Posts written by ~ Nicholas.

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    Storse il naso alle sue parole, scuotendo poi il capo con un mezzo sorriso. Non poteva certo biasimarla per la sua tendenza a diffidare dei suoi buoni propositi. Aveva dimostrato, e più d'una volta nel corso degli anni, di essere una testa calda. Aveva ignorato i consigli migliori e si era catapultato nei drammi peggiori. A pagarne le conseguenze era stata la rossa che dopo aver tanto patito si era poi ritrovata sola. Pretendere il suo perdono era egoista, se ne rendeva conto. Eppure una parte di lui ancora sperava di poter ricostruire un legame con lei. Dopotutto era e sarebbe stata sempre la sua famiglia. “Non mi merito nemmeno un briciolo di fiducia?” Le chiese, indirizzando verso l'altra un mezzo ghigno scherzoso. Si sbrigò poi a scuotere il capo come a dirle che scherzava. Lo faceva in parte.
    Si premurò di ascoltare le sue parole, annuendo poi. Il suo piano era sensato, oculato. Era attento come non sarebbe stato se fosse stato Nicholas da solo a formularlo, ed era esattamente quello il motivo per cui il Nickleby si era rivolto a lei. Non era solo la necessità di saperla al sicuro, e nemmeno il desiderio di riaverla accanto: era la consapevolezza di poter fare affidamento sulla sua intelligenza e lungimiranza, due doti di cui il Nickleby aveva avuto carenze nelle esperienze passate. “Nemmeno io. Non sono così folle. Se sono qui è per evitare disastri, che tu ci creda o no.” Annuì serio. Avrebbe fatto tutto secondo le regole. Con lei avrebbe cercato una risposta a quel dilemma ed insieme avrebbero risolto quel problema. Era questo il piano, l'unico che si sarebbe impegnato a rispettare. “Cercherò una stanza al Paiolo.” Le rispose, tirandosi poi in piedi. Temporeggiare lì senza dir nulla rendeva il silenzio imbarazzante e non voleva pesare sulla sua tranquillità più di quanto non avesse già fatto. “Forse è meglio che vada allora.” Eppure indugiò, quasi ad aspettare lei gli dicesse qualcosa, tipo che nonostante tutto, nonostante lui, non lo odiava.

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    Comprendeva la sua diffidenza nei suoi riguardi. Non si era comportato nel migliore dei modi. Dopo aver risolto il problema Helen ed essersi ritrovato ad avere a che fare con Rahel distrutta mentalmente, aveva solo voluto sparire. Aveva cercato un sollievo per il suo male e aveva creduto che lo avrebbe trovato isolandosi da quella città e dai suoi vecchi contatti. Era servito in parte. Rahel si era ripresa, sebbene la sua mente a volte la facesse ancora cadere in alcune trappole. Immerso nel suo vecchio ambiente però, era certo non sarebbe riuscito ad occuparsi della sua famiglia nel migliore dei modi. Avrebbe finito con l'annegare i suoi dispiaceri nell'alcol, spingendo tutta la sua famiglia ad annegare con sé. Non sarebbe stato giusto. Non avrebbe potuto però raccontare tutto quello a Jamie. Non sarebbe servito a giustificarsi, né avrebbe voluto farlo. Tutto ciò che poteva fare era provare ad evitare che il peggio si abbattesse di nuovo sulle loro vite. Era quello il motivo per cui era lì. “Sono qui per questo.” Le rispose semplicemente, facendo spallucce. Lei era ben conscia di quale fossero i suoi modi d'agire. In un'altra occasione non si sarebbe perso d'animo a mettersi in moto, a cercare da solo la propria vendetta. Non in quel momento. Aveva cercato lei non solo perchè parte della sua famiglia e possibile vittima di Helen. L'aveva cercata anche per le sue doti, per il ruolo che ora occupava. “Quando sento la parola auror, sento ancora un fastidioso prurito su ogni centimetro del mio corpo, ma se non fosse stato per Ramirez forse ora Helen sarebbe ancora libera. Ed io già morto.” Le spiegò, annuendo pensoso. Affidarsi ad un auror era stato difficile, ma lo aveva fatto ed alla fine l'era Sleiden era finita. Almeno fino a quel momento. Pur di preservare la sua tranquillità e quella della sua famiglia, non si sarebbe fatto scrupoli ad affidarsi a loro. Dopotutto in quegli anni, anche lui era cresciuto. Qualcuno avrebbe persino osato dire che in fondo era maturato. “Non molto.” Scosse il capo. Purtroppo non aveva avuto di capire molto altro. Quelle che le offriva erano le uniche notizie che aveva di Helen e sperava in realtà potessero non condurre a nulla di sospetto. “E' per questo che ho cercato te. Speravo in tuo aiuto.” Annuì, guardandola. “Mi affido a te e a chiunque tu credi sia giusto coinvolgere.”

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    Fece spallucce, mostrandole un sorriso colpevole. Avrebbe senz'altro dovuto preferire un tipo di approccio differente, ma per quanto molte cose fossero cambiate in sé, restava comunque di base una testa di cazzo. La maturità in quello non aveva comunque potuto far molto. Fu lieto però di esser riuscito a convincerla. Evitare di perdere la testa, gli sembrò già un ottimo risultato.
