Posts written by Jax.

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    Scuoto il capo alle sue parole. Debra ha una saggezza diretta. Non usa parole artificiose per esprimere i propri concetti. Lei usa un linguaggio quotidiano. Lei è vera e non ha paura di esserlo. Ed è essendo solo e puramente se stessa, priva di qualsiasi maschera o intonaco necessario in condizioni del genere, che mi dice esattamente come la pensa. “Già. Prima o poi avrei dovuto farci i conti.” Avrei dovuto fare i coni prima o poi con la mia immortalità. Me ne rendo conto.
    Ho scontato ogni giorno della mia non vita il peso di una morte che non è stata concessa. Paradossalmente questo un po' uccide ogni giorno. Mai del tutto. E' come essere svuotati dentro. E' come essere privati di quella luce che rende l'umanità sì così debole ma anche così bella.
    La mia poesia l'ho persa quando sono morto e ciò che resta di me sono parole andate, antiche, inadatte a ciò che sono o devo essere. Quindi voglio semplicemente tornare ad essere me stesso, nonostante il dolore che so provocherò.
    Annuisco alle sue parole, sorridendole di rimando. Un sorriso sereno. “Sarai il mio diario di viaggio.” Non mento. Le scriverò ogni volta che potrò farlo. Le sfioro una guancia con due dita, avvicinando il volto al suo per guardarla meglio. “Tu mi farai sapere come sono andati i tuoi esperimenti?” Le chiedo, alzando le sopracciglia nel guardarla. “Mi aspetto di leggere il tuo nome sui giornali.”


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    Piego il capo di lato, umettando le labbra alle sue parole.
    E' vero. Ha sempre avuto a cuore il benessere delle creature. Ricordo ancora il nostro primo e bizzarro incontro. Avrei continuato a darle della matta per ore, e dopotutto chi non lo avrebbe fatto alla proposta di lasciar viva la bestia che le dava la caccia?
    Solo Debra, appunto.
    Ha un modo tutto particolare di mostrare il suo amore per la natura. E' pura, incontaminata e forse è stato proprio questo ad attrarmi di lei.
    La lascio procedere con i suoi esperimenti non emettendo un fiato, fino a quando non è lei a parlare e a rispondere ai miei dubbi di poc'anzi. Dubbi che ho esposto soltanto a lei e a nessun altro. Non c'è nessun altro di cui mi fidi così a fondo dopotutto. “Non si tratta di ammazzare la gente, Debra.” Scuoto il capo, trattenendo un sorriso amaro sulle labbra.
    Non è certo solo per quello che le dicevo che forse scappare sempre meglio.
    No.
    Quello è un istinto che forse proverei a combattere a priori per non trasformarmi del tutto in quello che temo. “Né di andare ad abitare in un cimitero. Non è questo.” E' piuttosto la paura di restare bloccato in una realtà che, presto o tardi, non sarò più in grado di gestire. Io non appartengo a questo mondo, è soltanto questa la verità. E' per quanto potrò fingere di essere un uomo, quando invece sono bestia? “E' che...” Stringo le labbra, cercando un esempio lampante che possa farle comprendere a pieno la gravità della mia situazione. “E' come se fossi una tigre in uno zoo.” Mi sento costretto in un habitat in cui non mi trovo più a mio agio. Ed io amo le persone che mi circondano ma so di non poter dar loro ciò di cui hanno bisogno.
    Sono questo. Sono morto e sono bestia. Potrò portare nelle loro vite solo distruzione ed infelicità e non è ciò che voglio. Non più. Nessuno si merita questo.
    Riporto lo sguardo nel suo, dopo attimi interminabili di silenzio, e così dal nulla, dopo averle afferrato una mano tra le mie, le sorrido. “Tu sei un'amica, Debra. Ti auguro il meglio.” E' tutto ciò che le dico.

