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    Cara nonna,
    mi dispiace non poter essere lì con te.
    Ho chiesto a papà di essere trasferita a Ilvermorny ma ha detto che l'istruzione migliore me la può dare solo Hogwarts.
    Papà è irremovibile, neanche il colpo di testa al Dark gli ha fatto cambiare idea.
    Io qui sto bene comunque, ho un sacco di amici, le mie giornate le trascorro in loro compagnia.
    Giochiamo per lo più agli stessi giochi che facevamo insieme, go biglie, sparaschiocco, e tanti altri..
    Perchè non vuoi venire al Nord? Io ci torno tutti i fine settimana, possiamo stare insieme, ti potrei raccontare qualche storia fantastica, quelle che inventavo solo per strapparti un sorriso, ti ricordi?
    Mi manchi, ho davvero bisogno di te, ti prego nonna, pensaci..
    Intanto raccontami un pò di te.
    Ti voglio bene
    la tua Ariadne


    Quando era uscita dal castello il cielo era già plumbeo, tuttavia non si era lasciata sopraffare da quel grigiore nè dall'odore di pioggia che aleggiava nell'aria.
    Era già sulla torre e affidava la sua missiva a un gufo messo a disposizione dalla scuola quando senti il primo tuono squarciare l'aria.
    Carezzò le piume del volatile mentre questo rosicchiava un biscotto dopo di che lo lasciò andare.
    Era affacciata a una delle finestre della guferia, ripensava a sua nonna, ai motivi che la spingevano a stare lontana da loro.
    Eppure la sua casa era una casa triste, si trovava di fronte all'edificio dove loro stessi abitavano prima.
    La finestra dove sua madre era solita affacciarsi proprio di fronte alla sua.
    Era impossibile non pensarla sempre e secondo Ade il male della nonna era dovuto a questo.
    Il più doloroso di tutti, il male al cuore.
    E allora perchè non cambiare aria?
    Cosa aveva Boulder City di così insostituibile? Non era forse lei che aveva maledetto il Nevada e tutta Las Vegas? Elvis Presley e le sue paillettes?
    Sospirò, sfilò via i guanti dalle mani e lasciò che l'aria le sfiorasse la pelle.
    Cosa avrebbe provato se solo avesse potuto volare?
     
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    La lettera di Jackie tra le mani e un’espressione seccata dipinta in volto, così Hugo si recò alla torre della guferia. Non aveva più dato sue notizie alla rossa lentigginosa, aveva semplicemente lasciato che i suoi gufi tornassero al mittente a mani vuote. Il motivo? Gli incontri tra le lenzuola del suo appartamentino londinese non davano alcun valore aggiunto alle sue giornate. Senza considerare che il suo corpo, dopo la notizia della malattia terminale di Lucréce, aveva smesso di rispondere coerentemente agli impulsi del cervello. Se si trovava in un letto con una rossa avvenente, non era scontato che la sua testa riuscisse a sgombrarsi completamente dai pensieri opprimenti per permettere al corpo di incrociarsi con quello dell’altra. Tutt’altro, aveva sperimentato sulla sua pelle quanto fosse difficile, se non impossibile, spegnere il flusso di pensieri dolorosi che lo attraversava ad intervalli regolari. Nemmeno un corpo formoso, nudo accanto al suo, era in grado di ristabilire l’ordine: Lucréce aveva sempre la priorità. Nell’ultimo mese e mezzo, però, le cose erano leggermente cambiate. La piccola era riemersa dal coma, riprendendo un po’ di colore sulle gote e accendendo in Hugo un esiguo barlume di speranza. Ecco che i suoi impulsi più primitivi erano tornati ad abitare il suo corpo stanco e l’ultimo gufo della rossa fu accolto con meno indifferenza del solito. Doveva risponderle, ma il meteo pareva prendersi gioco di lui: stava piovendo ininterrottamente da tre giorni. Pazienza, sabato era dietro l’angolo e voleva confermare l’appuntamento alla ragazza, così si infilò un paio di pantaloni qualsiasi e senza nemmeno sostituire la maglietta del pigiama si avviò con scarso entusiasmo verso la torre. Sperava non ci fosse nessuno, specialmente perché i suddetti pantaloni erano di Chris, quindi un po’ troppo eleganti per l’occasione, mentre la maglia si vedeva lontano un miglio essere una maglietta bianca intima. Insomma, un’accozzaglia di roba di dubbio gusto che avrebbe risparmiato agli occhi di qualche curioso studente, o di qualche idiota del giornalino, peggio. “Maledizione” mormorò tra sé e sé quando scorse una figura minuta nei pressi della finestra. La riconobbe come Ade e un moto di rabbia lo attraversò: dopo la lezione di trasfigurazione quella ragazzina saccente gli stava piuttosto antipatica. L’avrebbe ignorata, se non fosse stato obbligato a far uscire il gufo grigio proprio da là. “Stai meditando di buttarti di sotto? In tal caso sarei più che felice di darti una spinta” ghignò palesando alla mora la sua presenza.
     
