne ha abbastanza, allenta con delicatezza la presa dal corpo esile della ragazza, sgusciando via dalla sua presa per chinarsi ai piedi della tomba sotto i loro occhi. Scava con le dita una porzione piccola e semi-nascosta di terreno, ricavandone fuori una capsula infrangibile. Da essa, recupera un foglio di carta mantenutosi intatto nonostante il tempo passato. Spiegato, ne osserva per un po' l'illusione disegnata sopra, prima di porgerlo all'altra. I suoi occhi chiari, si poseranno eventualmente su quello che apparirebbe un insignificante e comune disegno fatto da un bambino come un altro. Due omini grandi, un uomo ed una donna, ai lati di due ometti più piccoli, vestiti uno di arancione, l'altro di verde. Un ritratto familiare, capeggiato da una scritta sghemba e grammaticalmente imperfetta: "Papa, Mama, Charly e io". 'Ci sono venuto solo una volta qui. Ho chiesto ad Hubert di portarmici per lasciare questo.' L'uomo aveva accondisceso senza grossi problemi. Mista alla rigidità con cui l'aveva accolto, una particolare pazienza nei suoi riguardi era sempre stata il più evidente sinonimo di affetto che gli avesse mai concesso. E sebbene non avesse riservato una minima occhiata al disegno di cui un piccolo Mason non gli spiegò nulla, si era spinto sino a lì, zoppicante e ricoperto da un ombrello, ad osservare il bambino custodire in un angolo del terriccio sottostante le tre lapidi la capsula che gli aveva regalato. 'Forse speravo li aiutasse a tornare... o che aiutasse me a ricordarci così.' Un'immagine che non è mai riuscito a fissare nella propria mente, sempre sovrastata dall'indelebile ricordo di quei tre corpi esanimi e ricoperti di sangue. Ha invidiato spesso tutti quei ragazzini che hanno nascosto traumi in un dimenticatoio che li aiutasse ad andare avanti. Non è mai riuscito a dirsi fortunato di poter ricordare ciò che lo spinge verso i lati più malsani e negativi di se stesso. 'Che cazzata.' Soffia infine, il tono volto ad un'ironia protettiva, nonostante le labbra incapaci di curvarsi in uno dei suoi sorrisetti d'indifferenza. Quel luogo è troppo pesante per abbozzare. O forse ad esserlo è il suo animo, con tutte le idee che protegge, come l'amara constatazione che rivolge infine alla ragazza. 'Non dovrebbero esistere foto come quella in un cimitero.' Un cenno alla foto del ragazzino allegro, un raggio di sole che non potrà mai più splendere. Uno che si è impresso nella sua mente con insistenza accentuata da un paio di mesi. Solo adesso, al termine di quella premessa, riesce a rispondere al quesito dell'altra. Perché si trova qui? 'L'ho visto ad Highate la notte di Halloween. Il fantasma di Charlie.' E da allora non è più andato via.


     
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    In qualche modo che non riuscì a spiegarsi, si sentì ferita dalla sua volontà di nascondergli quel luogo, o quella parte di storia. Si sentì messa dinanzi ad una verità che ebbe il potere di schiacciarla. Aveva lasciato che i suoi problemi, diventassero loro. Aveva lasciato che i suoi turbamenti occupassero per intero le loro esistenze, annullando il resto. Si chiedeva come avesse potuto essere così egoista da non rendersi conto che, nel tempo passato assieme, di Mason e di quella storia incisa sulle lapidi fredde lì dinanzi a loro, lei conosceva ben poco. Ne avevano parlato, anni fa. Quando però durante la lite quella rivelazione si era posta tra loro come un'arma, nessuno dei due aveva più osato avvicinarsi a quel passato. Era come se tutto ciò accaduto prima, fosse da dimenticare ma solo in teoria. Strascichi di quel che era stato, avrebbe sempre avuto un peso sul presente. Per la prima volta leggeva le conseguenze di quella tragedia, impressa a ferra e fuoco sull'anima del Chesterfield. Se ne sentì avvilita. «Ero preoccupata.» Gli confessò con un fil di voce, tornata al freddo quando lui ruppe delicatamente il loro abbraccio. Fu come percepire di rimando la solitudine di cui doveva esser vittima. Quel dolore che nessuno avrebbe potuto comprendere, e di sicuro non lei.