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    Rido alle sue parole.
    Debra ha la capacità di rendere ogni discorso, ogni esperienza, così leggera.
    A volte l'invidio. Nemmeno in vita avevo tutta questa leggerezza. Non avevo nemmeno la capacità di fingere di averla. Lei invece, qualunque cosa stia vivendo, ci riesce benissimo. Riesce a sopravvivere senza problemi ed io non so come faccia.
    Sono contento per lei, tuttavia, perchè se la merita la felicità e spero possa averne tanta nella sua vita. “Saresti la prima a dar peso ad un vampiro.” Le rispondo con un sorriso, prima di spogliarmi così da rendere accessibile a lei la mia pelle.
    Non ho paura del dolore, né degli esperimenti che andrà a compiere. Voglio solo si occupi di ciò che la fa star bene e di ciò che potrebbe, potenzialmente, far star bene milioni di persone.
    Sembra così esaltata all'idea che per un attimo non posso fare a meno di sperare che riesca a trovare sul serio una soluzione nella mia pelle, nel mio sangue.
    Ovviamente immaginavo che la notizia del sangue umano l'avrebbe scossa. La conosco oramai da anni, tanto da poter prevedere facilmente ogni sua reazione. Questa, era ad ogni modo prevedibile.
    Si preoccupa sempre per tutti. E' pura. “Oh sì...” Le dico, annuendo piano. “Sì lo è.” E' vivo. Lo era... ma non voglio appesantirla con un dubbio che è mio e mio soltanto.
    Pagherò personalmente ogni mio debito.
    Passo una mano sugli occhi mentre lei prosegue con i suoi esperimenti da piccolo chimico.
    In silenzio la osservo fin quando non mi ritrovo costretto a distogliere lo sguardo.
    Non sono solito parlare molto. Non riesco ad aprirmi, lo sa. Persino lei, con cui ho vissuto esperienze importanti, non conosce tutto di me ma a volte, volte come queste, mi sento così oppresso da ciò che sono e dalla mia natura che non lascia scampo, che non posso evitare di aprir bocca e lasciare libero sfogo ai pensieri. “A volte credo che questo non sia più il mio posto.” Le confesso, con lo sguardo rivolto altrove. “Ti è mai capitato di pensarlo?” La fisso per un secondo, piegando le labbra in un espressione strana. Avvilita. Quasi come se stessi combattendo con una decisione dura da prendere.
    “Forse mi sto solo costringendo a vivere in un contesto che non mi si addice, non più. Insomma... essere umano, per me che non lo sono... E' complicato. Lo è sempre di più.” Lo è sempre stato, fin dal primo momento. Ho vissuto con angoscia il mio cambiamento e lo patisco come la peggiore delle condanne.
    Sbotto in una mezza risata quando il clima sembra essersi appesantito e scuoto il capo come a voler cancellare il discorso di poc'anzi. “O forse vaneggio.”

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    L'entusiasmo di Debra mi provoca un naturale sorriso. Non posso impedirlo, né lo farei. Nonostante l'ultimo incontro avuto tra noi – quello in cui la ragazza era decisamente poco in sé perchè scioccata da eventi che avevano finito col traumatizzarla – non si è persa la naturale propensione dei nostri caratteri a combaciare quasi perfettamente. Con lei tutto sembra più semplice, e lo è, perchè è lei a vestire ogni cosa, ogni azione, ogni parola di una facilità oramai perduta. Il suo entusiasmo ad esempio, quasi fanciullesco libera almeno in parte del peso della morte una così gravosa ricerca.
    Lei punta la sua bussola solo sul lato positivo della faccenda e questa è una gran cosa, non solo per noi ma soprattutto per la riuscito della sua ricerca. La positività la porta avanti. “Io.” Sono sorpreso.
    Io. Salvare delle vite.
    Sembra tutto così assurdo, a me che non posseggo il suo innaturale ottimismo, che non posso fare a meno di sorridere, stralunato. “Suona strano, sai?” Le dico con un colpetto gentile sulla spalla, prendendo posto sulla sedia accanto al tavolo mentre la osservo trafficare con tutto l'occorrente che ha nella sua valigetta speciale.
    Mi libero degli indumenti superiori, restando in canotta così da darle l'opportunità di farmi tutti gli esami di cui ha bisogno per la sua ricerca. “Sono a tua disposizione.” Le dico poi allargando le braccia.
    Annuisco ancora quando parla.
    E' ancora il suo ottimismo ad illuminare questa stanza ed io sono certo, sempre più, che sarà questa la chiava per la sua riuscita. “So che sarà così. Hai del grandissimo potenziale, Debra.” Comincio, fissando lo sguardo nel suo. I miei occhi sono leggermenti striate da un rosso sangue che conosce. Non è peggio delle altre volte. Insomma, lei mi ha visto in condizioni anche peggiori di queste. Lei mi ha visto perso del tutto ed è comunque rimasta.
    “Adori la flora, ti interessi a quelli come me...” Continuo, sorridendole.
    “Quindi...Sono certo che riuscirai a tirarne fuori qualcosa di grandioso.” Posso metterci la mano sul fuoco. Mi fido di lei e delle sue abilità e sono convinto che tutto andrà in porto e che questo male che affligge il mondo magico in cui anche io vivo, sparirà anche grazie al contributo di Debra.
    La leggerezza di questo attimo viene però spazzato da un cambio repentino del mio umore e della mia espressione. Mordo appena il labbro inferiore prima di prendere coraggio e parlarle delle mie afflizioni e dei miei dubbi. “Non so quanto possa servire alla causa ma... Ho bevuto sangue umano.” Le spiego, velocemente. “Da poco.”

