Posts written by Artemide

  1. .
    I roboanti incantesimi esplodevano nell’aria come fuochi d’artificio.
    In quel posto non c’era tempo di pensare e nemmeno di poter ribattere alle parole di Abel, soprattutto perché non c’era alcunché da ribattere. Certo che lo sapevo che non era un santo, di sicuro non un Auror. Diciamo che avevo sempre sperato che non fosse invischiato talmente a tal punto in quella setta che erano i Mangiamorte da potersi trovare in un posto simile.
    Eppure se non ci fosse stato, sarei probabilmente morta. Quindi come potevo avercela con lui per quello che era? Forse dovevo persino ringraziarlo.
    Il tono con cui lo disse mi sembrò quasi di rimprovero, ma oltre ad un’occhiataccia in parte colpevole ma in maggior parte arrabbiata, non riuscii ribattere altro. Anche perché non ce ne fu il modo e il tempo.
    Di certo avrei voluto chiedere anche a lui cosa diamine andava blaterando al damerino che poco prima mi aveva trattato come merce di scambio da mercato. La convinzione con cui mi aveva abbassato la bacchetta e mi aveva nascosto dietro alle sue spalle fu un messaggio abbastanza chiaro. Magari avrei approfondito il discorso in un altro momento qualora ce ne fosse stata l’occasione. Approfittando per chiedergli anche cosa intendesse dire per quel mi appartiene. E io che credevo di aver guadagnato la libertà e il libero arbitrio su me stessa e di me stessa, non appena uscita dall’utero. O ai diciotto anni, al più tardi. In quel momento scoprii di essere di proprietà di Abel McAdams. Ma poi sotto cosa rientravo? Beni immobili, patrimoniali, terreni, oppure oggetti? Sarebbe venuta fuori un’interessante conversazione, ma in tutto ciò, non ebbi per assurdo quel ruggito di ribellione, di fronte ad un’affermazione del genere, che avrei normalmente avuto. Sentii piuttosto un senso di calore, consapevole del fatto che si stava mettendo in pericolo per me.

    Ribollivo di rabbia e odio, ed il fatto che riuscii a lanciare la maledizione – senza aimè andare a segno per un soffio -, ne fu la prova. Il sorriso di Abel fu qualcosa di strano, soprattutto in quel contesto. Avrebbe dovuto redarguirmi, rimproverarmi e invece sorrise. Forse vedeva qualcosa in me che poteva comprendere e che conosceva bene. Non lo seppi dire.
    Avrei dovuto sentirmi in colpa, se non altro per il significato di ciò che avevo appena fatto, eppure, istintivamente avrei voluto continuare a lanciare maledizioni contro quel disadattato e tutto il suo strano club. “Come mi ha appena chiamato quel pazzo?” Ringhiai sottovoce, furente.

    Ritrovarsi accecati fu l’ennesimo colpo basso. “McAdams, non pretenderai che faccia tutto io!” Gli sbottai addosso, di getto, ricordandogli a quel modo lo stato pietoso in cui mi trovavo. Non sapevo neanche come facevo a stare sulle gambe: mi sembrava di sentire il sangue rimasto riprendere a circolare con lentezza, e faceva male.
    Io proteggevo e lui offendeva, non era così che funzionava il gioco di squadra?

    Con lentezza i miei occhi si ripresero e nel vedere quella scia di fumo nero che a poco a poco conduceva alla legittima proprietaria, mi chiesi che diavolo era e mi spaventai pensando che fosse un altro strano giochetto degli “amici” di Abel. Invece compresi che era qualcosa che aveva a che fare con lui e ci stava proteggendo. “Che cos-” mi trovai a guardare dritto negli occhi di Abel che richiamava la mia attenzione stringendomi con forza “-è?” le macchie di luce erano ancora presenti, nuotavano nel mio campo visivo a seconda di dove io puntassi lo sguardo. Questo non m’impedì di vedere e sentire la determinazione e la risolutezza con cui Abel mi diede quegli ordini. “Esci di qui sano e salvo.” Era un ordine. Sì.
    Annuii obbediente, prima di essere spinta via. Persi quasi l’equilibrio, faticai a restare in piedi e mi ci volle qualche passo prima di riuscire a stabilizzarmi. Non volevo andarmene senza di lui, come pretendeva che lo facessi? E lui rimaneva lì a combattere? E se qualcosa fosse andato storto?
    Credo che fu l’Avada Kedavra che gli sentii pronunciare a gelarmi il sangue e farmi capire che avrei fatto bene ad eseguire gli ordini – e la pioggia di sangue, viscere e cervella che ci schizzò. Strinsi i denti e mossi i passi traballanti ma sicuri verso l’uscita. Le zampe dell’acromantula si muovevano in simbiosi davanti a me, facendomi in parte da scudo.
    Stringevo la bacchetta quasi convulsamente e ad ogni fiotto di luce che guizzava nella stanza o alle formule che sentivo, la mia attenzione scattava principalmente in direzione di Abel e dell’avversario. Questo mi permise di vedere quel figlio della merda in volto che cercava di colpirmi con un incantesimo bastardo e infimo tanto quanto lui. “Protego Horribilis!” Sentii di nuovo l’adrenalina scorrermi nelle vene e con quella la paura, che mista all’odore di sangue e di morte che avevamo addosso, mi faceva venire la nausea, i conati. L’uscita non era poi così lontana, peccato che per arrivare ad essa trovai sulla mia strada il trambusto più assurdo. Come una guida, l’acromantula mi conduceva verso il percorso meno insidioso e quando trovava nemici sulla nostra strada cercava di proteggerci. Il pavimento della stanza aveva cominciato a tremare e aveva messo ancora più a rischio la mia stabilità. Nonostante questo credo che riuscii a raggiungere il varco, quello che mi avrebbe condotto fuori, con fatica. Forse mi trovai a ripararmi da qualche caduta più di una volta e sempre più di una volta dovetti stringere i denti e fermarmi qualche secondo per contrastare il dolore che sentivo su tutto il corpo.
    Intravidi delle figure poco lontano dall’uscita, ma prima ancora nel mio campo visivo ci finì il ragazzo che era rinchiuso nelle gabbie come me fino a poco prima.
    Poco distante da lui, DeSade che stava offendendo a suo di incanti. Non sarebbe finita bene… “Protego Horribilis!” Un tentativo, uno slancio nei confronti di quello sconosciuto che non seppi nemmeno se sarebbe valso a qualcosa.
    Dico credo perché prima di uscire accadde qualcosa e l’Acromantula si scagliò verso i Mangiamorte al varco.


