Posts written by Wreck!

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    E se qualcuno mi avesse detto che sarebbe accaduto proprio quella sera, allora mai ci avrei creduto. L’avevo tenuta stretta tra le mie braccia per tutta la notte, e avevamo provato, riprovato, ci eravamo conosciuti finché l’ultimo sospiro della sua voce non mi aveva nel buio riempito l’orecchio così tanto da farmene essere sazio.
    Le avevo smesso di accarezzare la pelle solo un’ora dopo, quando ero caduto trappola di un sonno appagante e pieno, la mano mi si era rovesciata su un lato e gli occhi si erano chiusi mentre un sorriso leggero mi correva sulle labbra.
    Lo so che lo dicevo di ogni ragazza, ma stavolta era stato qualcosa di diverso, l’avevo sentito più che bene, era un morso da una fetta di torta di paradiso, la sua voce era paradisiaca, la sua pelle era brillante e calda. L’avevo sentito, ogni passaggio.
    Fu strano in alcun tratti, quasi a doverla obbligare a fermarsi, a rilassarsi, a respirare. Ma era stata la notte migliore da anni, una notte in cui il cervello andava totalmente spento, perché non era lui che guidava la giostra.

    Non mi ero preoccupato se Phoebe fosse preoccupata, a Dan aveva detto che sarei di certo tornato in serata, massimo mezzanotte, e forse, mi dissi, era l’unico a gioire del fatto che non fossi rientrato davvero, ma piuttosto non mi avrebbe dato pace al rientro, in cambio di una bugia perfettamente imbastita e costruita per Phoebe: il povero padre chiamato per un’emergenza in ospedale, lui che gestiva il tutto con del gelato e con della tv spazzatura, promettendole qualcosa di enorme per oggi, e offendendomi di tanto in tanto, bonariamente, da che era certo che in cambio avrei raccontato qualcosa. Ma cosa?
    Quando sollevo le palpebre debolmente, nonostante la luce passasse con una fatica estrema dalle tapparelle, mi dico che prima di tutto, gli avrei raccontato di quanto nella fosse, con quegli occhi argentei quasi, le labbra carnose e quell’espressione… si che non era in effetti troppo promettente. Forse vuole già scaricarmi.
    “Buongiorno” mi dirà che gli ho fatto un po’ pena ieri, e che sembrava un modo giusto per tirarmi su. Una ragazza durante l’ultimo anno di Hogwarts disse esattamente queste parole, seguite dal se avessi potuto parlare con Max fa parte sua cosicché potesse essere invitata al ballo. Ero rimasto con un’espressione assurda sul volto, e prima di scrostare quelle parole “un po’” e “pena” avevo impiegato i miei migliori mezzi e migliori strumenti per sopravvivere all’ultimo anno. E avevo pure parlato con Max.
    Se proprio dovrà mollarmi qui, allora che io possa accarezzarle per l’ultima volta la pelle della pancia, solcarne le linee, che possa prenderle tra la mia, la sua mano e baciarne il dorso per stringerla al petto, rigorosamente ora ad occhi chiusi perché di vedere l’espressione che sta per scaricarmi e dire che magari adesso mi sento meglio, non riesco.
    Le ribacio il dorso della mano e la sento leggermente cambiare posizione, ma riesco a sconfiggere la curiosità e non guardare. “È stata la notte più bella degli ultimi anni” le dico passandole il pollice sul dorso morbido della mano “potrebbe essere migliore solo una colazione in camera” quindi decido di riaprire gli occhi per guardarla, e mi faccio coraggio “va tutto bene?”.
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    La vergogna e lo sconforto che credevo di provare non arrivò mai, anzi, mi sentii finalmente libero, sereno, fu una sensazione che risulta praticamente inspiegabile. Erano mesi, anni, che fingevo che la cosa non mi toccasse affatto, che si potesse vivere benissimo con quello che mi era successo, mi dicevano che c'era di peggio, poteva succedere eccome di peggio. Sarebbe stato terribile se io fossi morto no? O non avessi nemmeno un amico, se non avessi un lavoro. Poteva andare molto peggio, ed io mi ero aggrappato a quella speranza, a quella frase con tutte le mie forze.
    E invece ora? Mi coprivo il cerchio del viso con le mani, come a volermi ulteriormente proteggere. Ma finalmente, ora, poteva far uscire via tristezza, terrore puro, perchè l'idea di crescere da solo una bambina era terrificante, aver perso così tante persone in un colpo solo era indescrivibile, ma si, poteva andare peggio. Vero, ma in questo momento, pensavo, poteva anche andare meglio.
