Posts written by rebirth"

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    Ne sono certa.
    Sorrise in risposta alla rassicurazione di Sephirot, perché in realtà non aveva minimamente temuto di vederlo comportarsi in modo sgradevole. Sephirot era cresciuto in un ambiente in cui la forma era importante, era un giovane uomo decisamente educato e inoltre non si sarebbe mai mostrato apertamente ostile nei confronti di qualcuno che era caro alla sua fidanzata. No, non era questo a preoccuparla: quanto piuttosto che si potesse creare comunque un certo disagio, che le barriere culturali impedissero all'Udinov di aprirsi in modo spontaneo e libero dai pregiudizi a quelle nuove conoscenze. Tuttavia, ultimamente il pensiero di Sephirot si era fatto molto più elastico su determinate questioni, complice forse la sua amicizia con Dorian, ma anche le naturali riflessioni che segnavano il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, ormai decisamente concluso. Se in passato Rosalie aveva visto i pochi anni che li separavano come parte dei limiti del loro rapporto, con il tempo si era resa conto che si era trattato più che altro dell'eccessivo peso dell'influenza paterna e non di una maturità emotiva e mentale che in Sephirot era sempre stata più spiccata che tra i suoi coetanei. Fu con uno spirito un po' più ottimista che reagì all'accoglienza del cugino, ricambiando il bacio ricevuto con una naturalezza che un tempo era stata estranea al loro rapporto.
    Gabriel! fece un passo indietro per osservare meglio la figura dell'uomo Sei davvero elegante stasera, cugino.
    Lo era sempre, in effetti, ma Rosalie solitamente era poco avvezza ai complimenti. Non per snobismo, né per qualsiasi altra ragione dalla connotazione negativa, ma piuttosto per il semplice fatto che per molto tempo aveva tendenzialmente prestato poco attenzione a tutti coloro che la circondavano, perennemente concentrata sul suo dramma familiare. Il mutare del suo rapporto con Gabriel, il fatto che lei stessa si riconoscesse come più affabile di quanto non fosse mai stata, la portava ad una nuova consapevolezza di come potesse essere la sua vita ora che la maledizione era stata spezzata.
    Eizen, è bello dare un volto a un nome che ho sentito.. molte volte.
    Strinse la mano al nordico dalle ampie spalle e lo sguardo amichevole. I suoi occhi saettarono nuovamente verso il cugino mentre poneva l'accento su quanto quest'ultimo si fosse mostrato piuttosto preso dal suo compagno.
    A noi.
    La Hepburn sollevò il calice che Gabriel le aveva offerto, comodamente seduta sul divano accanto a Sephirot. Era da tempo che non brindava con qualcuno - fatta eccezione per l'Udinov, viste le recenti decisioni che avevano preso insieme - e si sorprese nel trovare un reale motivo per sentirsi coinvolta in quel brindisi e nel sentimento di condivisione che portava con sé. Ascoltò le osservazioni del cugino circa il percorso di studi intrapreso - e ormai praticamente terminato - da Sephirot e non poté che esibire un mezzo sorriso divertito quando fu invece l'insegnamento che elargiva Gabriel ad essere tirato in ballo.
    Oh..ma tu sei deontologicamente troppo corretto per frugare nelle vite sentimentali dei tuoi alunni, presumo.
    Una piccola e innocente battuta, che celava in sé una sfumatura di curiosità. Non si era ancora fatta un'idea di quali limiti Gabriel riconoscesse alla propria vocazione, ma sapeva che molti legilimens si muovevano come acrobati su un filo sottile e teso quando si trattava di confini etici e questioni morali.
    Io ho sempre incontrato più difficoltà nelle branche più pratiche della magia. Nel tempo però mi sono trovata nella condizione di dover prendere lezioni di duello magico da un amico: credo di essere migliorata, ma i miei talenti continuano a risiedere altrove.
    La sua mente corse a Ryan e alla parentesi della sua vita che l'aveva vista incrociare il cammino della turbolenta famiglia Freedman. Non sapeva dove si trovasse ora quello che era stato uno dei suoi più cari amici ma, ovunque fosse, sperava avesse trovato un po' di pace. Incrociò lo sguardo di Sephirot, lui era stato sempre piuttosto scettico rispetto al rapporto che la legava a Ryan, ma la situazione tra i Freedman e gli Udinov era sempre stata complessa.
    Tu forse te la cavi meglio di me, non è così? A Durmstrang tengono molto a questo aspetto della formazione magica.
    Si era sempre immaginata quella scuola come una roccaforte di disciplina, perché così veniva dipinta. In realtà il suo russo preferito aveva sempre avuto parecchio da ridire in merito. Ma la sua attenzione si rivolse completamente ad Eizen quando lo sentì formulare una domanda che più di una volta le era stata rivolta, anche se non esattamente in quei termini.
    Questa è la domanda temuta da ogni Indicibile, Eizen. sorrise, lasciando intendere l'assenza di qualunque reale turbamento Ma penso di poter fare del mio meglio per risponderti senza violare l'impegno che ho preso.
    L' Hellstrom aveva puntato un po' più sulla sfera personale nel rivolgerle la sua curiosità e questo le poneva davanti qualche possibilità in più di districarsi in un discorso tanto delicato. Bevve un sorso del delizioso drink che le era stato offerto, prima di proseguire.
    Quello che è noto a tutti è che nell'Ufficio Misteri studiamo i più grandi misteri irrisolti della magia, fenomeni che hanno a che fare con la vita stessa e l'essere umano nella sua complessità. Credo che per natura ogni individuo si senta proteso verso interrogativi tanto ampi e complessi, il desiderio di comprensione è testimoniato dalla curiosità che tutti nutrono sul nostro operato: per esempio, tu non sei l'unico a questa tavola che mi ha rivolto domande simili. rivolse un significativo sguardo al suo fidanzato, memore di come quest'ultimo le avesse mostrato il medesimo interesse. Come Eizen, però, anche Sephirot si era mostrato piuttosto rispettoso del vicolo di riservatezza di Rosalie Come esseri umani ci troviamo di fronte alla necessità di porci un limite, ad un certo punto, per non sentirci sopraffatti da tali interrogativi. Ci rendiamo conto che molti, prima di noi, non hanno trovato risposte alle medesime domande, che alcune verità appaiono imperscrutabili.
    Ogni essere umano veniva messo di fronte ad una simile resa. Valeva anche per i babbani, per quanto ne sapeva la Hepburn, la cui Filosofia affrontava dilemmi cosmici ed esistenziali, setacciando le sfumature dell'essere e della realtà ma senza poter arrivare ad effettive risposte che potessero fregiarsi del valore di verità assoluta.
    Io sono convinta che chi sceglie la carriera di Indicibile avverta la necessità di spingersi oltre quei limiti, raggiungere ciò che sembra inaccessibile. Infondo, ciò che un tempo ci era parso impossibile nell'ambito della medimagia, o della magingegneria con il tempo si è rivelato raggiungibile.
    Concluse con quel parallelismo e si concesse un altro sorso, sperando che qualcuno le togliesse la parola per evitare di monopolizzare la conversazione con le sue speculazioni.
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    Quando la maledizione si era spezzata Rosalie si era trovata nella posizione che passare al setaccio la sua vita attuale. Era da anni che non si soffermava su un simile esame: semplicemente, ritenendo di avere i giorni contati, si era abituata a considerare che non ne valesse la pena. E forse non ne aveva neanche la forza. Si era sempre mostrata puntuale e responsabile sul lavoro, si impegnava e dedicava tutta sé stessa alla carriera intrapresa, ma il tempo libero lo dedicava unicamente ai suoi interessi, mai a mantenere viva la sua vita sociale, le sue relazioni personali. Con l'estinguersi dell'anatema di Ester, Rosalie aveva avuto modo di costatare che Sephirot era l'unica persona che si fosse data pena di tenersi accanto.. tanto più che il merito della sopravvivenza di quel legame era principalmente da attribuire al russo. Non era mai stata molto incline a dare confidenza al suo prossimo e le poche amicizie costruite negli anni si erano ormai sfaldate, venendo meno per mancanza di cura.