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    C’era un’idea che le balenava in testa da qualche tempo, pensava anche a chi avrebbe potuto chiedere, tutti tranne Caterina, sebbene fosse l’unica che conoscesse in tal senso.
    Eppure se si fosse messa a studiare, se avesse approfondito l’argomento, se … tanti se che avrebbero trovato risposta solo col tempo.
    Fu distolta dai suoi pensieri da una voce maschile che faceva sicuramente parte del club che amava la sua compagnia.
    -Non dovresti fare affermazioni che poi non hai il coraggio di mantenere- gli disse scegliendo poi quel momento per voltarsi verso di lui.
    -Le parole .. volano via, ma i fatti..- quelli erano più difficili da mettere in pratica per la maggior parte delle volte e dire di voler aiutare qualcuno a “morire” era tra queste.
    Tornò con lo sguardo fuori e si perse nuovamente nell’immensità del paesaggio – sarebbe un bel problema se tutti quelli che si affacciano a una finestra meditassero di suicidarsi- dal suo punto di vista ogni essere vivente appartenente alla sfera umana si era affacciato alla su detta almeno una volta nella vita.
    -Ma testiamo la tua volontà- con la bacchetta si diede la spinta che le servì proprio per agevolare il mettersi con due piedi sul cornicione.
    -Avanti- lo sfidò fissandolo negli occhi - spingimi-
     
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    Inarcò un sopracciglio, Ade non aveva colto la nota di ironia nelle sue parole. Dopo la lezione di trasfigurazione la caposcuola non le stava particolarmente simpatica, questo era piuttosto evidente, come evidente era il fatto che non fosse l’unico a ritenerla incredibilmente saccente. La guardò di sottecchi mentre quella sciorinava frasi atte a..sfidarlo? Si puntellò quindi con la bacchetta e salì sulla balaustra dell’ampia finestra della guferia. Non vi erano vetri ne inferiate a separare la giovane dal vuoto sotto di lei, solo mezzo metro di pietra scura. Puntò i suoi occhi chiari in quelli di Hugo e con aria di sfida lo invitò a farsi avanti e darle la famosa spinta da lui menzionata. Hugo rimase immobile, in silenzio, senza capire dove la ragazzina volesse arrivare. Alzò il capo per osservarla meglio, incuriosito da un modo di fare che non era certo le appartenesse. O meglio, l’aveva sempre dipinta come una ragazzina arrogante ma accorta, non il genere di persona che sale sui cornicioni esibendo nient’altro che sfacciataggine. Dopo un paio di istanti in cui il silenzio aveva avvolto la scena, Hugo mosse un paio di passi verso di lei. Se era una sfida quella che le aveva lanciato, chi era lui per non accoglierla? Si arrampicò sulla balaustra facendo leva sulle mani ed in pochi attimi le fu accanto, in piedi. Se fossero caduti non avrebbero nemmeno fatto in tempo a realizzare quanto alta fosse la torre, che i loro cervelli sarebbero già stati spiattellati al suolo. Le fu a pochi centimetri e senza distogliere lo sguardo dal suo allungò una mano verso il suo petto per darle la spinta che tanto chiedeva. Le dita aperte si posarono sul maglione della divisa ed impressero una forza sufficiente a farle perdere l’equilibrio. Per qualche millesimo di secondo il corpo della ragazza vacillò verso il suo vuoto alle sue spalle, prima che il braccio destro di Hugo si allungasse a recuperarla, infilato dietro le spalle. “Ora che ti ho spinto, ho vinto la scommessa? Perché era una sfida, vero?” le strizzò l’occhio, mantenendola sempre col braccio dietro la schiena. Ne approfittò per farle mancare del tutto la terra sotto i piedi, infilandole anche l’altro braccio sotto le gambe così da sollevarla di peso. Con un balzo felino saltò giù dalla balaustra e liberò Ade, facendola tornare coi piedi sul pavimento della guferia. “Se è così, ti sfido ad insegnarmi gli incantesimi più complicati che conosci. Se fallirò, potrai prendermi in giro per il resto dei tuoi giorni, ci stai?”
     
