Posts written by anesthæsia¸

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    Olympia non amava le altezze. Non le aveva mai amate. Forse era anche questo il motivo per il quale non le piaceva affatto il Quidditch. Tutti quei poveracci sorretti da un semplice manico di legno, a tutti quei metri di altezza. Rabbrividì alla sola idea, mentre teneva lo sguardo fisso di fronte a sé, senza permettersi assolutamente di guardare di sotto, sapendo che se lo avesse fatto, con ogni probabilità, avrebbe ricacciato fuori tutta la colazione, senza troppi problemi. Si strinse le braccia al petto, quando qualcuno le si sedette a fianco. Non le servì nemmeno guardarlo per capire che fosse Art. Dopo quasi due anni riusciva a riconoscerne ancora il profumo, che sembrava precederlo e che riusciva a palesare la sua presenza ancor prima di notarla visivamente. «'giorno.» Lo salutò, asciutta, non degnandolo nemmeno di uno sguardo. Doveva continuare a guardare avanti. Per forza. «Non ha molto di buono questa giornata.» Proseguì, osservandolo con la coda dell'occhio, impalata in quella posizione ridicola. Stava per aggiungere che quel comportamento strano non era dovuto al fatto che le si fosse avvicinato, quando se ne uscì con una domanda cretina. La tipica domanda da Art. A quel punto non poté non girarsi a guardarlo, esasperata da quanto il ragazzo facesse poco ai dettagli. «Oh sì, suppongo fossero meravigliosi, peccato che sono partita con voi. Non con gli anni superiori. Perciò dimmi, come potrei mai averli visti?» Si concesse di punzecchiarlo con una gomitata all'altezza delle costole. Un gesto naturale tra di loro, perlomeno prima della grande scissione. Forse era semplicemente stanca di tenergli il muso per qualcosa di cui, essenzialmente, non aveva colpa nessuno. Finse assoluta tranquillità, voltandosi nuovamente, finché il viaggio del supplizio non ebbe fine e i suoi piedi toccarono la terra ferma. Il castello che si stagliava di fronte ai loro occhi era immenso e un wow sussurrato sfuggì dalle sue labbra, rivelandone il vero stupore. Il castello di Vlad, l'impalatore. Quando era stata costretta a leggere il libro di Stoker nel suo liceo babbano mai avrebbe creduto di potere avvicinarsi così tanto a quella che in quel momento pensava essere soltanto finzione. Salutò con un sorriso ammiccante Malia, in compagnia del Serpeverde e con un cenno di mano Annie e Andrea, poco più avanti. «Anastasia Carter spicca particolarmente, ovunque essa sia» si ritrovò a dire in risposta ad Art, senza nemmeno pensare. Si sentì all'istante una sensazione di calore che la costrinse a chiudersi ancora di più nel cappuccio che aveva tirato fin sopra la testa, tanto era il freddo che tirava da quelle parti. Fortunatamente la Carter cominciò la sua lezione, lasciandole il tempo di sbollire l'imbarazzo quando la voce del ragazzo al suo fianco la mise in allarme. Rimase con un piede a mezz'aria, guardando con occhi sbarrati prima Art, poi a terra, lì dove il piccolo animaletto di Moody se ne stava bello tranquillo. Come aveva fatto a portarlo in gita senza che nessun professore se ne fosse accorto? Cercò con gli occhi la ragazza in mezzo alla calca, intimandola ad avvicinarsi con la mano, giusto per non destare troppa attenzione su di loro, prima di abbassarsi sulle gambe per tentare di prendere l'animale. «Okay signorino. L'ora d'aria è finita. E' ora di tornare dalla tua padrona.» Assunse un tono conciliante, come se questo bastasse ad aiutarlo a calmarsi quel tanto per farsi raccogliere da terra. Non era ancora certa di quanto i suoi geni influissero sulla natura circostante, ma sperava vivamente che le sue mani non diventassero il bersaglio perfetto per i suoi aculei. «Ora, con calma, ti farai prendere, okay? Non voglio farti del male, giuro.» Tese le mani verso di lui quel tanto per raggiungerlo, con una lentezza e una calma misurata. Le chiuse a coppa sopra di lui, tentando di calmarlo. «Ti prego, non usarmi come una bambolina voodoo.»

    Interagito con Art e Prickly.
    Menzionati/salutati Malia, Annie, Andrea, Moody.
    Sono ferma con le mani sopra Mr. Prickly, potrebbe benissimo scappare e ricominciare a vagare tra i piedi u.u
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    Non fece in tempo ad aprir bocca per rispondere a Fulvio, che lui scomparve in un batter baleno, lasciandola sola con Rudy, che se ne stava lì con quella faccetta da cane bastonato. Tentò, con scarsi risultati, di ascoltare la spiegazione del professore, distraendosi di continuo, fin quando in suo aiuto arrivarono le parole del guardiacaccia e Andrea. Sì, colazione, assolutamente colazione. E' quello che ti ci vuole per darti una sveglia! Annuì in risposta alla sua domanda, facendo un breve cenno di saluto in direzione di Rudy. «Insomma, credo proprio che ci beccheremo nuovamente dopo!» Disse prima di voltarsi verso la sua ancora di salvezza, mimandole un Grazie con le labbra. Fu in quel momento che la domanda di Annie arrivò come un fulmine a ciel sereno. Gli occhi cristallini della rossa saettarono con foga da Andrea a Lydia, da Fulvio, per tornare poi a quelli nocciola di Annie. Una smorfia interdetta si dipinse sulle sue labbra, mentre le sopracciglia si alzavano verso l'alto, confusa. «Beh..» cominciò, volgendosi nuovamente in direzione di Fulvio. Rimase a fissarlo per qualche secondo buono, senza aggiungere altro, prima di tornare alla realtà. «Ti stanno molto bene.» Si mordicchiò il labbro inferiore, sentendosi terribilmente a disagio all'istante. «Ti danno un aria più sbarazzina e disinvolta e..» Ancora una volta un agente esterno venne in suo soccorso, bloccandole le parole sulla punta della lingua. Sorrise al barista, ordinando un tè verde e un muffin alle more, prima di voltarsi verso il suo gruppetto. «Voi prendete qualcosa?» Chiese con disinvoltura, come se l'imbarazzo di pochi istanti prima non fosse mai calato su di loro, ma fosse stato soltanto un brutto scherzo della sua testa. «Lyds, ti prego, prendi qualcosa!» Mormorò all'orecchio dell'amica, richiedendo il suo aiuto, mantenendo un sorriso di facciata. Beh che dire? La gita non è nemmeno cominciata e ti ritrovi con la faccia paonazza già per la seconda volta. Però, non male Olympia!

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    Tappa successiva: autobus babbano. Se il Nottetempo le era sembrato un trabiccolo del demonio, quel nuovo mezzo aveva sicuramente il pregio di non rimpicciolirsi a tal punto di farle desiderare di essere dentro una lavatrice babbana. Così prese posto di fianco a Lydia, sperando di poter rilassarsi, almeno per quella parte di viaggio. «Ehi, i capelli no però!» Si ritrovò a sbuffare, con un sorriso sulle labbra in direzione di Aiden che aveva pensato bene di scompigliarle i capelli prima di trovare posto poco più dietro. Si appoggiò allo schienale del sedile, appoggiando la fronte contro il finestrino per bearsi ancora una volta della vista delle strade di Londra. Poi la Rei ebbe la brillante idea e gli occhi di Olympia si colorarono di sfumature fiammeggianti. Non c'era veramente limite al peggio. «Non ha chiamato me, vero? C'è un'altra Lancaster ad Hogwarts, dimmi di sì.» Si rivolse alla bionda, cercando conforto nelle sue parole. Gli occhi della preside però era insistenti e lei si alzò leggermente dal suo posto, quel tanto che bastava per essere udita dalla donna. «Miaoo.» Accompagnò il flebile verso con il gesto felino della mano, tanto per rendere completo il quadro del suo disagio. Sprofondò all'istante sul sedile, chiudendosi a guscio su se stessa. «Se non mi trovate più sono semplicemente rintanata nella fossa che mi sono appena scavata!» Disse, più a se stessa che ad un qualcuno di specifico, nascondendo la bocca dietro il bicchierone di tè acquistato al bar del Ministero. «Ma tu non credere di poterla scampare così facilmente!» Puntò ironicamente il dito contro Lydia, prima di alzare la mano a mezz'aria. «Preside qui c'è un bel delfino impaziente di fare questo gioco!» Indicò la bionda, sorridendo angelicamente. Vado giù io, vieni giù anche tu con me.
    Interagito con Felix, Lydia, Rudy, Annie, Andrea, Aiden.
    Ho fatto il verso del gatto e costretto velatamente Lydia a fare il delfino dello zoo.