    L'essersi buttata nell'impresa di costruire un rapporto con sua madre, tuttavia, l'aveva spinta anche a considerare che, tra tutti i legami che aveva lasciato a marcire, ve ne era ancora uno che era interessata a ravvivare. Così negli ultimi mesi lei e suo cugino Gabriel aveva ripreso a frequentarsi - prima sporadicamente, poi più di frequente - e il loro rapporto si era fatto più confidenziale, abbastanza di permettere a Rose di raccontargli quanto accaduto, la vera natura di quella "profezia" familiare che non le aveva dato tregua ed il modo in cui tutto era evoluto rapidamente fino a trovare una sua eclatante conclusione. Era stato strano parlarne con qualcuno che non fosse stato direttamente coinvolto in quelle vicende, ma la Hepburn aveva provato un'insospettabile senso di liberazione nel farlo.
    Non mi hai ancora detto quanto ti preoccupa questa cena.
    Un po' tardi per rivolgere quella domanda al suo fidanzato, ma lei e Gabriel avevano concordato quella cena solo pochi giorni prima e con Sephirot, salvo accordarsi sulla disponibilità di entrambi, non avevano avuto modo di approfondire la questione. Rosalie era stata parecchio impegnata al Ministero, Sephirot con la sua tesi, così la Hepburn si era fatta semplicemente bastare il consenso del ragazzo. Non che lui avesse protestato in alcun modo, ma considerata l'importanza che il russo attribuiva alla famiglia era difficile immaginare che si potesse soffermare a condividere cosa lo turbava e quanto un'esperienza così radicalmente nuova per lui potesse dargli pensiero.
    Ti accorgerai subito che è come avere a che fare con una qualunque coppia che tu abbia incontrato in vita tua.
    L'apertura mentale dell'Udinov aveva fatto progressi solo negli ultimi anni, in modo piuttosto graduale. L'amicizia con Dorian l'aveva aiutato molto in questo senso, ma si poteva dire che le esperienze lontane dall'influenza costante della figura paterna avessero contribuito nel complesso a renderlo una persona più interessata a mettere le cose in prospettiva, senza per questo rinunciare alla sua precisa identità e opinione.. anzi, definendole in modo più autonomo. Rosalie era molto fiera di lui, ma dubitava che le sue esperienze inclusive si fossero mai spinte fino a quel punto.
    Anzi, a dirla tutta credo che tu abbia molte più cose in comune con Gabriel di quelle che potresti avere con i tuoi compagni in accademia.
    Si basava su ciò che Sephirot le aveva raccontato circa la sua permanenza al campus, dal momento che a parte Dorian - con cui aveva già legato ai tempi di Durmstrang - il russo sembrava non aver stretto amicizia con nessuno in particolare, coltivando piuttosto rapporti di competizione accademica che sicuramente per lui risultavano più stimolanti. Lisciò distrattamente la giacca del ragazzo, gli sistemò la cravatta e si sporse per incontrarlo in un bacio a fior di labbra, aspettando la sua risposta prima di allungare l'indice verso il campanello ed annunciare così la loro presenza ai padroni di casa.
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    Se lei si era sempre sentita priva di una solida rete affettiva attorno a sé – e sicuramente la colpa era quasi del tutto sua – di contro la situazione di Ryan non sembrava più rosea. Almeno non dal punto di vista della Hepburn. Certo, forse lui preferiva avere attorno persone di cui non potersi fidare che sentirsi davvero solo ma Rosalie, chiusa e diffidente com’era, non avrebbe fatto a cambio per nessuna ragione al mondo.
    Era incredibile come le persone che Ryan amava di più non avessero fatto che mentirgli e ingannarlo per tutto quel tempo, agendo alle sue spalle, cercando di manipolarlo e quant’altro. Pur essendo due donne che da tempo erano l’una contro l’altra, Amanda e Marika Freedman sembrava quasi impegnate in un implicito complotto per occupare perennemente la mente di Ryan e cercare di dominarla. Lo stesso tentavano di fare con il suo cuore. Non avrebbe espresso quel suo pensiero ad alta voce, perché forse il Freedman l’avrebbe trovato esagerato e paranoico e perché in ogni caso non era il modo migliore per supportarlo in quel momento della sua vita.
    - Allora continua a non fidarti, Ryan. È la scelta più saggia. –
    Si sentì di affermare solo questo, sostenendo su tutta la linea la diffidenza dell’uomo ed evitando di indorargli la pillola. Avendo a che fare con persone come quelle che rappresentavano i suoi affetti, era il caso di premunirsi di tutte le precauzioni possibili. Rosalie sperava davvero che almeno con Meiko il rapporto fosse meno ricco di ombre ed incertezze.
    - Per i suoi figli? Ha mandato tua sorella a morire perché tuo padre voleva la Pietra della Resurrezione. – commentò alzando un sopracciglio, per poi scuotere la testa – Non so, forse sono io che non posso capire. Le persone amano nei modi più assurdi, non è così? –
    Aveva pensato a lungo che l’amore romantico fosse una sorta di malattia mentale socialmente accettata e per un po’ aveva anche temuto di esserne potenzialmente soggetta, a causa di Alec. Ma quell’impressione stava sfumando via e ora percepiva solo un categorico rifiuto verso quel sentimento. Che si trattasse di una psicosi o meno, adesso ne aveva compreso il pericoloso potere. L’amore tra madre e figlio, almeno quello raccontato da Ryan, le sembrava altrettanto minaccioso ed ingestibile.
    - Se cerchi un modo per ripulirti la coscienza, uno modo tanto impegnativo..significa che la tua coscienza ha iniziato a farsi sentire a gran voce. –
    Gli sorrise mentre passeggiava al suo fianco. Credeva davvero in quello che stava dicendo, era convinta che tutta quella dedizione fosse un segno di una ritrovata morale che forse Ryan credeva di aver smarrito lungo il cammino della sua vita. Sapeva che per Freedman era molto importante quel ritrovamento. E dunque, malgrado vedesse ancora quella missione che Ryan si era proposto come un’impresa davvero ardua da portare a termine, tutto sommato non riusciva a guardarla solo in modo negativo.
    - Oh wow, sono molto più temibile di quanto immaginassi! –
    Si lasciò andare ad una risata in risposta alle divagazioni scherzosamente paranoiche di Ryan. Fu una risata breve, ma sorprendentemente leggera. Le sembrava di non ridere da un’infinità di tempo. Eccolo qui, uno dei motivi per cui quell’amicizia che era parsa così improbabile al suo esordio le era mancata così tanto.
    - Distrarmi? –
    Lo fissò, analizzando quella semplice parola come se non l’avesse mai presa in considerazione. Un’opportunità che si era preclusa in tutti quei mesi trascorsi dal terribile ultimo incontro con Castiel. Che aveva considerato inutile, o forse impraticabile. In quel momento le parve rappresentare tutto ciò che desiderava.
    - Hai qualche idea? -
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    - Senza dubbio. –
    Cani: li aveva sempre trovati di un’invadenza insopportabile. Ricordava ancora quando suo padre, rifattosi vivo per un paio di mesi prima di sparire nuovamente dalla sua vita, aveva cercato di regalarle un cane. Un modo per creare un ponte, cercare una connessione con lei, probabilmente. Era stata solo l’ennesima prova ad evidenziare quanto poco conoscesse sua figlia. Si era arreso in fretta e se ne era tornato negli Stati Uniti, continuando solo a mantenere con lei un civile e asettico rapporto a distanza. Grazie al cielo.
