Posts written by ´kenzie

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    All'improvviso sembriamo viaggiare su due frequenze diverse. Mi spaventa. Discutere è normale, affrontare incomprensioni lo è altrettanto, ma quando sono dei veri e propri muri a palesarsi davanti agli occhi dell'uno o dell'altra, le cose si complicano inesorabilmente. C'è un miscuglio di informazioni che svolazza tra noi, spostando l'attenzione ora su un punto, ora sull'altro. E per quanto le sue scuse mi appaiano sincere, non sono ciò di cui ho bisogno. Non del tutto. Non voglio si senta in colpa, neanche che si senta costretto a parlarmi di cose che lo mettono evidentemente a disagio. Mi chiedo solo però dove sia la reciprocità. Perché Jace dovrebbe caricarsi della responsabilità di sostenermi se io non posso agire allo stesso modo nei suoi riguardi? "Se riuscissi a farlo unicamente per me e non per le persone che amo, non mi sarei neanche ammalata, Jace." Un punto immaturo, ma reale. E' questa la differenza tra noi. Ho perso la capacità di mentirgli nel momento in cui è scattata quella scintilla di fiducia che dubito lui riponga in me. Anche se le sue parole cercano di lasciarmi intuire tutt'altro, il mio punto di vista non riesce a cambiare. Non può impedirmi di sentirmi ferita. Non può comandare il timore di un rifiuto che comincia a bruciare con più prepotenza nel mio petto adesso. Basta davvero poco perché i miei progressi vadano in fumo; questo è un aspetto a cui forse nessuno dei due ha ricordato di pensare.
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    "Le tue ferite sono niente? Da quando? Perché?" Paradossalmente mi ferisce anche di più l'idea i miei problemi abbiano sovrastato i suoi. Se un piccolo angolo della mia anima se ne sente lusingato, per il resto non riesco a non rimanere schiacciata dall'idea di aver trovato l'ennesima persona che mi guarda con occhi compassionevoli, che giorno dopo giorno spera di vedere quel dannato ago della bilancia indicare un numerino più alto, più vicino alla vita. Le certezze riposte in quel ragazzo qualsiasi fermo dinanzi alla vetrina di un negozietto di Hogsmeade che ha posato gli occhi sul mio viso e non sui miei polsi ossuti, vacillano mandandomi allo sbaraglio. Azzerando la mia razionalità. "Diamine, sono solo una malata da proteggere per te? Mi stai dando della debole o cosa?" Sono più che certa non sia così. Non del tutto, almeno. In questo momento però è questa l'unica immagine chiara palesatasi alla mia mente. E da questa non riesco a tenere a bada il flusso di spaventose idee che sfugge prepotentemente dalle mie labbra l'attimo dopo. "A me sei piaciuto perché mi vedevi come una persona, non come uno scheletro pronto a crollare da un momento all'altro." Mi espongo, di nuovo. Pongo forse tra le sue mani troppa vulnerabilità. Perdo il controllo. E quando succede, non è mai un buon segno per me. "E le persone aiutano le altre persone, Jace. Non sono un peso da sorreggere, ok?" Mi alzo quindi all'improvviso, non rendendomi conto di quanto mi stia stringendo all'interno del cappotto. Improvvisamente sembra così stretto. Io mi sento ingombrante, di troppo in questa situazione. Di troppo nella sua vita, persino nella mia. "Forse è inutile parlarne, avrei dovuto tenere la bocca cucita." Avrei dovuto soffocare quel "ti amo" tra un sospiro e l'altro, godermi il momento e non pensare a nulla. Avrei dovuto rendere invisibili i miei sentimenti, piuttosto che soccombere adesso alla necessità di diventare io stessa invisibile. Di sparire, come tento di fare mentre raccolgo le mie cose per allontanarmi da Jace.
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    "No, perché dovrebbe? Le serre sono più sicure del cortile." Ridacchio appena al suo scetticismo, quasi incredula nel vederlo tanto contrariato ad una prospettiva simile. Continuerei ad indagare su questo, così come credo che lui stesso farebbe, ma la necessità di intraprendere un altro tipo di discorso si fa impellente. Satura dell'attesa cui mi ha sottoposta, ho forse per la prima volta usato il pugno di ferro con lui. Gentile e pacata l'ho invitato in modo deciso a parlarmi di lui, della sua situazione, di ciò che prova. Eppure ciò che ne viene fuori è assai diverso da ciò che immaginavo. Speravo in una conversazione pacata, un confronto che potesse metterlo a suo agio sebbene basato su concetti che sembrano spaventarlo parecchio. Un po' come tutte le volte che abbiamo affrontato la mia malattia. Davanti a me non vedo però gli occhi sinceri di un ragazzo pronto ad aprirsi. E' un muro quello contro cui sbatto, un blocco che si riversa su di me in maniera del tutto inaspettata. "Guarda che non ti sto obbligando a dirlo, sto solo cercando di capire." Forse però risuonano come parole mute o le sue orecchie sono sorde, dinanzi ad una mente già trasportata da una marea di sentimenti che non capisco. Di problemi che non conosco. E di tutte le parole che mi vomita addosso, è solo un dettaglio a rendere le cose appena più chiare. Non abbastanza però. Accenna ad un divorzio, quello dei suoi genitori. Mi rende partecipe di un blocco che deve trattenere in sé molte più difficoltà di quante se ne vedano in superficie. Ed il suo modo di tergiversare e prendere tutto con finta leggerezza è probabilmente solo un modo per proteggersi. Uno diverso dal mio, ma non per questo indice di un dolore minore. Mi sta bene, sarei stata pronta a fare di quella confessione un tesoro da custodire. Se solo me ne avesse parlato in modo diverso però sarebbe più facile da assimilare. Averlo dovuto costringere ed essere rimasta inerme dinanzi ad una scarica di repressione senza potervi partecipare non mi aiuta, stavolta, a mantenere la calma come solitamente farei. Stufa ed un po' offesa dalle sue insinuazioni, mi è difficile non lasciarmi cogliere dal fastidio ormai evidente sul mio viso.