    Mi sono protetta dagli incantesimi seguendo l’acromantula. Raggiunta l’uscita e ho cercato di proteggere da lontano Cal dalla furia del Marchese. Intravisto i Mangiamorte all’uscita.
  2. .
    Non potevo credere ai miei occhi e alle mie orecchie.
    Ero in un covo di pazzi e tra tutti quei pazzi c’era anche una persona che non mi sarei aspettata di trovare. O meglio, non avrei voluto mai saperlo lì.
    Più cercavo di costringermi ad accettare che quella era la realtà più sentivo l’agitazione prendere il sopravvento. Le pulsazioni accelerarono irrimediabilmente, l’adrenalina salì alle stelle e con essa la rabbia cominciò a montare.
    Era stato lui a buttarmi in quella situazione? Mi aveva avvicinato sin dall’inizio per quel motivo? Quasi sperai che l’incantesimo di quello stronzo di DeSade andasse a segno. Tutti gli altri prigionieri passarono in secondo piano e come la loro sorte. Ero stronza tanto quanto quei pazzi in quella stanza? Probabile, ma pensai solamente a cercare di recuperare la mia bacchetta e usarla nel peggiore dei modi. Tanto anche se avessi usato maledizioni senza perdono, lì dentro non c’era proprio nessuno che mi avesse sbattuto dietro a delle sbarre per aver infranto la legge. E comunque, con tutti quei mangiamorte non ne sarei uscita viva, quindi sarebbe stato anche inutile risparmiarsi per la paura del dopo. “Riparatevi!” Li avvisai, tra urla di dolore e di rabbia. Credo sia stata proprio la rabbia mescolata all’adrenalina a farmi arrivare alla bacchetta, persi già qualche secondo per recuperarla tra le armi e le altre bacchette, ma la presi. Era come se non vedevo gli altri prigionieri che si immolavano o almeno cercavano di farlo e di salvare le ragazzine, io puntavo solamente ad attaccare – e forse senza neanche volerlo ero più d’aiuto in questo che a cercare di aiutarli.
    Il sangue di Jenkins schizzò ovunque, così come le sue cervella. Ero così tesa, così nervosa che ero anche sicura al cento per cento che se avessi scagliato in quel momento una Cruciatus, avrebbe avuto una potenza disarmante. Era il principio di quelle maledizioni: più odio avevi più erano efficaci. E lo avrei fatto, lo avrei fatto anche in faccia a quel mangiamorte che mi tirò via portandomi dietro alla gabbia e salvandomi da una Cruciatus che ci era volata sopra le teste, mancandoci (e anche un Diffindo, che Abel parò con un Protego, perché non ci facciamo mancare proprio niente). Lo avrei fatto se non avessi riconosciuto la voce di Abel che per identificarsi meglio tolse la maschera. “Secondo te posso stare bene?! Non so neanche quanto tempo sono in questa cazzo di gabbia! Questo è un covo di pazzi e ci sei dentro anche tu!” Optai per urlargli addosso accucciata contro di lui e contro la gabbia – dopotutto un urlo era sicuramente meglio del Crucio che avrei tanto voluto lanciare.
    Ero così tesa, arrabbiata, che gli avevo afferrato i vestiti all’altezza del petto e lo strattonavo. La forza era comunque e prevedibilmente poca, ed ogni movimento mi procurava dolore. Un dolore che stavo ignorando per via di quell’adrenalina che mi girava in corpo.
    Gli occhi si inumidirono e senza riuscire a controllarli cominciarono a lacrimare. Quella era pura isteria e non mi stavo rendendo conto di ciò che Abel aveva appena fatto per potermi raggiungere.
    Diciamo che me ne resi conto solo quando uno del gruppo vacanza di Abel si avvicinò proponendogli di lasciarmi a lui, così avrebbe finito il lavoro. “Ma che cazzo dice questo figlio di Morgana?!” Sì, lo so, non sono mai stata fine e delicata in certe situazioni, ma non si aspettava di certo che me ne rimanessi lì a tremare come una foglia! Ed ero stata pure gentile. La versione iniziale era un vaffanculo urlato a gran voce.
    Non aveva idea di quello che avevo passato nella mia vita e un’altra volta sempre grazie a DeSade. “Non la alzerà lui, ma io sì!” Gli avevo già puntato la bacchetta contro, ringhiosa e arrogante, non fosse stato per Abel che mi fermò - anche dall’insultarlo ancora o avrei peggiorato la situazione (la sua e la mia). Ma si stava parlando della MIA vita, e ne parlavano come se fosse stato un etto di caramelle: ma sì, non ti preoccupare, le finisco io se a te non vanno più! Ma si sentivano quando parlavano questi pazzi?! Perché questo erano. Ci stavano dando la caccia, dopo averci stremato con giorni di detenzione e torture, e il fatto che fossi ancora lì a poterlo anche solo pensare era perché Abel si era frapposto tra me e quella che probabilmente sarebbe stata la mia fine altrimenti. Questo potevo cominciare a riconoscerlo, come uno spiraglio di luce in tutto quel nero che avevo in testa.
    Lo guardai e poi guardai oltre a lui non appena mi pose quella domanda. Come contagiata da tutta quella rabbia indicai la maschera che ricordavo dai colori, la indicai però a modo mio, lanciando quella maledizione che avevo sentito come una necessità fin dall’inizio “Crucio!” Era indubbio che Abel avrebbe capito a chi mi riferivo, c’era lui, in sella ad un povero prigioniero trasfigurato in un maiale, proprio lì, in direzione della mia bacchetta.


    Pochi secondi in cui si udirono incantesimi e distruzione riempire quel luogo di morte e una luce che non capii da dove proveniva si frappose tra me ed Abel. Anzi, la voce che aveva tuonato poco prima era di DeSade, quindi doveva essere opera sua. “Che bastardo!?” Strizzai gli occhi e strinsi la mano attorno all’indumento di Abel. Dovevamo fare qualcosa, ma prima di tutto andare via di lì, il come non lo sapevo. “Protego Horribilis!” Questo avrebbe dovuto proteggerci in parte e unito al “Fianto Duri” Forse, avremmo avuto il tempo di tornare a vedere. “Abel! Dimmi che tu ci vedi!? Questi stronzi ci attaccheranno ancora!” Credo che la mia voce fosse incrinata dalla rabbia, ancora più che dalla disperazione.

    Interagito con Abel, Damien, lanciato una Cruciatus in direzione di Roeim, insultato gente, cercato di proteggerci il più possibile.


    Edited by .Randall - 19/7/2019, 20:11
  3. .
    Chi aveva studiato quella gabbia doveva essere decisamente un malato di mente. Di quelli per cui non c’era possibilità alcuna di redenzione ed era un dovere civile farlo secco prima ancora che avesse potuto dare vita e rendere tangibili altre idee macabre e perverse come quella.
    Non sapevo dire con precisione da quanto tempo ero dentro alla gattaiola, ma potevo dire con certezza che mi sentivo sempre sul punto di morire. Capitava che non vedevo l’ora di perdere i sensi, e succedeva quando il dolore diventava troppo forte da sopportare. Almeno in quelle occasioni potevo dire di aver… dormito.

    Le prime volte avevo cercato di evitare le lame ed opporre resistenza alle inclinazioni, agli sbandamenti della gabbia, solo che poi finivo le forze e mi tagliavo. Le ferite bruciavano, perdevo sangue, poi si rimarginavano magicamente e quella danza assurda ricominciava.
    Più tentativi facevo più alla fine mi sentivo stremata. Quindi mollavo, mi lasciavo andare come in balia delle onde, e i tagli aumentavano, il dolore anche, ma la forza per reagire non c’era più.
    A volte riuscivo a stringere i denti e cercavo di comunicare con i miei carcerieri o con gli altri prigionieri, chiedere qualcosa, e ci riuscivo. A volte invece usciva solo un lamento, e dolorose lacrime salate.

    Restare sempre – o quasi – nella stessa posizione rannicchiata indipendentemente dalle mie esigenze e i miei bisogni era una tortura ancora più grande delle lame, comunque. Non sentivo più le gambe, e quando le sentivo era dovuto a fitte assurde e dolori insopportabili. Non ne potevo più. Mi chiedevo quando sarei morta, possibilmente per crepacuore visto che sembrava non esserci altro modo per farlo.

    In quell’occasione però qualcosa era diverso. Eravamo tanti (Quanta gente avevano rapito?! Che cosa avevano in mente?) c’erano più carcerieri e ragazze mezze nude, evidentemente non in loro, che sparivano e comparivano ogni volta con qualcosa di diverso in mano.
    C’era una ragazza non troppo distante da me, anche lei sofferente, ma più spaesata - meglio per lei se non si era resa conto di quello che ci era successo – stava cercando di attirare l’attenzione delle schiavette. “Non credo ci sentano… o che ci aiuteranno. Le avranno imperiate.” Cercai di farmi sentire, e cercai il suo sguardo. Se non altro non sarebbe stato di puro odio o scherno, come ne avevo ricevuto sino a quel momento.
    Una piccola e stupida parentesi di speranza in quella grande pantomima di assurdo ed inutile dolore.

    Qualcosa stava per succedere? Saremmo finalmente morti? “Finalmente ci ammazzate?” Questa volta mi rivolsi con un rantolo di voce dolorante, ad uno dei carcerieri.
    Non mi calcolava. “Stupidi vecchi. Siamo qui, mezzi morti… senza bacchetta. Vi piacciono le cose facili eh? Merlino sa solo come ti avrei ridotto se l’avessi tra le mie mani…” Ancora, rabbiosa, ero esausta e sofferente ma non avevo perso la mia arroganza. O forse era un modo come un altro per cercare di farmi ammazzare prima del tempo. In quel momento la mia gabbia ondeggiò e mi trovai nuovamente a fare i conti con i tagli, sulle braccia, sulle gambe.