    Quando nel cerchio dipinto dalle mie mani si infilò il viso di Makenzie non smisi di guardare a terra, con le guance umidi, gli occhi che bruciavano e la testa che con leggeri movimenti, negava la situazione terribile in cui mi trovavo. Arrivavamo a fine mese per il rotto della cuffia, Phoebe era nera, Dan era una figura infinitamente migliore della mia, e io avevo speso la nottata a far credere a mia figlia che la nostra situazione non era così faticosa, così folle, c'era di peggio.
    Razionalmente Makenzie aveva, come Dan, totalmente ragione, io non avevo fatto niente. Eppure quella sensazione di avrei potuto, avrei dovuto, non riuscivo a scrollarmela da dosso, e quando ci pensavo e quando mi addormentavo sapendo che non potevo fare altro, nemmeno come personale sanitario, subentrava l'inadeguatezza genitoriale. Mi dicevo che Phoebe sarebbe diventata una drogata, o una pazza, o si sarebbe sposata con un alcolizzato, credendo potesse esserci di peggio. E che sarei morto da solo, giusto per non cedere al fatto che avessi davvero bisogno di una donna, qualcuno che si prendesse anche cura di me, insomma, mi dicevo, può esserci di peggio!
    Però la guardo, e lei rimane in silenzio. Mi dico che almeno questo no, anche se per una notte, una settimana, un mese, avrei meritato qualcuno che desideravo, che si prendesse cura di me. Anche solo per una notte se avesse voluto, quindi uso le stesse mani con le quali mi ero coperto il viso per accarezzarle il suo, me la porto vicino le labbra e per una sera, anche solo una sera, meritiamo entrambi qualcosa di meglio.
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    La risatina che faccio è palesemente nervosa, soffiata all'esterno, il petto mi fa su e giù mentre rubo una patatina dalla scodella non prima di averla infilata nella piccola cup di ketchup. La conversazione stava prendendo una piega terribile, io fingevo di non vedere la lacrime che le era scesa trovando la birra più interessante, e fingevo che quel pugno in gola che sentivo non facesse differenza, e anzi che era una cosa normale mentre si mangiava.
    "Non vuoi veramente saperlo" e quel ghignetto che ho sulle labbra sta a significare che non sono certo di quello che lei abbia detto, e di quello che soprattutto io voglia dire. Ho il terrore di essere giudicato, quando Dan mi aveva detto di non pensarci, mi vergognavo nel dire che ci pensavo ogni giorno, tutti i giorni da anni.
    Non c'era notte in cui non andassi a dormire con un peso sul petto, nel cuore, un senso di colpa che ti impedisce di fare troppe cose, tante cose. la gente dice che niente succede per caso, ma stavolta il caso, era stato un colpo di sfortuna talmente grande che faceva ridere persino a raccontarlo. Poteva essere un racconto comico quasi, sembrava una caricatura di un momento terribile, un qualcosa che avrebbe fatto sganasciare il pubblico in sala, soprattutto, perchè il portatore di quella sciagura, io, si comportava come se nulla fosse accaduto, come se non fosse successo niente, se la cosa non mi toccasse, né fosse così rilevante. Avevo la mia bambina, il mio lavoro, non ero peggiorato in niente, anzi, anche se il mio desiderio non era diventare un guaritore, ero migliorato, ora avevo più responsabilità e avevo smesso di essere portatore di nomi da donna, dopo così tanti anni ero un po' il centro dei nuovi impiegati sanitari e un po' il punto fermo dei vecchi.
    "La verità è che..." volevo dire che Ella non l'amavo più. La verità era che non l'avevo mai amata. Ma era troppo da dire, non avrei mai, mai avuto il coraggio di dire una cosa del genere ad alta voce, mi montava nausea alla sola idea. "Stavo per trovare il coraggio di lasciarla, nonostante la bambina. Avevo perso per colpa del Lupum nel giro di venti giorni mia sorella, e il mio migliore amico. E lei aveva partorito da poco" sperai che si capisse che Phoebe non era stata affatto calcolata, che era capitata, sperai si capisse senza il bisogno di specificarlo "Avevo perso la casa e non avevo idea di cosa sarebbe successo. L'avrei lasciata poco dopo, non appena avessi avuto il coraggio di farlo, lo avrei avuto, non sono quel tipo di uomo. Mi sentivo solo e arrabbiato, ero pieno di debiti, con una bambina, una ragazza con la quale non vedevo futuro e avevo bisogno di rimanere solo, senza sentirmi dire ogni giorno che ce l'avrei fatta, che ero tanto bravo, che ero tanto tutto" quindi mi passo la lingua sulle labbra secche "Poi mi dicono che in ospedale è arrivata Ella, che si sentiva poco bene, ma non voleva farmi preoccupare, era fatta così. Aveva anche lei Lupum, mi diceva che era tutto ok, che non vedeva l'ora di riabbracciare Phoebe..." mi mordo le labbra e mi alzo quando sento la mia stessa voce vibrare e cadere. Sposto la sedia e scappo lungo il locale, esco dalla porta, quando la pioggia mi sferza in faccia, scatto in avanti e senza sapere dove, con un passo talmente veloce che poteva voler solo precedere la corsa, mi diressi verso un tronco mozzato sedendomici sopra, stringo il viso tra le labbra, e solo lì mi accorgo che sono anni che non piango così. Non ho nemmeno allora pianto così. "Non l'avevo mai amata, mai" dico tra le lacrime "E non la amo nemmeno adesso, ma mi sento così in colpa".