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    Sono un bugiardo. La vita mi ha insegnato ad esserlo, la morte me lo ha imposto. Sono andato avanti con la mia vita e con tutto ciò che significasse e comportasse. Mi sono immerso in una civiltà che non mi appartiene, in un'epoca in cui non sono nato e ho finto normalità.
    La normalità non si finge. E' impossibile farlo.
    Allora capitano momenti come questi in cui, tutto ciò che ti sei imposto di essere viene surclassato da ciò che sei realmente. Ho messo a tacere il mostro, ed il mostro ha scalpitato per uscire, mettendo ben in chiaro le carte in tavola. La mia possibilità d'essere umano, d'essere normale, l'ho persa. Ora sono soltanto questo: un mostro. Un vampiro. Una bestia della notte che ha bisogno del sangue altrui per poter vivere ed andare avanti.
    L'istinto predatore è impossibile da trattenere e così sono esploso in ciò che sono, una notte. Due. Tre.
    E' diventata un'abitudine.
    Mi sono detto di poter trarre appena un altro po' di vita da quel collo bianco, man mano più pallido. Di poter farcela a vivere e a lasciar vivere. La mia forza ha avuto la meglio.
    Il corpo morto tra le braccia ha segnato la mia condanna. Mi ha aperto gli occhi. E li ha aperti alla famiglia di cacciatori a cui è stata sottratta una figlia.
    Mi hanno attaccato e non ho potuto far nulla per evitarlo.
    Così ferito sono scappato qui, nell'unico posto in cui sapevo di poter essere al sicuro e al contempo di lasciare Marlene e i bambini lontano da me: il Pandemonium.
    Qui ho sofferto, ho patito. Ho cercato una cura senza trovarlo.
    Il veleno di cui le loro armi erano intrise si è man mano diffuso nel mio corpo, lasciandomi addosso una fame insaziabile. Il mio sangue e quelle delle sacche che ho svuotate, rendono il pavimento della cella in cui mi sono rinchiuso, rosso.
    Con le spalle al muro e le spalle basse, cerco una cura al mio malessere. Non lo trovo.
    Quando la voce di Marlene si fa vivida, capisco di non poterla trovare nemmeno qui.
    Se avessi un cuore vivo, batterebbe all'impazzata. Paura. Ne ho. Non per me, ma per lei.
    “Ferma!” E' tutto ciò che le dico prima che possa avanzare del tutto ed arrivare fin qui dove sono. Devo proteggerla. Proteggerla da me stesso. “Va via, Marlene.”

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    Si crede che il dolore sia un atto tipicamente umano: non è così.
    Paradossalmente ho cominciato a soffrire più da morto che da vivo. Ne ho capito l'intensità, a volte intangibile e ho patito dinanzi all'impossibilità di rimettermi in piedi. Perchè l'esistenza, umana o oltre tale, è questa. Si basa sull'unico principio della ripetitività. Non si smette mai di soffrire. Ogni dolore non è meno intenso del precedente, aleggia in un clima di stasi o di negatività anche peggiore.
    Il mio dolore è stato principalmente quello di aver perso la mia umanità.
    Mi appiglio costantemente a bricioli di ciò che ero nel tentativo di far vivere solo la mia parte non bestiale, ma non è sempre semplice riuscirci. A volte, in alcuni periodi, periodi come questo, semplicemente esplodo.
    Il mostro celato sotto la mia pelle torna a farsi presente e ciò che ne deriva è la distruzione catastrofica di una pace faticosamente costruita. Ciò che ero svanisce in ciò che realmente sono e nulla ha più importanza.
    Le parole sono vane. L'umanità è sparita.
    Può ben dirlo l'uomo che mi ritrovo a fronteggiare.
    Il mio volto non ha nulla d'umano. C'è solo il dipinto accennato di un uomo dietro questa maschera d'odio e di sangue che non vuole fermarsi.
    Quando la freccia viene spezzata in modo barbaro, il ringhio che ne viene fuori è mostruoso.
    La sua voce arriva come un eco lontano alle mie orecchie mentre mi lascio cadere, a causa della spinta ricevuta, su un tavolino di legno che si frantuma all'impatto.
    Il suo corpo è sul mio, il suo pugno sul mio volto.
    Riesco a frenare il secondo e con forza sovrumana, lo stringo nel mio. Lo spingo all'indietro, approfittando dell'attimo di libertà per rimettermi in piedi ed assumere automaticamente una posizione da lotta. Coi pugni dinanzi al volto che è ancora nella sua forma bestiale, mi guardo intorno, sentendo l'odore caratteristica della pelle dell'uomo.
    Un odore che mi ricorda qualcosa.
    Non presto la dovuta attenzione a quel particolare. Probabilmente se lo avessi fatto sarei tornato in me ed avrei dato a questo exploit di violenza una giusta spiegazione. Non lo faccio. “O sei morto, o stai dicendo cazzate.” gli dico con la voce deformata da ciò che sono mentre gli espongo la mia teoria a riguardo. Se questa casa appartiene sul serio a lui, allora non avrei dovuto riuscire a metterci piede a causa della maledizione che vieta a noi vampiri di invadere abitazioni abitate da umani vivi.
    Mi avvicino a lui con uno scatto, assestandogli un calcio alle caviglie, nel tentativo di metterlo al tappeto ed avere così una posizione di vantaggio su di lui.
    Non posso fermarmi. E il sangue che scorre veloce nelle sue vene è solo un invito a continuare questa scena nel tentativo di arrivare all'unico risultato ambito in questo momento: la sua vita, probabilmente.

