Carnival of rust.

Privata.

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  1. The Slayer.
     
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    Il tempo aveva perso la sua più reale consistenza.
    Dilatato fin quasi all'inconsistenza, si lasciava scandire ormai esclusivamente dalla routine che qualcun altro aveva scelto per l'uomo rinchiuso in quella cella troppo piccola.
    Le ore d'aria non gli erano ancora state concesse, ma puntando la persuasione sulla buona condotta era almeno riuscito a farsi portare qualche vecchio libro storico da leggiucchiare e su cui appuntare qualche pensiero di tanto in tanto. I pasti erano regolari, essenziali, serviti sempre dalla stessa guardia con i medesimi meccanici gesti. Le luci si spegnevano poco più tardi dell'ultimo nutrimento, ma capitava di rado che Saul Servantes concludesse la giornata quando qualcuno, là fuori, lo riteneva opportuno.
    Non si era ancora piegato, a quelle imposizioni. E una parte di lui era certa che sarebbe riuscito a non farlo mai. Mangiava quando gli andava e dormiva solo se lo riteneva opportuno, per tutto il resto del tempo si limitava a tenersi occupato con le poche alternative che quello spazio angusto gli concedeva.
    Nessuno avrebbe potuto lamentarsi, comunque. Se si escludevano un paio di incidenti durante le notti antecedenti alla luna piena, non si potevano contare troppi problemi provocati direttamente dal prigioniero. Saul si comportava come un perfetto ospite, in quella prigione, almeno nelle settimane che non orbitavano attorno al richiamo della Madre Luna.
    In quei periodi, invece, si impegnava parecchio a sottolineare tutto il rancore per le dosi forzate di antilupo, le catene, le sbarre rinforzate, e le bacchette puntate addosso durante tutta la notte. Una manciata di guardie ci avevano rimesso qualche osso, prima che i provvedimenti cambiassero e la pozione gli venisse iniettata solo da guardie ben protette ed armate di repellenti utili e necessari a tenere a bada il soggetto instabile.
    L'attesa del processo non sarebbe stata breve, Saul lo aveva messo in conto, ma la solitudine non risparmia neanche il più consapevole degli avversari, dunque fu inevitabile provare un certo moto di curiosità quando il sorvegliante di turno gli annunciò che aveva visite.
    Non vedeva i suoi fratelli da quando era entrato nelle acque umane del Ministero, ormai mesi addietro, e i colloqui con i legali non venivano annunciati in quel modo. A stento venivano annunciati, in effetti.
    Il mannaro richiuse il libro e lo ripose sotto al cuscino, come d'abitudine, alzandosi dalla sottile brandina che sembrava sempre faticare parecchio a sorreggere il peso del suo corpo, quindi si avvicinò alle sbarre della porta, scrutando il volto dell'umano al di là di essa in cerca di indizi che non trovò.
    “Forza, Servantes, conosci le regole.”
    Doveva proprio essere una cosa seria, pensò distrattamente il lupo mentre voltava le spalle alla porta, allontanandosi da quella di un paio di passi per poi sollevare le mani ai lati del volto, dove avrebbe dovuto tenerle finché le guardie non gliele avrebbero abbassate davanti al ventre, strette con manette incantate sui polsi, molto simili a quelle che tenevano vicine le caviglie rendendo potenzialmente impossibile ogni corsa, calcio, scatto o fuga.
    Si limitò dunque ad attendere, passando mentalmente in rassegna ogni possibile sospetto, senza tuttavia riuscire a scovare un solo volto che fosse credibile trovare nella sala visite di Nurmengard proprio in quel periodo, proprio per lui.
    I corridoi gli passarono poi accanto silenziosi ed anonimi, forse appositamente studiati per non essere memorizzati da eventuali aspiranti evasori, e alla fine anche l'ultima serratura scattò.
    Avvolto dalla divisa arancione della massima sicurezza, e immobile con polsi e caviglie dalle catene tintinnanti, Saul Servantes venne scortato dall'auror che lo accompagnava fino al tavolo predisposto per la visita e ben imbullonato al pavimento.
    Solo a quel punto, poté soddisfare la sua curiosità in merito all'incognita di quella visita.
     
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  2. Master of puppets.
     