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    Ridacchio perché penso scherzi.
    Ucciderla, figurarsi. Le persone dicono un sacco di cose e a volte esagerano con le parole, forse aveva ricevuto un rifiuto dalla bruna e l'aveva presa un po' male, insomma, nell'ospedale erano diversi quelli che avevano dovuto fare dei passi indietro con lei e qualcuno l'aveva presa malino, altri, tipo me, avevano fatto finta che poi non fosse così importante. Tra i maschietti, Makenzie, attirava un cumulo di attenzioni della quale ero certo fosse totalmente ignara.
    Il fatto che mi dice che non esce con un uomo da molto, mi lascia un attimo di stucco, ma lo dice così velocemente e cambia così velocemente argomento che rimango un attimo attonito.
    "Bene, cresce" mi affretto a rispondere in modo quasi automatico. Abbiamo avuto anche noi i nostri guai, a scuola mi avevano detto che aveva cominciato a rispondere, a mordere, a fare disegni un po' strani mettendo da parte pulcini, Papà a lavoro e lei mentre prendeva Thé alla Malva con Dan. Aveva avuto spesso paura del buio, mi aveva svegliato, e poi mi chiedeva, com'era la mamma? Era una brava mamma?
    "Mi sto convincendo che stia avendo un po' di problemi di crescita come tutte le bambine di cinque anni" mi spezzava il cuore e solo lì mi accorgevo che ero la persona e probabilmente il genitore più incapace del mondo, mi sbrigavo a rispondere e le dicevo che non era il momento, doveva dormire.
    "Ma sta crescendo con il massimo che possiamo fare, io e Dan, sembriamo davvero sposati in effetti" mi sbrigavo e speravo non me lo chiedesse più. La verità era orribile, terribile. La verità sarebbe morta con me, e l'idea di doverla condividere con Phoebe mi atterriva, quando avevo provato a dire a Dan che mi sentivo malissimo al pensiero che non sapevo quasi niente della mia vecchia partner, che era rimasta incinta per un errore di calcolo. Che stavamo insieme da due mesi. Che l'avrei lasciata altrimenti di lì a breve. Mi aveva detto, non ci pensare amico. E io ci pensavo, i sensi di colpa si cibavano del mio essere, ogni giorno e mi impedivano di presentare donne a casa. Sarei rimasto con questo peso per tutta la vita. E avevo solo trentun anni.
    "E' sempre un po' difficile spiegarle perché la mamma non c'è, è un'età molto strana" e sospiro, non voglio rattristare nessuno "Non volevo sembrare inopportuno, beviamoci su!" e riempio di nuovo i bicchieri, i brindisi non sono mai troppo pochi!


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    “Dille che esci con la più figa dell’ospedale”
    “Ma oltre lei non ce ne sono”
    “Allora dille che è una mia amica, con tette così e sedere che parla!”
    “Ma perché?”
    “Tu fallo, e dille che si chiama Carole, le Carole hanno sempre bei sederi. E dille che vuoi sposarla, e ti piacciono i bambini, magari le si apre il cuore”
    “Ma io ho già una bambina”
    “Ah, vedi”


    “Non esco con nessuna, in effetti” da anni. Ma quello lo tenni per me. La mente scivolò di nuovo a Daisy, l’ultima ragazza con cui avevo provato un mezzo approccio, anche se il problema successivo era stato il solito, io mi ero sentito inadeguato, non avrei più voluto vederla e l’idea che Emmanuelle mi giudicasse da là con l’eterno amore che provava per me, non mi fece dormire per una settimana. Finchè non le dissi che era bene che partisse per il nord. Lei lo fece cogliendo al volo quanto poco le avessi potuto dare, quindi con un abbraccio ci separammo.
    L’idea che potesse succedere persino con Makenzie mi terrorizzava.
    Ma tanto si parlava per ipotesi, per sogni prima di addormentarsi.