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    Le sorrido colpevole, passando una mano tra i capelli e distogliendo per un attimo lo sguardo dal suo.
    “Hai ragione. Avrei dovuto scriverti.” Avrei dovuto farlo senz'altro ma a volte il tempo passa così velocemente che nemmeno me ne accorgo di aver lasciato passare un'eternità prima di agire.
    Per noi vampiri il tempo ha tutta un'altra misura ed a volte, riuscire ad adattare le due scale di grandezze – quella umana e quella sovvrannaturale – viene ad essere difficile. Impossibile, oserei dire. “Mi giustifica dirti che sono stato impegnato?” Aggiungo poco dopo con questo tono scherzoso atto a smorzare i toni di una mia mancanza.
    Non avrei mai voluto mancarle di rispetto o lasciarle intuire, sbagliando, che per me la sua presenza non abbia la dovuta importanza. Sono semplicemente stato impegnato. Sono stato risucchiato dalle mie due vite: quella con Marlene e quella frutto delle mie dipendenze.
    Riuscire a trovare un po' di tempo libero tra la guerra che mi affligge, non è semplice.
    Con le braccia incrociate al petto, ascolto ciò che Debra ha da dire.
    Non mi racconta nulla di nuovo.
    So cosa sta affliggendo il mondo magico. Purtroppo ho avuto modo di sentire dell'epidemia ed infatti, subito, la preoccupazione si è fatta sentire. A quanto dicono i giornali, e le voci al Pandemonium, in quanto vampiro sarei immune ma la sorte peggiore tocca ai mannari, destinati ad essere portatori sani di morte. Inevitabilmente il pensiero è corso a Marlene ma è come per non affliggerci ulteriormente con problemi che potrebbero, forse per una volta, non toccarci che abbiamo evitato di parlarne. Per ora. “Sì. Sì. E' terribile.” Annuisco alle sue parole, aspettando che continui.
    Lo fa e per un attimo non riesco a seguirla. Piego il capo in un lato osservandola. “Aiutarti come?” Le chiedo curioso di capire. Ovviamente lo farò, senza ombra di dubbio ed è giusto che lei lo sappia da subito. “Se posso essere utile... Diavolo, non pensarci su. Fa quello che devi. Salvare qualche vita mi solleverebbe la pena di quelle che ho ucciso.” Aggiungo con sarcasmo. Voglio dare il mio contributo, non solo per Debra ma anche per tutti coloro che amo.

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    tumblr_msv3fqqVtN1spmueto1_500 Ricevere l'invito di Debra mi ha sorpreso.
    E' sempre bello avere a che fare con vecchie conoscenze ma la sorpresa è inevitabile quando, dopo mesi di nulla assoluto, si riceve un messaggio inaspettato. Ci si aspetta il peggio. In questo periodo poi, non sarebbe così sbagliato.
    Ho saputo della malattia che sta affliggendo il mondo magico. In effetti, mi chiedo se ci sia qualcuno ancora ignaro di una tale disgrazia. Durante la mia lunga esistenza, ne ho vissute tante di catastrofi e posso affermare senza remore che le epidemie sono le peggiori.
    Sono guerre contro cui non si può combattere.
    Mi chiedo, in un momento di puro pessimismo, se persino Debra sia stata contagiata. Magari è per questo che vuole vedermi. Provo però ad allontanare questa terribile idea mentre raggiungo a velocità sostenuta l'indirizzo che è stato lei ad assegnarmi.
    Quando mi invita ad entrare, la saluto con un sorriso. Il migliore che possa tirar fuori.
    So che nelle mie condizioni sarebbe meglio tenermi lontani da umani che non potrebbero resistere alla mia forza sovrannaturale ma di fronte al richiamo di un'amica, al richiamo di Debra, non potrò mai tirarmi indietro. “Sono stato peggio.” Le dico, facendo spallucce. “E tu?” Provo a chiederle di rimando prima di essere bloccato dal suo abbraccio. Non sono in genere il tipo in vena di grosse dimostrazioni d'affetto, e l'essere immobilizzato in un contatto così ravvicinato mette a dura prova il mio autocontrollo. Ad occhi chiusi e a denti stretti aspetto che tutto questo finisca, forzandomi di farle un sorriso quando si allontana da me.
    Inarco le sopracciglia alle sue domande e scuoto appena il capo. “Ti mancavo e avevi tanta voglia di vedermi.” Provo a tirar fuori una teoria farlocca, sorridendo divertito l'attimo dopo. L'attimo dopo però, torno serio e cerco una teoria più valida. L'unica che mi viene in mente è anche quella più brutta. “Uhm... qualcuno è in pericolo?”