    “Beh, perchè no?” Allargò le braccia, cercando di sdrammatizzare. Ce ne sarebbe stato senz'altro bisogno di lì a poco. Si accomodò all'interno dell'appartamento, guardandosi attorno. Per quanto non ci fossero gli eccessi a cui Nicholas era stato abituato, e che aveva poi dovuto abbandonare, sembrava star bene. Questo lo rassicurò in parte. “Non mi offri niente? Okay.” Le disse, accomodandosi sul divano dinanzi alla rossa. Sfregò le mani contro il pantalone, riscaldandole. “Comunque io sto bene. Anche JJ e Rahel, che ti salutano.” Aggiunse poco dopo, provando a chiarire velocemente punti rimasti in sospeso grazie alla sua assenza. Si ricordò del disegno che sua figlia gli aveva recapitato. Lo estrasse dalla tasca e spiegazzato lo porse alla rossa. Anche se non avevano avuto modo di vedersi molto, Nicholas e Rahel non avevano smesso di parlarle della zia super figa spezzaincantesimi e brava con la scopa. Il disegno riportava un'approssimativa donnina dai capelli rossi con bacchetta sguainata mentre volava a cavallo di una scopa.
    Sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Temporeggiare non sarebbe servito a molto, così, mentre ancora l'altra guardava il disegno, decise di lanciare la bomba. “Helen è ancora ad Azkaban?” Una domanda che, per quanto incerta, nascondeva una sorta di risposta. Una che temeva di conoscere.
    Grattò un sopracciglio. Nervoso. Era chiaro lo fosse. “Qualcosa si sta muovendo, e so che riguarda lei.” Le spiegò, estraendo dalla giacca due foto. Le mostrò quella riguardante un maniero immerso nel verde. “Ecco. Guarda. Questa è il maniero dove è stata arrestata. È stato confiscato dal ministero. Dovrebbe essere un ammasso di pietre, libero. Un rudere disabitato. Ed era così fino a qualche mese fa.” Le mostrò l'immagine, prima di mostrarle poi la seconda foto. Lo sfondo restava lo stesso, l'edificio però sembrava essere svanito. “Due settimane fa, ecco cosa c'era.” La foto riprendeva il verde e null'altro. La prospettiva era la stessa ed anche il posto. Era chiaro qualcuno avesse castato degli incantesimi di protezione intorno alla casa e chiunque fosse stato a commettere quell'atto, Nicholas era certo non lo avesse fatto perchè deciso ad attuare una sorta di appropriazione indebita. C'era qualcosa sotto. Qualcosa che era certo recasse il nome di sua madre. “Sei una spezzaincantesimi. Non devo dirti cosa significa, no?”

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    Non si sarebbe potuto aspettare nulla di diverso. Anzi, forse sarebbe stato deluso nel constatare di avere dinanzi una Jamie diversa, cambiata. Mollacciona. Davanti aveva invece lo stesso spirito infuocato di sempre. Una donna a tutti gli effetti, che sapeva il fatto suo e che non si lasciava prendere impreparata. Ne fu grato al fato. Averla lasciata solo in tutti quegli anni, lo aveva tormentato ma accorgersi di avere dinanzi una Jamie perfettamente autonoma e capace di badare a se stessa, in parte lo rassicurava.
    Alzò le mani in segno di resa, mostrandole la bacchetta. Non l'avrebbe lasciata, ovviamente, ma era bene in vista così che potesse rassicurarsi circa le sue buone intenzioni. “Cazzo, Jam.” Deglutì, cercando il suo sguardo oltre quello spettacolo inaspettato. Di sicuro non aspettava ospiti, questo era certo.
    Apprezzò la sua tattica, presupponeva intelligenza ma sul momento gli sembrava impossibile pensare. Si concentrò, serrando le palpebre. “Ci siamo conosciuti da Magie Sinister, lavoravi lì. Mi sono presentato da te in modo inaspettato. ” Annuì, guardandola. Immaginava sarebbe stato troppo poco per essere abbastanza, così prese a scavare ancora più a fondo nel suo passato. Non era facile cercare ricordi validi. Alcuni erano annebbiati dall'alcol con cui aveva condito la sua esistenza, altri invece erano troppo brutti perchè potesse tirarli fuori. Optò comunque per i secondi. Era giusto le fosse chiaro avesse dinanzi il vero Nicholas. “Una volta ero così ubriaco che ho lanciato una bottiglia ad una spanna dal tuo viso.” Le disse, piegando appena il capo. “Per inciso ora non lo sono.” Aggiunse poco dopo, nel tentativo di rassicurarla, qualora ce ne fosse stato il bisogno. “Mia figlia ha il tuo nome.” Un dettaglio non ininfluente. Non lo era mai stato per lui. Aveva scelto il nome della donna che più di tutti aveva ammirato per la forza e la tenacia. “Se avessi voluto ucciderti, credi avrei temporeggiato? Cazzo, sono io.”