    Non era semplice per Rose considerare vagamente affidabile un membro della sua famiglia. Dalla parte di suo padre erano tutti legati unicamente all’apparenza e decisamente poco interessanti. Da quella di sua madre, beh..c’era il seme della follia nella discendenza femminile ed in quella maschile le pareva ci fosse quello del disinteresse. Sentiva di dover fare uno sforzo per superare questo pregiudizio, se voleva davvero provare ad avvicinarsi in qualche modo a suo cugino o quantomeno usufruire del suo talento.
    - Potrebbe succedere prima di quanto credi. –
    Il punto era che sapeva che sarebbe stato più semplice parlare di quanto era accaduto con Castiel e dei suoi dubbi in proposito con qualcuno con cui non avesse ancora stabilito nessun rapporto affettivo. Temeva l’apprensione di Ryan, Sephirot e Sennar e temeva anche l’idea che avrebbero potuto farsi di lei. Inoltre le era necessaria una persona che potesse ritenere utile nell’aiutarla e forse Gabriel poteva rispondere ai quei requisiti. Allo stesso tempo, tuttavia, voleva essere certa della sua affidabilità e non sapeva come fare. Non si era mai fidata di qualcuno con cui non avesse stabilito un legame affettivo davvero profondo ed intimo.
    - Spero di non aver toccato un tasto dolente. –
    Entrambi i genitori di Gabriel lavoravano per il Ministero del Nord, dunque era difficile non collegare quelle “questioni personali” a loro. I rapporti con i propri genitori erano sempre un terreno dissestato e pericoloso dal punto di vista di Rosalie ed in genere evitava di mostrarsi invadente in proposito. Per quel motivo non aggiunse altro a quella frase, intenzionata a lasciar cadere il discorso. Fu però proprio il cugino a fare un riferimento diretto ai propri genitori e alla disapprovazione che evidentemente gli riservavano. Scosse la testa.
    - Purtroppo il concetto di nobiltà è molto rigido nel nostro ambiente: la trasmissione del sapere è sempre nobile, dal mio punto di vista. Gli auror d’altra parte sono..beh, utili. O almeno presumo che dovrebbero esserlo. Tuttavia sono privi della libertà intellettuale di chi studia la magia invece di sfruttarla esclusivamente per mantenere l’ordine costituito. Ma il mio è un parere impopolare. –
    Azzardò un commento piuttosto sincero, considerato che l’obbiettivo di quel loro confronto era farsi un’idea l’uno dell’altro. E per il momento le pareva che le loro opinioni fossero abbastanza in sintonia. Si chiedeva però se il suo ultimo commento non presentasse un azzardo. L’oscurità non l’aveva mai attratta, quindi la sua ostilità verso gli auror non aveva niente di ideologico. Chissà che, vista la devozione di Gabriel per gli incantesimi mentali, in lui non ci fossero invece delle effettive zone d’ombra. Saperne l’esistenza le sarebbe servito a tenere sempre conto di quell’aspetto, non certo ad escluderlo dalla propria vita. Di ombre ne aveva viste in grande quantità anche negli occhi di Ryan: quello che le interessava era di non scorgere ombre più incontrollabili, come quelle lette nell’unico grande Legilimens che aveva conosciuto. Castiel.
    - E come ti intrattieni, solitamente? -
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    - A giudicare dalla tua voce, direi che possiamo contare con certezza solo Meiko. –
    Lo punse sul vivo senza troppi riguardi. Non perché volesse alimentare la sua preoccupazione o rigirare il coltello nella piaga, ma perché le pareva di essere nella posizione di doverlo fare. Se lui le stava confidando le sue intenzioni, si presumeva che si aspettasse qualche commento sincero in proposito. Rosalie non aveva la presunzione di potergli dare consigli determinanti sull’argomento: che ne poteva sapere lei della gestione di una simile situazione? Per sua fortuna non si era mai trovata in una posizione del genere. Ma come amica era evidente che non doveva risparmiare a Ryan le sue osservazioni implacabilmente lucide sulla realtà. Forse ai limiti della crudeltà. Eppure era un sollievo potersi sentire lucida almeno su una questione.
    - Sai che non puoi fidarti di tua madre. Ma adesso hai dei dubbi anche su tua sorella? È perché ha agito in solitaria? –
    Quello che aveva fatto Marika era stata una scelta da autentica kamikaze. D’altra parte l’unica volta in cui l’aveva incontrata Rosalie aveva pensato che la bionda avesse qualche mania di protagonismo, evidentemente ai limiti della follia. Come altro si poteva spiegare la scelta di agire da sola, quando suo fratello aveva radunato un piccolo ma efficace gruppo di alleati?
    Non poteva biasimare Ryan, nemmeno lei le avrebbe accordato più alcuna fiducia dopo una scelta simile. Marika era un’estremista e come tale avrebbe potuto propendere per una scelta più radicale per risolvere il problema del “rimpiego del personale” dell’agenzia.
    Su Amanda invece sembrava che non ci fossero poi molto dubbi da parte di Ryan: probabilmente era chiara l’intenzione di quella donna di non redimersi come invece desiderava suo figlio.
    - Perché ti ostini? Con Amanda, intendo. Immagino abbia a che fare con l’amore di un figlio per la madre. Qualcosa che non sono in grado di capire davvero. –
    Chissà se Ryan si rendeva conto che avrebbe passato il resto della sua vita a temere che quella donna optasse di nuovo per il sentiero più oscuro. I genitori erano davvero una croce, in certe circostanze. Lei stessa ne era un esempio. Anzi, nel suo caso si poteva parlare – senza alcuna ironia – di una vera e propria maledizione.
    Più sentiva parlare Ryan della sua famiglia e più temeva che ogni possibilità di cambiamento e rinascita per lui sarebbe sempre stata ostacolata dai suoi legami di sangue. Sperava che almeno il rapporto con Meiko avesse su di lui un influsso positivo. Che lo facesse stare bene, per quanto possibile.
    - Alla fine ti sei scoperto migliore di quello che credevi, Ryan. – rivolse lo sguardo verso di lui, senza smettere di passeggiare – Adesso vuoi addirittura farti carico delle vite e del futuro di tutte quelle..beh, come possiamo chiamarle? Anime smarrite. –
    Assassini a sangue freddo sarebbe stato più corretto. Ma considerato che Ryan era stato uno di loro e lei sapeva bene che come persona era molto di più di questo, forse non era giusto riservare a tutti gli altri una definizione tanto superficiale. Forse anche per tutti loro c’era speranza di una redenzione.
    - Cerca di stare attento, però. Preoccupati anche per te stesso mentre ti impegni a fare l’eroe. – tacque per qualche istante, sentendosi incapace di celare la propria preoccupazione – Mi sei mancato, in tutti questi mesi. Sai, la mia vita non è esattamente un via vai di amicizie. –
    Né di relazioni in senso più ampio. In effetti, negli ultimi tempi le era parso quasi di essere sola al mondo. Il rapporto con Alec faceva acqua da tutte le parti ed era ormai quasi del tutto decisa a porvi un termine, per cercare in qualche modo di non alimentare ulteriormente il proprio malessere psicologico. Omar non si faceva vedere da tempo, mentre Sephirot era troppo lontano. Paradossalmente la persona che frequentava di più era Sennar, quel fratello comparso dal nulla con il quale stava ancora cercando di conciliare le loro abissali differenze. Ryan era stato un punto fermo per lei, prima che le loro strade si separassero. Non poteva certo negare di averne sentito la mancanza e rivederlo non aveva fatto altro che rendere quella consapevolezza più evidente.