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    Lo vide raggiungerla, doveva odiarla davvero tanto se saliva a spingerla.
    Lei comunque non era preoccupata, aveva un piano B o non si sarebbe mai messa in un guaio del genere.
    Erano vicini, almeno quanto lo erano stati quella sera al Dark, solo che questa volta Ariadne gli arrivava con lo sguardo al petto e doveva inclinare il capo per inchiodare gli occhi in quelli di lui.
    Tuttavia non li scostò, neanche quando sentì il palmo di lui spingerla in modo da farle perdere l'equilibrio.
    -Morbido Cadent!- esclamò istintivamente, sebbene non ci fu mai modo di testare se il suo incanto fosse andato a buon fine.
    Perchè in definitiva quella di lui era stata tutta scena.
    -Era una sfida, ma solo per dimostrare che nove cose su dieci le dite senza pensare- comunque era di una scorrettezza viscerale , lei non era in condizione di potersi tirare su e lui ancora la teneva sospesa nel vuoto.
    -Se mi lasci non muoio, ma se mi distrai e non so quando molli la presa finirò col restarci secca sul serio- così, per dire – ehi ma!!! Mettimi giù! Dai ma non ci credo..- chiuse gli occhi, quello era decisamente imbarazzante.
    Cioè l'aveva presa in braccio, voleva morire.
    In quel momento desiderava che si aprisse una voragine sotto di lei e la divorasse, e tutto sommato lasciarsi cadere da quella torre non le sembrava neanche una opzione così orribile.
    Quando lui mollò la presa lei cercò di darsi una sistemata come meglio poteva e di riacquistare il contegno che le apparteneva, solitamente.
    -Tu chiedi l'impossibile- mise le mani sulla vita e lo sfidò con lo sguardo – ricordo perfettamente il livello cerebrale di voi altri a lezione, e anche la considerazione che avete avuto di me- una bambina no? Per colpa loro aveva dovuto stilare una relazione sulle arti oscure e aveva rischiato di perdere fior di punti per la sua casata. Una fortuna non fosse stata una ragazzina orgogliosa.
    -E comunque non avrei niente di soddisfacente se tu fallissi. Non mi piace prendere in giro le persone- ma sembrava il suo modo per chiederle aiuto comunque.
    Forse aveva bisogno di ripetizioni e non riusciva a chiederglielo normalmente?
    Comunque, in quanto caposcuola doveva..
    -Facciamo così. Se fallisci mi offrirai qualcosa di buono una volta alla settimana fino alla fine dell'anno. Ci stai?
     