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    Si era chiesto più volte come avrebbe potuto ripresentarsi a lei dopo quegli anni di assenza. La risposta più ovvia che si era potuto dare era che non avrebbe potuto. Era sempre stato convinto delle proprie scelte al punto da non vederne il marcio, forse però negli ultimi anni era andato un po' oltre. Con lei almeno. Anche se aveva provato a dare un ordine alla propria esistenza, anche se un ordine non ce l'aveva mai avuto, alla Lindey non era bastato. Avrebbe potuto biasimarla? No, in effetti no. L'aveva delusa così tante volte che aspettarsi fiducia da lei sarebbe stato da pazzi e Nicholas Nickleby, che era tante cose, non era pazzo.
    Tornare lì, tornare da lei, forse però un po' lo era.
    Aveva cercato di riordinare se stesso e soprattutto di trovare pace con la propria famiglia. Dopo l'arresto di Helen aveva creduto di poter vivere una vita felice o almeno serena, qualcosa che si era sempre detto di non meritare, ed in effetti la vita si era messa d'impegno a dimostrargli che era così. Aveva faticato per cercare un equilibrio e ci era riuscito solo dopo tanta fatica. Rahel aveva scontato le conseguenze della sua prigionia, dei suoi ricordi spariti e modificati. Le cose da fare per arrivare a quel tipo serenità da mondo fantastico che poteva solo immaginare, erano tante ma potevano considerarsi in un periodo di stasi. Nessuna cattiva notizia, era una buona notizia. Ed era vero, fintanto che non gli fosse piombata tra capo e collo, una notizia di quelle impossibili da ignorare. Il sentore che qualcosa di terribile stesse per accadere. E non era un caso che dietro quelle sensazioni di opprimente angoscia nella sua vita, si celasse una sola figura: quella di sua madre, Helen Sleiden.
    Era quello il motivo principale che aveva smosso Nicholas Nickleby dal suo torpore, e dalla fittizia fantasia di essere un uomo di pace. Era il caos a reclamarlo e non avrebbe potuto ignorare il suo richiamo.
    Aveva deciso di mettere da parte Rahel e sua figlia JJ. Tenerle lontane era il migliore per tenerle al sicuro e lo erano lì dove le aveva lasciate, in Francia. Jamie però, ancora profondamente immersa nei drammi inglesi, andava avvertita. Ed era lei il motivo principale del suo ritorno.
    Aveva trovato la sua abitazione. Per uno come lui, ancora adesso non era difficile ottenere le risposte che desiderava. Aveva raggiunto casa sua, provando a forzare la serratura. Prima che potesse riuscirsi, riuscendo a contrastare gli incantesimi di difesa però aveva sentito i suoi passi farsi vicini. Quel che potè fare quando fu ad un passo da lei fu alzare le mani in segno di resta. Ancora di spalle e con il capo chino, immaginava non potesse riconoscerlo. Non ancora. “Non...” Cominciò, schiarendosi poi la voce. Lentamente si voltò. “Non colpirmi.” Tirò su lo sguardo su di lei, chinandosi il cappuccio che aveva sul capo. Lo fece piano, quasi avesse paura a mostrarsi. Ed un po' in effetti ne aveva.
    “Sono io.” La guardò, attendendo una sua reazione. Forse non le avrebbe fatto piacere ma la verità ce l'aveva davanti: Nicholas Nickleby era tornato.


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    Inarcò un sopracciglio, scuotendo appena il capo. “Perchè parli così? Che ti ha fatto Blackwood?” Le chiese, cercando di comprendere quale fosse il punto del suo disturbo. Chiaramente però doveva c'entrare poco il suo socio in affari. Ciò che disturbava Jamie andava anche oltre quel semplice impiego e questo Nicholas lo capiva. I loro problemi avevano radici profonde e soltanto ora dopo quella che era sembrata un'eternità, ne stavano parlando.
    “Okay senti, vedila così. Per gestire questo posto dovrò essere sobrio. Non posso farlo se sono ubriaco marcio. Quindi... è tipo come se lavorassi da qualsiasi altra parte.” Le disse, tentando almeno di tranquillizzarla su quel punto, ben conscio di quanto poco utile sarebbe stato.
    “E comunque sono il titolare, mica un commesso.” Aggiunse poco dopo come a volerle fare intendere che non ci avrebbe passato poi così tanto tempo. Non tutto il tempo della sua vita almeno. Sarebbe stato lì solo quando avrebbe sentito la necessità di scappare dai suoi impegni, dai suoi obblighi e soprattutto dalla sua vita.
    “La fai sembrare una cosa orribile.” Scosse appena il capo alla sua ultima affermazione. Era arresa ad un rapporto che per lei sembrava non avere alcuna speranza e poteva comprenderlo il motivo. C'erano state così tante promesse a cui non aveva mantenuto fede, così tante delusioni. Il loro rapporto si era incrinato più volte e tutto quel che aveva potuto fare era prometterle ancora che tutto sarebbe cambiato, mentre commetteva di nuovo gli stessi errori.
    Sospiro passandosi la mano tra i capelli.