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    La mano si allungò a bussare contro la porta in mogano. «Felix, andiamo. Non possiamo arrivare tardi!» Appoggiò le spalle contro il muro, mentre mentalmente ricontrollava tutto il contenuto della valigia. Aveva partecipato a svariate gite, nella sua vecchia scuola babbana, eppure non era mai stata tanto elettrizzata come lo era in quel momento. Tutto sembrava cominciare a girare per il verso giusto. Le vacanze trascorse a casa erano state piacevolmente tranquille (seppure la mancanza di sua sorella era stata un'opprimente ombra sulle sue spalle), aveva passato un Capodanno nettamente superiore ai suoi precedenti, aveva scritto una lunga lista di propositi per quell'anno nuovo e l'anno scolastico ricominciava con una gita. Cosa poteva chiedere di più? Sicuramente il fatto di non arrivare in ritardo all'appuntamento dato dalla preside Rei. «Felix, ora apro la porta e ti trascino via, pronto o non pronto.» Nella voce una nota sufficientemente cristallina che lasciava percepire il divertimento di cui era intrisa. Portò entrambe le mani a stringere nuovamente la fluente coda di cavallo in cui aveva intrappolato i capelli rossi, prima di sistemarsi ancora una volta la calda sciarpa viola intorno al collo intorno al collo e il paraorecchie, valido sostituto del cappellino di lana. Poi ricominciò la conta mentale di tutto l'occorrente che, frettolosamente, aveva schiaffato nella valigia la sera precedente, sotto lo sguardo incredulo di Dana, che la osservava dal suo letto, buttando là qualche commento in italiano, di tanto in tanto. Si sarebbe portata dietro anche qualche sostanza poco raccomandabile, giusto per le sempre più frequenti situazioni in cui si ritrovava con il disagio di vivere galoppante e la voglia sociale pari a zero. Giusto quell'aiutino in più che le serviva per sciogliersi, così da rispettare uno dei propositi che si era prefissata ad inizio anno. Smettere di fare la stramba. Eppure, sapendo che gli accompagnatori sarebbero stati la preside Rei, il professor Roosvelt e il guardacacchia di Hogwarts si era messa l'anima pace, lasciando che l'idea di portarsi roba illegale dietro le scivolasse addosso. Guardò l'orologio, piuttosto irrequieta. Mancavano cinque minuti alle 8. Se ce l'aveva fatta lei ad alzarsi ed essere in perfetto orario, non vedeva perché Felix non poteva fare altrettanto. Alzò nuovamente il pugno, pronta a bussare ancora più insistentemente, quando la porta si spalancò davanti ai propri occhi. «Oh, ma buongiorno!» Cinguettò allegra, con la mano, chiusa in se stessa, ancora a mezz'aria. Un sorriso eccitato si allargò sulle sue labbra e senza ulteriori indugi, si voltò verso le scale, facendo scivolare le sue mani coperte dai guanti sopra le sue. «Ma ci pensi? Andiamo al Nord! Non vedo l'ora.» Euforica come poche volte si era vista. Anno nuovo, Lancaster nuova.

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    L'eccitazione cominciò a scemare quando, appena uscita dalla possente portone del castello, si accorse che, effettivamente, ci sarebbe stata della gente. Tanta gente. Forse non era poi così nuova, quella versione della Lancaster, se al solo vedere quel fornito gruppetto di ragazzi, in attesa di partire, era stata presa dalla voglia irrefrenabile di scappare a gambe levate. Okay Olympia, un respiro profondo, un passo in avanti e si va in scena. Guardò di sottecchi Felix, sapendo che con ogni probabilità il suo stato d'animo poteva essere simile al proprio. Gli sorrise, cercando di caricare il suo viso di una rassicurazione che sapeva di non avere, ma che doveva infondergli per cercare di superare il primo impatto. «Non ci pensare nemmeno. Non scapperai via, non tornerai in stanza e no, se lo stai pensando, non puoi fingere di star male. Andremo a questa gita, impareremo un sacco di cose interessanti, si spera, e ci divertiremo.» Disse guardando dritta davanti a sé, non sapendo bene se quelle parole fossero destinate a lui o a se stessa. In suo aiuto, fortunatamente, arrivò l'aiuto angelico di Lydia. Le sorrise, grata per quel piccolo gesto che era riuscita a calmarla, almeno per qualche istante. «Buongiorno e grazie infinite. Non sono riuscita nemmeno a fare colazione. Questa mattina ci abbiamo messo più del dovuto» le rispose, dando una piccola spallata a Felix, facendogli intuire che le sue erano parole scherzose, da non prendere necessariamente alla lettera. Con il ragazzo alla sua destra, il thermos di tè ben stretto in una mano, il trolley nell'altra e Lydia alla sua sinistra, si incamminò verso i tre accompagnatori, a cui rivolse un sorriso, mentre consegnava il permesso firmato alla preside. Una volta salita, optò per la scelta di un posto né troppo avanti, né troppo indietro. Salutò Daisy, Annie e Andrea con un cenno della mano, prima di sistemare la valigia sullo spazio vuoto sopra la sua testa e ficcarsi le cuffie nelle orecchie, decisa a passare quelle ore seguenti nel più tranquillo dei modi. Ma ovviamente le sue speranze non furono soddisfatti, quando intravide con la coda dell'occhio il saluto mesto che Lydia rivolse ad Art. Salutò a sua volta il ragazzo con un cenno del mento, un gesto fin troppo controllato per i trascorsi che avevano loro due, eppure non si sentiva di fare altro che quello. I suoi occhi saettarono verso Lydia, leggermente inquisitori. «E tu come lo conosci?» Una domanda secca intrisa di curiosità. Stava per aggiungere altro, quando un paio di mani calde le oscurarono la vista. Una voce maschile le arrivò da dietro le spalle, sussurrata all'orecchio. Un deficiente! Sembrava rispondere la sua mente a quella sua domanda, mentre veniva attraversata da un brivido lungo la schiena e di conseguenza, si bloccò, gelandosi sul posto. Non era più abituata ad essere toccata, essere baciata, non da un ragazzo perlomeno. Soprattutto non da Jaime Matthews. Frenò all'istante l'istinto che l'avrebbe portata a mollargli uno schiaffo in pieno viso per quel contatto inaspettato. Lo osservò sedersi vicino a lei, senza troppe cerimonie, alzando un sopracciglio alla sua constatazione ovvia. «Ti prego, non dirmi che mi hai scambiata per Daisy!» Disse, guardandolo dritto negli occhi. Quegli occhi così insolitamente belli e così terribilmente paraculi. «No, per favore, non confermare i dubbi che già ho su di te.» Aggiunse, portandogli un dito alle labbra, prima di essere interrotti da un balbettante Rudy. La rossa staccò i propri occhi da quelli di Jaime, per poi portarli verso di lui. «Ehm, frequento ancora Hogwarts, quindi sai com'è..» Rispose, lasciando la frase in sospeso, particolarmente a disagio. Per fortuna quel momento durò appena qualche secondo, perché il rosso decise bene di dileguarsi. Gli occhi smeraldini tornarono al suo compagno di posto. «Effettivamente le ho passate davvero bene. Tu? Sei rimasto alla baita a rilassarti, oppure?» Un sorriso le incurvò le labbra, mentre una Serpeverde la salutava, da qualche sedile più avanti. Mosse le dita della mano destra nella sua direzione, prima di captare le parole di Aiden. «Non ci provare nemmeno!» Intimò Jaime, con sguardo allarmato, alludendo al fatto che potesse vomitare durante il viaggio. Era tanto terribile il viaggio sul Nottetempo?