    Morse il labbro inferiore, ascoltando le sue parole. Non avrebbe saputo cosa dire ed infatti per attimi che apparvero infiniti, non disse nulla. Ogni parola sembrava essere superflua. «Non ricordo niente di quella notte.» Si giustificò a quel modo, sperando di non istigare di nuovo, ed in quel momento, rancori. Ricordava di aver preteso di andare a quel cimitero. Aveva letto di poter ricevere una soluzione ai suoi problemi se fosse riuscita a superare le prove lì custodite. Si era però risvegliata la mattina seguente, fuori dalle mura di quel cimitero in cui non ricordava di aver messo piede. Mason l'aveva raggiunta, ma di quella notte non avevano mai parlato. Era rimasto il segreto, e troppo presa dagli eventi che ne erano susseguiti, Helena si era cullata all'idea che nulla di terribile fosse accaduto. Ovviamente si era sbagliata. «M-mi dispiace.» Biascicò a capo basso, sentendosi in colpa per quello che, ancora una volta per colpa sua, l'altro aveva dovuto patire. Si chiedeva se non fosse stata proprio lei a risvegliare quel tormento. A gettare aceto su una ferita che non si era mai chiusa. Sospirò, puntando lo sguardo sulla foto di quel bambino. Mason aveva ragione. Foto così non avrebbero dovuto esserci in un posto così. Al mondo tragedie così, non sarebbero dovute esistere. «Ti somiglia.» Spinse lentamente il proprio sguardo su quello dell'altro. Avrebbe voluto abbracciarlo, di nuovo. Ciò che riuscì a fare fu provare a stringere la sua mano. Un contatto timido che dava a lui la scelta di accogliere o meno. «Com'erano?»
     
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    'Lo so.' Interviene al dispiacere dell'altra, non tardando di un secondo nel palesare la propria consapevolezza. Lasciarsi cogliere dalla rabbia, dalle fiamme adirate di una non così latente gelosia, non ha cancellato davvero la certezza Helena non covi alcuna preferenza nei confronti dell'amico. Sono solo le parole del francese a riecheggiare come una crudele eco nella sua testa. Averle ricevute da lui, come dalla figura trasparente del fratello, ne ha accentuato il saporaccio amaro. In momenti come questo, non può non fare affidamento sulla certezza di cui l'affetto di Helena è rivestito. Vi si lascia cullare, cedendo - anche se solo per un attimo - alla spontaneità di un sorriso che la considerazione dell'altra ha inevitabilmente scatenato. 'Beh... in realtà, sono io che somiglio a lui.' Stringe quindi la sua mano, accogliendo il suo gesto e la sua compagnia. Di nuovo, sotto sua richiesta, prova a guidarla tra gli spazi grigi della sua storia. La trascina con sé, nella foschia che rende poco visibili le memorie di quegli anni lontani. Alla sua domanda, è solo una la risposta certa che riesce a confidarle. 'Buoni.' Piena l'opposizione con la sua vita, le sue scelte, la mostruosità di cui i suoi gesti si sono vestiti da quel momento in avanti. Un contrasto netto con i valori che il suo lato Chesterfield ha inculcato nella sua testa debole e fragile. 'Non ricordo molto altro.' Afferma l'istante dopo, il tono di voce rassegnato ad un pezzo di sé che non riavrà mai indietro. Qualcosa di troppo breve, fugace, perché possa sentire di averlo vissuto appieno. Più di metà della sua vita è già passata senza di loro. 'Potrei dirti che lei fosse una cuoca formidabile, ma magari mi sembra così solo perché io e mio fratello impazzivamo ogni volta che ci preparava il pollo con le patate.' Un riferimento al proprio piatto preferito che Helena potrà capire, mentre l'indice del Chesterfield indica il profilo brillante della madre. Poco dopo, il dito scorre verso il padre. 'E lui... Sì, forse sapeva smanettare con gli attrezzi, ma non era un artista.' Poco a poco, quei dettagli emergono con un'impersonalità che non lascia spazio ad un quadro chiaro della situazione. E' amaro rendersi conto di non poter tracciare un'idea di ciò che la sua famiglia è stata. Non può farlo con lei, né riservare quei ritratti a se stesso. 