    “Rahel sta male ed io ci ho provato ad aiutarla ma a quanto pare non le sono utile.” Fu una rivelazione che fece d'improvviso, mentre a fatica puntava lo sguardo in quello della rossa. Non l'aveva detto a nessuno se non a Matthews, e solo perchè si era ritrovata ad assistere ad una delle sue crisi.
    Nicholas si era sentito in colpa anche di quello sebbene sapeva di non aver fatto nulla. L'unica colpa che sentiva d'avere era di non esser riuscito a proteggerla come avrebbe voluto. “Starle accanto senza poter far niente mi stava facendo impazzire. Rischiavo il coma etilico più restando tra quelle quattro mura che qui.” Annuì, guardando altrove per un attimo. “E se ti stai chiedendo perchè io non te l'abbia detto è, per questo. Perchè ho sempre provato a darti il meglio e ti sei beccata il peggio.” Ma presto avrebbe fatto di tutto per sistemare le cose.
    “Volevo provare a sistemare tutto.” Le avrebbe sistemate. A modo suo.
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    Nicholas non era abituato alle delusioni. Ne aveva ricevute parecchie durante la sua esistenza, le aveva scontate come le peggiori delle punizioni, ma ancora non riusciva a superarle, né a fingere indifferenza.
    Così, dinanzi al rifiuto di Rahel alla sua proposta, proprio non riuscì a fingere che tutto andasse bene. Proprio non riuscì a fingere che quel rifiuto non lo avesse ferito, scavando un buco enorme lì dove avrebbe dovuto esserci il suo cuore.
    Si sentiva sopraffatto e soprattutto, debole.
    Aveva creduto per qualche ragione che, riportarla lì, rimembrare il passato, potesse in qualche modo aiutarla. Era stato uno stupido a crederlo. Lui che aveva vissuto attaccato a ciò che era stato, dopotutto, che giovamento ne aveva avuto? Aveva patito tutte le conseguenze di scelte fatte in un'altra vita e si era ritrovato col nulla tra le mani. Come aveva potuto credere che una prassi simile potesse aiutare Rahel ad andare avanti? La stava sottoponendo ad una tortura inaudita. Tutto quel che avrebbe dovuto sarebbe dovuto essere darle tempo. Darle il modo di migliorare, da sola.
    “Okay.” Annuì, lasciando andare il manichino lentamente.
    Provava a nascondere la delusione sul suo volto, ma immaginava che a quel punto fosse palese. Lo atterriva il fatto di non esser capace di aiutarla. A cosa avrebbe potuto esserle utile a quel punto?
    Il Nicholas di un tempo avrebbe risolto senza troppe difficoltà una situazione come quella. Avrebbe risolto i suoi problemi, affrontando infiniti pericoli, sprezzante della violenza.
    Forse, avrebbe dovuto tornare a farlo. Per lei.
    “Sta tranquilla.” Le disse, scuotendo appena il capo come a dirle di non preoccuparsi. Non avrebbe dovuto farlo. Non voleva lo facesse. Non voleva si caricasse di un altro peso. “E'... è normale. Ognuno ha i propri tempi.” Aggiunse poco dopo, deglutendo a fatica, tentando di mandar via il fastidio provato per quel fallimento.
    Lo avrebbe accettato. Avrebbe dato a Rahel il suo spazio, i suoi tempi ma non avrebbe smesso di provare a farla stare meglio. Non avrebbe potuto smettere di farlo.
    Si avvicinò allora, puntando il proprio sguardo in quello della ragazza, senza tuttavia toccarla.
    “Io ci sono però Rahel. Voglio esserci per te.” Le disse, sospirando.
    “Permettimi di farlo. Permettimi di aiutarti.”

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    Fare sempre la cosa sbagliata con lei, doveva essere quasi un dono. Forse in un'altra occasione avrebbe persino riso sulle sue battute, ma in quel frangente, immaginò non fosse una gran cosa mettersi a fare dello spirito.
    Jamie sembrava davvero delusa, e Nicholas immaginava di non poterla realmente biasimare. Si erano allontanati molti nell'ultimo periodo e credeva di sapere cosa stesse pensando di lui a quel punto. Avrebbe voluto dissuaderla da ogni cattivo pensiero ma sapeva di non esserne capace, né sarebbe stato credibile. Lui era l'uomo dalle scelte sbagliate. Quello cui i sbagli lo avrebbero perseguitato per sempre e colui il quale negli errori avrebbe continuato a crogiolarsi per l'eternità.