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    Si passó una mano sulla divisa spiegazzata per appiattirne le pieghe mentre lasciava scivolare giù una Ade piuttosto alterata. Dedusse che la ragazzina non amasse perdere il controllo. Ne aveva già avuto un assaggio a lezione di trasfigurazione, dove l’insubordinazione dei suoi compagni prima e l’incursione del Professor White dopo l’avevano messa in difficoltà. Sebbene possedesse il cervello di una ragazza già diplomata, Ade rimaneva pur sempre una ragazzina di tredici o quattordici anni, l’etá esatta non la ricordava, e come tale era inverosimile che fosse in grado di affrontare a testa alta qualsivoglia situazione. Hugo era infatti convinto che la sua saccenza fosse nient’altro che una facciata, la sua unica arma per tener testa a studenti di diversi anni più grandi di lei. Certo avrebbe potuto semplicemente accettare di essere più giovane della media, con tutte le conseguenza che ciò avrebbe portato, senza pretendere di elevarsi per merito della sua intelligenza brillante. Mostrare un lato di sè più umano l’avrebbe certamente resa più simpatica. Lato che, peraltro, emerse nell’istante in cui Hugo se la caricó in braccio cogliendola alla sprovvista. Si separarono e ripristinata la posizione verticale Ade non mancó di riservargli un paio di frecciatine velenose. “Un giorno mi spiegherai cos’hai fatto a Christian per farti odiare così tanto” ridacchió alludendo al trattamento che le aveva riservato a lezione. Hugo dal canto suo non aveva mosso un dito nè per spalleggiare l’amico, nè per soccorrere la piccola Corvonero visibilmente in difficoltà. Si era piuttosto limitato a giocherellare con un minuscolo ragno, ingigantendolo a tal punto da fargli assumere le dimensioni di un grasso criceto. “Bene, abbiamo una cosa in comune Reed” le strizzó l’occhio con complicità, nemmeno Hugo prendeva in giro l’altro per semplice godimento. La ragazza fece una smorfia alla sua implicita richiesta di aiuto. Già da tempo meditava di tentare il famoso esame che a causa della sospensione non aveva potuto sostenere a settembre, e l’aiuto della piccola caposcuola sarebbe stato provvidenziale. “Andata” le offrì la mano affinché potesse stringerla. “Da vedere se qualcosa di buono per me è buono anche per te” fosse per lui le avrebbe offerto una canna, ma dubitava che la ragazza avrebbe apprezzato. “Se non hai da fare possiamo iniziare anche subito, che dici?”
     
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    Cosa aveva fatto lei al suo amico? Non ne aveva idea.
    Si strinse nelle spalle, un giorno forse le sarebbe venuto in mente.
    Su un punto erano d'accordo.
    Non prendevano in giro la gente, era tremendamente brutto, e lei ne sapeva qualcosa.
    Comunque giunsero a un accordo e lei gli strinse la mano per sigillarlo.
    -Intendo un gelato, un cornetto alla marmellata, o qualche dolce da mielandia- specificò – sono queste le cose a cui mi riferisco quando parlo di “cose buone”- meglio sempre specificare, conoscendolo in altre vesti poteva pensare con un raggio più ampio del suo.
    -Va bene, iniziamo allora. Ma non posso insegnarti il più difficile che conosco. A scuola è vietato- meglio mettere i puntini sulle i. Nessuna maledizione.
    Inoltre doveva anche tener presente del suo anno.
    Lui era al secondo, la padronanza che aveva della magia non gli consentiva di andare molto lontano.
    Nel senso che non poteva assolutamente fargli fare gli incanti del quinto anno.
    -Torniamo al castello però, non è il caso di allenarsi in una guferia..- uscì dalla torre e si apprestò a scendere i gradini.
    Mentre percorrevano il viale pensava a cosa avrebbe potuto insegnargli, uno sembrava troppo facile un altro troppo difficile... alla fine decise di indagare un po'.
    -Immagino tu lo sappia che gli incanti più difficili sono quelli di trasfigurazione. i più difficili e anche i più brutti, per alcuni. Lei li trovava interessanti ma di difficile applicazione visto che se riguardavano la persona evitava a prescindere di usarli.
    Eppure era certa che un giorno le sarebbero tornati utili, doveva solo aprire la sua mente.
    -A proposito...mi è venuto in mente perchè Morgan mi odia- gli disse con un mezzo sorriso sulle labbra – gli ho scagliato il Puppisicum durante una lezione. Gli è venuto un mal di pancia così forte che è dovuto scappare in bagno di volata- almeno lei pensava fosse per quello – alla fine era la lezione dei pirati, un tutti contro tutti, se mi attacchi ti attacco, funziona così no?- non per Morgan a quanto poteva vedere.
    -Comunque...- erano quasi arrivati al castello quando lei proseguì - A lezione- la famosissima lezione – Logan ha accennato a un incanto, il Diminuendo. Permette di rimpicciolire le persone. O anche gli animali e secondo me è comodo.
    Certo non credo funzioni su.. un drago per esempio, o su un erumpent.
    Però di feroce ci sono anche altri animali, non necessariamente creature, per esempio .. un orso. Vuoi provare con quello?-