    Qualche minuto più tardi, una Olympia piuttosto provata da quel trabiccolo infernale poteva dire con assoluta sincerità che sì, era tanto terribile. Ma il senso di nausea fu superato all'istante dallo stupore che la prese una volta entrati al Ministero. Si guardava intorno con occhi sognanti, come la prima volta che aveva messo piede a Diagon Alley. «Ommioddio Felix. E' tutto così sontuoso. C'eri mai stato tu?» Chiese al ragazzo moro al suo fianco, continuando a far vagare i propri occhi di meraviglia in meraviglia. Il professore di Pozioni aveva cominciato la sua spiegazione riguardo la grande Statua che avevano di fronte. Fu in quel momento che un Rudy selvatico apparve di soppiatto vicino a lei. Di nuovo. Fece un sospiro, Olympia, prima di girarsi a guardarlo, appena qualche secondo, per poi tornare al professore. «Alla grande.» Rispose con fin troppa decisione, intimando se stessa a rimanere concentrata sulla spiegazione. Avrebbe voluto rispondere alla domanda del professore, ma non poteva stare attenta con Rudy vicino, ne era tristemente cosciente. «E tu? Ti sei ripreso dalle feste Chiese, guardandolo con la coda dell'occhio. «Tra il ballo e Capodanno hai finito l'anno proprio con il botto!» Le sopracciglia si inarcarono, mentre una risatina le dipinse le labbra.
    Interagito con Felix, Lydia, Jaime, Rudy.
    Ho salutato i professori, Daisy, Annie, Andy, Art, Nevaeh.

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    «Ho paura di dimenticare.» Lo sguardo gelido di Olympia si era puntato in quello della sua terapista che, ancora più spiazzata nel sentire finalmente una cosa sensata uscire dalla sua bocca di pesca, si era mossa sulla sedia nervosa, inclinando il busto verso la ragazza. «Cosa hai paura di dimenticare?» Le aveva chiesto, con occhi che avrebbero voluto dimostrare apprensione ma che erano fin troppo frizzanti e svegli per far passare quel messaggio. Olympia l'aveva osservata, come una sovrana clemente guarda i suoi sudditi. Le aveva sorriso, magnanima, mentre le donava quella piccola perla, da conservare nel suo caro taccuino dove, solitamente, annotava soltanto i vaneggiamenti che la rossa condivideva con lei. Compassionevole, si sporse verso di lei, così da trovarsi faccia a faccia. «Ho paura di dimenticare la mia vita. Di dimenticare ciò che ero. Di dimenticarlo Aveva esalato in un soffio minimo, prima di tirarsi nuovamente indietro, con le spalle bene incollate allo schienale della sua seggiola. L'aveva guardata scrivere e scrivere ancora, con le labbra tristemente stirate in quel sorriso di facciate che ormai sapeva indossare con così tanta eleganza e accuratezza. Le sue dita si erano andate attorcigliando ad una ciocca di capelli, così interessanti ai suoi occhi in quel preciso istante; annoiata, aspettando che la donna la degnasse nuovamente del suo sguardo inquisitorio. «E cosa pensi di fare a riguardo?» La rossa aveva inclinato la testa di lato, osservando quell'anonima mora, dall'aspetto non troppo curato e sicuramente più vecchio della sua vera età anagrafica. Olympia aveva riposto in lei delle speranze che puntualmente lei non aveva soddisfatto. Come allora. Aveva sbuffato lievemente, ciondolando il piede e guardando fuori dalla finestra. Era freddo, pieno inverno. L'ora successiva aveva parlato di quanto amasse pattinare sul ghiaccio.
    Una volta uscita da quella seduta che era ormai diventata più una tortura per lei, aveva mosso qualche passo incerto nel corridoio, prima di mettersi a correre, in preda al panico. Aveva bisogno di aria fredda, congelata e lì le porte, solitamente, non erano mai chiuse a doppia mandata. A rischio e pericolo degli infermieri. Aveva preso l'uscita di servizio più vicina, lasciando sbattere la porta al muro, prima di poggiare le mani sul freddo metallo delle scale antincendio. Aveva respirato a fondo, preso aria a fondo come se non avesse potuto respirare ossigeno da giorni. Poi la mano era scivolata nella tasca dei pantaloni di quella tuta grigia, chiudendosi intorno al cellulare. L'aveva acceso e aveva guardato lo schermo che non riusciva quasi a riconoscere come proprio, prima di digitare il numero della propria segreteria telefonica. Ha 1 messaggio registrato in segreteria. Un semplice clic e le loro voci avevano preso ad animare l'apparecchio. «Ciao tesoro, siamo per strada. Scusa il ritardo, ma sai com'è fatto Art. Quando punta una ragazza non lo smuove più nessuno. Ma stiamo arrivando, tranquilla che il tuo concerto non ce la perderemmo per nessuna ragione al mondo. In bocca al lupo, bambolina Una risata aveva spezzato il silenzio successivo, facendo stringere una morsa intorno allo stomaco della ragazza. Le mancava il respiro, di nuovo. «Cherry cara, scusami tanto. Ti giuro che ho una buona scusa questa volta. Dopo la lagna che mi costringerò a sentire, solo per te, ti racconto tutto e mi darai sicuramente ragione. A dopo.» Fine dei messaggi registrati. Era rimasta lì, congelata e ansimante per qualche istante, ad osservare tutto ciò che le rimaneva di Dean. Del suo Dean felice e spensierato. Della sua vita semplice, a volte monotona, ma felice. Lei aveva paura di dimenticarli entrambi, come stava avvenendo con molte delle cose del suo passato. E quel messaggio, quell'insignificante ultimo messaggio in segreteria era l'unica cosa che le rimaneva per rimanere aggrappata a quella memoria. Aveva fatto tre profondi sospiri, prima di lanciare lontano il telefono, con tutta la forza che aveva in corpo. E così dimenticò.