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    NPrCIcB
    La spilla argentata metteva in risalto il rosso vivido dei capelli di Cassie. Un serpente s’intrecciava fra le morbide ciocche, salendo e riscendendo sinuosamente fino a perdersi fra la massa ordinata e fiammeggiante. L’aveva sistemata con cura maniacale, prima di uscire di casa. Tutto di lei faceva pensare ad una promettente donna in carriera, a partire dall’elegante completo che indossava, per poi passare a dettagli meno evidenti, come la ventiquattrore stretta nella mano destra o gli occhiali da vista poggiati sul naso sottile. Una pazza che aveva anticipato il proprio carnevale. Erano settimane che tentava di ricevere i permessi necessari per poter entrare nella prigione, e alla fine ci era riuscita, spacciandosi come psicologa di un uomo che, in realtà, non era mai riuscita a psicanalizzare. ”Colpa delle procedure burocratiche”, aveva risposto al direttore del carcere che, per l’ennesima volta, le chiedeva il motivo per il quale fosse arrivata solo ad allora a far visita al proprio paziente, e non prima.
    Col cartellino di riconoscimento ben appuntato sul taschino della giacca, si presentò in perfetto orario davanti alle guardie le quali la condussero all’interno dei lunghi corridoi, senza porre ulteriori domande. L’andatura fiera della mangiamorte veniva scandita dal ticchettare sicuro dei tacchi sul pavimento lucido. Si fermò solo nel momento in cui le venne ordinato e, mentre attendeva di raggiungere l’uomo per cui si era tanto scomodata, ebbe giusto il tempo di guardarsi attorno. No, quello di sicuro non era un luogo adatto ad una come lei. Cassie si figurò per qualche istante all’interno della struttura, con i polsi ammanettati ed il corpicino stretto in una tuta arancione forse troppo larga.

    Era decisamente troppo furba per venir rinchiusa.

    La psicologa riprese il suo camminare solo quando il pesante cancello di ferro battuto che aveva davanti si spalancò in un cigolio, lasciandole libero il passaggio. Le stanzette che si alternavano lungo i muri erano totalmente vuote, tranne quella che le venne indicata alla fine. Cassie sbirciò con innata curiosità oltre il vetro, lasciando apparire sul volto un sorriso beffardo che parlava da solo. Si accomodò, attendendo il congedo delle guardie prima di posare finalmente i propri occhi su Saul. Sospirò con compiacimento, inclinando il capo per poi avvicinarsi ed abbassare il busto verso di lui. Lo imprigionò fra le braccia, allungando il collo solo per mordergli un orecchio. Mmhh, carne da macello. Sussurrò flebilmente, affondando le dita fra i capelli del detenuto per tirarglieli indietro in una carezza. Si spostò alle sue spalle subito dopo, facendo il giro del tavolo fino ad arrivare alla sedia su cui sedette. …Puttana e ciarlatana. Lo citò, cinguettando allegramente prima di perdersi in una risata fatta di cuore, tirando fuori dalla ventiquattrore una ciotola di terracotta, uno spillo ed una piccola ampolla piena d’acqua. Spero tu sia più che entusiasta di vedermi, Saul, non sai quanto sia rimasta scioccata dalla notizia. Allora avevo davvero ragione, detesto avere ragione. La mangiamorte si portò una mano sul petto con fare teatrale, sospirando per poi sfilarsi gli occhiali, iniziando a mordicchiare la stecca con assoluta nonchalance, pensierosa. Sai perché sono qui? Sì che lo sai. Abbiamo un conto in sospeso, io e te, e non vedo l’ora di allungare la tua permanenza in prigione. Non è assolutamente divertente? Per farlo mi sarà sufficiente una goccia del tuo sangue, al resto ci penserò io. Canticchiò un motivetto fra le labbra, afferrando lo spillo per bucarsi la punta del pollice con una piccola smorfia, lasciando scivolare il sangue all’interno della terracotta. Finì col succhiarsi il polpastrello ferito, esaminando con interesse crescente l’abbigliamento del detenuto. Dio solo sapeva quanto la eccitassero le divise. L’arancione ti sta divinamente e, no, questo non l'avevo previsto.
     
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  3. The Slayer.
     