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    Rosalie gettò uno sguardo sorpreso in direzione del cugino e della gatta grigia che sembrava gradire le attenzioni di quest’ultimo. Il comportamento del felino non avrebbe potuta sorprenderla di più.
    - Lei è Lady Macbeth. Davvero sorprendente, la maggior parte delle persone non le piacciono. –
    Non che si trattasse di un animale aggressivo, niente del genere. Semplicemente la gatta era solita allontanarsi con aria sdegnosa ogni volta che qualche ospite osava importunarla, manifestando verso le persone l’insofferenza che spesso le norme sociali imponevano a Rosalie di celare. Loro due erano anime affini, in effetti. Rosalie era una delle poche persone di cui Lady apprezzava le attenzioni. E anche Gabriel, evidentemente.
    La Hepburn non poteva negare che questo la spingesse ad essere particolarmente bendisposta verso quel cugino che veniva da lontano: sempre nei limiti della prudenza, ovviamente. La sua naturale diffidenza verso il prossimo era difficile da dominare, ma il comportamento del felino le aveva trasmesso una buona sensazione. Niente che avesse un senso razionale, chiaro. Ma d’altra parte, per quanto ancora avrebbe resistito la sua proverbiale razionalità? Stando agli ultimi eventi a cui aveva dovuto fare fronte..ben poco.
    - Non credo che sia davvero possibile impossessarsi di un gatto. – accennò un sorriso, riservando una fugace carezza alla gattina - È uno dei motivi per cui li ammiro, con altri animali non mi sento particolarmente in sintonia. –
    Clara, apparsa silenziosamente proprio nel momento in cui Rosalie chiedeva al cugino cosa desiderasse bere, si dileguò nuovamente senza proferir parola. Sarebbe tornata con il tè nel giro di poco.
    Rose non sapeva se dipendesse dai suoi modi solitari e cortesemente distaccati, ma il personale di servizio in quel maniero era decisamente poco loquace.
    A pensarci bene, però, era sempre stato così fin da quando lei era solo una bambina. Sembrava una caratteristica posseduta da chiunque venisse assunto da Hannah, la governante che si occupava della gestione di tutto il personale, giardinieri compresi. Quell’attitudine condivisa da tutti loro, talvolta, metteva vagamente a disagio persino lei. Contribuiva ad alimentare la cupa atmosfera di quella residenza.
    - Non sei stato affatto maleducato. Credo sia fondamentale cogliere al volo ogni opportunità, quando si tratta del proprio lavoro. Penso di poterti mettere in contatto con qualche famiglia che faccia al caso tuo. –
    Le competenze di Gabriel la affascinavano molto, per quanto non si trattasse di una branca della magia nella quale desiderasse applicarsi. Riteneva che le sue conoscenze potessero rivelarsi utili per lei in quel particolare momento, ma era un po’ restia ad affrontare la questione nell’immediato.
    - Allora..Londra com’è ultimamente? Frequento solo il Ministero e mi sembra immerso nel caos più totale. Ho il sospetto che gli auror non abbiano la minima idea di come muoversi, dopo Gennaio. –
    Cercò dunque di non inoltrarsi subito su quel territorio pericoloso. Voleva prima farsi un’idea su quel cugino così sconosciuto e al momento parlare di attualità le sembrava l’opzione migliore. Il riferimento agli auror poi, era tutt’altro che casuale. Personalmente era sempre stata incredibilmente prevenuta nei loro confronti, non era un caso che non avesse chiesto il loro aiuto quando Castiel l’aveva attaccata ma si fosse invece rivolta a Ryan.
    Lavorare per il Ministero della Magia non generava in lei alcuna sintonia nei loro riguardi: dopotutto l’Ufficio Misteri era, fortunatamente, un reparto piuttosto indipendente. Se Gabriel, al contrario di lei, si fosse rivelato un fervente sostenitore degli auror Rosalie avrebbe incontrato non poche difficoltà nel discutere con lui di quello che poteva averle fatto Westwood.
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    Abbandonata tra i cuscini del divano, Rosalie fece vagare lo sguardo sull’ambiente circostante. Detestava quelle stanze. Detestava ogni centimetro di quella casa in cui, tuttavia, si ostinava a vivere. La sua disponibilità economica le avrebbe permesso di trasferirsi all’istante, su due piedi: avrebbe potuto farlo anche se non avesse avuto un lavoro stabile ormai da diversi anni. Eppure si sentiva ancorata a quel luogo che l’aveva vista crescere, costretta in quell’ambiente in cui da decenni prosperava la follia. In quei corridoi che erano stati terreno fertile per ciò che di marcio si era insinuato nella mente di sua nonna e poi in quella di sua madre. L’aria stessa che respirava in quel maniero le sembrava nociva.
    - Non è necessario. Tra poco starò meglio. –
    Una sicurezza fittizia con cui cercava di contrapporre alle suggestioni della propria irrazionalità una risposta altrettanto fantasiosa. Non stava bene affatto. Non lo sarebbe mai stata se si ostinava a rimanere lì dentro.
    Si sollevò, abbandonando la lussuriosa ed ingannevole comodità dei cuscini per costringersi a rimanere semplicemente seduta senza alcun sostegno dietro la schiena. Senza niente che la accogliesse permettendole di abbandonarsi a quella pericolosa indolenza.
    - Usciamo in giardino, vuoi? –
    Qui dentro non si respira. Avrebbe aggiunto, non fosse stato per il pudore con cui si trovava ora ad osservare il proprio malessere. Chissà che idea si stava facendo Ryan di lei, adesso. Aveva un’espressione preoccupata che non le piaceva affatto e che le ricordava che stava facendo mostra di troppa debolezza.
    Si alzò per riporre il libro in un cassetto sicuro, chiuso a chiave. Poi si diresse verso il giardino, sperando che Ryan non avesse nulla in contrario. Era una soluzione temporanea. Probabilmente quello che le serviva era di allontanarsi davvero da quel maniero degli orrori, almeno per un po’. Ma non aveva idea di quale luogo avrebbe potuto accoglierla, senza farla sentire completamente smarrita. Prendersi una vacanza in solitaria non le sembrava una buona idea, nelle condizioni in cui era.
    L’aria primaverile la riscosse un po’ e parve allontanarsi almeno in parte da quella malsana sensazione di impotenza. Si sentiva più libera di imporre una direzione precisa ai propri pensieri. Riuscì così a rivolgere tutta la propria attenzione alle parole di Ryan, così come aveva sperato di poter fare poco prima. La situazione che Freedman si trovava ad affrontare era tutt’altro che semplice, ma aveva agli occhi della Hepburn contorni più concreti dei problemi che affliggevano lei. Si sentiva capace di affrontare l’argomento a parole, quantomeno. Cosa che chiaramente non era in grado di fare con le proprie preoccupazioni.
    - Vorresti trasformarla nel tipo di agenzia che tuo padre ha sempre finto che fosse? Sicurezza privata, qualcosa del genere? –
    Lo osservò di sottecchi, chiedendosi se l’evidente scetticismo che era emerso nella sua voce non fosse frutto della sua naturale tendenza al pessimismo. Eppure non riusciva propria a vederla sotto un altro punto di vista e si sentiva in dovere di condividere con Ryan i propri dubbi.
    - Fino a non molto più di una decina di anni fa, in Inghilterra la caccia alla volpe era un rituale legalizzato. Immagina tutti questi uomini che seguono a cavallo un branco di cani, tutti insieme a dare la caccia ad un’unica volpe. Quando i cani la trovano la sbranano in gruppo, senza pietà. Sono stati addestrati a farlo. Una pratica barbara. – osservò senza esitazione, malgrado non avesse una particolare affinità con gli animali che le apparivano troppo selvatici – Quello che vuoi fare adesso, Ryan, è metterti davanti a questo branco di cani che per una vita sono stati addestrati a cacciare, uccidere e sbranare e dire loro che adesso è tutto cambiato. Che devono vivere diversamente. –
    Scosse la testa proseguendo a passeggiare. Si rendeva conto del senso di responsabilità che doveva avvertire Ryan rispetto a tutte quelle persone, ma il suo obbiettivo le appariva davvero complesso da realizzare.