    Immaginava di non dare più una buona impressione soprattutto alle persone che avevano avuto la pazienza di stargli accanto nei periodi più duri della sua esistenza. Lo sapeva benissimo quanto difficile sarebbe stato fidarsi di lui a quel punto, tanto che contrariamente alle volte passate, in quel momento non seppe di preciso come reagire per dissuaderla dai suoi pensieri. “Oh andiamo, Jem.” Le diede un colpetto sul braccio, tentando di smorzare i toni di quella discussione che gli sembrava prendere una piega spiacevole. “Ci sto provando. Forse non come avresti creduto. Ma non è facile. E non è una giustificazione. E' che non lo è per davvero. Facile intendo.” Provò a spiegarle, nel modo più semplice possibile, il modo in cui si sentiva. Sperava sul serio di non indurla in fraintendimenti. Non voleva giustificarsi ancora, anche se forse in fondo lo faceva. Era che liberarsi di un peso come quello dell'alcol, da solo, non era semplice. “E lo so che ti sembra una cazzata. Un bar. Sai quante volte mi sono dato del coglione per questa idea?” E farlo cercando d'essere un padre migliore, un compagno migliore, un uomo migliore rendeva il tutto più complicato. Aveva trovato in quell'impresa, un'opportunità di distrazione. Impegnarsi tanto in qualcosa, lo aveva tenuto lontano da quelle notti passato sempre ubriaco. Non aveva mollato l'alcol, ma sapeva di essere riuscito a migliorarsi. Almeno un po'. Almeno a volte. Era un passo avanti dopotutto, no? “Ma con il mio curriculum, cos'altro avrei dovuto fare?” Aggiunse, facendo spallucce. Chi avrebbe voluto avere a che fare con Nicholas Nickleby, il pregiudicato? Ed inoltre, non aveva mai studiato dopo Hogwarts, né sentiva di essere più portato per quel tipo di futuro. Si sentiva come privo di un posto nel mondo. Quello era l'unico futuro che aveva trovato disponibile per se stesso. “Tenermi impegnato è l'unico modo a cui ho pensato per evitarmi cazzate.” Annuì, facendo spallucce. “Non odiarmi di nuovo. ”
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    Fu sorpreso del suo tocco. Alzò lo sguardo triste su di lei, stringendo le labbra mentre la fissava. Vederla conciata in quello stato, era atroce. Si sentiva un verme. Un fallito. Quante volte aveva promesso di proteggerla, e quante volte non c'era riuscito? Quell'esperienza si univa alle precedenti, pesando enormemente su tutti i suoi successi che ora sembravano non contare niente. “Hai solo bisogno di tempo.” Provò a dirle, tranquillizzandola e forse non era abbastanza. Come sarebbe potuto esserlo dopotutto? Quelle erano solo parole e lui avrebbe voluto darle più di quello. Avrebbe voluto darle la certezza che tutto sarebbe migliorato sul serio. Avrebbe voluto darle il potere di cambiare il modo in cui si sentiva. Di guarire.
    Sospirò pesantemente, ragionando in silenzio. Non era facile trovare le parole per uno come lui. Era sempre stato bravo a demolire gli altri; ora che si richiedeva il suo impegno in senso opposto aveva serie difficoltà. “Quando mia madre ti ha portata via, quando credevo di averti persa per sempre, io ero come morto. Forse qualcosa di me in quel momento è morto sul serio.” Cominciò, ricordando eventi spiacevoli di un passato che faceva ancora male. Erano cambiate tante cose da allora. Rahel era tornata. Ma il dolore per quella perdita a volte la sentiva ancora reale, tangibile. Perchè, la realtà dei fatti era che, nonostante tutto l'impegno per cercare di ritornare ai loro vecchi equilibri, c'era ancora molto da costruire. A volte, purtroppo, era fin troppo facile sentirsi estranei. Quell'evento ne era una chiara dimostrazione.
    “Ho lasciato che il peggio prendesse il sopravvento. Non riuscivo nemmeno a guardare JJ senza stare male.” Le confessò distogliendo lo sguardo dinanzi ad una testimonianza così degradante. Non era stato un buon compagno, non era stato un buon padre. Aveva fallito in tutti i settori in cui potesse sbagliare e ricominciare non era stato facile.
    Eppure non si era arreso, grazie a lei. Il minimo che potesse fare a quel punto, era darle una speranza. La parvenza di poter ottenere ancora qualcosa solo impegnandosi. Forse a quel punto, rimettersi in carreggiata sarebbe stato meno difficoltoso. “Vieni con me.” Si tirò in piedi, facendo qualche passo prima di riporgerle la mano. “Fidati.” La esortò dolcemente poco dopo.
    Non conosceva molti modi di affrontare stati d'animo cupi come quelli della ragazza. Si era sempre rivolto al mondo con rabbia e con quella aveva affrontato tutto. Era un atteggiamento sbagliato che non lo aveva condotto lontano ma forse in quel caso, un po' delle cose sbagliate della sua esistenza, avrebbero potuto tornare utili.
    Quando l'altra si convinse ad alzarsi, nonostante i passi lenti e stanchi, condusse Rahel nella stanza adibita a palestra. La stessa stanza in cui, anni prima, avevano concepito JJ. Sembrava essere passata un'eternità. “Io non so un cazzo di niente, Rahel. Sono un padre orribile e un essere umano anche peggiore, ma ho fatto i conti per fin troppo tempo con pensieri che non mi appartenevano. Lo so come ti fanno sentire. Come se non fossi parte di questo mondo. Come se tutto ti fosse stato portato via ingiustamente. Come se non sapessi cosa fare o dove andare.” Cominciò, allontanandosi da lei solo per avvicinare a loro, con un colpo di bacchetta, un manichino impolverato e mezzo distrutto. Lo stesso che le aveva mostrato anni prima. “La paura, la rabbia. Riconosco entrambe nei tuoi occhi. Io li affronto in due modi. Questo è quello meno dannoso.” Con un calcio, colpì il manichino che, dopo essere slittato via di un paio di metri, cigolante tornò sui propri passi, piazzandosi proprio dinanzi alla donna. “Colpiscilo.”