    Non so dire se mi accontentarono o se lo fecero per cercare di terrorizzarmi ancora di più, ma le gabbie presto cominciarono a muoversi, incantate dai nostri carcerieri e cominciammo a dirigerci verso il salone adiacente. “Dove ci state portando!?” non ne potevo più, ero esausta, la mia mente non era più lucida e senza pensare alle conseguenze afferrai la gabbia con le mani e mi ci appoggiai per vedere meglio.
    Varcata la soglia, da quell’altezza si potevano vedere centinaia e centinaia di teste, tutte coperte da maschere. Tra loro spiccavano le imperiate che di tanto in tanto sfilavano con qualcosa di nuovo.
    Eravamo nel covo della morte, degli assassini per eccellenza.
    Ero immobile, sanguinante e dolorante, ma comunque ancorata alle sbarre e alle lame.
    Credo che il sangue cominciò a scivolarmi lungo l’avambraccio, trovare come ultimo appiglio il gomito e poi planare nell’aria fino a terra. O addosso a qualcuno di loro… Gli sarebbe sicuramente piaciuto.
    Senza rendermene conto mi trovai a cercare tra le maschere quelle che avevo già visto la sera del rapimento, quelle che mi erano rimaste impresse. Mi sembrò di vederle, e le fissai senza riuscire a proferire parole in aggiunta a quel “…maledetti bastardi…
  4. .
    Era strano avere l’attenzione di Abel completamente su di me. Solitamente c’era sempre qualcosa che riusciva a distoglierlo, come un parente invadente, un conoscente scomodo, un pensiero pedante che non lo lasciava in pace. Quella sera invece no: per quanto fosse inusuale come sensazione, mi ci abituai e me la sentii calzare a pennello, piacevole e confortante come una coperta di morbido pile in pieno inverno.
    Davvero deplorevole.” Sentenziai. A pensarci come titolo dell’articolo sarebbe stato perfetto. Scossi il capo in pieno dissenso e strinsi le labbra oltraggiata (se mi fosse andata male come giornalista, avrei avuto un futuro come attrice).
    Certo era deplorevole anche il fatto che Abel avesse elegantemente glissato su di un argomento che mi premeva conoscere, (soprattutto dopo avermi messo la pulce nell’orecchio. Che voleva dire questioni di famiglia? Cosa c’entrava la famiglia con Sarah e Dell?) ma ci sarebbe stato tempo. Avrei solo dovuto carpire qualche particolare qua e la, estrapolargli indizi durante la serata… non avrei però escluso la possibilità di una mia resa. Tutto dipendeva da quanti bicchieri avrei continuato a mandar giù e alla bravura del mago nel distogliermi dai miei intenti. Dovevo ammettere che ci stava riuscendo piuttosto bene, difatti non protestai e nemmeno controbattei. Afferrai il suo braccio e lo assecondai nel suo spostamento.
    Come a voler confermare il pensiero e la sensazione descritta poco prima, arrivarono le parole e l’invito a ballare di Abel. Non nascosi e nemmeno trattenni il sorriso che m’increspò le labbra; presi la sua mano ed accettai di buon grado l’aiuto senza farmelo ripetere due volte. “Quante belle sorprese questa sera... devo essere stata proprio buona durante l’anno.” Soffiai civettuola e irriverente. Non era così? A Natale i doni li ricevevano solo i bambini buoni. E chissà che fosse proseguita con altre sorprese la serata. “Con tutti questi complimenti finirai per viziarmi.” Ammisi con tono pacato. Era il mio modo per ringraziarlo, lo avrebbe capito anche dallo sguardo che gli dedicai.

    Non sapevo in che percentuale la verità fosse nelle chiacchiere di Abel, ma era certo che fosse piuttosto pettegolo. Questo mi fece sorridere. “Ah, e quindi si starebbe assicurando che la sua prossima preda sia ben nutrita e in carne?” Un po’ come la fiaba di Hansel e Gretel. Risi, piano, stavo scherzando e non credevo a quelle dicerie e pensavo neanche Abel fosse stato così sciocco da dargli adito. Però che fosse una donna misteriosa di cui si sapeva poco, Miss Rei, non poteva negarlo nessuno.
    A passo di musica e di tanto in tanto annullando volutamente le distanze tra i nostri corpi, ribattei alle dicerie, alimentando quel lato da comare di paese che aveva il mago. “Possibile comunque. È difficile tenere a freno la passione quando ti prende…” Cosa stavo facendo? Non chiedetemelo, doveva essere il vino che stava sbloccando tutte le mie paure che altrimenti avrei avuto. “Non funziona così anche per voi uomini?” Le labbra si stesero in un sorriso, avrei voluto ridere di me stessa, di cotanta sfacciataggine e della reazione che avrebbe avuto McAdams.
    Era bravo a ballare, si muoveva sicuro come chi sa sempre che mossa fare e come agire in caso di imprevisti: come quella coppia che quasi mi venne addosso. Ma con riflessi pronti Abel mi aveva tirato a se ed evitato il peggio.
    Mimai un grazie e mi sentii piuttosto imbarazzata, così presi al volo l’argomento lavoro, come si fa con un salvagente quando sei a rischio annegamento. “E io credo proprio che hai ragione, e che Strega Moderna e il Calamaio riceveranno due articoletti nuovi fiammanti!
    Sistemai meglio la mano sulla spalla di Abel e proseguii con i passi di danza “Dici davvero? Mi piacerebbe, molto.” Era come se avesse appena promesso un giro in giostra ad una bambina. “Dovrò sbrigare alcune cose, ma credo che tra qualche settimana si potrebbe già fare.
    Me la descrivi?
    ” Non ero stata molto chiara; a volte pensavo a talmente tante cose e così in fretta che davo per scontato che l’altro non era nella mia testa, anche se ero certa che Abel aveva capito. “La barca intendo. Immagino che la tieni al porto. Non sarà ancora un po’ freddo per questo genere di uscite, però?” Chissà se era una barca incantata!
  5. .
    Troppe voci, troppa tensione, dovevo restare lucida. I bicchieri di poco prima non aiutavano, oltretutto. Sentivo che i miei movimenti non erano fluidi, precisi, e quella rabbia che sentivo risalire come un ruggito era fomentata dalla mancanza di inibizioni. Che cosa cazzo ci faceva tutta quella gente in casa mia?
    La mia speranza si spense insieme al fuoco che avevo tentato invano di innalzare, rivelando proprio la presenza di altre due individui: uno con un’assurda maschera da diavolo e… evidentemente un malcapitato, a cui lanciai uno sguardo indecifrabile – tra il terrorizzato e l’infuriato. “Voglio sapere cosa volete! Chiedo molto?!” Mi costrinsi ad abbassare il volume della mia voce, ma l’aggressività del tono con cui dissi quelle parole era palese. Le nocche della mano con cui tenevo la mia arma erano sbiancate da quanto la situazione ben presto degenerò, tra l’impossibilità di reagire ulteriormente e il desiderio di prenderli ad insulti. Il diavolo conosceva persino il mio nomignolo.
    Non c’era niente di peggiore che sentire le grida di dolore delle persone a me più care. Forse solo il non poter mettere fine a tutto quello che stava accadendo. Sentii gli occhi divenire umidi: quella miscela di rabbia, paura, tristezza era fatale. Ammutolii, conscia del fatto che un atteggiamento ribelle sarebbe stato controproducente, nel senso che avrebbero fatto ulteriore male alle mie amiche. “Basta, per favore!” Un lamento, che forse venne ascoltato, o forse solo perché avevano ben altre mire.
    Ubbidii, portandomi a sedere sul divano. Ascoltai le parole del diavolo senza fiatare. I miei occhi saettarono su Wolf. L’unica magra consolazione che trassi da quella richiesta, fu che le prossime grida non sarebbero state di mio fratello o delle mie amiche. “Non ti sembra ti contraddirti un po’, diavolo? Il gioco non vuole urli, ma vuoi sentirmi urlare di dolore. Cos’è, un trabocchetto?” La disobbedienza e la ribellione erano abiti in cui mi ero sempre vista bene, ma forse in quel caso avrei dovuto riguardare le mie prerogative.
    Nel sentire la successiva minaccia serrai la mano intorno alla bacchetta e ripresi con un’incalzante invito il malcapitato Wolf. “Cosa aspetti!” Detto fatto, non se lo fece ripetere due volte e pronta a ricevere incantesimi ben peggiori mi trovai a testa in giù. Il sangue corse alla testa, così anche le mani per coprire il volto. Mi sentivo impotente e quella stupida bacchetta che era serrata nella mia mano non era mai stata così inutile.
    La nebbiolina azzurra si posava sulle mie caviglie, fino ad arrivare agli stinchi, ai polpacci e sulle zone lasciate scoperte dai pantaloni larghi. I gomiti, le braccia, presero a bruciare. Feci di tutto per non urlare. Strinsi tra i denti la carne ancora integra dell’avambraccio, mordendola, e solo in quel momento mi lasciai sfuggire un rantolo di dolore misto ad un singhiozzo. Gli occhi erano talmente umidi che cominciai a lacrimare. Non volevo dargliela vinta. Non volevo, sul serio. Ma la carne bruciava. “Basta…” Rantolai.
    Poi più forte. “Per favore, basta!” Una supplica, ma sempre senza urlare. Era la prima regola, giusto?
  6. .
    Ho sempre trovato l’ultimo dell’anno ed i festeggiamenti legati ad esso qualcosa di forzato e commerciale: proprio per questa ragione avevo deciso di trascorrerlo a casa, con pochi intimi, serenamente ed in tranquillità. Questo, ad ogni modo, non mi impedì di lavorare regolarmente nei ranghi della redazione. Dal momento che la maggior parte dei colleghi si erano dileguati per via della lunga ed attesa serata che li aspettava, al contrario di me, mi portò a fare più tardi, per preparare l’impaginazione dell’uscita del giorno successivo.
    Avevo chiuso gli uffici e mi ero dileguata con l'uso della magia.
    A casa trovai ad aspettarmi Piras e le mie due amiche zitellone – era un miracolo averne alla soglia dei trent’anni (e chissà che non fossi riuscita ad accasarne una proprio con mio fratello) – pronti a rimproverarmi bonariamente e a farmi trovare, senza neanche darmi il tempo di liberarmi di borsa e cappotto, un fluttuante e dispettoso bicchiere di paradise che non avrebbe smesso di venirmi a sbattere fino a che non lo avessi bevuto. "Sei la solita, riusciresti ad arrivare tardi anche al tuo funerale!" Mi redarguì subito Piras. Però sorrideva e questo significava che non era arrabbiato. Si erano tenuti in compagnia in fondo ed il tempo era trascorso in fretta. "Abbiamo una fame atroce, non ce la facevamo più ad aspettarti! Quindi adesso bevi, e lo farai ogni volta che te lo diremo!" In effetti, forse non così in fretta a sentire Margaret ed il suo stomaco brontolare. "Penitenza Lione! Ti tocca!" Helen era l'amante degli alcolici trovava ogni scusa per consumarne e farne consumare. "Ehi calmi, chiedo scusa lo so, adesso mi faccio perdo-buono, stai buono!" Troppo tardi, il bicchiere si era agitato troppo ed alcune gocce mi avevano macchiato il cappotto. Per evitare che la situazione peggiorasse lo afferrai e bevvi alla goccia con il tifo in sottofondo dei tre.