    La difficoltà stava nel fatto che essendo un incantesimo di trasfigurazione le cellule che si andavano a mobilitare e a trasfigurare dovevano farlo nello stesso momento in cui veniva pronunciato l'incanto.
    Quindi doppia concentrazione, doppio incanalamento di magia, doppio tutto, o non funzionava.
    -Non puoi pensare a come stai muovendo la mano se al contempo devi concentrarti sulle particelle da trasfigurare e sull'incanto da pronunciare. Quindi devi padroneggiare bene movimento e formula e concentrare la mente solo sulla trasfigurazione- aveva scritto un foglietto nel frattempo che incantò e lasciò volare via su all'ufficio della Rei.
    Chiedeva il permesso per usare la sala dei duelli, per un allenamento. In fondo era quello che stavano per fare no?
    E fu in quel corridoio prima e l'aula poi che virò.
    -Qui ci si allena e ci sono tante attrezzature utili. Ed è vero che questi sono inanimati ma... possiamo animarli noi- le venne in mente solo in quel momento .. - ma ce l'hai la bacchetta con te?-
     
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    ”Oh peccato, stavo già scegliendo quale maledizione senza perdono imparare per prima” increspó le labbra simulando un broncio. Per quelle c’era Helena, erano d’accordo che gli avrebbe insegnato almeno la maledizione imperio prima o poi, fuori dalle mura della scuola. Era già stato sospeso una volta, ci mancava solo che si facesse espellere per aver circuito una caposcuola, costringendola ad impartirgli lezioni su argomenti proibiti. Miracolosamente Ade accettó di cominciare immediatamente, così si diresse a passo spedito verso il castello precedendo Hugo di qualche passo. La lasció in vantaggio giusto un paio di minuti per poi affiancarla, adeguando il passo a quello di lei. “E sono anche quelli più inutili” gli sfuggì, convinto che in un duello avrebbe colpito l’avversario con uno Schiantesimo piuttosto che trasformargli la testa in un ortaggio. Proruppe in una risata fragorosa quando Ade gli raccontó il motivo per cui Christian pareva amare particolarmente prendersi gioco di lei. “Cazzo Reed, allora ritieniti fortunata ad avere ancora tutti i capelli in testa! L’avessi fatto a me ti sarei venuta a cercare in dormitorio e ti avrei fatto lo scalpo”. Hugo lasció che Ade lo conducesse lungo i corridoi senza chiedere quale fosse la meta, ma confidando che la Corvonero avesse in mente il posto adatto. “Quel pallone gonfiato di grifondoro.. non l’ho nemmeno ascoltato” mentì passandosi una mano tra i capelli. Il nome dell’incanto non gli era nuovo, così come sapeva a grandi linee a cosa servisse. “Potrebbe esserti utile castare un diminuendo su di me, così da non dover alzare il mento tutte le volte per guardarmi, nanetta” le scompiglió i capelli con fare giocoso, stupendosi al contempo della naturalezza con cui le aveva dato confidenza. Nemmeno mezz’ora prima le aveva suggerito di lanciarsi dalla torre, mosso dal fastidio che la sua faccia perennemente imbronciata gli suscitava. Da quando aveva accettato di fargli da insegnante nonostante il reciproco disprezzo, le risultava meno indigesta e a tratti un po’ più umana. Aveva provato a leggere tra le righe delle sue frasi acide, trovandosi dinanzi una ragazzina meno sicura di quello che voleva far credere. “E come ce lo portiamo un orso nella sala dei duelli?” ribattè alzando un sopracciglio. Che fosse una sala magica come la stanza delle necessità? “Oh, ora capisco” fece poi, una volta varcata la soglia. Diversi animali impagliati arredavano la stanza, atti ad essere animati all’occorrenza per simulare una situazione reale. “Va bene, vada per l’orso bruno” indicó un esemplare alto un paio di metri. “Certo che ho la bacchetta, ti pare che vada in giro senza?” le rivolse un’occhiata interrogativa, nessun mago degno di questo nome avrebbe girato per il castello senza l’unico strumento per concretizzarne i poteri. “Il movimento della bacchetta dovrebbe essere corretto” fece una piccola spirale allungata senza pronunciare ancora l’incanto. Se Ade l’avesse ritenuto corretto avrebbe potuto animare la bestia.
     