    “Eh?” in che senso non usciva con un uomo da così tanto? Che stava a significare? “che non stesse uscendo col dottore adesso era abbastanza chiaro, ma che voleva dire che non usciva con un uomo da così tanto?
    Cercare da sola un appuntamento? La mia fronte rimase aggrottata e le labbra verso l’esterno.
    E nessun uomo si era avvicinato? O era lei che non voleva lasciarli avvicinare?
    “Non esci magari da molto con qualcuno, ma hai un sacco di ammiratori, troppi perché io ti creda” e il sorriso amorevole venne subito dopo, ripensando a tutti quelli che in reparto facevano la fila per farle un favore e me per primo, che si sarebbe venduto casa con i mobili per trasferirsi vicino a lei e farlo sembrare un caso. Una notte mi era capitata di sognarla e… si beh ci avevo messo tre giorni per riprendermi.
    “Vengono persino dal nord a cercarti…” e sollevo un solo sopracciglio, provocatorio. Quel ragazzo era alto, possente e non aveva l’espressione di uno che avesse voglia di aspettare troppo lo stacco del turno di Makenzie per vederla. Nel mentre riempio i bicchieri e sgranocchio una patatina fritta. “Ai tuoi ammiratori!” e alzo il bicchiere sorridendo pensando fosse divertente, ma da quando avevo nominato il nord, un’ombra sembrava essersi posata sul viso di lei, che c’era che non andava?
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    Grazie *____*
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    Il tremore che mi fa vibrare le ginocchia dipende da quello che dice, mi sento il cuore in gola e se una parte del mio cervello sta andando in Jackpot perchè se ne era accorta, ah se se ne era accorta! Emily era la pettegola del reparto e non importava quanto la si cercasse di tenere fuori il discorso, fuori dai proprio affari, lei c'era sempre e ascoltava tutto. Diceva tutto, anche quello che non era del tutto corretto, non è che il nostro fosse stato un appuntamento, avevo finto di perdere una scommessa con lei e vincerla offrendole una ciambella. E un Thé, ma non era nemmeno quella la verità, la verità era che volevo arrivasse alle orecchie di Makenzie, così per non farmi sentire e vedere come uno sfigato che aspettava che la finisse lei con i fustacchioni dall'accento del nord e medici di turno, e la cosa era riuscita.
    Male, ma ha funzionato ecco.
    "Ma pfff non è che fosse un appuntamento" solo che adesso mi rendo conto che cretinata abbia fatto perchè semmai fosse stata interessata... anche se non lo era, chiaramente eh. Cioè alla fine tutti tranne me, diciamolo così, siamo tutti d'accordo che il Doc era attraente, aveva un cervello enorme. Intelligente e anche affascinante a sentire le ragazze dell'ospedale. E sicuro quel fustone aveva dei muscoli che apriti cielo, Dan mi ripeteva di andare in palestra, che era ora, mi stavo facendo vecchietto. Phoebe ripeteva dietro "Papà dovresti fare ginnastica, zio Dan è duro duro sulla pancia!". Insomma non che meritassi queste attenzioni eh, però ecco, si era girata? Aveva guardato?
    Rido come un cretinetto in imbarazzo, perchè aveva guardato ma lo sfottò che seguì mi fece ribaltare le budella.
    "Ahaaa sei venuta carica quindi!" le porgo un bicchiere in attesa che potesse riempirlo, mentre mi infilavo una patatina fritta in bocca. Il Cocktail sembrava gelido, il bicchiere era appannato dalla condensa e usciva una decorazione di olive e frutta dal bicchiere, la usai per mischiare il ghiaccio al liquido verde fluo e me lo portai alle labbra per assaggiare.
    Quello che successe dopo fu più che imbarazzante.
    Sentirle dire all'improvviso che usciva per stare con me, e che voleva parlare delle sue di uscite, provocò una mia uscita. Di succo di Mandragora dal naso e dalla bocca, il succo la colpì solo, sperai, leggermente sulle mani, la tosse che seguì fu roca e di petto, qualcosa era sceso, qualcosa uscito dagli orifizi facciali.
    "Ma porco Merlino scusa, scusa scusa" le porgo immediatamente il mio tovagliolo di stoffa, le asciugo le mani e la sua piccola parte di tavolo, poi mi porto il tovagliolo alla bocca asciugandomi freneticamente "Mi è andato di traverso mentre bevevo era gelato!" oddio che figura, mi sento male, vorrei sprofondare.