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    Un piccolo foglietto ripiegato lasciato sul cuscino accanto alla testa della donna, recita queste parole:

    CITAZIONE
    Sono l'uomo sbagliato. Non ho mai combinato niente di giusto nella mia vita. Tutto ciò che faccio è distruggere qualunque cosa abbia la sfortuna di starmi intorno. Ho odiato il mondo e per certi versi è ancora così.
    Tu però mi hai insegnato ad amare. Mi hai reso uomo. Mi hai dato tutto ciò che non credevo avrei mai potuto d'avere e che forse, per molti, non meritavo.
    Ed io non lo so come ho fatto. Non lo so cosa ho fatto per meritarmi una persona bella come te. So di essere fortunato. Ed anche se ultimamente tutto sembra remarci contro, anche se il mondo ti sembra di nuovo un estraneo, non arrenderti. Noi, la tua famiglia, non te lo permetteremo.
    Combatteremo con te per tornare insieme.
    È questo il mio augurio per te.
    Ti amo.
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    Forse avrebbe dovuto aspettarsi una reazione così spropositata da parte della rossa. Forse, se avesse saputo del suo arrivo, avrebbe persino fatto del suo meglio per evitarsi che tutto quello accadesse. Non poteva però tornare indietro, ed era diventato ormai abitudine convivere con i propri errori. Cercò di ignorare, almeno per il momento, le sue continue frecciatine, per occuparsi di lei e del motivo di quella visita all'interno del suo locale.
    “Ci sono io. E posso farti del caffè.” Le risposte, ripulendo alla meglio i resti della bottiglia sparsi qua e là, prima di rivolgersi verso l'aggeggio montato per sfornare magic moka ad altissima qualità. Ezekiel gli aveva ripetuto mille volte il movimento di bacchetta da attuare per farla funzionare, ma la sua indole riteneva quell'azione ancora troppo lontana dalle abitudini a cui era stato abituato, finendo così con il combinare i peggiori disastri. Dopo un primo momento di incertezza allora, schioccò le dita nell'attirare l'attenzione del povero cameriere entrato lì da poco, per ripulire i residui del disastro a cui Nicholas non era stato capace di porre rimedio.
    “Falle un caffè.” Gli ordinò, prima di saltare sul bancone per scivolare al fianco della rossa. “Io ed Ezekiel abbiamo comprato questo posto. Stiamo ancora sistemando gli ultimi dettagli ma... benvenuta al Nickwood!” Ampliò le braccia mettendo su un grosso sorriso, prima di aggiungere un imbarazzante: “Sorpresaaaaa!”
    Avrebbe dovuto dirlo in giro, ne era consapevole. Aveva immaginato però quanto una notizia del genere avrebbe potuto turbare chiunque e visti gli ultimi drammi in casa Nickleby- David aveva preferito tenere per sé quel segreto. Era il modo migliore che aveva trovato per evadere dalla sua routine.
    “Che carina. Chi ti ha insegnato a minacciare così bene?” Storse il muso, rispondendo così alle sue parole. Si sedette su uno sgabello poi mentre il ragazzo offriva il caffè alla rossa e veniva allontanato da un gesto distratto di Nicholas. “Dai, Jem. Era solo una birra. Sono perfettamente sobrio, guarda.” Si rimise in piedi, mettendosi su una gamba e portando un dito della mano a toccarsi la punta del naso per dimostrarle il suo perfetto equilibrio.
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    Ascoltarla pronunciare quelle parole, fu terribile. Non poteva nemmeno immaginare come potesse sentirsi. Era chiaro per Nicholas che aveva imparato a conoscere la donna che aveva dinanzi, quanto Rahel patisse per quell'apparente apatia. Per il Nickleby però, era appunto soltanto quella: apparenza. Aveva dovuto sopportare indicibili torture e reagiva al mondo, con un freddo muro di indifferenza al cospetto di tutto ciò che la circondava. Forse avrebbe dovuto solo imparare a capire, di nuovo, di essere a casa adesso. Di avere intorno soltanto persone che volevano il suo bene. “Non ti importa nemmeno di JJ?” Le chiese, cercando lo sguardo dell'altro mentre induriva appena la mascella. Aveva gli occhi lucidi mentre pronunciava quelle parole, sebbene il suo tono riuscì a restare inerme, per il momento, alla forte emotività provata. “Di noi?” Aggiunse poco dopo, sospirando mentre passava una mano sul mento, in un gesto distratto ed involontario messo su mentre la sua mente si impegnava a cercare possibili soluzioni.
    “Possiamo vedere uno specialista. Ho degli amici. Conosco delle persone che possono aiutarci.” Annuì convinto. Avrebbe ottenuto la simpatia di pochi visto il suo cognome e la storia che recava, ma avrebbe fatto di tutto per riuscirci. “E Ramirez, Matthews... persino loro sarebbero disposti ad aiutarci.” Ed era vero. Sebbene riuscisse ancora ben poco a tollerare l'ingerenza degli auror nelle loro vite, avrebbero fatto di tutto pur di aiutarli e Nicholas ne avrebbe approfittato se necessario. Per lei, per Rahel, sarebbe stato disposto a fare di tutto. Di tutto purchè tornasse a stare bene. Ad essere se stessa.