    - Non dico che sia impossibile. Non credo che sia folle, ma sicuramente sarà molto complicato. E potrebbe essere un lavoro molto lungo. Quello che non ho capito è se pensi di fartene carico da solo. –
    Non aveva accennato a Marika in alcun modo. E nemmeno a sua madre che, se Ryan non aveva cambiato i suoi piani, doveva essere sopravvissuta alla vendetta che il primogenito aveva programmato. Ricordava inoltre che Ryan aveva avuto altri alleati, nel corso di quella battaglia. Possibile che quel progetto riguardasse solo lui?
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    Oh :quo: :quo: Grazie mille!
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    La spiegazione di Sennar gettò una nuova luce sull’intero discorso, chiarendole ciò che le era più oscuro. Naturalmente il dettaglio sottolineato da suo fratello, quella piccola premessa non da poco, era una variabile che lei non aveva nemmeno calcolato. Che la sua personale esperienza infantile non le aveva permesso, ora che affrontava un simile argomento da adulta, di prendere in considerazione.
    - Avere le persone giuste al proprio fianco è un dettaglio fondamentale, immagino. –
    Poteva sembrare esageratamente ingenuo da parte sua, ma d’altra parte aveva vissuto la sua infanzia in un isolamento tale da non poter nemmeno confrontarsi con i suoi coetanei ed essere davvero consapevole di quanto quella mancanza avesse avuto peso. In linea di massima si rendeva conto che aveva pesato sul suo risentimento verso sua madre e la sua famiglia più in generale, ma non si poteva dire che Rosalie fosse realmente consapevole di quanto le esperienze che le erano state precluse ed i legami fondamentali a cui aveva dovuto rinunciare avessero inciso su tutta la sua interpretazione del mondo e delle relazioni umane.
    Né si era mai resa conto del fatto che un bambino, crescendo in condizioni più normali, potesse essere pieno di risorse. Li aveva sempre visti come creature fragili e vulnerabili, ed era questo principalmente a renderla nervosa in loro presenza.
    - A giudicare da quanto questi bambini sembrano essere legati a te..direi che lo sei. Non dovresti avere dubbi in merito. –
    Non sapeva quante altre persone ricevessero così facilmente disegni in dono dai bambini. Insomma..magari era un’abitudine di chi aveva meno di dieci anni, regalare disegni a destra e manca. In quel caso era fuori strada. Ma a lei sembrava un bel gesto, una scelta di condividere qualcosa che ai suoi occhi di bambina sarebbe stato decisamente troppo intimo. Non ricordava nemmeno di averli mostrati a qualcuno che non fosse la sua governante, i suoi disegni.
    Ascoltò pensierosa ciò che suo fratello le stava raccontando di Gabriela e si trovò spiazzata nell’intuire che i due ancora si frequentavano, o quantomeno si sentivano. Era chiaro che non c’era niente di risolto tra loro, che ancora del risentimento persisteva e che probabilmente non sarebbe mai svanito.
    - La vedi ancora? Per quale motivo? Quando un rapporto finisce male per quanto mi riguarda la cosa migliore è tagliare completamente i ponti. –
    Lei aveva fatto così con Alexander, per quanto quella effettivamente potesse considerarsi una situazione un po’ estrema. Ma si sarebbe comportata allo stesso modo con Alec se infine fosse riuscita definitivamente a decidere che quello strano rapporto non andava da nessuna parte. Che le faceva solo male. Era così, ne era sempre più convinta. Le cose erano andate diversamente solo con Sephirot, ma la loro relazione non era finita male. Affatto. Era stata una scelta comune che aveva lasciato nel loro rapporto un profondo affetto reciproco.
    - Non saprei Sennar, non credo sia vero. Non è questa la cosa che mi preoccupa di più, però. Se le tue condizioni devono dipendere sempre e completamente dal benessere di qualcun altro, allora, questa sì che mi sembra una dinamica pericolosa. –
    Non era sicura di aver gestito lo sfogo di Sennar nel miglior modo possibile. Anzi, ne dubitava fortemente. Forse lui avrebbe continuato a piangere senza che Rosalie riuscisse a capire com’era meglio comportarsi.
    Probabilmente fu per questo motivo che scelse di non rifuggire completamente dall’interesse di Sennar per il suo benessere.
    - Così..insomma, sono un po’ solitaria ultimamente. Più del solito. E sto cercando di capire se è il caso di mettere la parola fine ad una parentesi della mia vita. Una relazione, per così dire. Come vedi nemmeno io me la cavo benissimo in questo campo. –
    Era stata vaga e dubitava che sarebbe scesa nello specifico, ma quel riferimento era già moltissimo per lei. Non riusciva a parlare con suo fratello della profezia e del tormento che le dava, di Castiel e dei suoi timori. Non c’era ancora tutta questa confidenza. Ma mostrargli che condivideva la sua stessa sfortuna nelle relazioni sentimentali non le era risultato poi così difficile. Le pareva anzi che rendesse le sue emozioni in proposito leggermente meno opprimenti.
  10. .
    Non sapeva di preciso cosa l’avesse spinta verso quell’incontro. La famiglia di sua madre era sempre stata ben lontana dalle sue frequentazioni. Per gli anni della sua infanzia e della sua adolescenza aveva avuto modo di frequentare molto quella paterna, partecipando ad incontri che venivano in qualche modo ritenuti “obbligatori” per una Hepburn. Era abbastanza paradossale, considerato che aveva smesso di vedere suo padre all’età di quattro anni e da allora lui era diventato solo una figura rarefatta che dagli Stati Uniti le spediva lettere e si interessava ai suoi progressi nello studio e poi nel lavoro.
    Ma della famiglia di sua madre aveva sempre saputo poco. Probabilmente perché tutti i suoi membri si erano ben guardati dal marchio di follia apparentemente generazionale che da sua nonna era passato a sua madre. E probabilmente a lei. Era probabile che fosse giunta anche ai loro parenti in Norvegia la voce su quella profezia che pendeva sulle donne di quella discendenza, la stessa profezia che così a lungo Rosalie aveva sperato di poter classificare come inesistente, frutto delle malignità della gente. Finché Castiel non le aveva regalato la verità.
    Ora era proprio uno di loro che attendeva: suo cugino Gabriel, direttamente da quel ramo norvegese di cui sapeva così poco. Quell’incontro aveva uno scopo ben preciso, un favore che Rosalie riteneva di potergli fare. Ma dal momento che non era sua abitudine fare niente per niente, in particolar modo per un parente di cui sapeva così poco, le sue intenzioni celavano anche un personale interesse.
    Covava da settimane l’impressione che Castiel potesse averle fatto qualcosa. Che avesse smosso in qualche modo qualcosa nella sua mente, tirato qualche filo, soggiogandola a qualche sorta di magia mentale di cui non era a conoscenza. Il terrore che le causava lo scorrere del tempo – e con esso la possibilità sempre più imminente di perdere la ragione secondo quanto stabilito dalla profezia - la teneva ormai sveglia quasi ogni notte. Di giorno si muoveva avvolta da una strana indolenza, dalla stanchezza che le causava la privazione delle ore di sonno. Assumeva regolarmente una pozione non strettamente legale, in grado di risvegliare completamente il suo cervello – di potenziarlo quasi, le sembrava – per affrontare i turni all’Ufficio Misteri senza alcuna difficoltà. Finito l’effetto, tuttavia, la spossatezza tornava e la faceva sua prigioniera. Ma paradossalmente, il sonno di notte continuava a non avere la meglio. L’ansia la teneva sveglia fino all’alba.