    E questo fu l'inizio della serata: erano le 22:00 circa, minuto più, minuto meno.
    L'avevamo presa talmente rilassata che verso le 23:45 eravamo abbandonati sull'enorme divano, sui tavoli non vi erano quelli che si potevano definire i resti di un lussuoso cenone di capodanno, ma scatole vuote di yakisoba, chicchi di riso sparsi qua e là sulla tovaglia, un takoyaki vittima di un morso di Piras e poi lasciato lì, e le nostre coedo e sapporo aperte, ormai calde, sgasate e quasi finite.
    Avevamo bevuto, riuscivamo ancora a dialogare e spettegolare senza lasciare per strada parole o sillabe, quindi non eravamo ubriachi: allegri è il termine adatto.
    In seguito ad una battuta dal doppio senso di Piras, gli lanciai un incantesimo e gli trasformai il naso in quello di un porcellino, ovale umido e raggrinzito. "Anche tu sei il solito comunque! BUON ANNO!" Le risate generali, i festeggiamenti e le proteste di Piras vennero interrotte dal campanello che suonava, "Chi può essere proprio ora? Dici che i vecchi ci hanno voluto fare la sorpresa?" Non ne avevo idea, certo che potevano essere anche i nostri genitori, ma così, proprio in quel momento? "Non lo so, vai ad aprire, dai porcino!" Gli indicai la porta con un cenno del capo ed un sorrisetto divertito. "Con questo naso?!" Altre proteste, inutili, dal momento che sapevo quanto si sarebbe divertito a grufolare addosso ai nostri genitori, infatti si era già diretto all'ingresso principale.
    Piras aprì con noncuranza, credendo davvero che si fosse trattato dei genitori, non portò con sé nemmeno la bacchetta, quindi non ebbe modo di difendersi. Di quanto gli accadde me ne resi conto dopo, quando realizzai che quello era un attacco in piena regola. "NOOO!" Urlai con ancora la bacchetta in mano: se prima era servita a procurare risate, a quel punto sarebbe servita per difendersi. O almeno avrei tentato. "STUPEFICIUM!" L’idea era quella di colpire l’energumeno dal volto coperto dalla maschera color pece, e ad ogni modo, dedussi che se avessi colpito Piras, gli avrei comunque salvato la pelle, evitandogli di divenire una marionetta in mano ad un Mangiamorte. Restavano Helen e Margaret, terrorizzate che non avevano idea di cosa fare. “Andate via!” Un grido verso le due, prima di sentire il rumore tipico della smaterializzazione. Avevo sperato che fosse stato solo quello delle mie amiche che scomparivano dalla mia vista e andavano a cercare aiuto, ma contrariamente a quanto desiderato, la terza materializzazione mi vide bloccata con una bacchetta puntata alla gola. “Chi diavolo siete? Che cosa ci fate in casa mia e cosa volete? LASCIATE STARE MIO FRATELLO!” L’essere stata immobilizzata non m’impedì di rivoltarmi in un crescendo d’ira, funesta e incontrollata, sfogata con quelle parole, da stupida che non pensava alla propria incolumità. Da chi non ha paura, anche se cominciavo a sentire il tremore scuotermi le membra.
    Erano con il volto coperto e incappucciati, chiaramente dei Mangiamorte, e se volevano una risposta alla domanda posta, sì, disturbavano eccome. “INCENDIO!” Avevo castato, puntando la bacchetta verso il corpo dietro di me, che mi teneva sotto scacco, con lo scopo di farla diventare un’autentica torcia umana. Un disperato tentativo di uscire da quella situazione, senza pensare alle conseguenze, che speravo avesse sortito gli effetti desiderati.
  7. .
    Mi sa che l’avevo fatta grossa.
    Farlo aspettare l’aveva innervosito, forse anche offeso. Me ne resi conto ad ogni sguardo che riuscii a mettergli addosso.
    Oltretutto non avevo giustificazioni. Pessima. Così mi avrebbe descritta la mia amica Margaret: praticamente la bocca della verità.
    Meglio per lui conoscere sin da subito questi miei lati, dato che facevano parte di me. Non ero una di quelle persone che avevano in borsa, oltre al portafogli, anche l’imbarazzo della scelta delle maschere da portare. Ero genuina, diretta e sincera.
    Talmente un libro aperto che quando mi avvisò su ciò che avrebbe fatto se fosse ricapitato, che feci saettare il mio sguardo allarmato nel suo. Qualche istante e da allarmato passò ad incuriosito e divertito. “Significa che ci rivedremo di nuovo qui? Non che il Ministero di Londra sia brutto eh, però immaginavo qualcosa di diverso.” Parlai piano mentre ancora stavamo armeggiando con il bracciale, così vicini che riuscivo a sentire il suo respiro.
    Una situazione che mi fece sentire stranamente imbarazzata ma esattamente dove volevo essere.
    Situazione di cui riuscii a riprenderne le redini con quel piccolo gesto di ringraziamento: avevo zittito Abel.
    Miracolo.
    Se non altro perché davvero cominciava a farmi sentire in colpa più del dovuto.
    Ero certa che le labbra tirate nel sorriso che avevo non riuscivano a nascondere la soddisfazione ed il divertimento: in parte per la piccola vittoria ed in parte perché le sue parole avevano lasciato esplicita la sua intenzione di trascorrere del tempo insieme. “No, non credevo questo. Però di qualcosa in verità, ti sei dimenticato.” Mi sospesi così, lasciando che il dubbio si insinuasse in lui, mentre avanzavamo nella sala.
    Mi guardai un po’ intorno e poi tornai negli occhi di Abel. Qualche volta mi sembrava di sorprendermi a trattenere il respiro involontariamente, e capitava quando mi trovavo proprio in quel contatto visivo diretto. “In effetti neanche il mio gufo ti ha fatto ricordare. Credo di doverti ancora un giro in barca a vela.” Avevo perso una scommessa, ed i patti erano stati fatti tra la serietà e l’ironia di un’intervista: poi i tempi e gli avvenimenti si erano complicati, ed eccoci lì, dopo tutto il tempo trascorso e la lontananza. Era anche plausibile che gli fosse passato di mente, tuttavia dovevo ammettere che mi dispiaceva non avere avuto l’opportunità di estinguere il mio debito. Cosa che non potevo affermare di tutti i debiti che si potevano contrarre nell’arco di un esistenza.

    Scambiai un altro sguardo con il mago, questa volta più sollevato. Sembrava sincero, sembrava stare bene davvero. “Speriamo che non lo trovino proprio stasera.” Soffiai in tutta risposta: non dovevano rovinare quella serata, assolutamente no.
    Con un appena percettibile gesto della mano che teneva il suo braccio aprii le dita per afferrare meglio il suo avambraccio e mi strinsi più a lui: sembrava essere arrivata l’ora del gossip e la mia deformazione professionale lo aveva già captato.
    Succulento inchiostro per la mia vorace piuma.
    Il mio sguardo vagò su ogni volto che lui nominò e sorrisi affabile, annuendo inoltre con delicatezza: proprio come se stavamo parlando del menù del giorno. Era chiaro che se lo tenevano sott’occhio, anche la mia figura lo era, e sarebbe stata associata inevitabilmente a quella di Abel. E quindi in un certo senso, macchiata. “Mossa geniale quella della figura dell’Ambasciatore. Ti faccio i miei complimenti.” Soffiai morbida. Sì, lo stavo adulando e sviolinando come si faceva con i professori quando si voleva un buon voto. “Praticamente sono loro a non voler far cadere l’ascia di guerra. Questa cosa non ha senso: non pensano al bene dei maghi e delle streghe dei paesi in questione? Quel Ramirez dev’essere proprio testardo. C’è in gioco la salute ed il futuro di tutti noi!” Civettuola e irriverente accarezzai con le pupille le figura di Dell e di Sarah in lontananza, soffermandomi a pensare che doveva essere un uomo con un bel carattere per stare con lei: non si sarebbe di certo accontentata di una pezza da piedi. E soprattutto chissà quale era la reale motivazione di tutto quell’astio. Contrariamente a ciò che stavo dicendo, mi domandavo seriamente cosa c’era sotto: “Inconcepibile. A volte la divisa fa brutti scherzi alle persone. Per quale motivo secondo te non ha accettato e Sarah ti ha addirittura minacciato?” Feci eco con quella domanda e con il bicchiere in mano, lasciando ondeggiare il liquido frizzantino dalla gradazione leggermente alcolica. “Pensaci, però, potrebbe essere l’occasione buona per riprovarci: i due signori attempati credo siano le figure chiave del nuovo Ministero e anche del Wizengamot. Detorquemada e Utrechtsson Seguin. Soggetti di spessore per i tuoi intenti.” Li indicai facendo ondeggiare leggermente il bicchiere. In quell’esatto momento notai anche altri movimenti: come la Rei parlottare più appartata insieme ad un uomo. “E di lei che mi dici? E’ ancora un Auror?” Sapevo che da quando era passata alla gestione della scuola le cose erano un po’ cambiate.