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    Non era d’accordo sul fatto che fossero tra i più inutili, lei ad esempio non riusciva a togliersi dalla testa che avrebbe voluto imparare ad essere un animagus un giorno, e difficilmente avrebbe desistito.
    -Dipende da quanto si è fantasiosi- replicò comunque, perché forse era meno immediato immaginare l’utilità rispetto ad altri incanti, ma alcuni facevano veramente male.
    A Morgan comunque sarebbe potuta andare peggio, e più si ricordava i dettagli di quella giornata più effettivamente arrivava alla conclusione che l’astio del ragazzo se l’era meritato, ma come detto non c’era bisogno di covare tanto rancore, era la legge della sopravvivenza.
    Ad immaginarsi calva si portò istintivamente le mani sulla trecca e l’accarezzò.
    No, nessuno glieli poteva toccare.
    -Meno male che non eri tu allora- si ritrovò comunque a dire.
    Definì Logan pallone gonfiato, lei non lo pensava, non lo aveva fatto prima figurarsi dopo aver condiviso insieme la conoscenza sulle maledizioni.
    Logan era estroverso, simpatico, un bel ragazzo anche; sicuro di se .. era tutto quello che lei non era.
    -In effetti sarebbe utile- aveva ormai appurato che il massimo a cui avrebbe potuto ambire sarebbe stato il metro e sessanta, con i tacchi avrebbe raggiunto i settanta, sarebbe sempre stata sotto l’altezza di Dubois. Che ingiustizia!
    Le aveva scompigliato i capelli e per lei fu strano, lo guardò pensierosa per un po' mentre scioglieva la treccia e la rifaceva.
    -Non lo so, io la porto sempre con me per difendermi, ma se fossi più grande, meno odiata, meno schiva probabilmente la lascerei in camera se andassi in guferia a spedire una lettera- in quel caso non serviva no? Ma in realtà non se l’era mai veramente chiesto per se, pensava solo che gli altri non ne avessero bisogno.
    -Comunque .. – le veniva da ridere ora che lo guardava veramente – ma lo sai che hai dei pantaloni eleganti e la maglietta intima sopra?- forse non se ne era reso conto quando era uscito dal suo dormitorio.
    Doveva essere parecchio importante la missiva se si era vestito in fretta e furia.
    E ora che ci pensava bis.. non aveva spedito niente alla fine.
    Si spostò da dietro l’orso e lo raggiunse.
    Il movimento lo eseguiva bene – è corretto si, attento alla pronuncia e non mettere l’accento sulla o-
    Puntò poi la bacchetta sull’orso e lo animò con un incanto non verbale.
    Istintivamente si spostò di lato, da quella che sarebbe stata la sua preda.
    -Avanti, casta l’incanto prima che ti arrivi sopra-
     