'Non ho idea se a qualcuno di loro piacesse la scultura o leggere poesie. Non so niente.' Confessa in un sospiro, sollevando appena le spalle mentre delicatamente si volta verso di lei, senza ancora incontrare i suoi occhi. 'Mi sarebbe piaciuto avessero avuto il tempo di insegnarmi qualcosa.' Stringe appena più forte la presa sulla sua mano. Una reazione incontrollata con cui placare il mare di emozioni che inonda i suoi occhi stanchi. 'Anche a scrivere decentemente, per esempio.' Di nuovo, smorza quella pesantezza con l'accenno di una risata, con gli occhi lucidi incollati al disegno e alle bislacche scritte riportate su di esso e con la voce tremante di una realtà che non ha mai ammesso ad alta voce. 'Ma è solo un guscio vuoto.' Anche appoggiarsi alle parole di altri non avrebbe lo stesso significato. Vivere una persona è tutt'altra storia che udirne i racconti. 'Li amavo, ma non ho avuto abbastanza tempo per farlo come vorrei adesso.' Solleva solo adesso lo sguardo, tuffandolo finalmente in quello di Helena. Vi ritrova la comprensione di cui ha bisogno. L'appoggio che non le ha mai chiesto in modo così diretto. Vi trova la vita ed in un attimo si sente totalmente sbagliato per aver implicitamente sottolineato l'assonanza di quella storia con ciò che la riguarda. Una maledizione che gliela porterà via. E quando lo farà, sarà comunque troppo presto. Arreso a quella considerazione, la attira a sé in un abbraccio forte. In parte, la protegge da quell'idea crudele che le sue parole hanno trattenuto. 'Scusami. Scusami tanto.' Per il resto però, a prevalere è il forte desiderio di tenerla con sé. La paura di vedere sparire ancora le persone che ama di più al mondo. Un timore riflesso nella sua incapacità di fidarsi, quanto nell'estremismo che ne deriva quando miracolosamente succede.


     
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    Avrebbe voluto avere qualcosa da dire. Percepiva ora più che in ogni altro momento, il disagio di essere inutile. Non aveva subito grosse perdite nella sua esistenza. Le persone che amava, erano ancora in quella vita e lei stessa continuava ad aggrapparsi a quella esistenza, per quanto tremenda fosse a volte. Non aveva quindi la minima idea di quel che potesse significare ritrovarsi solo da un momento all'altro. Solo a pensarci sentiva il pavimento sotto i piedi venir meno e guardandolo, mentre Mason parlava, intuì ora più che in ogni altro momento, quanto forte dovesse essere stato. Aveva di sicuro avuto i suoi momenti no, le sue carenze, i suoi momenti di sconforto ma era riuscito a crescere tra le avversità. Era come un fiore nato tra le crepe di un terreno arido. Si sentì quasi ingiusta a toccarlo, come se non avesse il diritto di sfiorare un evento così raro.
    Non disse nulla. Continuò a tacere, sguardo basso e la mano ancora stretta alla sua. Fu il suo abbraccio a dissuaderla. L'impeto con cui la strinse, inumidì i suoi occhi. C'era più di un semplice abbraccio. Percepì la voglia di tenerla ed il timore di perderla. Perdersi. Troppo spesso le due cose avevano finito con il sovrapporsi. Lo strinse di rimando, provando a far sentire la propria presenza. «Mason. Ehi.» Fu difficile imporsi di non palesare la propria tristezza. Fu per questo che nascose per un attimo il volto contro il suo petto, cercando di celare il suo sguardo lucido agli occhi tristi dell'altro. «Va tutto bene.» Massaggiò la sua schiena provando a dargli sollievo. Immaginava non bastasse. Eppure in quell'ultimo periodo, persino esserci era sembrato un evento. Rubavano attimi al tempo e quell'abbraccio, per quanto sofferto, aveva il sapore di una conquista.