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    Mentre lui si sedeva di fronte a lei, senza nemmeno accorgersene, Olympia strisciò all'indietro, cercando di frapporre tra di loro una certa distanza che non era pronta a valicare. Non voleva averlo vicino, non ancora. La sua voce, rassegnata, la colse alla sprovvista. Aveva alzato la bandiera bianca, cercando di trovare un qualcosa a cui aggrapparsi nella freddezza di lei. Olympia inarcò un sopracciglio, sinceramente confusa per quel ribaltamento delle carte in tavola. «Cosa vuoi che sia successo?» Gli domandò con una leggera punta di sarcasmo. Che domanda cretina. «Beh..vediamo! Un tir ci è venuto addosso. Io sono quasi morta, il tuo miglior amico invece non è stato altrettanto fortunato. Sono rimasta in coma per sei mesi, all'incirca. Grazie al trauma, ho avuto un disturbo post traumatico che mi ha portato ad un disturbo borderline della personalità. Avendo rotto ogni osso del braccio, più i legamenti del polso, non avevo ovviamente più una carriera da violinista e il mio futuro era nero, buio e a forma di Olympia Lancaster. Ho passato sicuramente momenti migliori. Perciò la mia famiglia ha insistito che venissi qui, ma a convincermi definitivamente è stata mia sorella. Frequentare Hogwarts, la scuola da cui ho sempre tentato di fuggire per inseguire i miei sogni fin troppo elevati per essere raggiunti. E invece eccomi qui, in questo posto meraviglioso, dove ho ricominciato a vivere, senza tralasciare i tre mesi passati in quarantena dopo aver contratto il Lupum, ovviamente.» Le parole venivano raccontate con un tale distacco e una tale freddezza da far rabbrividire persino lei. Quello era il resoconto dei suoi ultimi due anni e invece che provare paura, dispiacere o semplicemente qualcosa, lei non provava nulla. Non più. Sembrava una barzelletta anche alle proprie orecchie. «Una bella storia da best seller, dopotutto. E' bello aggiornarsi con gli amici, non è così?» Sarcasmo, sarcasmo e ancora sarcasmo. Non riusciva a fare altrimenti, non riusciva a dare il giusto peso a quelle parole che, dette ad alta voce, sembravano armi affilate, dal doppio taglio. «Che dici? Forse era meglio portare avanti una qualsiasi di quelle discussioni inutili sul tempo che passa, sul tempo che guarisce ogni ferita, sull'acqua che passa sotto i ponti, oppure sul meteo. Con il meteo vai sempre sul sicuro da queste parti.» Una lezione di vita impartita con sufficienza. Più si ascoltava, più stentava a riconoscere l'Olympia che era stata fino al secondo prima che lui entrasse nel suo campo gravitazionale, lì ad Hogwarts. Si era messa in posizione di difesa, proteggendo con le unghie e con i denti ciò che finalmente cominciava a riconoscere come proprio. Se stessa. Ed era assolutamente non intenzionata a condividere quella sua parte di lei con Art. «E tu, perché saresti qui? Vuoi dirmi che sei un ragazzino speciale anche te? Chi l'avrebbe mai detto.» Stronza di una Lancaster.
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    Era indubbia la questione che Olympia fosse cambiata. E probabilmente in peggio. Lo guardava con lo sguardo freddo di uno spettatore apatico che viene costretto ad andare a vedere un genere di spettacolo assai lontano dai suoi gusti personali. Era così che si sentiva Olympia nel vederlo muoversi, nervoso, circospetto, con movimenti calcolati, che riuscivano a tradire alla perfezione il suo astio e la sua inquietudine. Ma lei rimaneva impassibile, braccia conserte, labbra stirate in un sorriso conciliante. Non si scompose nemmeno quando Art lanciò a terra la bacchetta, in un improvviso scatto di rabbia. Le sue orecchie registrarono lo stridulo suono del suo rotolare al pavimento, fin quando, forse, non incontrò la zampa di un tavolo che fermò la sua corsa. Poi il ragazzo cominciò la sua accorata spiegazione dei fatti. La sua versione della storia, la campana della sua verità, che sembrava essere così dolorosa, così patita ai suoi occhi ingenui. Perché lui aveva sofferto. Lui aveva atteso. Lui aveva aspettato senza ottenere alcuna risposta. Lui soltanto aveva perso i suoi migliori amici, nel giro di pochi giorni. La sua vita era cambiata, diventando un inferno in terra. Lui aveva fatto interminabili sedute dallo psicologo. Da mille altri terapisti era stato esaminato e ritenuto forse depresso. Perché lui aveva cominciato a soffrire di attacchi di rabbia incontrollata, tanto da venire allontanato dalla vecchia scuola. La sua versione dei fatti era così bella, articolata, struggente, ben dettagliata, piena di rammarico, ira, dolore. Perché soltanto lui aveva sofferto e soltanto lui aveva perso qualcosa. Lo lasciò concludere, prima di annuire senza proferir parola, con una smorfia dipinta sulle labbra. «Hai finito?» Chiese, sciogliendo la morsa che teneva le sue braccia strette sotto al seno. Le sue dita affusolate si mossero in circolo, davanti ai loro occhi, come a completare la sua domanda. Hai finito con questa scenetta? sembrava chiedergli. Tirò su con il naso, piuttosto divertita da quell'improvviso capovolgersi della situazione. Una serata rovinata, ma pur sempre interessante, a quanto pareva. «No perché seriamente, se è la compassione e la comprensione che stai cercando qui, hai sbagliato decisamente posto!» Si lasciò sfuggire, con le labbra stirate in un sorriso fintamente rilassato. Scosse la testa, girando in circolo, per cercare di dare un senso a quelle parole intrise di egoismo ed egocentrismo. Non sapeva se essere arrabbiata o provare tenerezza. La comprensione, a dire il vero, poteva anche ottenerla da quei suoi occhi smeraldini. Riusciva a capire quanto potesse essere stata dura per lui, da solo, inerme di fronte alla doccia fredda che la vita aveva deciso di riversargli addosso. Perché si dice che la morte sia più dura per i vivi, per chi sopravvive. Ma il suo mero tentativo di farla sentire in colpa, per qualcosa che le era accaduto con così tanta prepotenza da riuscire a devastarla..oh, quello non poteva assolutamente accettarlo. Le veniva da ridere, eppure si trattenne, quasi per decenza. Si mise a sedere sul davanzale della finestra, spostando le cuffie e l'ipod che fino a quel momento erano rimasti lì, inermi. Accavallò le gambe, appoggiandosi alla finestra con le spalle. «Tu credi davvero di poter venire a fare a me un discorso del genere? Mh?» Chiese, lasciando trasparire dal suo tono un certo divertimento. Una certa ilarità di fronte a quel pensiero. «A me? Sei serio?» Una risatina sfuggì al suo controllo, tradendo la sua effettiva calma nel parlare di quell'argomento. Ormai completamente anestetizzata dal tempo e dalle vicende. Provava ancora una punta di dolore, ma non avrebbe permesso a quel ragazzo, che stentava a riconoscere, di scorgerla sotto le sapienti mura che aveva eretto intorno a sé. «Oh mi dispiace tanto che tu, e soltanto tu, sia stato così male. Così terribilmente male» lo canzonò con una calcolata freddezza nel tono di voce. «Mi dispiace che tu abbia dovuto patire tutta questa merda da solo. Mi dispiace che tu abbia perso il tuo miglior amico e la tua miglior amica nello stesso momento» continuò, rilassandosi contro la finestra. «Non è niente in confronto alla perdita di quello che credevo essere l'amore della mia vita, hai ragione. Quanto sono stata sciocca a non scriverti per sentire come stessi tu, in tutto questo!» Si batté la mano contro la fronte, come a voler indicare che quella fosse una cosa tanto ovvia. «Scusami davvero, sono stata proprio insensibile. Come stai Art? Ti sei ripreso? Cosa posso fare per alleviare il tuo immenso dolore?» Ironica, beffarda, canzonatoria. Non riusciva a star seria di fronte alla realtà che le aveva esposto Art. Perché lei aveva le sue colpe, eccome se le aveva, ne era pienamente cosciente e non aveva problemi ad ammetterlo. Ma quel comportamento, da bambinetto risentito non le andava giù. Aveva deciso, una volta risvegliata dal coma, che nessuno, nessuno mai si sarebbe permesso di farla sentire in colpa per il suo carattere di merda, per il suo comportamento anticonvenzionale o i suoi discorsi affilati e schietti. Perché lei era una dannatissima sopravvissuta e nessuno le aveva insegnato come continuare a vivere dopo quello che le era successo. Aveva dovuto fare tutto da sola, si era rimboccata le maniche ed era scesa a patti con la sua nuova essenza, riuscendo a smussarne gli angoli, tanto da ricominciare a vivere e quella stronzaggine, bella e buona, non rientrava decisamente nella lista di ciò che era disposta a gradire. Per nulla. «Pensavo l'avessi imparato, Art. La morte cambia e distrugge tutto e la vita va avanti. Con o senza di te.»
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    «Art, tu ci credi alla magia?» Gli aveva chiesto una volta, mentre continuava a far penzolare le gambe fuori dal letto, il libro di Astronomia ben stretto tra le dita, tenuto a mezz'aria, per poter continuare a leggere, anche da quella posizione. Il ragazzo si era girato verso di lei, dando le spalle al computer con il quale stava scrivendo la tesina di biologia, fino a poggiare i gomiti sullo schienale. L'aveva guardata, con una luce indecifrabile che gli aveva attraversato gli occhi, per poi sorridere, con il suo solito sorriso sghembo. Un'espressione che lasciava sempre interdetta la ragazza sulla sua vera natura. «Ovvio che no. Solo una bimba come te, Cherry, potrebbe crederci.» Con una risatina cristallina, la rossa si era mossa ad afferrare il cuscino che solitamente giaceva solitario sopra il suo piumone e glielo aveva tirato addosso, colpendolo in pieno volto. Risata generale. Si era poi lasciata nuovamente andare sopra il letto, sprofondando nella soffice coperta, mentre la sua mente cominciava ad allontanarsi dalla realtà. Viaggiando verso i mondi inesplorati che si era sempre preclusa, fino a quel momento. La magia esisteva, e lei lo sapeva bene. Pur non praticandola, le scorreva nelle vene e anche in quel momento, mentre si ritrovava lì, distesa nella sua stanza in compagnia del suo amico, la sentiva pizzicarle la pelle, eccitata all'idea di poter uscire, di poter finalmente manifestarsi al mondo per quella che era veramente. Si era stretta appena i pugni, rigirandosi tra le coperte, fino a portarsi di fronte ad Art. Separati soltanto dal telaio che faceva da cornice al suo letto. «Ci sono così tante cose che non sappiamo di noi stessi. C'è un intero mondo dentro di noi e noi riusciamo ad usare appena il 2% di esso» si era ritrovata a dire, con fare pensieroso, mentre si guardava le dita intrecciate al ferro battuto. Una semplice riflessione, pronunciata a fior di labbra, che sembrava essere la vera essenza della sua intera esistenza. Si era accorta, poi, del silenzio che era calato nella stanza e così aveva alzato nuovamente gli occhi ad incontrare i suoi, mentre un sorriso divertito le andava increspando gli angoli delle labbra. «Ero credibile? Sembravo veramente fatta, non è così?» Una giustificazione sorridente che sembrava aver risolto al meglio quella situazione imbarazzante. Mentre i dubbi nella sua testa avevano continuato a divorarla. E lo avrebbero fatto per molti anni a venire.