    "Hai ragione..." mi continuo ad asciugare la bocca e rifinisco un po' il tavolo "... ma credo sempre che siano affari propri, cioè, se avessi voluto dirmelo, avrei ascoltato, ma cioè se non me l'hai detto e se..." insomma se mi vedi come uno per uscire a fare la spesa... "...magari non ti andava e volevi farti gli affari tuoi, e io non volevo farmi gli affari tuoi. O meglio, si vocifera nell'ospedale e volevo vedere solo se..." e alzo le spalle tremendamente in imbarazzo "...se era vero, perchè cioè, volevo solo curarmi che uscissi con qualcuno di buono" giacchè non ero io. "E pare che lo sia".
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    “Una mia amica ci è rimasta molto, credo le piacesse l’idea di non lavorare in ospedale e non aveva tutti questi torti, a volte è veramente tosta” e ripensai al paziente che aveva preso a morsi quella infermiera, le urla di dolore. Li scacciai via agitando il Menù, come se potessero davvero volare via.
    Inclino la testa verso destra e le concedo un sorriso fraterno, come a stupirmi che non avesse capito quanto e fino a che punto fossi patetico in certi casi. Scossi la testa come a volerla colpevolizzare del non aver capito.
    “Andiamo, lo sai che scherzo, non mi sarai diventata un’attivista femminista? Ho una figlia femmina, e sai perfettamente che non c’è qualcuna in quell’ospedale più in gambe di te” io avevo scelto semplicemente una via meno importante, non credo che avesse a che fare con le poche aspirazioni, adoravo il mio lavoro, ed adoravo avere il tempo per i pazienti che i guaritori non sempre avevano, mi piaceva chiacchierare con loro e cambiare continuamente reparto. La paga non era un problema, sapevo arrotondare con lavoretti generici “Al massimo sarebbe carino se da guaritrice ora facessi cambiare quella macchinetta del caffè, è odiosa!” e sollevo le sopracciglia e arriccio il naso in un’espressione implorante.
    “Per me una Mandragora con ghiaccio, e una ciotola così grande di patatine fritte, tu che prendi?” le chiedo guardando di nuovo il menù per essere certo che il drink fosse rinfrescante e leggermente alcolico, niente che mi avrebbe mandato in ginocchio a casa.
    Quando la cameriera si fu dileguata con gli ordini, lei si tolse la giacca e mi viene da pensare che sono un idiota, come posso aver mai pensato per un solo secondo che con quel fisico e quel viso potesse sentirsi gelosa di Emily Austin io non lo so, sono un imbecille, seriamente.
    Così mi torna in mente che pur di uscire dall’ospedale con lei, sottobraccio, le avevo promesso di comprarle una ciambella per pagare una vecchia scommessa. Ovviamente, Makenzie non solo non aveva sentito, ma non si era nemmeno girata. L’unica cosa interessante di quella passeggiata al bar fu sentirle dire che Makenzie forse usciva con un medico. Avevo sorriso dicendo che non mi interessavano i pettegolezzi dell’ospedale. Lei mi aveva creduto. Pure quando avevo chiesto “Ma con chi di preciso?”. Era chiaro, palese, al punto che quando mi aveva proposto di uscire avevo pensato a… nemmeno io a cosa so.
    Quindi la guardo.
    “Siamo qui per festeggiare la tua promozione, giusto?” e faccio posto alle nostre ordinazioni “Perché volevi festeggiarla con me?” oh mamma, quanta sfrontatezza.
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    “No, scusa mi ero distratto, stavo pensando a quel paziente di oggi” Era praticamente impazzito, non si capiva cosa fosse successo ma si era alzato in piedi dal lettino e aveva letteralmente aggredito l’infermiera di turno. Io ero dall’altra parte della stanza e ricordo di essere trasalito al rumore, di essermi voltato, e averci messo tempo per reagire. Il paziente aveva la nostra età, ricoverato da due giorni si era risvegliato all’improvviso e quando mi ero girato, l’avevo trovato con le mani al collo della mia collega, l’aveva sbattuta a terra e le stava mordendo il viso come un lupo rabbioso. Ero rimasto pietrificato e prima di chiedere aiuto e tirare fuori la bacchetta, ci avevo messo più del dovuto. Era stato improvviso ed ero rimasto sconvolto.
    “Scusami, ora ci sono!” stavo pensando a quel morso sul viso di quella giovane collega con noi da solo un mese, immaginai che non sarebbe più tornata. “Cosa? Credevo stessero scherzando, avevo sentito delle voci” che sarebbe stata via per un po’. Non giocava nella teoria un grande ruolo, ma nella pratica, non avrei mai potuto più vederla. Forse non giocava un qualche ruolo nemmeno quello. Da quando dieci giorni fa quel ragazzo aveva chiesto di lei, niente giocava un ruolo troppo grande, uno di quegli schiaffetti nella vita per ricordarti che talvolta bisogna semplicemente stare al proprio posto. Mi aveva scaricato a Capodanno perché probabilmente gli piaceva qualcun altro, nessun segreto, nessuna pazzia, semplicemente era troppo gentile per dire che non le interessavo. Da tempo. Ecco perché ero rimasto un po’ sconvolto quando mi aveva invitato a festeggiare, e quando mi disse che si sarebbe trasferita per un po’ fuori dal San Mungo, allora avevo immaginato che la cosa mi avrebbe aiutato.