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    Il sangue.
    Il battito del cuore nel proprio petto.
    La soddisfazione di un profondo respiro.
    L'adrenalina.
    Ci sono cose che non si dimenticano anche dopo anni di non-morte.
    Essere un vampiro significa avere una seconda possibilità. Significa raggirare la vita e strappare la propria chance ad un'esistenza a volte troppo taccagna.
    Se mi fosse adeguato a questo tirchio fato, a ventitré anni avrei vissuto per l'ultima volta. Avrei respirato a pieni polmoni ansante e sporco di sangue, annaspando per una vita che se ne andava il giorno del mio matrimonio. Avrei pianto tra gorgoglii di morte e avrei subito l'estrema unzione prima del vincolo sacro e legale che ricercavo con la donna che amavo.
    Ed invece sono qui.
    Ed invece combatto la vita e la faccio mia. Quella degli altri.
    Resistere alla tentazione di essere un mostro, di essere semplicemente se stessi , a volte è difficile. Quando il sole cala e le stelle luccicano, il desiderio di mostrare a tutti la propria immortalità – e soprattutto a se stessi – diventa incontenibile. Ed allora capita a quelli come me, a me, di esplodere in atti di violenza inaudita.
    Periodicamente è un vizio a cui non sono stato capace di sottrarmi.
    I miei denti squarciano con violenza la pelle di vittime indifese. A volte staccarsi diventa più difficile, più complicato. A volte il richiamo di una vita che vuoi fare tua, diventa forte. E' come una droga. Lo è. Ed allora sei lì, con la vita di qualcun altro tra le mani a godere della sua paura e delle sue debolezze, e mentre mostri al mondo i denti rossi di morte la consapevolezza di essere andato di nuovo oltre il limite si fa largo in te.
    Ho lasciato andare il corpo della ragazza prima che potesse esalare l'ultimo respiro. L'ho fatto perchè qualcuno, un cacciatore ha puntato la sua arma micidiale contro di me. Una freccia alla spalla, un al fianco.
    Le ho spezzate entrambe nel tentativo di correre velocemente e sono scappato, sanguinante e rabbioso, verso una meta di salvezza.
    Una casa sul Tamigi.
    Sono approdato in quella, tirando giù la porta ed entrando in essa dopo aver appurato di poterlo fare. Non deve esserci un proprietario legale. Deve essere abbandonata.
    Mi accascio contro il muro, mentre sfilo dal fianco e poi dalla spalla ciò che resta delle frecce che mi hanno colpito. Mi riposo, sono convinto di poterlo fare fino a quando un rumore ed un odore, non attirano la mia attenzione.
    Allora l'insoddisfazione di un pranzo lasciato a me, diventa rabbia e si scaglia contro il malcapitato ospite della mia vita. Con la mano stretta contro il collo dell'individuo che non riconosco ed il volto deformato dai lineamenti bestiali di ciò che sono, stringo il corpo dell'altro contro la parete ringhiando una furia animale.



    Edited by Jax. - 21/8/2016, 14:10
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    When-he-smiles-adoringly-you-melt Sorrido alle sue parole e divertito mi lascio scappare anche una breve sonora risata.
    Indubbiamente una serie tv che racconta di vampiri sortirebbe il suo successo in questo secolo in cui tutto ciò che è proibito ed oscuro sembra avere l'attenzione di molti. Quasi come se fosse l'inaccettabile in quanto tale ad andare di moda. Quando però il mostro vien fuori davvero e si mostra per ciò che è, nessuno è mai disposto ad accettarlo. Secoli di storia insegnano.
    Non incolpo la società moderna. In realtà non incolpo nessuno.
    Sono umani, in parte lo sono anche io. Siamo destinati ad essere profondamente ipocriti ed incoerenti in qualsiasi campo della nostra esistenza. “Si? Beh, ho sempre pensato di avere ottime doti recitative.” Le dico scherzoso, facendo spallucce.
    In realtà non avrei davvero le giuste qualità. La mia quasi monoespressione di questo periodo da odio il mondo, non aiuterebbe qualsiasi serie tv a decollare, ed anzi sono certo avrebbe l'effetto contrario.
    Annuisco comunque alle parole che pronuncia dopo, trovandomi stranamente d'accordo.
    Sebbene non sia per niente ottimista in genere – non da morto – comincio a pensare che un lieto fine io e Marlene possiamo permettercelo. Ce lo meritiamo dopo tutto quello che abbiamo passato. Quindi sì. Per una volta tutto andrà come deve andare. Per una volta finalmente saremo felici e potremo godere anche noi di un lieto fine da favola. “Già. Non può andare sempre tutto storto.” Le rispondo, annuendo piano prima di seguirla con lo sguardo.
    La temperatura deve essersi fatta troppo fredda per lei che comincia a tremare di brividi leggeri. Purtroppo sono fattori di cui non tengo più conto dopo secoli da morto.
    Mi tiro in piedi, imitandola e le regalo un ultimo leggero sorriso quando mi sembra stia riprendendo le mie parole del nostro prima fortuito incontro. “Ah. Divertente.” Le faccio segno di seguirmi all'interno del locale, pronto a prendermi cura di lei così come lei ha fatto con me.