    Voleva credere che Castiel le avesse fatto qualcosa durante l’incontro di più di un anno prima, qualcosa di complesso e misterioso che poteva agire su di lei ancora adesso senza che se ne rendesse conto. Era un’alternativa quantomeno fantasiosa..ma l’altra scelta presentava la possibilità che infine la follia stesse giungendo davvero a farle visita. Le immagini delle persone che amava o aveva amato che Westwood aveva rievocato il giorno in cui l’aveva quasi uccisa tornavano regolarmente a farle visita la notte. Le crudeltà da loro pronunciate si ripetevano. Allucinazioni che la stanchezza le provocava e che sembravano così reali nel buio della sua stanza. Il terrore di impazzire, forse, era sul punto di farla impazzire realmente.
    Non sapeva se Gabriel avrebbe potuto aiutarla. Non sapeva nemmeno se si sarebbe davvero decisa a chiedere il suo aiuto, sebbene la confortasse l’idea di farlo con una persona che conosceva così poco.
    Quando aprì la porta, il suo aspetto era impeccabile e celava qualunque traccia del suo tormento. L’uomo che si trovava davanti aveva un aspetto elegante ma affatto superbo, con uno sguardo vivo e brillante di intelligenza.
    - Gabriel? Sono Rosalie, è un piacere conoscerti. –
    Gli strinse la mano prima di invitarlo ad entrare e guidarlo verso un elegante salottino, lontano dal salone principale del maniero che ultimamente la incupiva decisamente troppo. Lady Macbeth, acciambellata su una poltrona, sollevò uno sguardo felino sul nuovo arrivato osservandolo con interesse.
    - Ti chiedo scusa per il viaggio, ma Londra è diventata un tale caos dopo Gennaio. Preferisco stare qui, quando non sono in ufficio. –
    E dire che aveva sempre preferito la città, al maniero immerso nelle campagne dell’Oxfordshire in cui era cresciuta. Ma ultimamente il suo bisogno di quiete e isolamento aveva avuto la meglio.
    - Cosa posso offrirti da bere? -
  11. .
    Le parole di Ryan portarono la sua mente a quel giorno in cui si era recata a casa di lui e alla visione che si era presentata davanti ai suoi occhi. Il sangue, la sofferenza e l’umiliazione di uomo che veniva torturato. Esaminò tutto con una freddezza autoimposta, ma che non le parve poi così faticosa in quel momento.
    Lo stato di estraneità che viveva nei confronti del mondo e della vita in sé la avvolgeva come una membrana in grado di insonorizzare la realtà esterna. Una membrana su cui la sua vita scivolava senza lasciarle alcun segno. Non riusciva realmente a comprendere se questo era ciò che era diventata o se si trattava di una specie di difesa temporanea che presto sarebbe crollata, rigettandola nel terrore più assoluto per il futuro che la attendeva.
    - Scuse accettate. –
    Non sapeva bene come relazionarsi a ciò che in passato l’aveva tanto colpita, né alla prospettiva che qualcosa potesse colpirla di nuovo. Aggredirla. Non sapeva come affrontare la prospettiva di un altro incontro con Castiel, o di qualche esperienza che avrebbe messo a rischio la sua vita. O qualcosa di ancora più importante. Era la sua sanità mentale a rischiare costantemente di essere compromessa e forse era sciocco continuare a trovare cause esterne in quella dinamica. Ostinarsi a ricercare altri colpevoli, oltre a sé stessa.
    - Magari era semplicemente quello che doveva accadere. –
    Sussurrò assorta, al punto che era difficile capire se stesse parlando davvero con Ryan o se piuttosto si stesse rivolgendo a sé stessa. Dunque era questo che era diventata? Una fatalista. Improvvisamente prendeva davvero in considerazione concetti come il destino, il fato. Quelle idee assurde a cui l’aveva sempre spinta la consapevolezza dell’esistenza di quella Profezia ma che lei aveva sempre cercato di respingere e rifiutare con tutta sé stessa. Ora invece si stava quasi convincendo che il macabro spettacolo a cui aveva assistito a casa di Ryan fosse semplicemente stato scritto nel suo destino, un pezzo di puzzle che andava a completare uno scenario più vasto. Forse la sua stessa amicizia con una persona dai trascorsi e dalle esperienze di Ryan aveva a che fare con tutto questo: quel legame affettivo con qualcuno che per tutta la propria esistenza era stato costretto a vivere di violenza.
    E che dire del rapporto con Castiel? Si era convinta che lui la perseguitasse perché qualche parola di troppo pronunciata durante una partita a scacchi aveva scatenato la sua ira, stuzzicando la sua ossessione per il divino. Ma chi aveva scelto, in piena libertà e autonomia, di fargli visita in carcere? Rosalie aveva preso quella decisione nonostante non avesse più bisogno dell’aiuto di Westwood.
    E chi si era lasciata alle spalle un relazione positiva, sincera ed equilibrata come quella che aveva con Sephirot senza combattere per affrontare con lui le piccole difficoltà che erano naturali in ogni rapporto di coppia? Sempre lei. Lei che ora si era infilata in un rapporto malsano, dominato da estremi di sentimenti romantici e di rancore ugualmente intensi, con qualcuno che l’avrebbe voluta accanto in ogni istante ma che al contempo non tollerava l’idea di sfiorarla. Ogni tappa della sua vita era opera sua. Ogni dettaglio che la rendeva lontana dalla normalità, dalla sicurezza emotiva, era tutta opera sua. Navigava a vele spiegate verso la perdita di controllo ed il delirio e non se ne era mai resa conto.
    Sollevò uno sguardo confuso su Ryan, afferrando a stento le sue parole. I suoi occhi erano annebbiati e le sembrava quasi di essere sul punto di vacillare. Forse stava effettivamente vacillando.
    - Perdonami, non mi sento molto bene.. –
    Arrancò verso il divano, lasciandosi cadere tra i cuscini morbidi e portandosi una mano alla testa. Senza dubbio si stava suggestionando. Quelle riflessioni erano forse partite da una base razionale, ma si stavano distanziando velocemente da essa. Prendevano il largo, completamente fuori controllo.
    Capì che l’unica cosa che poteva fare era smettere di concentrarsi su sé stessa. Depose così il libro che aveva ancora tra le mani, ben intenzionata a non dedicarvi affatto la propria attenzione per il momento. Cercò lo sguardo di Ryan, sperando di non averlo fatto preoccupare inutilmente.
    - Credo di avere un po’ di febbre, in questi giorni va e viene. –
    Non era nemmeno falso, oltretutto. Anche se aveva quasi il sospetto che anche quella leggera febbre fosse frutto di un suo stato emotivo
    - Da come parli non sembra che tu voglia semplicemente chiudere l’agenzia. Come funziona, Ryan..tu e Marika non riuscite a liquidare il personale? –
    Cercò di buttarla sullo spiritoso, anche se non era mai stato esattamente il suo forte. Lo faceva più che altro per distrarre sé stessa da quel malsano torpore, ma anche perché non sapeva bene come affrontare l’argomento in questione. Aveva troppe domande ma temeva di risultare indelicata. In particolare esitava nel chiedere informazioni in più sulle sorti dei coniugi Freedman.
    - Credi di poterla cambiare in meglio, è così? -
  12. .
    - Davvero? –
    La sorprendeva una costatazione che non collimava affatto con il ricordo che lei aveva della sua infanzia. Le sembrava di non ricordare il momento in cui era diventata adulta, in cui aveva iniziato a comprendere: per quel che ricordava, a lei ombre e tristezza erano sempre state visibili. E si rendeva conto che probabilmente questo era impossibile, che doveva trattarsi di una sua impressione e di ricordi in qualche modo falsati. Ma la visione idilliaca che sembrava offrirle Sennar continuava a stonarle.