    Sospirò passando entrambe le mani sul viso, prima di tornare a sedersi di fianco a lei. Si voltò, aspettando che l'altra lo guardasse. Forse gli sarebbe bastato persino un semplice contatto visivo per riacquistare un po' della fiducia persa in quella nuova vita cominciata da relativamente poco.
    “Rahel, sarei dovuto moriro così tanto tempo fa... Ti ricordi? Quante volte te l'ho detto che non immaginavo di poter arrivare vivo ai trent'anni? Eppure eccomi.” Ricordava di averglielo confessato, forse persino quella volta sulla spiaggia, quando tutto gli sembrava perduto. Quando era lui a sentirsi così. “Lo sai perchè sono qui? Perchè sono ancora vivo nonostante tutta la merda patita? Grazie a te.” Le confessò senza troppi giri di parole. Sarebbe sempre stato riconoscente alla sua Raul, alla caparbietà che l'aveva sempre contraddistinta. L'aveva continuata ad amare anche quando tutto sembrava essere finito e non avrebbe smesso allora. Non si sarebbe arreso. Per lei e per tutto ciò che era stata capace di donarle, Nicholas sarebbe finalmente stato l'eroe che nessuno si sarebbe aspettato di vedere. Per lei, riusciva ad essere migliore. “Dammi... dacci la possibilità di ricominciare ancora. Di farti capire che quello che pensi è solo un falso. Ti importa. Io lo so.”
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    Aveva ormai appreso da un bel po' che nulla potesse proseguire su una linea retta quando si trattava di lui. Il suo destino non era e non sarebbe stato mai pacato e lineare. Da sempre e per sempre avrebbe dovuto patire la lunaticità di un fato indeciso che lo spingeva ora verso un'apparente pace prima di scaraventarlo ancora una volta, e senza mezzi termini, all'inferno.
    A volte si chiedeva quanto bene avesse fatto a cercare una risoluzione ai propri problemi in una canonica fine da favola. Il lieto fine non apparteneva ai Nickleby e lui più di tutti non meritava, o almeno era ciò che Nicholas pensava, eventi pacati.
    Riavere Rahel accanto era grandioso. Gli aveva dato tutta la forza di cui necessitava per voltare pagina, almeno in parte, e chiudere quel libro terribile di cui sua madre lo aveva reso antagonista.
    Riaverla però di nuovo in quello stato catatonico, non fu difficile da mandar giù.
    Aveva sfogato la propria frustrazione contro il sacco da boxe fino a spaccarsi le nocche nel tentativo di mostrarsi migliore con lei. Aveva cercato qualsiasi cura possibile al suo mutismo ma ogni guaritore gli aveva prescritto un'unica terapia: la pazienza. Così aveva cercato d'essere la miglior copia di se stesso. Si era impegnato ad essere un buon padre ed un buon compagno. Provava ad accudire la piccola e Rahel. Erano passati giorni e nulla era cambiato e forse presto avrebbe persino cominciato a perdere le speranze.
    Le sedeva accanto, cercando di tenere impegnata Jamie che provava a porgere il suo giocattolo preferito a Rahel, nel tentativo forse di tirarla su di morale. Sospirò, riattirando dolcemente a sé la bambina. “Vieni via Jam, la mamma non si sente ancora molto bene.” Riuscì a convincerla solo dopo qualche tentativo. Attratta poi dal nuovo cucciolo accolto in casa, zompettò via verso il cagnolino.
    Fu a quel punto che la voce rauca della donna che aveva accanto si fece finalmente sentire.
    Nicholas si voltò di scatto come a voler assicurarsi che avesse parlato sul serio. Poi, annuì velocemente, prima di porgerle ciò di cui aveva implicitamente bisogno. “Ecco.” Aspettò che l'altra afferrasse il bicchiere che le stava porgendo, prima di osare lì dove forse non avrebbe dovuto. Non ancora magari. “Credevo ci avessi lasciato. Di nuovo.” Piegò appena il capo mostrandole un sorriso nel tentativo, probabilmente vano, di smorzare i toni di quella tensione diventata ormai insostenibile.
    E forse, nel tentativo spasmodico e disperato di riafferrare Rahel e riportarla in modo tangibile nelle loro vite, provò a replicare, ad attirarla verso la loro realtà che necessitava ancora, ora più che mai, della sua reale presenza. “Noi abbiamo bisogno di te.” Si voltò del tutto verso di lei, lasciando scivolare la mano sulle sue ginocchia. “Parlami. Per favore.”