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    giphy
    Solo un'altra goccia è l'entrata per l'inferno.
    I denti squarciano la pelle ed il liquido caldo, vitale, viene succhiato via da labbra sporche di morte.
    Ad occhi chiusi assaporo il gusto di una vita.
    Sapore tossico sulla mia lingua.
    Tiro indietro la testa, a fauci aperte verso il cielo scuro. La notte è tutto ciò di cui posso godere. Tutto ciò che mi resta di un'esistenza finita secoli fa.
    Le stelle parlano di vite andate. Ne avrei tratto poesie.
    La poesia però l'ho persa quando sono morto.
    Il capo della mia vittima è trattenuto dai capelli che stringo in una mano, la sua vita in scadenza tra le mie braccia.
    Mi guarda, silente.
    Piange, muto.
    E' poco più che un ragazzo.
    E' giovane, è fresco. Ha tutta la vita davanti. L'aveva. Ora quella esistenza fluisce copiosa dagli squarci che ha sulla pelle. Di quella vita mi ci sono macchiato il muso.
    Mugugna. Mi supplica.
    Mi chiede perdono per colpe che non ha commesso. Dopotutto la sua unica colpa è quella di essere un mannaro.
    Ed io ringhio di quella interferenza. Ringhio per aver lasciato che accendesse un pizzico di lucidità in me.
    La mano si apre, il mio corpo si allontana e lui tra i sospiri di una vita che sta finendo, pallido, guarda il cielo.
    Urlo, da mostro.
    Io lo sono.
    Passo un dorso sulla fronte per allontanare i capelli e dando le spalle al ragazzo ascolto i battiti di un cuore troppo forte per spegnersi di già. Sta soffrendo. Sta vivendo a stento.
    E di fronte alla consapevolezza di star infliggendo ad un innocente un'ingiusta colpa, arrivo all'idea geniale di tentare la sorte.
    Io non potrei salvarlo, non ne ho l'opportunità, le conoscenze o i mezzi.
    Io non sono niente se non questo, un mostro.
    E cerco aiuto allora in colui che nasconde egregiamente questo aspetto. La mia mano richiama l'attenzione del pennuto fedele, il corvo, adagiato sul ramo di un albero poco lontano, come muto spettatore di un orrifico spettacolo.
    Macchiando di sangue, il piccolo pezzo di pergamena già mezzo usato, scrivo poche parole. Un aiuto. Sul retro, risalta il destinatario.
    Elijah.

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    Quando il mio corpo si fonde al suo e diventiamo un unico corpo gemente, comincio a sentirmi vivo di nuovo. Ricordo con vivida accettazione ognuno di quei gesti che non posso più fare ma che mi sembra di riuscire comunque ad emettere in sua presenza. Il respiro affannoso, i brividi conseguenti al suo tocco, il sudore della mia pelle. Nessuna di queste azioni proviene da me ma con lei sento di essere vicino a provarle.
    Mi sento vivo dopo secoli. Ed allora assaporo lei, e le sensazioni che mi provoca, cullando entrambi in questo andirivieni lussurioso che colma entrambi di piacevoli sensazioni e ci svuota dei tormenti di questi mesi appena passati.
    Aver la possibilità di toccarla, di nuovo, è pace in un inferno durato troppo a lungo. Forse per la prima volta rivedo la luce in fondo ad un tunnel troppo lungo e profondo. Le mie mani strette al suo corpo, assecondano i suoi gesti, accompagnandoli e seguendoli fino a quando con un grugnito trattenuto non segnamo la fine di quello che è stato un incontro fugace ma necessario.
    Tutto sembra più luminoso ora che ogni cosa sembra essere ritornata al suo posto.
    Resto disteso accanto al suo corpo, godendo del calore che rilascia. Godo come per osmosi della vita che irradia ogni cellula che le appartiene e sorrido quando la sento ridere. E' decisamente questo il suono della felicità. “Non devi nemmeno sforzarti per esserlo.” Le dico, rimettendomi in piedi ed indossando velocemente i boxer raccolti dal pavimento.
    Ricambio il suo bacio, sorridendole a mia volta.
    Sono felice che stia bene. Sono felice che sia riuscita a superare questo momento. Siamo riusciti ad andare avanti ed anche se la strada è ancora lunga da fare, siamo ad un buon punto. “Due minuti e sono da lei, miss.” Le dico, facendo un inchino e facendole segno di restare a letto. Mi occuperò io di lei per questa mattina. Il mio sonno può aspettare.
    Le rilascio un altro bacio, prima di sgattaiolare via dalla stanza e ricomparire solo qualche attimo dopo, spingendo solo la testa all'interno della stanza. Le sorrido, guardandola. “Ti amo, Marl.” Poi sparisco in cucina, muovendomi a preparare la colazione prima che i bambini si sveglino. Una routine di cui già adesso non posso fare a meno.