    Tirò su il volto, cercando lo sguardo dell'altro. Ancora tra le sue braccia, allungò le mani per sfiorare le sue guance. Delicatamente stringerle, accarezzarle. «Non devi essere sempre forte. Va bene essere tristi a volte.» Sfiorò i suoi capelli, mentre gli parlava con tono pacato, sottile, quasi come se gli stesse raccontando un segreto. Uno tutto loro. Si tirò sulle punte, per poggiare un bacio dolce sulle sue labbra per poi restare a guardarlo. «Sono sicura sarebbero fieri di te anche se credi di no.» Confidò all'altro. Non mentiva. Mason aveva commesso atti deprecabili, ma lei aveva visto oltre le maschere che aveva dovuto tirar su. Lui non era come tutti volevano credere fosse. «Perchè hai un cuore buono.»
     
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    pvYWIxn
    Ci vuole tempo perché lo scetticismo sorretto dagli insegnamenti ricevuti si sciolga a seguito delle consolazioni dell'altra. Avere modo di soffrire, di mostrarlo senza temere che il peggio accada, è per il Chesterfield un lusso, un evento unico che mai prima d'ora ha vissuto, nemmeno al fianco di Helena. Avverte anzi un malessere dettato dall'ipocrisia di cui si accusa da sé, reduce di anni di critiche a chiunque fosse capace di lasciarsi andare. Coloro a cui era permesso essere tristi e cercare conforto negli altri. Fa male e bene al contempo. Continua a tormentarsi per la pateticità con cui inevitabilmente si osserva da fuori, ma si sente forse più amato di quanto la vita non gli abbia mai permesso. Il suo dolore, per una volta, non è un tallone d'Achille, né l'evidenza di una debolezza che diventi forza altrui. E' smezzato in quell'abbraccio caldo, stretto, nelle carezze ricevute, nel tono incrinato della ragazza che spacca del tutto le sue difensive. Poche gocce di pianto sorpassano gli occhi lucidi, gettandosi in un percorso di sconsolazione che non ha mai saggiato prima. Col volto nascosto nella spalla dell'altra, si lascia andare a sospiri profondi, quasi impercettibili. E' solo lei, col suo tocco, a riportarlo su. A cercare nelle sue iridi devastate e nelle curve fosche delle sue labbra l'attenzione di cui necessita per tirarlo fuori dalla solitudine. 'Io non posso esserlo.' Risponde di getto alle sue concessioni, intrappolato in anni di imposizioni susseguitesi sino a creare quel mostro. Quello che la sua famiglia decisamente non ammirerebbe. 'No... Non sarebbero fieri di un assassino.' Sussurra con la stessa calma quel segreto tormentato. Helena è l'unica a conoscere ogni sfaccettatura del Chesterfield, ciò che lo relega al lato sbagliato del mondo, alla fazione oscura che è causa delle cose pessime che vi accadono. Eppure anche lei, di rimando, riesce a vederlo. Oltrepassa la superficie di oscurità contro cui lei stessa ha sbattuto tante e tante volte, caparbia abbastanza da infrangerla per stare a guardare ciò che vi è oltre. Un cuore buono. Una definizione stonata alle orecchie del ragazzo, eppure così gradevole da decidere di farla propria per un attimo. Il tempo necessario per posare di rimando le mani su quelle della ragazza, carezzandole con gratitudine e lusinga, per poi lasciarle scorrere sino alle sue guance e tuffarsi ancora in quell'amore. In un nuovo bacio che duri un'eternità, quella da strappare al tempo che le loro vite hanno accorciato in prospettive macabre e tempestate di rischi. Lo sente forte, al punto di non poterne più fare a meno. Al punto di non poter negare ancora ad entrambi la coraggiosa ammissione ancora implicitamente intrappolata in sguardi terrorizzati e silenzi tentennanti. Stacca le labbra dalle sue e ricompostosi con un sospiro che scacci il pianto dalla sua anima, riapre gli occhi per fissarli in quelli di lei. 