    Forse lei bambina non lo era mai stata. O forse semplicemente non ne aveva memoria.
    - Di bambini non ne so molto. Anzi non ne so niente, ad essere sincera. Ma sembra davvero una meraviglia l’infanzia, se è come dici. –
    Continuò a guardare le tracce che tutti quei ragazzini avevano lasciato in quella casa, cercando di cogliere in essi prove a sostegno di quella considerazione. I disegni più allegri non facevano che irrigidirla, solleticando in lei un vago ma persistente senso di invidia. Ecco, forse in esso si celava qualcosa di ben poco adulto.
    Fu improvvisamente lieta di abbandonare quel luogo in cui lei era più estranea di tutti i piccoli individui di cui Sennar si prendeva cura. Le sembrava più facile cercare di essere in qualche modo utile al fratello se si allontanava da ciò che lei stessa aveva tirato in ballo, accennando al disegno del piccolo Dewey. Non si era resa conto della portata del disagio che quello spunto avrebbe generato in lei.
    Si avviarono per le vie di Londra, mentre Rosalie ascoltava i dettagli di un percorso che aveva subito più riprese e ricadute. In effetti avrebbe dovuto immaginarlo. Non era così per la maggior parte delle persone? Era la dinamica che vi era dietro però ad impressionarla.
    - Hai dato molto potere a questa donna. –
    E tutto sarebbe stato piuttosto nella norma – affatto consigliabile, dal suo punto vista, ma nella norma – se si fosse trattato unicamente di Gabriela. Quella donna doveva essergli stata proprio a cuore per spingerlo una volta verso la salvezza e un’altra verso il crollo. Sembrava essere quella la prerogativa dell’amore, così non c’era poi niente di così insolito in quello che era accaduto a Sennar.
    Ma quando l’uomo aggiunse altri soggetti come variabili dei suoi alti e bassi, lì Rosalie iniziò ad osservare qualcosa di forse meno frequente. Comunque sia, di certo molto pericoloso. Sembrava che la vera dipendenza di Sennar non fosse l’alcool, in effetti. Piuttosto, nel sentirlo parlare Rose non poteva fare a meno di pensare che fosse dipendente dalle persone. Da quelle che amava, da quelle che sceglieva di aiutare.
    - Gabriela, il tuo amico e sua figlia.. ti lasci andare o ti risollevi sempre per qualcun altro. –
    Osservò, senza riuscire ad usare mezzi termini. Lo vide bloccarsi e un senso di disagio la avvolse immediatamente, come un presentimento. Esitò a lungo prima di muovere i due passi che l’avrebbero avvicinata a lui permettendole di costatare che stava piangendo. E dire che credeva che a quel punto Sennar non potesse fare più niente che la mettesse ulteriormente in difficoltà. Credeva di avere già raggiunto il limite del disagio e dell’inadeguatezza.
    Era così poco abituata alle lacrime da non averle prese in considerazione.
    Allungò una mano, incerta, sfiorandogli il braccio. Si rendeva conto che, da quel punto di vista, non avrebbe potuto fare di meglio. Non era avvezza alle manifestazioni d’affetto, fatta eccezione per le pochissime persone con cui ormai si sentiva in stretta confidenza. E persino con loro lo centellinava.
    Decise di parlare di nuovo anche se era convinta che anche le sue parole, per quanto fossero pensieri di cui lei era fermamente convinta, non potessero risultare di grande conforto.
    - Forse dovresti iniziare a fare qualcosa per te stesso, Sennar. -
  13. .
    La sorprese costatare che Ryan avesse un’idea così vaga di quel percorso dei dodici (o forse erano dieci?) passi di cui tanto si sentiva parlare. Forse il fatto che lui avesse avuto problemi di alcolismo, il fatto di aver avuto addirittura uno sponsor che si era occupato di lui, l’aveva indotta a credere che doveva aver affrontato per forza un percorso del genere.
    Lei di quel cammino sapeva ben poco. Ma sì, si ricordava che uno di quei passi prevedeva il chiedere scusa alle persone amate e il cercare in qualche modo di porre rimedio ai danni fatti. E a pensarci bene, forse era per questo che Ryan non ne sapeva granché. A chi diavolo dovevi chiedere scusa, quando venivi da una famiglia come la sua? Di sicuro non aveva nessun motivo che lo spingesse a rimediare a comportamenti sbagliati avuti nei loro confronti. Restavano gli amici, ma Rosalie non aveva mai compreso fino in fondo quali fossero gli amici di Ryan, fatta eccezione per Sennar da cui evidentemente si era allontanato. Le era sempre parso di capire che lui volesse coinvolgere meno persone possibili nella propria vita.
    Insomma, Ryan Freedman aveva un’esistenza troppo singolare per affidarsi ad un percorso prestabilito dagli Alcolisti Anonimi o chi per loro. Quindi, ora che cercava una redenzione, se lo tracciava da solo il proprio percorso. Cercava una via in totale autonomia.
    - E io sono parte di uno di questi passi? –
    Piegò la testa di lato, osservandolo. Il fatto che Ryan cercasse una redenzione poteva sembrare un buon segno, ma lei non ne era del tutto convinta. Per quale motivo si sentiva più macchiato adesso rispetto ad un anno prima? Che prezzo aveva dovuto pagare, infine, per vincere la sua battaglia? O forse si trattava solo del tempo che gli lasciava la fine di quella guerra. Tempo per riflettere e per guardarsi allo specchio. Improvvisamente, le parve di vederlo più stanco di come lo ricordasse. Sfibrato.
    - Non hai mai fatto niente di male..a me in particolare. –
    Era la verità. Lei si era allontanata perché tutto era diventato troppo, perché aveva visto un Ryan a cui non riusciva a stare vicina. La sua coscienza aveva tremato per l’orrore, poiché vedere con i propri occhi era ben diverso dal solo immaginare. Ma a lei direttamente Ryan non aveva fatto alcun torto. Al contrario. Senza di lui probabilmente non sarebbe mai sopravvissuta al suo ultimo faccia a faccia con Castiel.
    Non aveva smesso di sentirsi in difetto per quella richiesta di aiuto. Troppo facile chiedere aiuto a qualcuno che si è scelto di allontanare, come a dire che nel momento del bisogno le abilità di Ryan nel colpire il prossimo andavano fin troppo bene. Si sentiva un po’ ipocrita. Soprattutto dal momento che non le era passato per la testa neanche per un singolo istante di mandarlo agli auror quel patronus. No, figurarsi. Perché fare quello che avrebbe fatto qualunque persona normale? E dire che lei al Ministero ci lavorava anche.
    - Così..insomma, diciamo che non ho nessuna novità. C’è sempre da chiedersi se sia un bene o un male. –
    Replicò, mentre il suo sguardo cadeva sul libro che Ryan le stava porgendo. Sbarrò gli occhi, interdetta.
    - Non credevo che me l’avresti portato comunque. –
    Forse lui le aveva anche detto che l’avrebbe fatto, la memoria di quel giorno non era del tutto limpida. Troppo contaminata dallo sgomento per lo spettacolo a cui aveva assistito. In ogni caso, non avrebbe mai pensato che Ryan potesse davvero ricordarsene. Pensare a lei in una situazione simile.
    Esitò, prima di afferrare il libro. Lo sfiorò, quasi temesse che la copertina potesse scottarla, poi lo prese tra le mani. Si scostò per farlo entrare e guidarlo verso il soggiorno.