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    Cassie Bykovskaja era pazza. E non nel senso utopico ed allegorico che potrebbe essere attribuito al suddetto aggettivo, quanto più direttamente nell'accezione clinica e patologica che il termine è in grado di detenere.
    Il suo cervello galleggiava alla deriva su acque nere di ingenuo squilibrio, proprio come quello di una bambina capricciosa o un animale tenuto in gabbia per troppo tempo. Cassie rappresentava l'ignoto che gli strizzacervelli si sforzavano di decodificare ogni giorno, e l'ironia si faceva lampante se si pensava che Cassie stessa era a tutti gli effetti una strizzacervelli.
    “Avrei giurato che nulla al mondo fosse ancora in grado di sorprendermi...”
    Non poteva definirsi esattamente un saluto, quel pensiero espresso ad alta voce con il quale Saul palesò tutto il suo stupore. Lo sguardo acceso d'esaltazione della fattucchiera, avvicinato alla sfrontatezza del cartellino falso che brandiva sul petto, era un binomio a dir poco nauseante per colui che era stato il re degli inganni ancor prima che quella donna potesse scoprire il piatto della vendetta.
    Perché era di quello, che doveva trattarsi.
    Vendetta.
    Servantes aveva strappato da lei brandelli d'umiliazione e diffamazione, quando ne aveva avuto l'occasione. Mentre qualche lupo rizzava il pelo dietro all'odore di femmina delle sue gonne, l'alfa ne rimarcava l'inettitudine rilegandola a nient'altro che truffante millantatrice. Che fosse sempre stato scettico nei riguardi dell'arte che la strega dominava, d'altronde, non era mai stato un segreto per nessuno.
    Sentì la mascella serrarsi in un'istintiva morsa di contrarietà, quando le braccia della donna lo cinsero come un'ennesima gabbia, ed il fiato caldo delle sue parole arrivò a carezzargli la pelle. Lasciva e felina come una gatta sorniona, arrivava a solleticare il suo istinto con la punta affilata degli artigli, provocando tutti quegli impulsi che la prigionia imbrigliava giorno dopo giorno. Solo lei avrebbe potuto sentire il ringhio basso che aveva preso a vibrargli nel petto in risposta a quel sensuale languore, un allarme che in un'altra occasione avrebbe indotto le guardie ad interrompere quel colloquio.
    In un'altra occasione, ma non in quella. Si dava infatti il caso che i colloqui con avvocati e psicologi fossero piuttosto sprovvisti di marzialità. I controlli sussistevano, chiaramente, occhi ed orecchi sorvegliavano costantemente il lupo cattivo persino mentre dormiva, ma quelle sedute potevano in qualche modo dirsi più libere, meno severe. Era in fondo suo diritto poter far finta che, oltre alle catene, gli avessero lasciato addosso anche una fetta di privacy.
    “Sembra che certe cose non cambino proprio mai, ah? Ancora quei giochi da sciamana delle caverne? Dimmi, quale orribile dannazione ha in serbo per me, la tua ciotola delle meraviglie?”
    Si sedette, ascoltando l'ormai famigliare tintinnio delle catene senza sentirsene disturbato, ma non la perse mai di vista, gli occhi affilati e scuri la seguivano come due piccole ombre in ogni moina, quasi fosse una biscia capace di scattargli addosso da un momento all'altro. Persino gli oggetti che la russa prese a maneggiare non riuscirono a guadagnarsi l'attenzione del lupo, non finché il ferroso odore del sangue non arrivò a graffiargli il vigile olfatto.
    Qualcun altro avrebbe cercato una via di fuga, o almeno sarebbe corso ad assicurarsi che i sorveglianti fossero ben attenti a qualunque cosa succedesse in quella stanza, ma Saul Servantes era abituato a guardarsi le spalle indipendentemente, lui avrebbe sbranato con le proprie zanne quella maliarda ancor prima che loro avessero il tempo di sfoderare le bacchette.
    “Non avvicinerai quell'affare alla mia pelle, Cassie. Non se sei interessata a riportare a casa entrambe le mani.”
    Mormorò, la voce così grave e profonda da sembrare grattata dalla roccia stessa. Non era minaccioso, tuttavia, il tono che la colorava, quanto più cantilenante e pacato, come se fosse semplicemente ovvio che lei non potesse essere tanto stupida da azzardare una tale avventatezza.
     
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2 replies since 3/10/2016, 21:01   103 views
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