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    “Sì. Assolutamente.” Rispondo alla sua domanda. Non sono decisamente il tipo da grandi feste e mantenere l'autocontrollo circondato da tanta gente in cui più odori tormentano il mio olfetto mi sarebbe troppo complicato. Pensavo ad un'atmosfera tranquilla con poche e fidate persone da avere accanto. “Noi ed un paio di amici.” Aggiungo, annuendo. “Ovviamente sei invitata.”
    Forse non era utile farlo ma tanto vale specificarlo, giusto per essere chiari e precisi.
    La sua presenza a questo punto mi è indispensabile e non solo perchè ha accettato di aiutare Marlene con la preparazione di dettagli a cui non avrei mai potuto dare il giusto peso ma perchè, per qualche strana ragione, per me Jesse è diventata un'amica e forse un po' mi fa fatica ammetterlo perchè dei nuovi legami ho sempre paura. E' giusto averne. Vivo la vita con l'idea che nulla è per sempre tranne la mia stessa esistenza. Così è per le cose, così è per i rapporti ed è per questo che ho difficoltà nel lasciarmi andare ad altri. A qualcuno che so, presto o tardi, andrà via.
    Provo comunque a non pensarci adesso, ringraziandola semplicemente per l'aiuto che è decisa a darmi. “Grazie. Lo apprezzo.” Si è persino proposta di cantare qualcosa ed ora sono davvero curioso di sentirglielo fare.
    Mi gratto il collo, increspando le labbra mentre penso alla data da me scelta. Sono stato io a sceglierla. Ne ho fissata una che fosse vicino ma non troppo e che per me avesse un significato.
    Adoro che ci sia un significato dietro ogni cosa. I numeri ne hanno tanti ed è giusto cercare quello che è più adatto a noi. “Il dieci di agosto.” Questa è la data che ho pensato essere perfetta per noi e non per uno squallido collegamento con l'evento dei perseidi ma per le tradizioni che una data del genere porta con sé. “Non so se per i maghi è una data importante. Per i romantici lo è. Io lo ero da vivo.” Annuisco, tirando fuori l'ennesima sigaretta della serata mettendola tra le labbra ed accendendola l'attimo dopo. “La mia badante, italiana di origini, mi raccontava sempre di una leggenda secondo cui chiunque in quella notte si soffermi a guardare le stelle ricordando il proprio dolore invece che rinnegarlo, potrà veder avverarsi un desiderio.” Le spiego velocemente, muovendo la mano a mezz'aria gesticolando.
    Il mio sguardo si alza al cielo per un attimo in un gesto involontario.
    L'idea di poter rimettere tutto apposto così è patetica, ma i sognatori si appigliano ad ogni cosa pur di vedere avverare i propri sogni. Io sono sempre stato un malato in questo senso. Un malato di sogno. Da vivo ne facevo ad occhi aperti ed ora che sono morto, mi capita comunque di lasciarmi andare – anche se in rare occasioni – a vecchie abitudini che non potrò mai dimenticare. “E pensavo che poteva essere una buona occasione per... andare avanti, sai. Che ne pensi?”


  14. .
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    “Immagino lo sia.” Sorrido alle sue parole, piegando appena il capo distendendo le gambe.
    Il matrimonio.
    Avrei dovuto dire a Marlene che non mi porta fortuna. Al mio primo matrimonio, sono morto. Dopo il secondo, ho perso la persona che amavo. Mi dico che potrebbe andar peggio ma mi costringo a pensare positivo. Devo farlo per Marlene. Lei se lo merita. Si merita una di quelle azioni da film che fanno sognare da sempre le giovani donne ed in generale le menti romantiche.
    Voglio che sia felice e che sia l'indiscussa protagonista di un evento che per lei, sono certo, sia così importante. “Ma sai il per sempre per chi vive realmente per l'eternità ha una concezione differente.” Mi lascio andare ad una breve risata, muovendo la mano a mezz'aria.
    Il per sempre di un essere umano, si limita ai pochi anni di vita che gli spettano da vivere.
    Il per sempre di un vampiro è coerente con la definizione di questa parole. Eterno, permanente. E' un per sempre che si protrae nel tempo e non si limita ad un finché dura.
    Il matrimonio quindi sì, è una cosa enorme. Lo capisco. Per i vampiri, per me, ha una concezione puramente filosofica. Non ho alcun interesse a stringere un qualche incomprensibile patto legale. Voglio solo essere felice con lei finchè posso e voglio prometterle che lei lo sarà a sua volta con me finché vorrà.
    Storco il muso pensando alle sue parole che mi pongono dei nuovi dubbi. In realtà, non ho ancora pensato a questi dettagli. Nemmeno saprei da dove cominciare, in effetti. “Di notte sì. Pensavo in una radura. E' lì che ci siamo incontrati.” Comincio a spiegarle, grattandomi la nuca, un po' imbarazzato da tanta sincerità.
    E' l'unico dettaglio a cui ho pensato.
    Una radura ben illuminata, nel cuore di una notte estiva.
    Le lucciole a girare intorno alla figura vestita di bianco di Marlene. Il suo sorriso ad illuminarle il volto, le stelle ad assistere alle nostre promesse.
    “Non so se possa definirsi legale... anche perchè sono legalmente morto troppe lune fa.” Faccio spallucce, mostrandole un mezzo sorriso prima di essere colto da un'illuminazione.
    Sgrano gli occhi voltandomi completamente verso di lei. “Potresti aiutarmi ad organizzare la cosa, se ti va. Oppure... potrei presentarti Marlene e... sai potresti darle una mano. Insomma, se vuoi.” Comincio, improvvisamente entusiasta – almeno in parte – dell'idea avuta.
    Forse dovrei parlarne a Marl ma sono certo che l'idea non possa turbarla. So che avrebbe voluto la sua migliore amica Eris a farle compagnia in un giorno per lei così importante... e so che ha bisogno di qualcuno per gestire la tensione di un matrimonio. Io posso aiutarla solo in parte. “La verità è che sono troppo vecchio per queste cose. Letteralmente. Finirei col proporle cose antiquate... ed io invece voglio sia un giorno – una notte anzi – che lei non dimenticherà.” Vorrei tanto che Jesse decidesse di aiutarmi. Per me, sarebbe una gran cosa e probabilmente lo sarà il doppio per Marlene che non si ritroverà ad avere a che fare con vestiti ottocenteschi e pizzi orripilanti.