    - Quindi è tutto finito, Ryan? –
    Disse infine, incapace di indugiare ulteriormente, mentre ancora non sembrava intenzionata ad esaminare il misterioso volume. Sarebbe stata necessaria una lettura attenta e approfondita, in ogni caso.
  14. .
    La prima risposta di Sennar non le fu di grande aiuto. Era il genere di risposta a cui era difficile ribattere se non si possedeva una visione rosea della vita..e di certo Rosalie non poteva sostenere di possederla. Non aveva messaggi di saggezza e grandi verità spirituali a cui aggrapparsi, risposte sul senso profondo della vita da rifilare a chi si trovasse in difficoltà. Non ne aveva mai avute e se qualcuno avesse cercato di propinarne a lei l’avrebbe di certo trovato infinitamente irritante.
    Oltre a questo aspetto, la domanda che Sennar le aveva resituito come “risposta” non le dava neanche modo di farsi un’idea più chiara della situazione. Quindi tacque, nella speranzosa attesa di altro. Convinta, tuttavia, che nemmeno una risposta più dettagliata si sarebbe rivelata utile se destinata a lei.
    Aiutare gli altri non era mai stata la sua specialità. Anzi, non sarebbe stato azzardato definirsi una neofita in materia. Poteva darsi che avesse trovato qualche parola di conforto per Ryan o per Sephirot in passato, ma onestamente non era convinta che si fossero rivelate davvero utili e le sembrava più facile credere che i pochi amici che aveva fossero stati abbastanza delicati da non farle notare la sua totale incompetenza. Con Alec aveva probabilmente fatto più danni che altro, o almeno così le aveva dato modo di pensare lui con le sue reazioni. A ben pensarci..i risultati migliori li aveva ottenuti quando aveva pagato qualche avvocato per tirare Omar fuori da guai. Una considerazione tra il triste e lo squallido, che si affrettò ad allontanare dalla propria mente mentre tornava ad ascoltare il fratello.
    Seguì il movimento del braccio di Sennar ed il suo sguardo si posò sui disegni e sulle fotografie che coloravano la stanza. A vederla così sembrava tutto meno che la stanza di una persona che si era appena definita solo un alcolista.
    Aggrottò la fronte, spaesata. Aveva sempre creduto che il lavoro che Sennar aveva scelto fosse una sorta di infallibile antidoto alla solitudine e alla tristezza. Se si aveva la forza di affrontare le difficoltà altrui rendendosi utile al prossimo come faceva Sennar, la gratificazione doveva in qualche modo riempirti la vita senza lasciare alcuno spazio per i demoni. La sua naturale propensione all’individualismo l’aveva spinta a ritenere che vi fosse anche quella ragione, sotto sotto, a guidare una persona verso quella strada. Un beneficio personale che se ne ricavava in cambio..in termini di arricchimento della propria vita, soddisfazione e gratificazione. Certo, non credeva che Sennar fosse tanto cinico da compiere quel ragionamento in modo razionale come aveva fatto lei – era senza dubbio una persona di gran lunga migliore – ma riteneva che nel profondo quella ragione fosse ben presente.
    L’uomo che ora si ritrovava davanti, l’uomo che pronunciava quelle parole, sembrava tutto meno che una persona la cui scelta lo rendeva felice e fiero di sé, restituendogli un senso di identità.
    - Immagino che..Dewey.. non sarebbe d’accordo con te. –
    Osservò, avvicinandosi al disegno di un bambino che doveva avere appena sei anni. O magari era più grande ma aveva dei disastrosi problemi di calligrafia. I suoi occhi rimasero posati sul nome scritto con un pennarello rosso ancora per qualche istante, poi tornarono sul fratello.
    - Cosa ti ha spinto a decidere di smettere? –
    Così questo era il meglio che sapeva fare. Fargli un’altra domanda, invece di offrirgli un conforto o una rassicurazione. Raccogliere altri elementi, nemmeno si trattasse di una ricerca di lavoro per la quale possedere altre informazioni l’avrebbe piano piano spinta verso una soluzione ottimale.
    Pessima. Eppure la voleva davvero..quella risposta.
    - Hai bisogno di uscire, facciamo una passeggiata. -
  15. .
    La piega che avevano preso le sue giornate era talmente ruotinaria da sopraffare persino lei, che con la routine non aveva mai avuto alcun problema. In vero, l’aveva sempre trovata in qualche modo confortante. La ruotine la proteggeva dalle sorprese, dai drammi che sembravano sempre dietro l’angolo. Dal fantasma della follia pronto a coglierla di sorpresa da un momento all’altro, in agguato ancora per i tre anni a venire. Per questo vi si era rifugiata, spinta da un vero e proprio bisogno, dopo lo scontro con Castiel che l’aveva quasi spinta sull’orlo del baratro oltre il quale poteva trovarsi proprio quella follia tanto temuta. O la morte, un’alternativa più clemente.
    La sua vita era stata per mesi un susseguirsi di una quotidianità arricchita unicamente dalla stimolante complessità del suo lavoro, un succedersi di giorni in cui niente era davvero cambiato.
    Stava imparando – con l’estenuante lentezza di chi non è avvezzo ai rapporti affettivi – a conoscere suo fratello e forse questo era l’unico aspetto della sua vita che conoscesse una qualche forma di progredire. Il rapporto con Alec era statico nella sua patologica interdipendenza, apparentemente non destinato ad evolvere in alcun modo e capace di tormentarla con estremi emotivi che tuttavia avevano assunto quasi una loro prevedibilità. Una pericolosa coazione a ripetere.
    E infondo era tutto qui, la sua vita avrebbe potuto riassumersi in quelle poche considerazioni che si ritrovava a fare in quel momento, mentre riponeva il violino nella custodia dopo avergli dedicato un’ora di attenzioni scostanti, sempre ostacolate dall’interferenza dei suoi pensieri.
    Era arrivata al punto da sentirsi sfibrata dalla costanza di quella ruotine. Eppure le sembrava passato il tempo dei grandi cambiamenti, quello in cui avrebbe potuto decidere di trasferirsi e inseguire la possibilità di una vita diversa, il tempo in cui era possibile reinventarsi e ridefinire sé stessi. Se mai vi era stato..quel tempo. Malgrado il simbolo che portava tatuato alla base del collo, una parte di lei non aveva mai smesso davvero di pensare alla sua vita come a qualcosa di preordinato e senza via d’uscita. Forse non solo la malattia mentale a cui era destinata era scritta nel suo destino.
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    Magari quell’estenuante costanza era ciò che la vita le riservava prima dello smarrimento assoluto.
    Il suono del campanello la strappò via ai suoi pensieri mentre scendeva la scalinata che si apriva sull’ampio salone principale del maniero. Come non le capitava più da un po’ di tempo – tanto erano rare le visite che riceveva – intrecettò una domestica prima che quest’ultima andasse ad aprire e si diresse personalmente verso l’ingresso. Un leggero barlume di curiosità si era acceso in lei, dal momento che non aspettava visite e che si sentiva di escludere la maggior parte delle sue conoscenze.
    La figura che le si presentò davanti era senza dubbio conosciuta, e ancora più indiscutibilmente mai dimenticata. Per chi contava gli affetti sulle dita di una mano era impossibile mettere da parte un’amicizia tanto profonda. Lo era ancora di più dopo l’ultimo evento che li aveva visti vicini.
    - Stai bene? –
    La domanda le precipitò dalle labbra prima ancora di un saluto, prima ancora di aver pronunciato il nome del suo visitatore.
    L’ultima volta che si erano salutati era certa che non lo avrebbe rivisto prima che tutto ciò che lui era determinato ad affrontare non avesse conosciuto un suo epilogo. Se questo era davvero accaduto, quella pronunciata era la prima domanda che aveva bisogno di fargli.
230 replies since 27/2/2014
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