Strizza.. palle.

Privata

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    Con Samael le cose vanno alla grande, insieme siamo una forza, non ci sono tensioni, non ci sono incomprensioni, sembra come se tra entrambi ci sia un tacito accordo per non dare di matto, di prendere le cose con la giusta prospettiva, di fidarci l'uno dell'altro.
    Il giorno che ho tanto rimandato è giunto, non sono per niente felice della cosa ma non sono altrettanto felice di sgusciare via in continuazione dal letto di Sam per evitare che l'episodio si ripeta.
    Mi imbottisco di tranquillanti e dormo nel pomeriggio, come da accordi.
    Lui non è d'accordo, ma gli ho chiesto di capirmi e per ora ci prova..
    -Dunque, siamo a Stoccolma perchè il tipo ... è di Stoccolma- dico incerta se sia questa la spiegazione più logica.
    In fondo potevo sceglierne uno di Londra, ma quando mi è stato detto che questo tipo stava così lontano.. beh ho pensato fosse la cosa più rassicurante da fare.
    -Per questo l'ho rimandato al fine settimana, così possiamo stare un pò di più a guardare la capitale, o a girovagare in quella che sembra essere la perfetta riproduzione inglese di Hogsmeade- sparlo lo so, ma è che mi sta venendo di nuovo l'ansia, e questo è uno dei modi che conosco per calmarmi, l'altra è fare tanta tanta attività fisica, ma in quel senso .. abbiamo già dato.
    Gli stringo forte la mano, ho optato per l'arrivare a piedi in questo ospedale.
    -Secondo te come dovrei esordire? Cioè quale è la prima cosa da dire a uno strizzacervelli?-
     
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    Quella storia con Priyanka era del tutto nuova per me, almeno in quella modalità, ma stranamente sembrava andarmi bene. Non era come l'ultima volta, un paio di anni prima. Non sentivo il bisogno di cercare nessun'altra, e per me era già qualcosa di sorprendente.
    Quella paura che mi aveva travolto quando l'avevo sentita parlare di coppia fissa, sembrava essere sulla strada giusta per ridimensionarsi fino forse ad arrivare a sparire, un giorno.
    Stavamo bene, insieme. Forse l'aver messo davanti l'amicizia, la fiducia e la sincerità, prima di concederci altro, aveva permesso di cominciare con il piede giusto e mettere delle basi più solide al nostro rapporto.
    L'unica cosa che pesava ad entrambi era l'impossibilità di rilassarci insieme: dovevamo sempre prestare attenzione a non addormentarci contemporaneamente, sdraiati su un prato, sotto il sole... o peggio la sera, quando solo a me sembrava essere concesso dormire. Andava via ogni volta, per evitare forse di addormentarsi ed espormi a rischi, ma la cosa non mi tranquillizzava affatto. Lei non dormiva, ma neanche io ci riuscivo granché bene, come diretta conseguenza. Avevo accettato le sue condizioni per evitare di farla stare peggio, ma non mi piacevano affatto.
    Finalmente, però, era giunto il momento di affrontare il problema, nella speranza che non finisse come qualche tempo prima. Non sapevo se avrebbe deciso di fuggire ancora una volta, ma mi sembrava piuttosto decisa.
    "Sì, beh... lo avevo immaginato." Replicai divertito. Eravamo arrivati a Stoccolma, che altro senso avrebbe avuto, altrimenti? Ma era chiaro che fosse agitata, aveva iniziato a sparlare e alla fine mi prese la mano. La strinsi di rimando, avvicinandomi per posarle un veloce bacio sulla fronte, con fare protettivo. "Cerca solo di stare tranquilla, okay?" Le risposi, sorridendole per rassicurarla, mentre piano ci avvicinavamo all'ospedale. "Sinceramente non so come funzioni. So che forse avrei avuto bisogno di andare in terapia più di una volta, e forse ne avrei bisogno anche ora, ma stranamente non mi sono mai trovato faccia a faccia con uno strizzacervelli... che tu ci creda o no!" Ci scherzai su. "Non penso che tu debba programmare niente, comunque. Sicuramente ti guiderà lui, altrimenti a cosa dovrebbe servire la sua figura?" Per lo meno la logica mi suggeriva questo. E' chiaro che, se ci si rivolge ad un terapeuta, è perché si è preoccupati per qualcosa, perché non si è sereni. In qualche modo doveva essere lui a guidarla poi verso l'apertura e la risoluzione al problema, no?
    "In ogni caso non hai nulla di cui preoccuparti. Entreremo, ti farà qualche domanda, tu risponderai in modo del tutto sincero, e poi... andremo a farci un giro e a mangiare qualcosa. Chiaramente offro io! Che ne pensi?" Aveva il mio stesso appetito, scaricare parte della tensione sul cibo non le sarebbe dispiaciuto.
     