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    Si grattó la nuca e abbassó lo sguardo al pavimento quando Ade confessó di portare sempre con sè la bacchetta a causa della cattiva fama che si era fatta a scuola. Hugo avrebbe forse dovuto replicare in qualche modo, rassicurandola e premurandosi che smettesse di pensare questo di sè, quando al castello nessuno condivideva la sua visione tanto pessimistica. Mentire sarebbe stata la soluzione giusta, anche solo per strappare un sorriso a quel viso imbronciato, ma le labbra del ragazzo si serrarono in un sorriso imbarazzato mentre gli occhi chiari correvano da una mattonella all’altra per non reggere lo sguardo di lei. Vi avrebbe letto la conferma ai suoi dubbi, la certezza che il suo carattere così rigido risultava poco gradevole ai più. Fortunatamente Ade cambió rapidamente discorso puntando col dito gli indumenti che Hugo indossava. Una risatina le sfuggì dalle labbra mentre osservava divertita l’abbinamento azzardato che il ragazzo aveva curiosamente addosso. Non si era premurato di guardarsi allo specchio prima di uscire, certo che non si sarebbe trattenuto a lungo in guferia, così aveva prestato poca attenzione ai vestiti. Solo in quell’istante la risata limpida di Ade lo costrinse a puntare lo sguardo in basso, sui suoi pantaloni prima e sulla sua maglietta poi. Scoppió a ridere con lei, sembrava un vero coglione. “Per la barba di Merlino! Hai ragione, ho preso le prime cose che ho trovato, e temo questi siano di Chris. Chi diamine va in giro con una cosa del genere? Solo un cazzo di vecchio!” Quella parentesi comica fu in grado di alleggerire l’atmosfera e fece da spartiacque tra il clima opprimente che aleggiava intorno alle parole di Ade e quello scanzonato creatosi intorno alla gag dei vestiti. Bene, era ora di iniziare la lezione. Ade gli spiegó il corretto movimento della bacchetta e si premuró di correggergli la pronuncia dell’incanto. Hugo fede un paio di prove roteando il polso, pronto infine ad affrontare l’orso animato dalla Corvonero. Alto un paio di metri abbondanti, il grizzly schiuse le fauci mostrando al ragazzo due file di denti affilati. Hugo deglutì, sapeva che nulla poteva succedergli e che la bestia altro non era che un fantoccio incantato, ma il realismo della sua mastodontica figura riuscì comunque a farlo rabbrividire. “Diminuendo” gridó, non del tutto convinto. Uno sbuffo di luce biancastra colpì una zampa dell’animale rimpicciolendone le unghie. Doveva ritentare. Castó di nuovo l’incanto, ma la bestia parve non gradire il fascio che lo investì, seppur non producendo grossi danni, poichè proruppe in un fragoroso ruggito seguito da una rabbia esplosiva che riversó sul ragazzo. Affrettó il passo e brucio i metri che li separavano, sovrastando Hugo in pochi secondi. “Diminuendo” ritentó, mirando alla pancia. Questa volta l’incanto parve funzionare perchè l’orso smise di ruggire e si ridusse appena, assumendo le dimensioni di un piccolo panda. Certo, non era diventato il modellino alto cinque centimetri che si aspettava Hugo, ma era pur sempre un risultato. L’unico problema che il Diminuendo non risolveva era l’aggressività dell’animale, rimasta pressochè invariata. Un nuovo ruggito spezzó il silenzio, tanto da far cadere Hugo all’indietro, perdendo la sua arma. Bianco in volto cercó Ade con lo sguardo. “Non ho più la bacchetta, fa’ qualcosa!” Le intimó sudando freddo.
     
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    Non le era sfuggito lo sguardo imbarazzato di Hugo.
    Purtroppo, o per fortuna, Ariadne non diceva mai cose tanto per dire.
    Le sue affermazioni si basavano su cognizioni di causa, non c’era conforto che poteva tenere davanti a una verità assoluta.
    Si ammonì comunque, dicendosi che non doveva farlo, non doveva sempre esternare quello che pensava, non così come le veniva in mente.
    Non se non voleva appesantire l’aria.
    E poi era più divertente notare come fosse uscito disordinato dalla sua stanza.
    Non lo conosceva bene ma mai lo avrebbe detto, non le era sembrato il tipo..
    Che si fosse sbagliata?
    Secondo lei Christian non si vestiva da vecchio, bensì come un ragazzo che amava ostentare la sua ricchezza.
    Un po' come le ragazze ricche, o come Ezekiel Blackwood.
    Lo osservò maneggiare il nuovo incanto.
    Effettivamente non era semplice mantenere la concentrazione davanti quel grizzly, ma c’era da dire che non solo le creature potevano essere così feroci, esistevano anche gli animagus con quella forma.
    Non ci sarebbero stati sconti davanti uno scontro che li vedeva come protagonisti.
    -Concentrati, focalizza l’obiettivo- la paura stava prendendo il sopravvento sebbene avesse notevolmente ridotto le sue dimensioni.
    Decise dunque di sfoderare la bacchetta, si accorse dopo che il compagno aveva perso la sua.
    -Diminuendo!- esclamò e le dimensioni si ridussero tanto che poteva essere schiacciato con un piede.
    Si chinò , prese la bacchetta e anche l’orso mettendoselo poi sulla mano, infine affiancò Hugo – durante un torneo, una volta, lo hanno usato per rimpicciolire i draghi, lo sapevi?- quello era comunque un animale messo in vita con la magia, e la stessa lo fece ridiventare una pedina.
    -Tieni- gli allungò entrambi gli oggetti, compresa la bacchetta – ti era caduta- mentre l’altro.. bè poteva tenerlo come ricordo.
    -Sono indecisa se ti è riuscito o meno, per questa volta facciamo pareggio-
     
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