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    E in quel momento, come allora, la sua mente era alimentata da punti interrogativi che sembravano non trovare una risposta. Non in ciò che vedeva. Perché Art era davanti a lei, in carne e ossa, dopo quasi un anno e mezzo e l'unica cosa che la sua testa sembrava riuscire a formulare era un "Come ha fatto? Come ha fatto a trovarmi?" Seguì il movimento della sua mano, misurandolo in ogni suo centimetro, fino a che la sua pelle non si infranse contro la propria, congelandole il sangue nelle vene. Era reale, non era una visione. Era il suo miglior amico, venuto dal suo passato ad intromettersi con il suo presente e il suo futuro. Storse le labbra, ritraendo all'istante la mano, portando la bacchetta illuminata vicino al fianco sinistro. Non le piaceva il suo tono di sfida. Non le piacevano lui e quel fottuto sorrisetto che sembrava non aver lasciato mai le sue labbra. Lui e la sua solita arrogante insolenza. E non aveva nemmeno il coraggio di guardarla, troppo preso nel recitare al meglio la parte del bastardo senza cuore, al quale sembrava scivolare sempre tutto addosso. Ma Olympia sapeva che la sua presenza doveva aver avuto in lui lo stesso effetto che aveva avuto in lei. Art era sempre stato abile nell'arte del mascherare, ma mai in quella del celare completamente le proprie emozioni. Non ai suoi occhi perlomeno. Riusciva sempre a leggere alcune delle tracce che sembravano lasciarsi dietro quei sentimenti che, con tanta cura, il ragazzo toglieva dal proprio volto. In quel momento, il suo viso riusciva a trasmetterle tutto il risentimento che provava per lei. «Se ciò fosse stato utile a farti rimanere nella tua stanza da letto, sì, direi di sì.» Le parole fluirono dalle sue labbra con calcolata affilatura, tanto da potergli tagliare la carne, se solo fosse stato materialmente possibile. Lo squadrò, da capo a piedi, sentendo aumentare in se stessa il desiderio di essere guardata, di essere finalmente affrontata, senza girarci troppo intorno. Era stufa di quei giochetti a cui tutti sembravano volerla sottoporre. Con uno strattone repentino, sfilò il libro dalle sue dita, prima di riportarselo al petto, con aria indignata. «E facciamola finita con questa farsa, per favore. Guardami Un ordine sibilante che le uscì talmente forte da lasciarla spaesata, appena qualche secondo. Non era mai stata brava a fare la voce grossa; il poliziotto cattivo le riusciva bene perché bastava mandare avanti la propria indifferenza ma quella situazione era completamente differente. Quello davanti ai suoi occhi non era un semplice studente che aveva infranto il coprifuoco. Lui era Art e questo fattore richiedeva di non essere ignorato. Appoggiato il libro al primo banco disponibile, puntò i propri smeraldi nei pozzi neri che erano diventati i suoi occhi, prima di portarsi una mano sul fianco. «Cosa ci fai qui, Art?» Cosa ci fai nel mio posto? Qui ad Hogwarts? La mano con la bacchetta librò a mezz'aria, costringendo l'aula a gettarsi in un silenzioso gioco di luce e ombra.