  15. .
    tumblr_lcxrf3OrHH1qze50n Da vivo ero molto paziente. Avrei potuto aspettare una vita solo per ricevere una soddisfazione, anche paziale. Da morto ho perso quella capacità. Contrariamente a quello che si possa pensare, non sono stato più capace di aspettare nonostante avessi l'eternità dinanzi.
    Vorrei trovare giustificazioni del mio comportamento nella fame di sangue che mi ha messo davanti un modo tutto nuovo di vedere il mondo, e di vedere me, ma la realtà è che forse morire mi ha permesso di diventare semplicemente me stesso. Di liberarmi di quella stupida corazza di cui gli uomini si fanno scudo e smettere di fingere in qualsiasi occasione.
    Quando il mondo ti dà l'appellativo di mostro – che tu lo sia o meno – comincia a non importarti più di quello che gli altri pensano. Le regole a cui ti eri sempre attenuto perdono ogni significato e puoi finalmente vivere una libertà di cui, fino a quel momento, avevi solo sentito parlare.
    Io sono un mostro e l'ho sempre saputo. Da quando mi sono spuntati i canini, da quando per sopravvivere ho capito di dover approfittare della vita altrui, come un parassita, l'ho capito.
    E mi sono adeguato al nuovo ruolo che mi era stato imposto.
    Solo negli ultimi tempi sto provando, per Marlene e per nessun altro, a migliorarmi. Quindi è per questo che, nonostante la voglia di lasciarmi andare sia tanta, troppo, mi costringo a mantenere una calma che non ho dinanzi alla donna che sembra non voler altro che io sfoghi su di lei tutta la mi frustrazione.
    Così la mia presa si fa più forte e si chiude sulle sue dita a bloccare il movimento di quella bacchetta percepito con la visione periferica. E mi scappa un ringhio mentre la guardo coi miei occhi dipinti di rosso. “Non spingermi al limite della mia pazienza.” La mia voce è deformata dal mostro che sono e mi viene difficile mantenere la calma adesso. “Per favore.” Aggiungo con un sorriso che deve essere terribile viste le mie condizioni.
    Lei sembra tuttavia non capire quanto effettivamente sia in pericolo con me. Ero serio quando dicevo che la mia intenzione non era farle del male ma così me lo rende difficile. Con lo stesso scatto veloce che mi ha portato fin dinanzi a lei, la porto con me contro la parete. Faccia a faccia, la sua schiena bloccata con il muro alle sue spalle. L'impatto è forte ma non abbastanza da farle perdere i sensi. “Non è necessario tu sappia il mio nome.” Sussurro al suo orecchio, imprimendo al meglio il suo odore. “Ti ho fatto una domanda e mi aspetto tu mi dia una risposta.” Sulla sua pelle non c'è l'odore di Saul e questo, sul momento, mi fa capire di aver fatto forse un buco nell'acqua, ma non mi arrenderò. Non fin quando non mi avrà dato delle risposte. “Da quanto non vedi Saul?” La mia presa sul suo polso, sebbene involontaria, si fa più forte, così come il tono della mia voce si fa più duro. “E bada bene che è troppo semplice per me capire se stai mentendo o meno.” Aggiungo affinché sia chiaro che mentire non le servirà a nulla. “Il mio problema è con lui, non con te. Non spingermi a diventare quello che sto faticando a trattenere. Fallo per il bambino più che per te.” E' un consiglio. Una volta lasciata libera la bestia, non ci sarà più niente che possa essere in grado di fermarmi e questo è giusto che lo sappia.

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