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    Prendersi una pausa a volte era davvero necessario. E prendersi una pausa dai propri pensieri significava, il più delle volte, concedersi un po' d'alcol. Un minimo. Così, seduto allo sgabello del bancone della sua stessa caffetteria, sorseggiava la sua birra con lo sguardo perso nel vuoto. Quel nuovo equilibrio era qualcosa a cui doveva ancora abituarsi. A volte, nel cuore della notte, ancora gli capitava di scattare sull'attenti come pronto ad affrontare altre mille e più disavventure e rendersi conto invece di ritrovarsi a scontare una normalità quasi anomalo, lo scombussolava. Faceva fatica ad abituarsi a tutto quello perchè principalmente non se ne sentiva degno. E forse, per puro spirito d'autosabotaggio, proprio non riusciva a fare a meno dell'unico vizio che avrebbe potuto rovinare ogni cosa: l'alcol.
    Si diceva che concedersi una birra ogni tanto non avrebbe potuto rappresentare un grosso problema, e forse non lo sarebbe stato se solo si fosse limitato a berne una. Ovviamente non era mai così.
    Tranne quel giorno.
    Era appena al suo primo sorso quando d'improvviso, il vetro gli scoppiò tra le mani, frantumandosi in mille pezzi. Il liquido alcolico gli bagnò maglia e pantaloni e scattato in piedi non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un'imprecazione. “Ma che cazzo!” Quando però si voltò, pronto a reagire contro chiunque fosse stato a rivolgergli quello scherzo di cattivo gusto, dovette fermarsi.
    Avere dinanzi quella chioma rossa ebbe il potere di togliergli il fiato per qualche minuto e dopo un primo momento di sgomento, sul proprio volto s'ampliò un sorriso felice ed uno sguardo che, seppur rigido, sarebbe potuto sembrare ad un occhio attento emotivo. “E a te sembra saggio spuntare così alle spalle di un ex criminale?” Le chiese avvicinandosi a lei passo dopo passo.
    Erano mesi che non la vedeva ed averla di nuovo lì, sebbene l'ambientazione ambigua e la sorpresa indesiderata, lo rendeva felice. “Ti perdono solo se ti fai dare un abbraccio.” Allargò le braccia mostrandole un ampio sorriso. “La mia rossa, sempre così svitata.”

  15. .
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    Pensò seriamente al tema da utilizzare per la loro festa d'apertura. Nel caso peggiore avrebbero semplicemente aperto i battenti, ma l'idea di fare qualcosa di fenomenale in grado d'attirare l'attenzione dei più, era qualcosa che gli solleticava la mente e la fantasia. Dopotutto era pur sempre Nicholas Nickleby, e come tale, poco modesto e desideroso d'attenzioni. “Le uniche feste a tema in cui sono stato erano a base d'alcol. Quello era decisamente l'unico tema delle feste a cui andavo.” Gli confessò ma dopotutto non poteva certo annoverarsi come un segreto quello.
    Accantonò almeno per il momento quel discorso, puntando la propria attenzione piuttosto sull'insegna mostratagli. Nel guardarla un grosso sorriso comparve sulle sue labbra. Certo, non si sarebbe messo a piangere ma veder il suo nome stampato lì in un contesto che non aveva nulla a che fare con brutte notizie o trascorsi maledetti con la sua famiglia, lo entusiasmava. Quella poteva sul serio considerarsi come l'incipit di una nuova vita e ne era felice.
    “Cazzo, è fantastica.” Si lasciò scappare, posando una poderosa pacca sulla spalla dell'amico che aveva di fianco.
    Era straordinario avere a che fare con qualcosa di normale e forse per la prima volta si rendeva realmente conto di quanto fenomenale potesse essere la normalità. Per un uomo come lui abituato a vivere esperienze esagerate, quel contesto si stagliava come un vero paradiso nel mare caotico della sua esistenza. “Maturo? Normale?” Gli chiese con un mezzo sorriso sulle labbra, prima di fare spallucce. “Considerato che avrei potuto passare tutta la mia vita ad Azkaban, mi sembra un gran passo avanti.” E lo era, senz'altro. Prima o poi magari sarebbe riuscito a mandar via tutti gli aspetti negativi della propria persona che ancora rischiavano di risucchiarlo sul fondo di un baratro che cercava costantemente d'evitare ma per ora, poteva di sicuro dirsi fiero di lui e dei passi avanti compiuto.
    Certo, non avrebbe potuto cancellare tutte le colpe che si portava dietro e sapeva che la sua anima non sarebbe mai ritornata pura e pulita, ma impegnarsi in qualcosa lo faceva sentire diverso. Migliore. Meritevole insomma della felicità che l'esistenza gli stava donando.
    “Ok basta fare le checche. Aiutami a pensare. Cosa piace ai ragazzi di oggi?” Gli chiese, distogliendo così l'attenzione da tutta quella sensibilità che lo irrigidiva imbarazzandolo a suo modo, preferendo quindi parlare d'altro come il loro ingresso in quel nuovo mondo.
    “Che ne pensi di un rave?” Gli chiese piegando appena il capo nel mostrare un'espressione pensosa. Quello era il genere di festa a cui era stato abituato e che, immaginava, non potesse mai passare di moda. “Un party a base d'alcol e d'elisir dell'euforia. Non so... possiamo vaporizzarlo o farlo bere all'ingresso. Loro si eccitano, bevono di più e noi intaschiamo il doppio.”
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