    Dopo aver vagliato la situazione e ascoltato Abel, tornai a dedicarmi a lui. “A noi.” Feci tintinnare i nostri bicchieri e nascosi il sorriso dietro al mio che sollevai per bere.
    Abel aveva brindato a noi. Vi rendete conto!? Gongolai mentalmente e per non strozzarmi con quel sorso feci appello a tutto il mio self control… che probabilmente se ne sarebbe andato con i successivi due o tre bicchieri, qualora ci fossero stati.
    Meno assiduamente di prima, sì, diciamo che mi sono spostata sulle retrovie e gestisco quelle, per cambiare e capire il funzionamento di tutti i processi che ci sono dietro ad una testata giornalistica. Ti assicuro che sembra semplice ma non lo è affatto.
    Onestamente però, mi sto annoiando. Ho decisamente bisogno di movimento; credo che comincerò a spostarmi fuori dal paese per occuparmi delle questioni estere.
    A proposito: pensi che un articolo in prima pagina possa smuovere gli animi?
    ” Appoggiai il bicchiere su di un vassoio aleggiante nell’aria che sembrava aver inteso il nostro bisogno ed ero ritornata su Abel, candida come un fiocco di neve che si posava sul terreno, proprio con quella domanda.
    Era un velata richiesta e meno velata messa a disposizione dei miei servigi: avrebbe giovato ad entrambi in effetti.

    In quel momento in sottofondo era partita un’orecchiabile canzone che senza riuscire a controllare mi fece muovere il capo e le spalle, in un lieve ondeggio a ritmo. Chissà se l’esecutore avrebbe colto l’occasione al volo… e chissà come se la cavava su una pista da ballo.



    Edited by Artemide - 18/3/2019, 19:31
  8. .

    Schedario Animagus






    DATI ANAGRAFICI:

    Nome: Artemide
    Cognome: Lione
    Data di Nascita: 9 Settembre 1989
    Nato a: Dauphin Island, Alabama, Stati Uniti
    Residente a: Londra
    Stato civile: Nubile









    DATI ANIMAGUS:

    Genere di animale ed eventuale razza: Cavallo, American Saddlebred
    Descrizione fisica dell'animale: Cavallo forte e resistente, possiede un testa armoniosa e bella, priva di carnosità nella ganasce, la posizione delle spalle permette un movimento molto libero, il collo è lungo ed elegante, i quarti sono uniformemente muscolosi e la groppa è all'incirca allo stesso livello e la coda ha l'attaccatura piuttosto alta. Le zampe sono lunghe ed esili, ma ben muscolate (soprattutto quelle posteriori) e ugualente esili sono anche i pastorali.
    Gli zoccoli quando sono curati sono aperti e ben formati. Altezza al garrese: 163 cm. Mantello sauro-dorato.
    Segni particolari: Due cicatrici circolari sulla mano sinistra (morso di serpente) e alcune cicatrici sulle ginocchia - evidenti anche da trasfigurata. Colore degli occhi: azzurro mare.
    Registrato al Ministero: No





    ALBERO GENEALOGICO:

    Nome e Cognome: Lucy Davies
    Grado di parentela: Nonna paterna

    Nome e Cognome: Adam Lione
    Grado di parentela: Nonno paterno

    Nome e Cognome: Clauz Lione
    Grado di parentela: Padre

    Nome e Cognome: Nick Lione
    Grado di parentela: Zio (fratello del padre)

    Nome e Cognome: Almira Wilson
    Grado di parentela: Nonna materna

    Nome e Cognome: Edgar Carti
    Grado di parentela: Nonno materno

    Nome e Cognome: Fèdrea Carti
    Grado di parentela: Madre

    Nome e Cognome: Piras Lione
    Grado di parentela: Fratello minore









    Edited by Abel; - 13/9/2019, 14:02
  9. .
    7pm8WIr
    Per quanto mi ero impegnata a convincermi che non stavo dando poi così tanta importanza a quell’avvenimento, altrettanto la mia mente mi faceva notare che ogni dieci minuti ci pensavo. A volte cercavo una spiegazione, un motivo a quell’invito, altre volte sbeffeggiavo il caso e gli davo del balordo per il modo in cui giocava con le nostre vite e altre volte, più semplicemente, pensavo alle iridi magnetiche di Abel McAdams e a quanto poco mancava al momento in cui le avrei riavute di fronte alle mie.
    *Questo abito andrà benissimo* Mi ero detta giorni prima dopo aver spalancato l’armadio ed averlo trovato subito lì, brillante nel suo colore audace che richiamava la mia attenzione e mi diceva che aspettava quel momento da tanto tempo. Lo avevo tirato fuori e lo avevo indossato, dopo aver sistemato con cura il mio corpo.
    Sì, lo sapevo che potevo sembrare una poco di buono: chi mai con senno acconsentirebbe di accompagnarsi ad un uomo dalla fama e alla stregua di McAdams?
    Se solo però si conoscessero nel dettaglio gli antri della mia mente e di quello che ho passato nella mia vita, si troverebbe sempre un legame profondo e ancestrale al lato oscuro. Peccato che lì sarebbe rimasto: il mio lato oscuro nel mio lato oscuro della mente. Un gioco di parole simpatico, almeno fino a che non sarebbe dovuto venire fuori.
    Avevo disteso il mio profumo preferito sulla pelle dietro alle orecchie con indice e medio per poi prepararmi per uscire.
    Sapevo che avrei trovato gran parte della comunità magica: un evento come quello non sarebbe stato trascurato, in parte per motivi mondani, ma in questo caso più per informazioni politiche e curiosità.
    Ero puntuale. Lo ero stata veramente, ma quella parte di me dispettosa e irriverente era sempre pronta, lì in agguato e nonostante avessi potuto usare il camino e palesarmi di fronte a lui in orario mi ero presa la briga di far passare qualche minuto. Pochi in realtà, ma quando attendi sembra sempre troppo. E se ci pensavo bene, così facendo eravamo in attesa entrambi, ma in fondo quella stupida ansia è la stessa che ti fa sentire più vivo. Le fiamme mi avevano inghiottito e in poco tempo mi ero ritrovata tra le pareti del camino elegante del Ministero.
    Lui era lì di fronte a me, proprio come mi ero immaginata.
    Certo poterlo vedere in frenetica attesa, sarebbe stato ancora più soddisfacente.
    Lo osservai, notando persino che aveva qualcosa tra le mani, sentendomi –lo ammetto- perfida ad averlo farlo aspettare inutilmente, ma si sa, niente accresce l’ego di una donna quanto vedere l’uomo attenderla con ansia e cercarla tra la folla, ed io avevo fatto proprio quello: avevo nutrito il mio ego, anche se avevo solo potuto immaginare Abel alla ricerca della mia figura tra le tante che comparivano dai camini.
    Sgusciai fuori e lo raggiunsi, ritrovando i rimproveri della mia coscienza piuttosto insistenti e fastidiosi. Aveva ragione lei, non si facevano certe cose. Almeno non più alla mia età: erano cose da ragazzine. Mi avvicinai a lui, fino ad annullare la distanza. Era bello, statuario, e quegli occhi erano meglio di come li ricordavo. Certo, ricordavo anche qualche linea in meno sul suo viso, ma sapevo bene che doveva essere lo stesso per me. Il tempo passava per tutti.
    Mi redarguì subito Abel, sottolineando il mio ritardo e allungandomi quello che teneva tra le mani. Ero sorpresa. Strinsi le labbra in tutta risposta e non mi lasciai sfuggire l’occasione, negli atteggiamenti non sembrava cambiato.