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    -Okay- io ci provo, davvero, non lo so neanche perchè mi agito. Insomma siamo venuti qui, non mi conosce nessuno, anche ammesso il tipo iniziasse a giudicarmi o a dirmi qualcosa che non mi farebbe piacere .. beh, chi lo conosce no? Chi se ne frega, e chi se ne importa.
    E al diavolo, credo di base ci sia da parte mia una certa ignoranza nella materia.
    Non ho idea di cosa aspettarmi, quello è.
    Per fortuna che c'è Sam. Mi aiuta a rimanere calma, a rallentare il battito del cuore che, mosso da vita propria, inizia ad accelerare ogni volta che mi avvicino sempre di più al momento cruciale.
    Di cosa ho paura?
    Prima di tutto di scoprire cose ... tipo che ho problemi mentali, che sono pazza.
    Perchè se così fosse io sarei la prima a isolarmi, a scegliere per il bene di tutti di rinchiudermi da qualche parte e buttare la chiave.
    L'ultima cosa che voglio è essere un pericolo per chi mi sta accanto.
    Mi stringo nelle spalle, non ne ho idea, a cosa servirebbe la sua figura?
    Spero vivamente a qualcosa.
    Stringo maggiormente la sua mano ed entriamo nell'ospedale di Yggdrasil, dove l'uomo riceve.
    -Che ambiente freddo..- mi lascio sfuggire mentre percorriamo i corridoi privi di qualsiasi sentore di calore.
    Okay che è un ospedale ma .. mamma mia!
    -Penso che sia un'idea geniale, anche se non so cosa aspettarmi da questo posto, forse zuppa e cipolle?- mi lascio andare a una risata e questo parlottare mi aiuta a non pensare che ... siamo arrivati.
    La targhetta in ottone recita : Dott. Bruce Foster psicoterapeuta.
    Guardo l'orologio, è l'ora.
    -Allora andiamo..- e prima di cambiare idea busso.
    Ci accoglie una signora di mezza età, paffutella e molto graziosa, emana calore, compensa con il gelo che abbiamo percepito arrivando fino a qui.
    Ci precede in un'altra stanza, non vedo ancora chi ci sia dall'altra parte ma non è che ci vuole un genio per capirlo..
    Stringo ancora la mano di Sam, più forte di prima ma a mia discolpa non me ne sto rendendo conto, quando ci fa cenno di entrare.
    -Buongiorno- dico solamente - sono Priyanka Chopra e lui è il mio ragazzo, ... e vorrei che restasse- ecco si, prima che gli venga in mente di farlo uscire, mettiamo le cose in chiaro. Da lì non si muove nessuno.
     