    “Pagano di più a scuola?” Sicuramente come guaritore si, ma chissà se era uno stipendio attrattivo, con Daisy non ne avevamo mai parlato, sicuramente l’ambiente era meno stressante, ma non potevo farci niente, mi piaceva lo stress. Quando saliamo sul trabiccolo, le porgo la mano e la accompagno verso il basso. Dividiamo il posto con una coppia di amici, che parlavano dell’ultimo ritrovato del Quidditch, il mio orecchio perde attrattiva della conversazione quando sente che la squadra che citano, non è la mia preferita.
    “E quando ti trasferirai?” le chiedo curioso “Sapevo che il trasferimento lo voleva Adrian, sta facendo la corte al posto nella scuola da mesi ormai, dice che non sopporta più la moglie, verrà anche lui con te, o hai sbattuto gli occhioni per superarlo?” io avrei ceduto a quegli occhioni, immediatamente.
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    "Ehi questa è un'ottima idea!" anche se con Anna almeno durante il weekend eravamo tutti salvi, le avevamo impedito di fare tutto il resto, eccetto cucinare, era brava, e riusciva a ficcare le verdure lì dove non credevi possibile. Però ecco se durante la settimana se ne stava a Hogwarts era un po' più complicato, l'asilo babbano provvedeva al pranzo e alla merenda, la sera, si, perchè no, Karen poteva dare una mano per spezzare quella monotonia di cibi pesanti e poco adatti.
    "Promettilo!" un modo decisamente carino per ricordarle che noi non ci eravamo mai mossi, ma lei, inglobata probabilmente da tutto il suo contesto era sparita, fagocitata da qualcosa che non riuscivo a capire. L'amicizia, per me contava sopra ogni cosa, almeno prima di avere la bambina, e persino quando Max ci aveva fregati, se ne era andato e mi aveva abbandonato con le pezze sulla fronte, cucite su misura, non avevo mai smesso di credere al valore dell'amicizia, forse, un po' come uno sciocco. Karen mi mancava, era nato come un gioco, una qualsiasi convivenza, così anche come con Dan, eppure entrambi, senza saperlo avevano reso ogni mio giorno meno cupo, meno triste, meno in ombra. Il ricordo degli amici, dei parenti persi e della madre di Phoebe talvolta mi svegliavano ancora la notte, nonostante fossero passati ormai più di due anni. Ma con loro era più difficile sentirsi soli, a dimostrazione del fatto che gli amici vanno e vengono, certo, ma se sai sceglierli bene, quelli che vengono sono sempre di una posizione molto alta.
    "Ha fatto piacere anche a me vederti comunque" ammetto con un sorriso "Ci vediamo presto allora" e per ultimo, vidi il riflesso dei suoi occhi celesti, tanto particolari da sembrare quasi unici.
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    L'unica reazione che ho, è visibile tramite le sopraccigli che si inarcano di botto verso l'alto, facendo corrugare la fronte in modo che le rughette di espressione siano perfettamente visibili nonostante i soli 29 anni. Mi rimane la mano davanti le labbra, mi schiarisco la gola perchè sono combattuto, non so se dirle che sono felice sinceramente per lei, o se, a suo modo dirle che mi dispiace se ci sta male.
    Non sembra per niente felice in generale anche se il sorriso camuffa egregiamente il resto.
    "Ehilà!" e sventolo la mano verso la figlia, di cui riconosco la voce per averla sentita spesso al telefono quando Karen abitava qui e adoravano parlare per ore e ore.
    "Eh si capisco..." pure Phoebe ogni tanto me li faceva i favori, come vestirsi senza provare 340 magliette, oppure mangiare senza necessariamente fare a gara con Dan su chi facesse più rumore con la bocca. Avrà un sacco di traumi per essere cresciuta con due uomini ne sono quasi certo.
    "In ogni caso puoi sempre tornare ogni tanto a Londra, la tua stanza è smantellata, ma possiamo allestire una brandina nella stanza più grande" che poi è la mia "O nella mia!" urla Dan dall'altra stanza zittito immediatamente da una Phoebe che lo sgrida perchè a quanto pare Mr Coniglietto ha le orecchie troppo grandi per sentire dei rumori così forti.