    Lo so. L’ho fatto apposta." Una confessione disarmante uscita in modo naturale e sbarazzino, mentre armeggiavo con la scatolina. Le mani mi tremavano leggermente, cosa che speravo non notasse. “è per me?” Non me lo aspettavo. Sussurrai tra me e me, mentre la aprivo e riprendevo il discorso precedente per cercare di nascondere quell’improvvisa emozione: “Volevo vederti cercarmi ad ogni camino che si accendeva.” Risi piano in modo sommesso mentre riuscii finalmente a rivelare il bracciale. Immaginai che neanche lui si sarebbe aspettato un atteggiamento diverso da me. Era una cosa che mi veniva naturale con Abel; essere irriverente, tenere la testa alta ma farlo per avere una risposta e vederlo acceso, sorpreso e - sotto sotto - divertito. “Ma questo è molto meglio.” Soffiai piano quelle parole sollevando lo sguardo dal bracciale agli occhi del mago. “Mi aiuti a metterlo?” Portai il polso verso di lui e cominciai a sentire quel velo di imbarazzo cominciare ad imporporare il viso. Mogana benedica il trucco babbano! “E’ stupendo. Ora però mi sento in colpa.” Non gli avevo portato nulla se non la mia presenza e anzi, lo avevo anche fatto attendere per un mio capriccio di donna. “Troverò il modo di farmi perdonare…” Lasciai che le sue mani chiudessero in un nodo il bracciale e ne approfittai per osservarlo meglio, ancora da più vicino. “Grazie.” La voce uscì in modo sommesso ma comunque mi udì, poiché mi avvicinai per lasciargli un fugace bacio sulla guancia.

    Andiamo?” Presi il suo braccio sotto al mio e feci per incamminarmi verso il centro della sala. Era tutto così elegante e di un gusto particolare, “astronomico” avrei osato dire a guardare il cielo. “È passato così tanto tempo. Ti confesso che non me lo aspettavo. Come stai? Sapevo che ‘voi cattivi’ non eravate più i benvenuti qui, ci sono novità?” Stretta a McAdams camminavo per la sala, riconoscendo tra i presenti anche volti che avevano fatto parte della mia infanzia. Rivedere Sarah fu un tuffo al cuore, ad esempio. Suo marito Ramirez, Elison, la Rei, c’erano anche molti ragazzi, probabilmente studenti, e in fondo alla sala un anziano, barbuto e canuto mago che discorreva con un gufo sulla spalla - l’anzianità doveva fare cose strane alla testa delle persone –chissà se avrei avuto l’occasione di salutare tutti. Per il momento mi dedicavo ad Abel. Avevamo qualche anno di interviste e domande da recuperare. O un giro in barca…

    La cosa comunque non vale per me: mi fa davvero piacere rivederti.” Dissipai i suoi dubbi, se per caso gli erano sorti, afferrai al volo due calici pieni di Vino Elfico e gliene porsi uno. “Un brindisi?” A cosa lo avrebbe deciso lui, sempre che fosse stato di suo gusto il Vino Elfico!


    Edited by Artemide - 10/2/2019, 17:24
  10. .
    CITAZIONE
    Ogni promessa è debito; ovviamente ci sarò.
    Vestiti elegante, mi raccomando :P .
    Diana Artemide.
  11. .
    Era qualche giorno che Pop starnazzava, batteva le ali per attirare la mia attenzione e abbassava la testolina puntando con il becco una lettera; ed erano altrettanti giorni che ero sempre di corsa senza nemmeno il tempo di prestarci la giusta attenzione.
    Scusami Pop, adesso arrivo, arrivo. Sei un bravo gufo.” L’avevo accarezzato e preso la lettera, per poi aprirla. Era anonima, senza firma sulla busta, convinta che si fosse trattata di pubblicità di qualche nuovo locale aperto ad Hogsmeade dovetti ricredermi e trasformare il mio disinteresse in mera sorpresa.
    Era una vita che non vedevo quell’uomo, ma ricordavo bene che quello che mi chiedeva era stato fatto – avevo perso una scommessa, come potevo essermene dimenticata?!
    Nel petto sentii un palpito, un fremito: avevo sempre avuto questo problema, se così vogliamo chiamarlo, le mie emozioni erano forti, l’effetto sul corpo triplicato rispetto a qualsiasi altra persona. Erano più intense, esasperate, e più dura era la lotta nel tentativo di tenerle a bada.
    Dev’essere uno scherzo. C’è persino il ballo quella sera, a quell’ora, in quel posto.” Soffiai piano, sciogliendomi in un sorrisetto. Lanciai uno sguardo a Pop e presi piuma e pergamena. “Sai cosa fare!” Scrissi freneticamente, arrotolai il messaggio e lo legai alla zampa del gufo. “E se non lo è, ci sarà da ridere.” Non avrei di certo perso l’opportunità di rivedere l’uomo e aprirgli gli occhi sulla realtà dei fatti.
    Aprii la finestra e Pop volò via con una precisa destinazione.
  12. .
    Voltai il capo, riconoscendo il tono di voce impettito, così come il sorriso che Abel sfoggia. Sembra sempre che abbia un limone in bocca! Perché non sorride mai decentemente? Al contrario, le mie labbra si allargano in modo naturale nel vederlo. Mi aveva sorpreso. Non tanto perché fosse presente alla conferenza, quanto per il fatto che si era avvicinato a me. Ma dopo la serata al Mani di Fata non doveva avere timore di pettegolezzi assurdi che potevano riguardarci. Perché, diciamocelo, sarebbero stati veramente assurdi, visti i soggetti.
    Uno più frigido dell'altra.
    "Abel! Accomodati!" Sorrisi malandrina, stringendogli la mano per salutarlo. Poi gli indicai la sedia accanto alla mia. Avere una persona informata come lui a fianco sarebbe stato l'ideale. Lui c'era dentro fino ai capelli in quella storia, e di certo non era alla conferenza per apprendere novità da DeSade, quanto per controllare che tutto si svolgesse senza sorprese.
    Era quello il suo compito, avevo imparato dopo l'intervista.
    E non nego che con DeSade lì sul palco, come una prima donna, avere McAdams a fianco, mi tranquillizzava.
    Il giorno che mi sarei trovata completamente sola, in compagnia di Ares, allora sì che mi sarei fatta prendere dal panico.
    "Questo dovresti dircelo tu, McAdams. Sei tu quello informato sui fatti!" Lo rimbeccai, mettendo in mezzo un po' di sana ironia. "Secondo me hai cercato il nome sbagliato… forse… Diana?" Risposi a quella sua specie di domanda, rimembrando quella sera di parecchi anni prima. Mi ero presentata con un nome falso, più o meno, e probabilmente gli era rimasto in testa quello, talmente tanto da cercarlo al posto di Artemide.
    Arricciai le labbra, per l'ennesima volta. Sì, era una frecciatina impertinente anche quella!
    Proprio nell'istante in cui le mie labbra tornarono rilassate, comparì un'altra figura. Lo chiamò, avanzando verso la nostra posizione. C'era qualcosa in quell'uomo di familiare. Forse il modo in cui guardava Abel? Oppure lo sguardo? Compresi il motivo quando lo chiamò con quell'appellativo: figliolo.
    Il sorriso tornò raggiante. Gli tesi la mano, e strinsi la sua con entusiasmo. "Il padre del promettente Abel McAdams! È un piacere Signor Gabriel! Artemide Lione, giornalista de - Le Frecce di Artemide -, e non solo." Scossi il capo, lanciando uno sguardo ad Abel. "Lei sottovaluta suo figlio. Non è assolutamente così noioso come dice… Sa essere di ottima compagnia, invece!" E con questo, per Morgana, mi resi conto solo dopo di cosa si sarebbe potuto pensare di quella affermazione. Arrossii, con tutta probabilità. Solitamente la sensazione di fuoco e fiamme all'altezza delle gote, precludeva proprio quello, no?
    Cercai di pensare ad altro, e di focalizzarmi, ad esempio, su quanto stava dicendo il padre di Abel, per far passare il colorito acceso del viso. Olympia, Sophia. Lei era uno dei supervisori di Hogwarts, e la piccola Sophia, la bambina. Chissà perché lo faceva notare ad Abel. Quale connessione c'era tra loro…
    Non ebbi il tempo di pensarci, che i pesanti tendaggi si aprirono, rivelando Ares DeSade, Olympia Mitchell e… Hewson. Paul? Perché Dave era… Scomparso. Morto, addirittura, da quanto si vociferava. Fremetti, e successivamente mi costrinsi a mantenere un certo contegno. Le spiegazioni e le presentazioni, soprattutto, stavano arrivando proprio dal Marchese.
    Il nuovo ufficio Controllo e Regolamentazione Mezzosangue.
    Dave Hewson.
    Sussultai, posando una mano sulla gamba di Abel - poco sopra al ginocchio in realtà. Non riuscii a contenermi, mentre la mia piuma scriveva frenetica. "Dave era uno dei guaritori della scuola, quando ancora frequentavo Hogwarts." Mi lasciai sfuggire. Era così strano…
    Censimento dello Stato di Sangue. Un censimento?!
    Il brusio nell'aula cominciò a farsi sentire, mentre, nonostante a parte quel gesto improvviso, continuavo a mantenere una calma apparente. Fissavo Dave, lo stavo facendo fin troppo sfacciatamente, finché non arrivarono le prime domande. Sentivo i dubbi crescere in me, le domande formarsi nella mia mente, domande che avrei voluto sparare loro come un colpo di fucile dal proiettile che si sarebbe aperto in volo, rivelando una rosa di penetranti quanto dolorosi e fastidiosi piombini. Quelle sarebbero state le mie domande.