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    Il pollice teso della mia mano destra andava dall’orizzontale al verticale, seguendo una linea immaginaria. Una volta, due e tre. Poi le mani sui fianchi col naso arricciato “Non lo so Lily, che ne dici, non ti sembra un po’ eccessivo?” il quadro a grosse tempere celesti e blu con delle sfumature verdi erano obiettivamente grandi, ma nonostante tutto nell’ufficio stavano un gran bene. Il Gufetto postale inclinò la testa su un lato, beccandosi l’ala destra e sfregolandole velocemente un paio di volte “Sono d’accordo, lasciamolo qui e vediamo tra qualche giorno come va… si?” La Signorina Harris si sposta gli occhiali dal naso al petto, con la catenella di diamantini che luccicano sotto la luce. “Signor Foster? La Signorina… Chapra. Chopia, Chopra!” e finalmente azzeccò il cognome portandosi di nuovo velocemente gli occhiali dal petto al naso, con la cartellina che riposiziona sotto gli occhi.
    La ringrazio e le faccio segno di far entrare la paziente.
    “Oh, è un piacere!” e stringo la mano a lei, poi a lui, con il miglior sorriso d’ingresso che conosca. E l’occhio mi ricade sulla tela, mi dico che questo è quello che succede quando tuo cugino artista ti regala un suo pezzo che dice di non aver venduto per mancati centinaia di galeoni, e tu ti senti un po’ responsabile della posizione del quadro. Ma perché l’ha dato a me, io nemmeno capisco granché di arte, avevo addirittura una volta, durante una mostra, scambiato un estintore per un pezzo di arte moderno.
    “Io sono il Dottor Foster, molto piacere!” guardo lui, lei lo tiene tipo a riparo in modo più che chiaro “Oh, si figuri, se non crea problemi a lei!” e stringo la mano anche del ragazzo. “Prego! Desiderate ohé? Caffè?”
     
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    "Perché, ci sono ospedali in cui si respira un'aria migliore?" Insomma, facevano tutti piuttosto schifo. Mettevano una strana ansia addosso: faceva sempre caldo, le pareti erano praticamene spoglie, i colori erano neutri e... l'odore che si respirava in quei posti non mi piaceva affatto.
    Odiavo gli ospedali.
    "Zuppa e cipolle magari no." Mi lasciai andare ad una risata insieme a lei. "Un posto dove si mangia bene lo troveremo senz'altro." Anche perché una zuppa non mi avrebbe saziato mai. Ero praticamente carnivoro; a costo di girarmi tutta Stoccolma, avrei trovato una bistecca.
    Arrivati davanti alla porta del Dottor Foster, volsi il mio sguardo a lei, come per chiederle silenziosamente se fosse pronta a fare quel passo. Diversamente dall'ultima volta, vidi solo la voglia di buttarsi e, anche se era chiara la preoccupazione nei suoi occhi, scelse finalmente di bussare. Le sorrisi, felice che avesse trovato la forza necessaria per affrontare le sue paure.
    Sentii la stretta della sua mano farsi più forte nell'esatto momento in cui si aprì la porta davanti a noi, e non staccai lo sguardo da lei finché la segretaria non lasciò il posto al dottore.
    Quando sottolineò il bisogno che aveva di avermi al suo fianco, con il pollice accarezzai il dorso della sua mano: forse per rassicurarla, per dirle che sarebbe andato tutto bene e che sarei rimasto lì con lei. Cosa che, fortunatamente, ci venne concessa senza alcun tipo di problema.
    Lasciai la sua mano solo per qualche secondo, il tempo necessario per stringere quella del dottor Foster. "Samael Harrison." Mi presentai, prima di entrare insieme a Priyanka dentro la stanza. Mi guardai attorno: quell'ufficio era sicuramente meglio rispetto al resto dell'ospedale, ma di certo non sarebbe bastato per farla rilassare.
    "Sì, per me un caffè, grazie." Risposi subito abbozzando un sorriso, e guardando subito dopo lei. In realtà neanche mi andava, quel caffè, ma era un modo come un altro per rompere il ghiaccio, no? Un modo per accompagnarla in quel piccolissimo, primo passo verso l'apertura nei confronti di un perfetto estraneo. Anche perché, probabilmente, più di quello non avrei potuto fare.
     