    Sbruffo divertivo e spazientito, scuotendo la testa.
    "Ma senti ora sai che faccio? Li lascio qua e vengo da solo, queste si che sarebbero vacanze!" annuisco "Mi ci vorresti? Mi mancano quelle cene fantastiche, tra me e Dan non riusciamo ad azzeccare un uovo in frittata e un piatto di insalata, Phoebe sta venendo su a cotolette" ammetto incurvando la schiena.
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    "Abbiamo scoperto che l'ha molestata anche prima che diventasse una coinquilina! Assurdo eh? Ormai stiamo avanti!" il ricordo del Dark si fece vivo e non ero mai riuscito a ricordare come fosse vestita in quel momento Anna, nemmeno a figurarmela onestamente, quando poi l'avevo detto a Dan invece, si era ricordato di ogni particolare, persino la piega dei capelli, il trucco, il paio di orecchini che portava, secondo me tanta osservazione e costanza andava premiata a suo modo.
    "Però gli devo dar ragione è piuttosto bella, certo!" e mi discolpo sollevando le mani "Mai quanto te, ma se la cava e combatte con mille armi" le dico al pensiero che Anna, come marcia in più, se proprio doveva trovarla, c'era quell'essere espressiva in modo terribile, aveva quella carica di seduzione che Karen aveva piuttosto dimostrato a letto, di Anna non poteva proprio sapere.
    "Daiiii ma che bello!" il lavoro di Karen era tra i più interessanti che avessi mai visto, poteva conoscere tante di quello persone che onestamente trovarmi al suo posto sarebbe stato un sogno, come quando aveva intervistato quel politico Africano, deve essere stato bellissimo spendere con lui una serata insieme, era tornata entusiasta.
    "Mi piacerebbe conoscerla" le dico annuendo e prendendo una mela da prendere a morsi. La figlia di Karen doveva essere una tipetta interessante, almeno a giudicare dalle parole della strega, non si era mai risparmiata in complimenti ed osservazioni, almeno quante le volte in cui si era detta preoccupata per l'andazzo a scuola della giovane, se non ricordavo male doveva essere ancora più giovane di Makenzie, ma aveva superato l'età di Phoebe già da un bel pezzo ormai.
    "Per Pasqua" ripeto mentre ci penso, senza fingere. "Fammi pensare" e con un occhio chiuso cerco di pensare e ricordare i vari turni ospedalieri "Ma sai che non è una cattiva idea? Credo che potrei, io di certo almeno" le dico come se volessi avere per qualche sciocco motivo l'esclusiva della cosa "Ehi ho detto che ho avuto un aumento posso farcela ad affrontare un viaggio sai!" e scoppio a ridere.
    Poi la guardo e nonostante lo scemare della risata, non perdo un modo cordiale per avanzare qualche domanda, più seria. "Allora come vanno le cose là?" sa a cosa mi riferisco, non ce l'ho con sua figlia, col lavoro, con qualcosa di nuovo. "Ci sono novità che dovrei sapere o qualcosa di nuovo?"
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    "Sh shh" le intimo il silenzio mettendo un dito sopra il naso in un gesto internazionale, e con l'altra mano le faccio segno di ascoltare Dan che parla con Phoebe nell'altra stanza, dell'ultima non si riesce a sentire niente, ma lui forte e chiaro "I tre Trollini sono solo una favola!" silenzio "...e che ne so dove hanno comprato le mutande?!" e rido mentre nego con la testa.
    "Mica lo so chi si diverte di più tra i due eh!" le dico accomodandomi davanti a lei mentre non riuscivo a smettere di ridere "E' terribile" Phoebe si divertiva più con lui quasi che all'asilo, per fortuna mai al punto da farmi mettere in dubbio la differenza tra lui e me, ma abbastanza per farci sempre apparire come aveva detto Anna, una coppia di gay, si, non era stata l'unica.
    Con i miei cugini non c'era alternativa alla babbanologia e alla loro tecnologia, ecco perchè ero stato attento a farne parte con cura, nonostante tutto, e nonostante il fatto che a loro fosse precluso tutto di noi "Come senti Dan e Phoebe stanno benissimo! Adesso abbiamo una nuova fissazione: i tre Trollini, Biancavolpe e la pentola magica" ma la fermo subito "Non chiedermi che roba sia, all'epoca mica c'erano tutte ste cose!" e alzo le mani in segno di resa.
    "Tu sei sempre uno splendore, ma che patto hai fatto col diavolo?" le chiedo avvicinandomi una tazza di bambole rosa per bere un bicchiere di acqua semplice, dove fossero finiti i bicchieri normali era un mestiere.