    Edited by ¬ sense8. - 5/1/2017, 00:47
  7. .
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    We see people coming, see people go. Ne era successe tante quei giorni. Forse fin troppe e Olympia aveva bisogno di starsene da sola, di darsi del tempo per metabolizzare il tutto. Dalla sera del Ballo del Ceppo, gli eventi si erano susseguiti talmente velocemente da riuscire ad inglobarla e trasportarla nella loro foga inarrestabile, come un corso d'acqua che inesorabilmente va verso la sua fine, buttandosi in una cascata. E lei si sentiva in procinto di quel salto, pronta a buttarsi, con un piede sospeso a mezz'aria e l'altro ancorato a terra, con la voglia di saltare per vedere cosa ci fosse dall'altra parte, ma con il terrore di farlo, di abbandonare quella piacevole abitudinaria vita che cominciava a calzarle così a pennello. La cieca e malefica curiosità contrapposta alla semplice e pura paura umana di evolversi, di trasformarsi, gettandosi in qualcosa di assolutamente ignoto, senza una vera ed effettiva possibilità di ritorno. Era così che si sentiva Olympia, intrappolata nella fitta rete di eventi che sembravano ricaderle addosso senza un suo controllo volontario. Prima Rudy, poi Rudy e Tris, poi Fulvio, poi il capodanno organizzato da Tris, il capodanno a cui erano invitati sia Fulvio che Rudy. Era confusa e ingabbiata in qualcosa di enormemente più grande di lei. In balia di ciò che le accadeva. Continuando a farsi scegliere e non scegliendo, effettivamente, mai. Così, dopo aver salutato Lydia, dopo l'ultima ronda dopo cena, la rossa aveva deciso di starsene un po' per conto suo, con il libro che le era stato regalato da suo padre per Natale e il nuovo cd dei Coldplay sparato nelle orecchie. In quei tre mesi in cui aveva esercitato la sua carica di Prefetto, aveva cominciato a conoscere il castello, ad esplorarlo insieme a Tris e Lydia ed è proprio con loro che aveva scoperto quanto fosse meravigliosa la sera trascorsa nella Torre di Astronomia. Quiete, pacifica, solitaria e silenziosa. Tutto ciò di cui aveva bisogno quella sera. E così, alla luce fioca della luna che cercava di entrare indisturbata dalla vetrata finemente adornata di costellazioni, Olympia si perse tra le pagine candide di "Guida galattica per gli autostoppisti". La sua mente cominciò a rilassarsi, grazie alle dolci note iniziali di "Everglow", lasciandosi cullare da quell'incipit suonato al pianoforte. Passarono forse mezz'ora, un'ora, forse due, il tempo corse via velocemente, come ogni cosa nell'ultimo periodo nella vita della rossa. Ma qualcosa sembrò arrestare quella discesa repentina verso l'infinito. Qualcuno. Qualcuno che decise di fare il suo ritorno nella sua vita così come vi era entrato la prima volta. In punta di piedi, un velo sbiadito che era riuscito a sopravvivere al suo passato. Olympia non si accorse subito della sua presenza, troppo concentrata e forse distratta per essere messa di fronte ad una fredda verità come lo era la sua ricomparsa. Un attimo di silenzio tra una canzone e l'altra, un semplice lasso di tempo nel quale la giovane Lancaster si permise di alzare gli occhi dalla pagina 123, per guardarsi intorno. Fino ad incontrare i suoi occhi, scuri nella penombra in cui era immersa la torre. Ma che Olympia sapeva bene essere di un azzurro pallido, quasi grigio. Un fantasma che era riuscito a sfuggire dalla prigionia che era diventata per lei il periodo migliore e peggiore della sua vita, una persona che la ragazza si era lasciata indietro, mentre aveva cominciato a correre in avanti a perdifiato, per paura di essere presa nuovamente dalla voragine di dolore e angoscia dalla quale era riuscita a sfuggire a fatica. Era lì. Ad Hogwarts. In carne ed ossa, impassibile e freddo come Olympia mai avrebbe creduto di poter vedere il suo amico Art. Con le labbra leggermente dischiuse per lo stupore, si tolse le cuffie dalle orecchie, lasciandole ricadere sulle spalle, prima di abbandonare il libro al suo destino, lasciandolo cadere a terra, senza pensarci troppo. Si guardò intorno, domandandosi se quella non fosse soltanto un'altra delle allucinazioni dovute al suo disturbo post traumatico da stress. Ma non ne aveva da quando era uscita dalla quarantena. Non poteva essere una visione. «Art?» La voce le uscì flebile dalla bocca, che in quel momento sembrava terribilmente arsa. Lo stupore era evidente nel suo tono. Non poteva essere, non l'aveva visto arrivare, né smistare, non l'aveva visto durante le sue ronde, né durante i banchetti nella Sala Grande. Non era al Ballo. Allora come poteva essere lì, di fronte a lei? Sei diventata disattenta, Olympia. Fin troppo presa dai te stessa e dai tuoi problemi. Mosse la mano sopra il davanzale della finestra, fino a raccogliere la bacchetta accesa grazie ad un Lumos. Gliela puntò contro, senza troppi convenevoli e se fino a quel momento aveva sperato che non fosse lui, la realtà riuscì a gelarle il sangue nelle vene. Era lui. Lui con tutto il suo risentimento, limpido e ardente nei suoi occhi, per il quale Olympia non poteva assolutamente biasimarlo. Allora fece l'unica cosa che sembrava riuscirle alla perfezione: battere in ritirata, prendere la posizione di difesa e rimanerci fin quando le era possibile. Prima di scappare. «Cosa ci fai qua?» Chiese, controllando l'orologio vintage che portava al polso destro. Erano le 21.53. «Non solo non dovresti gironzolare in giro per il castello, ma non dovresti essere nemmeno fuori dal tuo letto, a quest'ora.» L'inflessibilità delle sue parole non riusciva a far trasparire il profondo senso di disorientamento che stava provando in quel preciso istante. Con un piede a mezz'aria e l'altro ancorato a terra.
  8. .
    Olympia aveva accolto con una certa dose di felicità, ovviamente celata sapientemente bene, l'invito di Tris a passare il capodanno tra donne. Da buona femminista quale era, aveva sempre ricercato la cara vecchia solidarietà femminile e sapeva bene quanto gli ultimi avvenimenti del Ballo del Ceppo fossero andati a minare quella labile condizione di equilibrio che si era andata creando nelle dinamiche che teneva unite le Grifondoro. Sapeva che con ogni probabilità molte erano soltanto turbe che giravano nella sua mente iperattiva, ma valeva la pena raccogliere quell'occasione per cercare di mettere una toppa su tutto. Soprattutto in una notte come quella di Capodanno, considerata dai più LA notte, la notte dove i sogni diventavano realtà, la notte in cui "Quello che fai a Capodanno, lo fai tutto l'anno", la notte carica di aspettative che, puntualmente, non venivano soddisfatte. Perciò si era sentita sicura nell'accettare la proposta della mora. Insomma, la cosa peggiore che potesse accadere, negli scenari futuristici che si andavano figurando nella sua testa, era prendersi una sbronza colossale o il confessare qualche segreto di troppo, grazie all'effetto diabolico dell'alcol. Per il resto, la serata tra donne batteva 10 a 0 una serata comprensiva anche dei ragazzi. Così, con un sorriso che sembrava essere frutto di uno spinello di troppo già in partenza, si era infagottata nel suo cappottino nero, la sua sciarpa lilla che le lasciava scoperti soltanto gli occhi e il cappellino dal fiocco improbabile tirato giù fino alle sopracciglia. Con la tracolla, dal fondo aumentato, sistemata di lato, aveva seguito il gruppetto di ragazze capitanato da Tris fino ad uno degli appartamenti più lerci che avesse mai visto in vita sua. «Annie me lo sento, moriremo in questo tugurio.» Guardò la ragazza al suo fianco con occhi che sembravano lampeggiare un grande e grosso SOS, accorgendosi soltanto in un secondo momento di quello che le aveva appena detto, fin troppo abituata a scherzare sopra la propria fobia. «No, cioè, non volev-... era una battuta» Tagliò corto, prima di ficcarsi energicamente le mani inguantate sempre più a fondo nella tasche del cappotto, mentre un'ondata di misofobia tornò prepotente a pizzicarle la mente al pensiero di essere circondata da roba sudicia e piena di germi. Sarebbe voluta fuggire a gambe levate. Storse appena il naso, mentre cercava di concentrarsi sulle parole delle sue compagne e sperando vivamente di non dover usare la mappa che Tris aveva fornito ad ognuna di loro. Sorrise alle parole di Andrea, trovandosi sicuramente d'accordo con lei sul fatto che sicuramente sarebbe stato un Capodanno diverso. Sicuramente migliore del suo ultimo, perlomeno. «Devo ammettere che un po' in colpa mi sento. Ho passato quasi tutte le feste lontana da casa» Olympia fece spallucce, al ricordo della lettera sovreccitata di sua madre, quando aveva scoperto che non solo sua figlia sarebbe andata ad un ballo, ma che avrebbe trascorso anche il suo primo Natale non in famiglia, il primo Capodanno e che con ogni probabilità non sarebbe tornata proprio a casa per quelle vacanze invernale. «Mia madre ne è stata felicissima, a dir la verità. Credo che l'idea di avere tutta la casa per sé e mio padre..» Non riuscì a concludere la frase, finendo per rabbrividire al pensiero che le aveva attraversato la testa. No, come diceva Andy, meglio non pensare a casa.

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    Tutte intatte, in gruppo e sorridenti erano riuscite ad arrivare ad Inverness. E qui Olympia già si era ritenuta fortunata, non avendo mai viaggiato prima di quel momento con la Metropolvere e immaginando già di ritrovarsi in capo al mondo. Invece no, sembrava filare tutto alla perfezione. Corriere in orario, camminata tra i boschi innevati che riuscì ad innescare in lei, all'istante, un sentimento di pace e tranquillità per poi trovarsi di fronte quella che poteva benissimo essere definita la casa delle case. La bocca leggermente aperta poteva far intuire quanto quella visione paradisiaca avesse sorpreso la rossa. Una baita in legno immersa nel nulla. Ridacchiò alla battuta di Malia, cominciando a pensare che forse Andrea non avesse tutti i torti riguardo quel Capodanno quando le luci, terribilmente accese al primo piano, richiamarono la sua attenzione. Non erano più sole, quello era un dato appurato e più si avvicinavano alla porta, più la confusione che regnava sovrana all'interno si palesava ai loro occhi, grazie alle ampie finestre. E il disastro che c'era all'interno confermarono tutte le sue più recondite paure: no, quello non sarebbe stato una serata per sole donne, dato che la casa era stata infestate da ogni individuo maschile della casa di Grifondoro. Fu in quel momento che, nel pieno caos generale, fatto di zaini tirati qua e là, oggetti volanti che rompevano cose, profumini di cibo vario, Tris che appendeva al muro Frankie, terribilmente e giustamente incazzata, Olympia scelse la via della calma e rilassata filosofia zen. Avendo scorto Eric e in lontananza Cooper, immaginava già chi potesse essere presente a quell'allegro raduno, ma non si scompose. Perché aveva cominciato a camminare sul sentiero illuminato della pace e la temperanza e nulla, proprio nulla poteva metterle i bastoni fra le ruote. Così, mentre il peggio sembrava essere arginato, salutando con un occhiolino Malia che trotterellava via dietro il campione della squadra di Quidditch di cui non ricordava assolutamente il nome, in direzione cucina, e con un sorriso pacifico Andy che chiudeva la fila, poggiò la tracolla a terra, liberandosi di tutti gli indumenti superflui, buttandoli a caso sopra il divano. Si guardò intorno, con le mani sopra i fianchi, cercando di capire da dove volesse cominciare quella serata che aveva tutti i presupposti per finire in catastrofe ma no, lei doveva essere propositiva e non pensarci su troppo. All'istante l'idea le balzò in testa. Fumo, le serviva del fumo. Così, ripescata una sigaretta magica dal fondo della borsa, si portò verso la finestra più vicina, non essendo certa di poter fumare all'interno della casa. Stava per accenderla quando, con un'occhiata veloce al resto della sala, si rese conto di dover socializzare. Quel terribile e oscuro verbo. Non tanto, eh! Giusto un po', quel tanto per non passare per la solita asociale di turno! Con un profondo respiro, si stampò un sorriso sulle labbra. «Ehm, qualcuno vuole cominciare a divertirsi un po'?» Buttò là incerta, portando in bella vista la sigaretta, che era ben stretta fra indice e medio, prima di accenderne il fondo con un colpo di bacchetta. Oh certo, perché quando arriva la Lancaster, arriva il divertimento! Ne prese una boccata generosa, respirando a fondo l'inebriante fumo rado che le punzecchiava piacevolmente le pareti della bocca, prima di fuoriuscire da essa. Fu in quel momento che intercettò un volto conosciuto e con un'allegria decisamente poco da lei, ma tanto dell'Olympia filosofica, si fiondò a salutare Fulvio, con un bacio sulla guancia. «Sono felice che ci sia anche tu!» Si ritrovò a dire, tremendamente sincera a riguardo. «Ne vuoi un tiro?» Accennò, con il sopracciglio inarcato, al tubicino bianco che aveva tra le dita. Stranamente soddisfatta nell'aver fatto una capatina veloce alla sua scorta segreta nella Serra Uno, prima di partire.
    Interagito con: Annie, Malia, Andy, Fulvio.
    Citati: Tris, Eric, Cooper e boh, gente in generale.
    Ha invitato ad unirsi a lei in una bella fumata di erballegra, chi vuole è ben accetto u.u