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    Bene, appurato che Samael non va da nessuna parte potrei iniziare a eprimere la prima impressione con questo tipo.
    E' strano forte, ha una faccia simpatica e anche i modi lo sembrano.
    Siamo sicuri di non aver sbagliato stanza?
    La tipa però sembrava essere sicura quando ha annuito.
    Certo mi ha storpiato il cognome circa sempre, ma guarda fa niente, sono stranieri.
    Stringo la mano, vorrei dire che è un piacere anche per me ma mentirei.
    Quindi taccio.
    -Non mi crea problemi- mi convinco quindi a dire sedendomi poi di rimando.
    E ora? Che bisogna fare? Mi guardo intorno, non immaginavo che nello studio di uno strizzacervelli ci potesse essere tanto colore.
    Accogliente comunque..
    -Io niente grazie- no non voglio niente, sicuro mi andrebbe di traverso, qualsiasi cosa avrei scelto.
    -Quindi .. dottor Foster, che si fa in questi casi?
    Esattamente lei ha iniziato a studiarmi non appena ho messo piede qui dentro o ancora deve iniziare?-
     
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    "Spero che il thé vada bene comunque... in genere nessuno dice si al caffè e ormai pffff non ne compriamo uno da mesi!" l'abitudine, Miss Harris me lo chiedeva sempre se ne volessi, e dolcemente me lo faceva trovare sempre la mattina sul tavolo, e il pomeriggio dopo pranzo, ma cedere il mio al ragazzo sarebbe stato eccessivo rispetto alla vera confidenza che nutrivamo uno per l'altro, circa tre minuti ormai.
    Prendo posto mentre la brocca di ceramica un po' antica, e anche un po' bruttina in effetti, planò lentamente verso il viso del ragazzo che ormai si era accomodato vicino alla ragazza bruna.
    Prendo anche io posto e davanti a loro, faccio un veloce e discreto esercizio di stretching per il collo e gli sorrido, lei parla, sembra molto sicura di sé, e il verbo sembrare è un'ottima scelta. Come molti, si presentano da me la prima volta dubbiosi, imbarazzati, come se all'improvviso, dopo un mio cenno, una carovana di piccoli gnomi dovessero afferrarli, bloccarli e lobotomizzarli davanti a me, che intanto rido, in quel modo malefico.
    Ahhhh, le gioie della psichiatria magica e non.
    "Oh beh, se non lo sa lei.." mi strozzo con un sorso di thé in modo compito, soffocando un sorriso, e mi sputo un po' sul camice bianco "...oh rabbia, signorina Chopra, io non studio le persone stia tranquilla! So che le mie qualifiche mettono un po' paura, ma mi credi, le materie di studio sanno essere anche un po' noiose, non è niente di magico o folle, mi creda, io studio le situazioni. Se dice che l'ho studiata, rischia di immaginarmi come un burattinaio" e sorrido, prima a lei, poi al suo ragazzo.
    "E qui di burattinaio ce n'è uno solo..." e indico in modo un po' assorto con gli indici il piano di sopra. Suspense "No, oddio, non... Lui. Ma il primario, quello si che è un vero burattinaio" ma questo è un altro discorso che credo non le interessi "Comunque" tiriamo i fili della cosa "Le cose funzionano così: sono bravino ad aiutare le persone, lei mi dice come mai è qui, e come crede che io possa aiutarla, e vedrò di fare del mio meglio" dico "Che le pare?" oh chissà se la cosa a che fare con la sua natura di lycan. Che curiosità!
     