'Helena...' E' solo però l'incipit dell'ennesimo equilibrio spezzato dagli eventi. Prima che un nuovo sussurro possa venir fuori dalle sue labbra, un pigolio sottile si unisce ai loro respiri nel silenzio di quel parco grigio. 'Hai sentito?' Domanda all'altra, non poi così allarmato. La tiene tuttavia ancora stretta a sé, mentre gli occhi vigilano sull'ambiente attorno. Ed in un attimo, la fonte di versetti all'apparenza innocui trova riscontro nella figura impacciata di un cucciolo nero che inciampa tra un solco e l'altro dei passi precedentemente compiuti dai due ragazzi. 'Ah, ma è un cane.' Un cucciolo di rottweiler, così sembra dalle macchie marroni che gli colorano le zampe ed il muso. Imperterrito, procede nella sua bislacca avanzata fino ai due giovani, arrampicandosi infine con fare agitato ed una minuscola coda scodinzolante sulla tuta di Mason. 'Ehi, bello. Ti sei perso?' Gli si rivolge infine, tirando su col naso ed asciugando il volto con la manica della giacca per ricomporsi del tutto, mentre sciolto l'abbraccio con Helena si china per dargli un'occhiata più da vicino. Non indossa però alcun collare ed il cimitero sembra essere rimasto vuoto per tutto il tempo.




    Edited by numb - 2/1/2022, 23:12
     
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    Avrebbe voluto ribattere alle sue parole, contraddirlo. Avrebbe potuto farlo, apportare la sua visione del mondo e di lui, ma si chiese a cosa sarebbe servito. Riconosceva quanto difficile fosse adeguarsi alle verità altrui schiacciando le proprie. La convinzione di Mason di essere una cattiva persona era così radicata in lui da non lasciargli la possibilità di vedere un riflesso diverso da quello che altri gli avevano imposto. Combattere con quella considerazione non era facile. Avrebbe voluto avere il coraggio di urlargli quanto in realtà migliore fosse e quanto soprattutto le fosse indispensabile. Quello lo rendeva automaticamente una persona buona anche perché di persone orribili ne aveva conosciute ed era certa di non poterlo catalogare tra quelle. Le sue labbra però restarono sigillate dinanzi a quella realtà. Non ebbe comunque modo di replicare. Il suo bacio la rapí, calmò le sue ansie spingendola a dimostrargli quanto presente fosse a lui, per lui. Si strinse a lui in quel contatto e nell'intimità di quel bacio che le era mancato. Quando le loro labbra si staccarono, Helena prese a guardarlo, la voglia di dirgli altro, qualcosa che potesse dargli coraggio. Non lo fece. Di nuovo fu lui a distarla. «Cosa?» Chiese all'altro, muovendo il capo alla ricerca come lui della fonte del rumore udito. Non dovettero sforzarsi poi molto. Un piccolo cagnolino si avvicinò a loro e a Mason in particolar modo. Sembrò una scena quasi surreale. Era come se qualcuno avesse piazzato un cagnolino proprio lì in quel momento, proprio per Mason. Osservò in silenzio quel momento, rubando istintivamente una carezza al piccolo batuffolo.
    «Da dove è spuntato?» Chiese retoricamente, lasciando all'altro l'onore di dare al cagnolino dolci premure. «Ti somiglia, sai?» Lo prese in giro, dandogli un buffetto sul braccio e sorridendo.
    «Qualcuno lo avrà abbandonato.» Le sembrò una scelta plausibile. Sembrava ben tenuto per essere un trovatello di strada. Ricordava le condizioni in cui era Pinky quando l'avevano salvata, ed era messa molto peggio. L'idea che qualcuno potesse avere il fegato di compiere un atto così vile, le infiammò il petto spingendola prontamente ad una considerazione. «Dovresti prenderlo.» E per quanto irruenta come ipotesi, sarebbe potuto essere un ottimo modo per cominciare a dissuadermi dall'immagine che Mason aveva di sé. Prendersi costantemente cura di qualcosa, avrebbe dato alle sue paure un peso minore. O almeno era quello che Helena sperava.