  9. .
    Nella sua lista di pensierini ce n'era uno tutto per lui. Ci aveva pensato un po' su, domandandosi se un regalo potesse effettivamente essere frainteso, ma Olympia sentiva il bisogno di fargli un pensiero, un qualcosa che gli ricordasse, costantemente, quanto le fosse grata per tutto quello che faceva per lei. Soprattutto inconsapevolmente. Così aveva riposto il piccolo pacchetto sotto l'albero di Natale della Sala Comune di Grifondoro, scrivendo velocemente il nome di Felix sul retro del bigliettino.

    CITAZIONE
    So che può sembrare cretino e forse in realtà è davvero così, ma mi andava di farlo. Perciò ehi, Buon Natale Felix e non so se te l'ho mai detto, ma grazie ancora per l'invito. E' stato un pensiero davvero...carino e, anche se ti sto scrivendo questo biglietto prima che il Ballo sia avvenuto effettivamente, sono felice di aver condiviso questo momento importante con te.
    Un bacio,
    Olympia.

    Il regalo contiene una copia della prima edizione del fumetto di Star Wars. All'ultimo momento è stata aggiunta un'istantanea di loro due al ballo.

  10. .
    L'aveva lasciato per ultimo quel regalo. Quello per Rudy. Era stata indecisa fino all'ultimo se impacchettarlo o meno. Poi si era convinta, tutto sommato, ripetendosi che se non glielo avesse consegnato, lei di quel regalo non sapeva che farsene. E non aveva senso sprecarlo così. Sospirando, si era detta che potesse essere un ottimo modo per scrollarsi via di dosso quel senso d'ansia che provava costantemente da giorni. Una sorta di espiazione, forse. Così aveva riposto il pacchetto sotto l'albero nella Sala Comune Grifondoro, troppo confusa per darglielo effettivamente di persona. Ma era meglio così. Il bigliettino che penzolava dal fiocchetto riportava il suo nome e poche righe in una fluente scrittura corsiva.

    CITAZIONE
    Sei un giocatore o un osservatore, Rudy? Ti sfido a scoprirlo.
    Buon Natale,
    Olympia.

    Il pacchetto contiene una prima copia originale de "La fabbrica di cioccolato".

  11. .
    A Olympia metteva ansia fare i regali di Natale perché sapeva di non azzeccare mai quello perfetto. Era sempre stato così, una costante immutata nella sua vita: non ne era capace. Per questo solitamente non ne faceva. Quell'anno però qualcosa era cambiato in lei. Aveva sentito letteralmente il bisogno di fare anche un piccolo pensiero alle persone che più le erano state vicine nell'ultimo periodo. Perciò si era data alle compere nei vari negozietti di Hogsmeade, in un fine settimana piuttosto rigido. E quello che non era riuscita a trovare lì, se lo era fatto mandare da sua madre, ritrovando così una sorta di equilibro anche con lei. Ed era piacevolmente felice mentre posizionava i vari pacchetti sotto l'abete finemente decorato della Sala Comune Grifondoro. Ognuno con il proprio bigliettino sopra, pronti per essere scartati durante la mattina di Natale e in cuor suo, Olympia sperava di essere riuscita a centrare almeno alcuni di quei regali. Uno in particolar modo.

    CITAZIONE
    Partendo dal presupposto che la primissima idea era quella di regalarti un libro approfondito sulla storia, l'etimologia e gli usi di tutte le piante magiche conosciute, credo proprio di aver fatto qualche passetto in avanti. E sai bene che non sono brava con i fatti, non sono brava a dimostrare le cose, ma ci tenevo tanto che tu sapessi quanto sia stata importante per me la tua presenza e la tua amicizia negli ultimi mesi. Magari non è partita esattamente nei migliori dei modi tra di noi, ma sei stata un punto fisso per me. E certe cose non possono essere dimenticate. Buon Natale, Malia.
    Con affetto (ma non troppo),
    Olympia.

    Il pacco, quando viene scartato, rivela un bauletto in legno chiaro sul quale è incisa a lettere cubitali la scritta "Kit di manutenzione per Manici di Scopa", contenente il lucidante, un paio di forbici dorate per tenere sempre in ordine la coda della scopa, il manuale con tutte le spiegazioni sul come prendersi cura della propria scopa e un'adorabile bussola d'attaccare sul manico per i lunghi viaggi.