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    Lo guardo basita, se non hai caffè perchè ne offri? Cos'è qui al nord non ne bevono per davvero? Ma stiamo scherzando?
    Il primo istinto è davvero quello di alzarmi e andarmene.
    Già mi sta sul cavolo questo qua.
    -Senta- dico quando lo vedo sputare davanti a se tutto lo schifo di thè che si è bevuto in seguito alle mie parole - mi è stato consigliato da mia cugina, ma evidentemente lei non è quello adatto- come osa ridermi in faccia, già lo odio, LO ODIO.
    Non me ne rendo neanche conto ma sono quasi certa di avere le iridi rosse in questo momento, rosse come la rabbia che sto provando.
    Neanche lo spirito che cerca di fare mi placa, non quanto ci riesce la mano di Samael che prontamente si posa sulla mia.
    Mi fa ingoiare "l'andiamocene" che stavo li lì per sputare.
    Immagino già la faccia delusa di mio padre, di Rya che tanto si è trovata bene con questo tipo, e anche di Sam, che comunque vuole capirne di più della cosa.
    -Bene- dico alla fine rinfoderando gli artigli, oddio mi erano usciti pure gli artigli, sto parecchio nervosa, devo darmi una calmata.
    -Allora il mio problema è che a volte, mentre dormo cerco di uccidermi o di uccidere chi sta accanto a me, senza un apparente motivo.
    Non saprei neanche dirle se è lo stress oppure no, visto che capita random-
    sono stata abbastanza evasiva ma può fare due più due e capire da sè se è sua competenza o arrivederci e tante belle cose.
    Ma in quel caso.. non è stata colpa mia.
    -Comunque quasi sempre si trova lui presente quando accade, quindi forse visto che sta sveglio può spiegarle meglio cosa .. si insomma cosa succede nella realtà-
     