     
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    mBT2fIM
    La manica della giacca tampona imperterrita la tristezza scorsa sul suo viso. E' sempre rimasta intrappolata dai canoni di una vergogna che ha prosciugato la sua libertà. Arse le possibilità di lasciarsi andare, farlo da solo ed ancor più in presenza di qualcuno. Le rare volte che Helena ha assistito a quel genere di cedimento, non hanno trattenuto lo stesso sapore di adesso. E' genuina, la sofferenza che i ricordi e le parole hanno lasciato fluire. E' forse uno dei doni più preziosi, per quanto pesanti e dolorosi, che le abbia mai fatto. Un pezzo della sua storia, delle emozioni infrante ad essa strettamente legata, che per la prima volta posa tra le sue consapevolezze senza averne timore. Sincero e pacato, si adegua ad una condivisione sino ad ora rimasta unilaterale. E se ne sente felice, sebbene a rendersi evidenti siano solo i rimasugli di un pianto che va via via asciugandosi. Distratto dalla new entry di quell'inusuale momento, molla la presa su quella che è stata una liberazione sufficiente. Si prepara a tornare alla normalità, quella silente e protettiva, conscio ormai di aver liberato una parte di sé cui nessuno ha mai ricevuto il permesso di affacciarsi. Chino sulle ginocchia, pone attenzione al cucciolo che gratta con le zampe contro i suoi vestiti, la bocca aperta in tentativi di piantare i dentini sulle sue dita affusolate. 'Perché è un attaccabrighe? O mi stai dando del cane?' Risponde alla battuta dell'altra, lanciandole uno sguardo superbo che accompagni il suo gesto. Ristabiliscono insomma il loro equilibrio, seppur ormai coronato di informazioni in più. Se è vero che hanno sempre condiviso gioie e dolori, ora più che mai c'è una parte di uno nell'altro. Helena custodisce adesso un pezzo di Mason. Un legame che batte ogni altra forza oscura, persino quella della morte. 'In effetti non è malconcio... magari qualcuno l'ha smarrito.' Insiste, come sia consapevole della proposta che la ragazza, d'altro canto, gli rivolge poco dopo. Prenderlo. Tenerlo con sé ed offrirgli... cosa, esattamente? Quanto saggio sarebbe occuparsi di qualcos'altro se non si è in grado di badare a se stessi? C'è un freno in quella potenzialità. Non pare però sufficiente. L'altruistica voglia di offrire a quel cucciolo un panorama migliore si scontra col nascente egoista desiderio di appoggiarsi ad altro. Di prendere da quell'attimo di sconforto lo strappo di un nuovo inizio. E da lì ricominciare, in un ambito qualsiasi, a sperare. Per se stesso o anche solo una parte di quel "buono" che Helena vede e spera ancora di alimentare. 'E come faccio ad occuparmene? Non ho neanche un alloggio fisso o una casa...' Sempre meno convinto, avanza parole disperse nell'atmosfera. A contrastarle, versetti divertiti che il ragazzo rivolge al cagnolino, mettendo in scena una finta lotta tra le mani vittime dei suoi morsi e le zampe incerte dell'animale. Solo un frammento di leggerezza, prima di tirarsi in piedi reggendolo sul braccio. 'D'accordo, vediamo se c'è qualcuno nei paraggi e... poi decidiamo cosa fare.' Magari quel segno del destino rappresenta davvero qualcosa. E' un concetto effimero su cui ha bisogno di rimuginare. Privo d'impulsi che lo conducano al pentimento, fa cenno alla ragazza di rivestirsi del suo mantello e seguirlo verso una conclusione più gradevole per quel natale. 'Andiamo via.' Dopo aver riposto il disegno ai piedi della tomba, si lascia alle spalle ogni sospiro esalato. Torna alla finzione di ogni giorno, con l'animo appena più leggero ed il cuore un po' meno freddo.


     
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