    "Oh e Dan indovina? Ha ricevuto un numero da una bella ragazza che funziona davvero!" e da lontano Dan puntualizza "Quindi hai visto che vale pure se alla fine era un uomo?!"
    "E siamo riusciti a tenerci l'asilo, per adesso, quindi io direi tutto alla grande, ho anche avuto un aumento di venti galeoni!" e le mostro i pollici "Tu invece? Non passi proprio più da queste parti eh? Ormai ti sei nordizzata!"
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    "A noi starà bene di sicuro" l'alternativa era chiedere il favore a Dan, con me era chiaramente estremamente petulante, ma con Anna non avrebbe di sicuro fatto storie, di alcun tipo, e forse nemmeno io.
    Se si fosse appellata al fatto che in realtà durante la settimana non ci fosse mai in effetti sembrava persino ingiusto a me farla concorrere nelle turnazioni, ma ora come ora tornare indietro mi sembrava una mossa da scemi.
    Me lo ricordavo bene del figlio, ma non avendo fatto prima domande a riguardo e marcando sulla questione weekend mi sembrò fuori luogo procedere oltre un cauto "Figurati, Phoebe sarà contenta di avere un po' di compagnia" la stanza era inoltre abbastanza grande per accogliere il figlio di Anna "E' maschio? Femmina? Di quanto?" chiedo sul generico tenendomi così su un argomento nemmeno spinoso.
    Faccio il giro del letto e apro un po' la finestra per far prendere aria alla stanza, che in effetti sapeva un po' di chiuso.
    "Certo, magari posso farti sapere entro la settimana prossima" le spiego pensando che però l'idea che Karen non tornasse mi feriva. A suo modo mi mancava, e per quanto fossi sempre stato aperto a nuove esperienze, l'idea di non vederla più trotterellare per casa, l'idea di non vederla più prendersi cura di Phoebe, o di noi, faceva calare un velo di opacità sul mio entusiasmo.
    "Vuoi un thé?" le chiedo "Non abbiamo grandi erbe qui, ma Dan mi ha insegnato a fare una tisana che è niente male" le dico.

    Poso le due foglie di menta nelle due tazze di vetro diverse, così che una si libri lentamente verso la bionda dall'altra parte della penisola.
    "Dice che è buono anche per il post sbornia, ma quando prova a cucinarselo è troppo ubriaco e la sbaglia sempre, un giorno ci ha messo anche del ketchup dentro" e annuisco tristemente "Allora, che mi dici di te invece, oltre quello che già so?"

  15. .
    "Si, te" onestamente scoppiai a ridere, considerando Dan il più semplice tra tutti lì dentro, sapeva divertirsi, passare oltre, eppure io, a mio modo mi resi conto di essere pesante, ma cosa avrei dovuto fare? Fingere di essere felice? Fingere di essere a mio agio? Sarei comunque un giorno, una sera tornato a casa, e avrei guardato Phoebe, mi sarei sentito in colpa ogni giorno, tutti i giorni, e poi sarei tornato a lavoro. Poi all'asilo, poi a lavoro ancora. Sarebbe stato così, ora e per sempre.
    Non ero in grado di vederne una via di uscita.
    Guardo l'orologio involontariamente. Poi la sua espressione.
    "Ok dammi questo numero, fa' vedere" e ci poso su gli occhi, trattengo una risata "Sai cos'è questo?" e con un'espressione dispiaciuta, glielo rendo "E' il reparto dove tengono mamma, la linea diretta" sottolineo "Con il reparto psichiatrico" e annuisco come se avesse preso un granchio. Guardo verso la donna, ma è sparita, e con lei il suo accompagnatore. Con lei, erano sparite le idee di Dan.
    "Vedi amico il fatto è questo, quelle così sono impegnative, molto impegnative" e dico "Noi non siamo così impegnativi, nemmeno tu" spiego "Sai c'era un film che parlava di come riconoscere quelle impegnative, a quanto sembrava dipende da quello che bevono, sex on the beach, buttati, Margarita, oliva nel martini, vado retro" glielo spiego anche se sono certo che non mi prenderà mai sul serio, sta già molestando la cameriera bruna.
    Sollevo gli occhi al cielo e rinuncio alla cosa. Se non la si prendeva sul ridere poteva dare sui nervi.
    "E poi scusami, perchè avere un vestito così scollato per non essere guardata? Una sola parola per lei: impegnativa!" e così mi convinco di quello che dico.
    "Una sigaretta fuori? Che dici?" c'è aria viziata all'interno. E senza aspettare troppo, ho già fatto un giro su me stesso e sono sceso dallo sgabello alto con in mano il mio drink.
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