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    "Spero che il thé vada bene comunque... in genere nessuno dice si al caffè e ormai pffff non ne compriamo uno da mesi!" Sul serio? Non è che quel tipo fosse proprio come mi sarei aspettato, ma sembrava serio in quel suo assurdo modo di esporsi. Se non c'era una scelta, bastava dirlo. Messa così, invece, suonava tanto come una presa per il culo, e forse dal mio sguardo avrebbe potuto intuire quanto la cosa mi lasciasse contrariato. Ma evitai di esporre il mio pensiero, perché avrei detto qualcosa come: "Mi scusi, ma cosa cazzo si è fumato?"
    Non mi sembrava di certo il caso di rispondere male all'uomo che forse avrebbe potuto aiutare Priyanka a risolvere quel suo problema, ragione per cui mi morsi la lingua e mi forzai ad accennare un sorriso.
    Il thè? Mi faceva decisamente schifo: acqua scaldata e insapore, che di certo non avrei mai scelto di bere. Ma ormai l'aveva piazzato lì davanti a me e, solo per mostrarmi tranquillo agli occhi di Priyanka -che al contrario sembrava essere sul punto di urlare-, l'avrei in qualche modo mandato giù.
    "Mi è stato consigliato da mia cugina, ma evidentemente lei non è quello adatto" Come darle torto? Ma, prima che potesse fare stronzate, mi girai a guardarla e posai una mano sulla sua, alla vista delle sue iridi fattesi improvvisamente di un rosso intenso. La strinsi nella mia e riuscii a sentire gli artigli di lei, estratti involontariamente. Per fortuna, però, quel tocco bastò per farle lentamente ritrovare il controllo e tornare alla normalità.
    Lasciai che parlasse, e presi un sorso di quel thè, per mostrare un'eccessiva educazione che mi sarei volentieri risparmiato, in quel momento. "Che schifo."
    Alla fine fu la stessa Priyanka a passarmi la parola: non sapevo se per evitare di tirar fuori i ricordi di quelle notti, o se per far davvero avere al dottore i dettagli di ciò che era accaduto, visto dall'esterno.
    "Sì, diciamo che da fuori sono due gli scenari possibili." Cominciai, abbassando appena lo sguardo, quasi a perdermi nei ricordi di due notti in particolare: quelle in cui la sua "rabbia" si era palesata nella sua forma più estrema, in un verso o nell'altro. "Nel primo, le sue mani si stringono attorno al suo stesso collo, pronte a soffocarsi. O almeno questo ho visto io." Era questa la possibilità che mi preoccupava di più, perché la vittima era lei stessa: dormiva, a differenza mia non aveva modo di difendersi. Aveva bisogno di sorveglianza continua ogni volta o si sarebbe uccisa. "In quel caso è più semplice fermarla. Quando è successo, mi è bastato bloccarle i polsi, non senza fatica, e chiamarla, urlare il suo nome. Una volta sveglia, torna tutto alla normalità." Quando era cosciente, aveva sempre perfettamente il controllo, ed era questa la cosa che non riuscivamo a comprendere. Come poteva quella sua parte animale, costantemente sotto controllo, prendere il sopravvento il quel modo e con tale ferocia, quando chiudeva gli occhi?
    "Nel secondo caso, invece, quella rabbia è rivolta a chi le sta accanto." La guardai, cercando da parte sua un okay per andare avanti, per raccontare nel dettaglio quello che era successo. Sapevo quanto le facesse male riportare alla mente certi ricordi, ma alla fine, con un lieve cenno del capo, mi diede la sua risposta.
    Così, seppur inizialmente incerto, cominciai a raccontare ciò che era stato. "In quel caso non è facile fermarla." Tornai con lo sguardo verso il dottore, serio. "Una notte, stupidamente, mi sono addormentato con lei. Per fortuna però non portò le mani al suo collo, ma contro il mio petto. Mi colpì più volte, ma non era lei. Negli occhi della creatura che tentava di uccidermi non vedevo niente di Priyanka." E questo forse era bene sottolinearlo, per lui e soprattutto per lei e i suoi sensi di colpa. Quelli non erano i suoi occhi, non era lei. "Aveva più forza del normale, ma fortunatamente nel letto accanto al nostro c'era il mio compagno di stanza, Scott. Anche lui, come noi, è un licantropo, ed è riuscito a spingerla via e a bloccarla contro la parete della stanza, anche se con estrema fatica." Per quanto male stessi, non potevo dimenticare nulla di quella notte: ogni dettaglio era impresso a fuoco nella mia mente. "Non bastò chiamarla per far sì che si svegliasse. Abbiamo dovuto farle bere una pozione a base di aconito e polvere d'argento. Solo allora quella creatura andò via, lasciando che Priyanka tornasse da noi." E a quel punto lo guardai, in cerca di risposte. Risposte che però sperai non prevedessero battute di nessun genere, questa volta.
     
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    La borsa di studio che avevo scelto di accettare in America, a fianco del Dottor Strawberry sugli studi e ricerca della rabbia, la sua gestione e il contenimento della magia involontaria mi era stato comodo in più di un ambito, a partire dai contributi sull'epidemia di qualche anno prima nel mondo magico, ed era inutile nasconderlo, quando qualcuno si avvicinava richiedendo il mio aiuto proprio per quelle problematiche, il piccolo psichiatra dentro di me faceva un salto di circa sei metri, rimaneva sospeso col pallone da basket in mano e faceva uno slam talmente forte da spaccare il vetro del tabellone del canestro. Oh no, da fuori non si vedeva assolutamente niente, sono un tipo professionale, ma l'idea di poter aiutare qualcuno del quale hai studiato due terzi della tua vita è qualcosa di inspiegabile in effetti- Ti si accende una piccola stellina, luce negli occhi.
    Il fatto che il ragazzo di fianco a lei fosse più preciso di lei diede a pensarmi che lei fosse restia, o che lui fosse più preoccupato quasi di quanto non lo fosse lei. Li ascoltai e mi chiesi se io avessi avuto lo stesso coraggio, o quanto mi sarei spaventato se a qualcuno di caro sarebbe successa una cosa del genere.
    Ascoltai ancora, e poi in silenzio, strinsi gli occhi e annuì, schioccando le labbra.
    "Oh, il fatto che mi abbiate detto che il suo fidanzato conosce la sua natura mi rende il lavoro un po' più facile" le spiego "Sa', nell'ingresso dell'ospedale c'è comunque un controllo generico, e nelle coppie non sempre tutto è cristallino come tra voi due, sono contento, siete in gamba!" mi complimento sbattendo i palmi uno contro l'altro.
    "Signorina, dunque, la questione è complessa e credo che potrebbe aiutarmi facendo qualche passo indietro" sfrego le mani raffreddate uno contro l'altra, dentro questa stanza il fresco dell'esterno si sente appena ma in alcun momenti è più prepotente che in altri "Se è venuta qui immagino che lei per prima deve immaginare che ci sia qualcosa oltre qualcosa che possa essere una semplice questione legata alla sua natura, avrei bisogno di sapere chi precisamente della sua famiglia condivideva il suo status e... se per caso c'è qualche problema tra voi, o qualcosa di cui dovrei sapere. Le è successo anche in presenza di altri? O no?" perchè quello che mi viene in mente spazia da una fattura, a una profezia. Fino ad uno stato di stress tale da... si, insomma ci penseremo.
     