    CONFERENZA STAMPA



    Avevo richiamato un assistente, e avevo cominciato a parlare di fronte al microfono. "Salve, Artemide Lione, e vorrei fare qualche domanda. Non importa da chi mi arriverà la risposta, non ho preferenze.
    Cosa intendete con - cito testualmente il Marchese DeSade - maghi incapaci, e streghe che non riescono a controllare i propri poteri? I Mezzosangue?
    Pensate di dividere semplicemente per sangue, il popolo magico, o effettuerete delle prove per testare le capacità di ognuno di loro e quindi usare un metodo meno… superfluo e approssimativo?
    Inoltre, cosa ne sarà degli individui ritenuti "incapaci"? Verranno allontanati dalla dimensione magica? O verranno aiutati a raggiungere i livelli dei maghi e delle streghe "capaci"?
    E, un'altra domanda… Se venisse fuori che proprio tra i servitori più importanti del nuovo governo, vi sono individui Mezzosangue, nati babbani o, per usare ancora una volta le parole del Marchese, "incapaci", quali provvedimenti verrebbero presi, per loro?
    " Li avevo bombardati, esattamente. Senza nemmeno sapere di aver tirato in ballo anche il destino di Abel, seduto lì accanto.
  13. .
    Il segreto era essere sicure di se, e non lasciar trasparire il minimo timore di fronte a chicchessia assassino senza cuore che sarebbe stato presente in quella sala.
    ...e nemmeno il profondo disgusto che avevo ogni qualvolta i miei occhi incontravano la faccia di DeSade. O le mie orecchie udivano la sua voce. Avevo cercato di prepararmi psicologicamente alla cosa, dato che la conferenza l'avrebbe tenuta lui.
    Feci il mio ingresso, sfilando nella spaziosa sala. C'erano già diverse persone, tra cui individui che ricordavo di avere intravisto al Mani di Fata. Mi diressi verso i posti riservati ai giornalisti, che salutai con un amabile sorriso.

    "Buongiorno Miss Serizawa! ...Facciamo alla penna più veloce?" Con le piume autoscriventi era una gara dura: solitamente vinceva quella che era costata di più! E solitamente quelle più economiche facevani errori ortografici imperdonabili. Ricordavo ancora la mia prima piuma autoscrivente: me ne liberai dopo i primi cinque minuti. Una vera fregatura.

    "Scommetto che renderà legittime anche la pena di morte e le punizioni corporali. Così da... DeSade!" Pigolai ancora, all'indirizzo di Layla. Fare conversazione con una più che brillante giornalista era lecito, no?
    Accavallai le gambe, estrassi pergamena e l'ultimo modello di piuma "scrivo io, tu pensa alle domande - deluxe" e come se avessi potuto vedere attraverso alla pesante tenda, la fissai impaziente.
    Coraggio DeSade, facci vedere cos'hai in mente.
  14. .
    “Non credo sia possibile metterla in ombra, Kyran. Semmai accade esattamente il contrario.” – Quello che avevo sentito era un complimento? Nemmeno me ne resi conto, ma in quell’istante mi voltai verso di lui, alzai il viso per incontrare il suo profilo e gli lanciai uno sguardo esterrefatto, stupito. Strinsi le labbra per trattenere un sorriso, e anche una domanda impertinente – Lo pensava davvero?
    In seguito discorrere con la Vicepreside fu un piacere, nonostante non riuscii a non notare come scaricasse i meriti sul Preside Carter. Immaginavo quanto poteva essere importante la figura del Preside, ma come accadeva spesso, dietro ad ogni grande uomo, c’era una grande donna. E chissà che non fosse stato anche quello il caso, in campo lavorativo però.
    Ci dileguammo, per trovare ristoro alla toilette. Mi sarei rinfrescata e assicurata che le onde morbide dei capelli non fossero scese. Odiavo quando i miei capelli rifiutavano le pieghe che con tanta dedizione davo loro. Sì, l’avrei fatto, se non mi fossi persa in pensieri per nulla da me: la mano di Abel accarezzava distrattamente la mia vita, e lasciava che la fastidiosa sensazione d’imbarazzo m’imporporasse le guance. O forse era solamente quell’anima nera di troppo? La sua mano abbandonò il mio corpo, e ci dividemmo. Da quel preciso istante però, mi sfuggì la situazione di mano. Accadde tutto così velocemente che mi ritrovai sballottata tra una strega, un mago e l’altro. Erano arrivate anche delle grida alle mie orecchie, grida che non distinsi per via del trambusto. Poi la porta si aprì, e uno dopo l’altro, chi era dentro uscì, urtandomi. La Mitchell, che per poco non mi fece cadere. Indietreggiai, barcollando appena – stava veramente piangendo? O Avevo visto male? Mi ero voltata a guardarla, a seguirla con lo sguardo, senza capire cosa era successo – le urla erano le sue? – che mani, anzi, tentacoli viscidi e impertinenti mi finirono addosso, terminando il lavoro della Mitchell: caddi rovinosamente a terra, con Ares DeSade, e ripeto, Aresilporco DeSade, sopra. Mi lasciai sfuggire un singulto di spavento e in seguito, un gemito di dolore. Fu un tripudio di sensazioni negative, quelle che mi invasero, un aggrovigliarsi di spavento, irritazione e insicurezza. Cercai di alzarmi quasi immediatamente, non prima però di ponderare se sarebbe stato il caso o meno di dare uno schiaffo a DeSade. Quanto poco ci avrebbe messo a polverizzarmi per il tanto osare? Eppure le sue mani erano state decise, il suo tocco era sembrato calcolato, per nulla involontario e lasciato al caso. Mi sentivo imbarazzata, per quella sorta di violazione. Persi di vista anche la condizione del mio abito risalito fino a metà coscia, il dolore che avevo addosso per tutte le gambe, e la capigliatura spettinata. Persi di vista tutto: volevo solo rialzarmi, e lanciai uno sguardo implorante verso il bagno, sperando di vederlo uscire. Mi avrebbe aiutato, ne ero certa, gli avevo parlato del mio scetticismo nei confronti di Ares DeSade. Alla fine, la mano tesa pronta a riversagli addosso tutta la mia frustrazione si era chiusa in un pugno, e si era appoggiata a terra, sconfitta. Non potevo osare.

    Marchese DeSade! Mi scusi. Mi ero fermata proprio davanti alla porta.” Un incrocio di scuse, anche se, dovevo dire, lui non mi era sembrato affatto dispiaciuto. Mi aiutò a rialzarmi, nonostante non avessi chiesto il suo aiuto e lo fece anche in malo modo, quasi strattonandomi. “Grazie.” Secca e coincisa feci un passo indietro non appena mi fu possibile: non amavo avere a meno di un metro di distanza le persone di cui diffidavo.

    Dovere Marchese. La redazione è al vostro servizio.” Un debole sorriso aveva inarcato le mie labbra, mentre, allo stesso tempo, cercai di abbassare il vestito senza attirare il suo sguardo sulle mie gambe. L’avevo sentito già, viscido, addosso, quel giorno al giornale. Non l’avrei sopportato un’altra volta. “La ringrazio, è molto gentile, e anche lei questa sera, devo dire che è raggiante.” Si dice raggiante, ad un uomo? Morgana, DeSade era raggiante di una luce marcia, oscura, una luce che non mi era mai piaciuta. Se non altro perché avevo ben notato come – per fortuna – ci aveva letteralmente snobbato non appena arrivati, per dedicarsi completamente alla compagnia della Mitchell, e in quel momento, che ne era privo, notava la sottoscritta?
    Era come una bandiera al vento.
    Poi eccolo, finalmente, Abel uscire dal bagno. Annuii al suo ordine, lasciandomi trascinare via. Sembrava scosso. Riuscii a congedarmi dal Marchese in un frangente, sorridendo debolmente – “Buon proseguimento di serata, Marchese.” Non era stato un piacere, e avrei preferito non incontrarlo più.