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    Sono io e Sam è sempre presente, così tanto per dire u.u
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    Ma sei Sara, quella Sara? Sono Mery, non so se ti ricordi! Sono così contenta di rivederti in giro :yuppy: benvenuta!
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    Benvenutissima cara e lasciati dire che questo avatar aggiornato è meraviglioso! Kurt :oci:
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    La cosa estremamente divertente di tutta quell'intera situazione era che Olympia mai si sarebbe aspettata che Rudy avesse dei poteri magici. Certo, nel breve periodo in cui erano, diciamo, fidanzati, c'erano stati piccoli incidenti che avrebbero potuto far intuire alla rossa la vera natura del ragazzo, eppure non le era mai passato per la testa. Era sempre stata così attenta a non mischiare quel lato magico di sé con la sua vita vera da non essersi mai chiesta quanto in realtà i maghi si fossero mescolati tra i babbani. Lei stessa lo aveva fatto per diciassette anni, con non poche difficoltà, in tutta franchezza. Aveva volutamente represso quella sua parte di sé, che ora riusciva ad apparire così preziosa e speciale ai suoi occhi. Si era convinta per anni che lei della magia non ne aveva assolutissimamente bisogno, forse, inconsciamente, perché sapeva che la magia che le scorreva nelle vene era l'unico filo che la teneva ancora legata ai suoi genitori biologici. Coloro che non avevano mai voluto, fino in fondo, né lei, né tanto meno sua sorella. E così aveva continuato, con il capo chino, ad andare per la sua strada, senza farsi mai intimidire o convincere dalle parole dei suoi genitori, ritrovandosi alla fine con un pugno di mosche e senza un vero senso a quella sua vita già pianificata, pezzo dopo pezzo, fin da quando aveva cinque anni. Perché lei sapeva già. Lei sarebbe diventata una famosa violinista, avrebbe girato il mondo insieme al suo fidato strumento e sarebbe vissuta di musica. Ma così non era andata. Il suo castello di carte era crollato al primo uragano violento che vi si era abbattuto, lasciandola con un quaderno bianco in mano, tutto da riscrivere. Minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno.
    Rudy, il Rudy che si ritrovava di fronte faceva parte di quel castello che aveva ceduto malamente. Era un dolce ricordo di quella vita che non le apparteneva più e di cui faceva anche fatica a riconoscerne i dettagli, riuscendo a trarre dalla sua memoria, ripetutamente messa a dura prova, frammenti più o meno vividi. Dai lembi che però sembravano non combaciare più tanto bene tra di loro. Lui però non l'aveva dimenticato, non avrebbe potuto farlo. Il primo fidanzato, la prima vera cotta è difficile da obliare. Rimane sempre con noi, nel cassetto delle cose belle, quelle luccicanti, che riescono sempre a scaldare un po' il cuore, al solo pensiero, nell'antro dove si ripongono i sorrisi felici, le urla esultanti sotto l'albero di Natale allo scartare del regalo che si desiderava tanto, i baci rubati, le labbra leggermente salate dalle lacrime di gioia, gli abbracci protettivi di una sorella e l'amore nello sguardo di un genitore. Rudy si trovava lì e vi era entrato senza chiedere permesso perché Olympia gli aveva lasciato volutamente aperta la porta e si era abbandonata ai quei mesi sorridenti, fatti di promesse sussurrate, sogni scintillanti per il futuro e due enormi occhi smeraldini, tanto simili ai suoi. Per questo, rivederlo nei corridoi, nelle aule, nella Sala Comune, era stato piacevole per lei. Era stato come recuperare un qualcosa di perduto, un piccolo attimo di felicità del passato che aveva pensato di non poter rivivere più. Lei era cambiata, enormemente, non era più la stessa persona di quando aveva baciato Rudy in quella tavola calda dal dubbio gusto. Era certa che nemmeno lui era più lo stesso ragazzo di quel tempo. I cambiamenti fisici erano già più che evidenti, non mancò di constatare con sua enorme sorpresa. Eppure il semplice rivederlo e sentirlo parlare le era bastato a ricordare quel momento congelato nel tempo e questo l'aveva resa felice. Dopo tanto.
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    « No, per favore.. O credo che i miei compagni di stanza potrebbero appendermi alla torre Grifondoro per le mutande...Che in realtà non so neanche dove sono..» Riuscì a trattenere una risata a stento. Almeno in quello non era affatto cambiato. Impacciato e casinista come al solito. Si abbassò a raccogliere il suo quaderno dei disegni, sparso per tutto il pavimento del bagno, sbirciando un po' in giro, alla ricerca di quel paio di mutande di cui Rudy era evidentemente sprovvisto, al momento. Si sentì avvampare all'istante all'idea di ciò che era successo pochi istanti prima, ma scrollò la testa. Non poteva mandare certi segnali equivoci. Doveva essere ferrea, risoluta e intransigente come le diceva sempre Tris. E come non sei mai, puntualmente! «Non lo farebbero soltanto i tuoi compagni, credimi. Non possiamo concederci alcuno sbaglio, siamo alle calcagna dei Serpeverde per la Coppa delle Case e non possiamo perdere punti preziosi per un bagnetto in notturna.» Raccolto l'ultimo dei fogli e riposto dentro la copertina, distese nuovamente le gambe, tornando in piedi. «E no, se te lo stai domandando, non ti esporrò al rischio di essere sbandierato fuori dalla nostra torre. Mi sento stranamente clemente Una risata cristallina fiorì sulle sue labbra rosee, facendole rigonfiare appena le guance. Stretto il quaderno al petto, rimase in attesa di una risposta. Non l'avrebbe punito, per il bene della Casa. Si certo, Olympia, raccontatene un'altra! Non lo fai solo perché vuoi sapere. E forse era vero, il suo lato curioso, quello che pian piano si stava risvegliando da mesi di torpore, voleva sapere. Scosse la testa, al suo tentativo di tergiversare, indirizzando il discorso su Mirtilla Malcontenta. Aspettò nuovamente, venendo investita da una raffica confusa e assai imbarazzante di parole sconnesse. Toh, non sei felice? Ne hai trovato un altro peggio di te a parole. Son soddisfazioni queste! Si trattenne, anche quella volta, non volendolo mettere più in imbarazzo di quanto non fosse già. Il suo viso faceva pendant con il rosso accesso dei capelli e Olympia si sentì costretta a distogliere lo sguardo, giusto per dargli qualche minuto. Sapeva di giocare in vantaggio, lei asciutta e pure spillata, lui nudo come sua madre l'aveva fatto, colto in flagrante e pure imbarazzato. Avrebbe voluto affondare ulteriormente il coltello nella ferita ma si impose di non farlo. Non in quel momento, perlomeno. Poi le parole cominciarono a fluire più libere e disinvolte e la rossa sentì gli angoli delle proprie labbra incurvarsi, senza poterci fare nulla. La lusingavano. «Tecnicamente è stata la Preside e io mi sto ancora chiedendo il perché di questa scelta. Ma grazie lo stesso» ribatté, inclinando appena la testa di lato. Arrivò quindi la parte pesante, quella che non avevano mai affrontato, quella che sembrava così distante ormai, agli occhi cangianti di Olympia, ma che Rudy le aveva prepotentemente riportato all'attenzione. Perché si erano lasciati? Quello era stato un quesito che l'aveva tenuta sveglia non poche notti, mentre si rigirava nel letto un'ultima volta ancora, dopo aver controllato lo schermo del cellulare. Dove la notifica di un suo messaggio non compariva mai. Era scomparso, da un giorno all'altro. Molti dicevano che era stato espulso, molti dicevano che la sua famiglia si era trasferita in America, altri ancora lo davano per morto. Lei non era mai riuscita ad arrivare ad una conclusione. Più ci aveva riflettuto, più non era riuscita a capire e così, pian piano, aveva smesso di pensare. Scrollò quindi il capo, facendogli un cenno della mano, come a dirgli di non preoccuparsi. Era acqua passata. Stava per ribattere che certo, magari un messaggio o una chiamata i primi giorni se l'era anche aspettata, ma una valanga di acqua la invase, cogliendola del tutto impreparata. «Ommio-» riuscì a dire, prima che il quaderno le cadesse di nuovo dalla mano e lei sospirasse, a braccia aperte, completamente zuppa, da capo a piedi. Scrollò le mani a mezz'aria, ispezionando la divisa, per esaminare i danni. Alcuni filamenti ramati e fradici le si appiccicarono alla fronte, costringendola a spostarli con una manata decisa. Oh bene, finalmente sei bagnata pure tu..come lui! Dopo alcuni attimi di silenzio, il suo sguardo si puntò in quello di lui. «Sto seriamente rivalutando la mia decisione» rispose, togliendosi il golfino e strizzandolo con le mani. Una cascata d'acqua ricadde dentro la vasca. Non aveva con sé la bacchetta e non poteva sperare di asciugarsi magicamente. «In questo momento ti appenderei io stessa alla torre di Grifondoro. Senza mutande però.» Le parole uscirono di bocca tutte d'un fiato, lasciandola piacevolmente sorpresa della battuta che era riuscita a fare così, con nonchalance, senza arrossire nemmeno un po'. Passi avanti, enormi passi avanti. Frizionati un po' anche i capelli, decise di revisionare il proprio quaderno. Quasi completamente bagnato. Tranne qualche pagina alla fine. Scosse la testa, leggermente amareggiata. Quella era la sua serata disegni e pensieri e si era trasformata in peni al vento e bombe d'acqua. Una serata diversa, come quelle che aveva spesso passato con Rudy, giocando a Nerve, a dire il vero. Quel pensiero la fece sorridere, nuovamente, mentre si appoggiava con le spalle al muro. Rimuginò sulle parole da usare per quegli interrogativi che aveva persistenti nella testa, da quando Rudy aveva parlato. «Quindi, insomma..» cominciò poco convinta, mentre scivolava lungo la parete, fortunatamente, calda, fino a sedersi sul pavimento. «Al tempo sapevi già di essere magico Chiese infine, portandosi una mano a districare i capelli che, impregnati d'acqua, sembravano leggermente più scuri. «E soprattutto: che fine hai fatto? Dove sei stato tutto questo tempo?» Perché non mi hai più chiamata, idiota che non sei altro? Si lasciò andare completamente, non sapendo se poteva ancora permettersi quella confidenza con lui. Non ne era certa ma lo sperava davvero.


    Edited by ¬ sense8. - 17/12/2016, 00:27
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