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    La situazione è una situazione che odio.
    Odio dovermi esporre, odio dover raccontare i fatti miei a un estraneo, odio il fatto che una volta fuori da qui possa andare dalla sua segretaria per fare qualche battutina su cose che per me sono molto devastanti.
    Ascoltare Sam però mi riporta sul giusto binario, sono qui per noi, più che per me.
    E' meglio che parli lui, io mi metterei di nuovo a piangere e mi darei di nuovo la colpa di tutto, non che ora non lo stia facendo, ma ho il tempo di contare, ho il tempo di farle sparire le lacrime che bruciano i miei occhi, posso pensare a qualsiasi cosa per distrarmi, e soprattutto lui non può sentire come si contorce il mio stomaco al solo ricordo.
    Come a volermi auto punire mi metto a fissare il pavimento, neanche ce la faccio ad alzare lo sguardo per vedere l'espressioni facciali del terapeuta.
    Ma lo faccio quando sembra uscire una specie di complimento dalle sue labbra, un complimento che mi porta a stringere ancora di più la mano di Samael.
    -Lui .. mi è sempre stato vicino- dico e mi sento il cuore esplodere nel petto per la paura, non so ancora di cosa, ma ho un'agitazione tale addosso che me lo sento riverberare nelle orecchie.
    -Anche quando mi sono trasformata la prima volta.. è stato lui a..- penso bene alla parola da dire, ma alla fine la più appropriata che mi viene in mente è - salvarmi. E salvare tutti quanti. Fino ai diciotto anni non sapevo neanche di avere una maledizione- questa potrebbe essere una bugia e mi sento un pò come se lui lo sapesse.
    -O meglio, credo di non averlo mai saputo, perchè talvolta ho dei ricordi, di mia madre che mi dice cose che non comprendo, ma ..- mi stringo nelle spalle - non sono ricordi precisi- forse ero troppo piccola, o forse sono solo un parto della mia immaginazione.
    -Nella mia famiglia solo io. Nel senso ogni zio, cugino, nonno, uomo dalla parte di mio padre- mi fermo un attimo per poi dire incerta - tranne mio padre- sto ancora pensando a questa anomalia quando mi fa un'altra domanda - gli incubi li ho sempre avuti, dapprima erano solo brutti sogni, poi ho iniziato a vedere gli artigli contro la mia gola e sembravano sempre più reali, fino a scoprire che ero io che mi affogavo .. con le mie stesse mani. Per un pò sembravano essere andati via, ma ho imparato anche io a dormire poco, quindi non saprei dirle se io abbia solo immaginato fossero diminuite oppure lo sono veramente -
     
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