    Grazie a Merlino sei tornato… mi è sembrato infinito il tempo che ho passato con DeSade…” Avrei voluto buttarmi sotto una doccia così, anche completamente vestita per togliermi di dosso l’orribile sensazione delle sue mani addosso. Se fino a prima pensavo che la sua agitazione era momentanea, quando lo vidi scrutare ansioso la folla, e quanto stava avvenendo sul palco mi convinsi che no, qualcosa era successo in quel bagno. Eppure non domandai. Non riguardo a quello che poteva essere successo!

    …Posso fare qualcosa per te? Ti vedo… scosso.” Un sussurro, mentre posai la mano sulla sua spalla.
    Pochi istanti dopo, inoltre, ecco accadere il finimondo: il Marchese aveva trovato un altro passatempo, l’accompagnatore di Elis. Se ne stavano dando di santa ragione. Poi un’esplosione distrusse il palco, facendo cadere una giovane in acqua, in una pioggia di vetri infranti.

    Sta succedendo veramente il finimondo.” Sussurrai quasi esasperata, guardandomi intorno. “Abel…” Pronunciai il suo nome con cautela, spingendolo con discrezione e delicatezza verso l’uscita. “Che ne dici se usciamo, prima che degeneri completamente? Non mi piace essere coinvolta in queste cose, e nemmeno a te, credo. Lasciamo che continuino loro, a dare spettacolo…” Mormorai quelle parole, appoggiando la mano sul suo avambraccio. Ero accigliata, turbata da quanto stava succedendo. Mi sentivo quasi soffocare.
    Ci voltammo appena in tempo, e raggiungemmo il portone, mentre una donna, sollevò la bambina di Abel, mostrandola ai presenti. Inconsapevole del perfetto tempismo che mi aveva portato ad allontanarlo dalla goccia che avrebbe fatto esplodere Cain, che quella era proprio sua figlia, che la donna in lacrime era la madre e che, i genitori incoscienti che l’avevano abbandonata per seguire i propri interessi erano proprio loro, uscimmo. Nella speranza che l’aria ci avrebbe schiarito le idee, e calmato gli animi.


    Edited by Artemide - 1/10/2013, 21:24
  15. .
    Mi ero già preparata a sentire l'imbarazzo cocente scaldarmi il volto, da come Abel mi aveva lanciato in pasto ai leoni mi sarei aspettata di tutto. Tutto che non avvenne, a parte qualche sguardo indecifrabile. Si defilarono come se avessi avuto qualche strana malattia. Non so, pustole pulsanti sulla faccia o, quattro braccia e tre gambe.
    Mi controllai, tanto per essere sicura, ma niente. Sembrava tutto al proprio posto.
    Che li avesse spaventati la scollatura? Appunto per la volta successiva: scolli meno audaci. Fanno scappare. Letteralmente.

    "Pare che li abbia messi in fuga, Abel." Non mi rimaneva che ironizzare sulla cosa. Mi voltai verso il biondo, piegando le labbra in un sorriso divertito. "Non credo che ti dispiaccia, comunque, se non sbaglio tu non ami questo genere di ritrovi. Potremmo approfittarne per scappare a nostra volta." In realtà mi andava qualcosa da bere, qualcosa di forte, che avrebbe allontanato - affogato - ogni dubbio che mi faceva credere d'essere la persona sbagliata nel posto sbagliato, al momento sbagliato. E chissà, magari avrebbe fatto bene anche al Mangiamorte.
    Lanciai uno sguardo prima ad Abel, poi alla zona bar. *Troppo affollata, decisamente.* C'erano Elis, il suo accompagnatore, la Mitchell e De Sade con la piccola, Liv e Carradine.
    *Ma quanto ci avrebbero messo a prendere un drink?*
    Il tempo di una domanda che una ragazza dai capelli biondi e le labbra carnose si avvicinò alla nostra posizione, rivolgendosi ad Abel. Sembrava carina, indifesa, dolce. Tutto il contrario degli elementi che c'erano a quella festa.

    "Buonasera Miss." Le sorrisi, per poi osservare Abel e la sua reazione. Il modo in cui la sua mandibola sembrò serrarsi alla sua vista e alla sua domanda m'inquietò un poco. "Vi lascio un attimo. Torno subito." Posai la mano sull'avambraccio dell'uomo, sorrisi ad entrambi e mi dileguai.
    Era il momento giusto per andare a prendere da bere, così anche il biondo avrebbe potuto rispondere tranquillamente alla fanciulla.
    Dopo una prima occhiata avevo notato ben quattro persone in meno. Liv e Carradine erano spariti, così come De Sade e la Mitchell. Questo significava: bancone del bar, a mia completa disposizione.
    Lo raggiunsi, osservandomi intorno e notando che erano presenti tantissimi ragazzi che non avevano più di diciotto anni. Sicuramente andavano ancora a scuola. Che fossero i promettenti rampolli del Ministero Oscuro?
    "Ciao." Approdai al bancone, a cui mi affacciai trovandovi dietro una ragazza dai lineamenti giovani e puliti. Anche lei andava ancora a scuola, ci avrei scommesso. "Puoi farmi due drink? Vorrei un'anima nera, e l'altro… un Nightly andrà bene. Grazie!" Le sorrisi, per poi guardarmi intorno. "Elis! E' un piacere vederti! Come stai? Come ti vanno le cose? E la testa di porco? Tutto bene…? Poi non abbiamo più fatto quella festa ad Hogsmeade… mi piacerebbe organizzarla veramente! E questa è la figlia della Mitchell! Ve l'hanno appioppata eh?!" Non le chiesi nulla riguardo a Paul, o a De Sade, o… "Che sbadata! Io sono Artemide, una compagna di Elis ai tempi di scuola! È un piacere!" Lui era…? Una nuova fiamma?
    Rimasi a chiacchierare con loro finché la giovane dietro al bancone non preparò le due bevande, dopodiché mi congedai. Non volevo lasciare Abel da solo.
    "Perdonatemi, ma ora devo lasciarvi. Ci vediamo in giro per la festa!" Sorrisi, afferrai i due cocktail e tornai all'ovile. "Grazie ancora!" Cinguettai alla Wilson, allontanandomi.

    "Eccomi di ritorno. Tieni… " Gli porsi il suo drink dal sapore fresco, poi affondai di nuovo il braccio nel suo, intrecciandolo. "Mi sono persa qualcosa?" Arricciai le labbra in un sorriso, prima di affondarlo nella mia anima nera. Liquirizia, per Morgana, ogni volta che la bevevo era sempre più buona. Chiusi gli occhi per un frangente, per sentire il sapore forte e dolce spandersi nella bocca e lungo la gola, poi li riaprii, nel sentire la voce di Michael Moon.
    Michael Moon insieme a Kyran Spencer e la Vicepreside di Hogwarts Lavinia Simpson.
    Un trio di celebrità esplosivo. "Artemide Lione, buonasera a Lei, Ministro Moon. È sempre un piacere rivederla." Piegai la testa in quello che doveva essere un leggero inchino, la stessa cosa feci poi con Spencer e il suo fascino da Vampiro.
    Mi appiattii quasi, se possibile, di più ad Abel, sentendo la strana sensazione di attrazione verso l'essere. Sapevo che era l'effetto della sua natura, che era qualcosa di artificiale, non mio, e lo rinnegai, volgendo tutte le mie attenzioni sulla Simpson. "Quale onore Vicepreside Simpson! Anche io ho frequentato Hogwarts, sa? Ho sempre pensato che d'essere un onere tenere le redini della scuola, ma un onore e una grande soddisfazione vedere uscire ogni anno ragazzi formati e pronti a diventare grandi maghi… Ed essere consapevoli di aver avuto la propria parte in questo." Sorrisi all'elegante donna, poi, incrociai lo sguardo di Abel per qualche secondo. Ricordai come aveva parlato di Moon e di De Sade, e quel suo cambio repentino di discorso la sera dell'intervista, arrivati ad un certo punto della conversazione. Chissà come si sentiva. Forse, veramente, un po' di alcol lo avrebbe aiutato.
    Dopo i convenevoli, Moon si congedò per cambiare preda.
    Mi piaceva quell'uomo. Al contrario dei colleghi si era fermato per porgere i suoi saluti. Si era interessato a tutti, e per tutti aveva avuto una buona parola. Al contrario di chi si era defilato appena possibile.
    In quella sala c'erano persone con caratteri così contrastanti che faticavo a immaginare come potevano andare d'accordo nella stessa stanza per più di dieci minuti. Bevvi ancora, per poi rivolgermi al mio accompagnatore.
    "Ti va di prendere una boccata d'aria? O vuoi rinfrescarti un po' alla toilette?" Guardai Abel, sussurrandogli quelle poche parole. Non sapevo perché, ma avevo la terribile sensazione che in lui stessero vorticando una moltitudine indefinita di sentimenti negativi. L'avevo già visto serrare la mandibola più di una volta in pochi minuti.


    Interagito con:
    Abel
    Persemone
    Kaitlyn
    Elis & accompagnatore
    Michael, Kyran e Lavinia
1710 replies since 25/7/2006
.
Top