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    "No Jace, io rispetto i tuoi tempi e le tue idee, ma credo anche di meritare una spiegazione. E non in questi termini." Confesso dunque, stringendomi a mia volta nelle spalle curve ed appena chine, le braccia conserte a proteggermi dal freddo ed impegnarsi per non torturarsi tra loro nel nervosismo provato. "Ho i miei problemi anch'io, ma sto cercando di superarli per te e con te." Gli rivelo le motivazioni del mio cruccio, sperando riesca a capire, per una volta, quale sia il punto. Forse su questo non siamo ancora riusciti a comunicare come speravo. Non è facile da digerire. "Non posso fidarmi a spada tratta di te se tu non ti fidi abbastanza di me da parlarmene." E' il punto focale dei miei problemi. La fiducia, che sia reciproca soprattutto. Non affiderei il mio dolore nelle mani di chiunque e dover fare i conti con la consapevolezza lui non sia pronto a fare lo stesso con me è più dura di quanto potessi immaginare. Credevo di poter essere normale. Una ragazza, non più una malattia. Ma Jace non fa altro che curarmi, salvarmi, non permettendomi di potermi prendere allo stesso modo cura di lui e del suo cuore. "Ci penso già abbastanza da sola a non fidarmi di me stessa." Distolgo ora lo sguardo dal suo, rimasto lontano e volto altrove per tutto questo tempo. L'ho ricercato, forse illudendomi di poter ricevere l'ascolto di cui ho bisogno. Ma non mi sento così, adesso. Tutto ciò che è venuto fuori dalla mia bocca, non è che un insieme cavo e privo di importanza.
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    Cerco sin dall'inizio di adattarmi ai suoi modi tipicamente buffi - tipicamente Jace - ma diventa sempre più complicato. E' come se riconoscessi la codardia dei suoi gesti, il continuo tergiversare pur di non arrivare dritto verso il bersaglio cui cerco di scoccare la mia freccia. Elude la realtà di cui ho bisogno, quelle informazioni che ho necessità di conoscere e non perché mi diverta metterlo sotto pressione, ma perché è il suo di silenzio ad agitare me e le mie certezze. Ho costruito tanto con lui, solide verità che mi hanno aiutata a stare meglio, pur non caricandolo della responsabilità che il mio inconscio deve avergli inevitabilmente affibbiato. Non dare peso ad una sua mancanza mi è andato bene all'inizio. Procediamo però in un cammino di omissioni che grava sulla mia mente traballante. Ho nuove cose in ballo, nuovi numeri che si affacciano oltre la bilancia e le etichette dei vestiti e sempre più sostanza che scivola giù per la mia gola senza venirne fuori. Non è mai facile come sembra dall'esterno. Forse, in qualche modo, anche Jace sta sottovalutando la natura dei miei progressi, non perché batta la fiacca. Da fuori però sarebbe impossibile a chiunque comprendere la complessità di cambiamenti tanto repentini. "Deve proprio esserlo! E' un peccato non poterci andare." Incalzo alle sue supposizioni sull'area dedicata alla Magizoologia, senz'altro un punto dell'Accademia che stuzzicherebbe particolarmente il mio interesse. Ho più volte pensato potesse essere quella la mia strada, se solo fossi stata abbastanza forte da scegliermi un obbiettivo e proseguire fino alla fine per ottenerlo. I miei problemi, le mie preoccupazioni, le ansie e le debolezze hanno sempre escluso dalle mie possibilità quel genere di percorso. Ora mi sento indietro, ma troppo avanti per poter ricominciare da capo. Per scegliere senza che quella stronza mi comandi. Anche questo si somma ai demoni con cui mi tocca combattere sul mio percorso di guarigione.
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    "Va molto bene. I ragazzi ci si rifugiano per fumare qualche canna..." Confesso, sorridendo furbamente ed abbassando il tono di voce, come proteggessi il mio lavoro e la mia autorevolezza. "...ed io glielo lascio fare." Con il dito premuto sulle labbra sorridenti, gli intimo il mantenimento del mio piccolo segreto. Uno su cui non mi dilungo perché, ancora una volta, non è questo ciò di cui mi interessa parlare. Non adesso. "Jace, Jace... Jace!" Richiamo la sua attenzione, faticando ad interromperlo durante l'ennesimo sproloquio cui si dedica. Sono sempre disposta ad ascoltarlo. Adoro farlo. Adesso però ho bisogno che sia lui ad ascoltare me, le mie esigenze e le richieste che non posso più rivolgergli in modo tanto velato ed indiretto. "Ti ho chiesto di parlare e credo tu sappia che cosa intendessi." Continuo a dimostrarmi paziente e comprensiva. Afferro le sue mani, stringendole con fare confortante tra le mie, mentre i miei occhi gli implorano tutte le spiegazioni di cui ho dannatamente bisogno. "Possiamo farlo adesso, per favore? Mi parli di quel "perché" che mi hai promesso?"
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    "Sorpresa!" A braccia larghe e con modi un po' infantili, raggiungo Jace fiondandomi dritta contro il suo petto. "Mi mancavi ed ero certa di trovarti qui, perciò ho pensato... perché non venirti a trovare?" Sorrido in risposta al suo sguardo incredulo ed ancora confuso per la mia presenza al campus accademico, un bel posto in apparenza simile ad una fortezza invalicabile, cui però con i giusti mezzi e permessi è possibile accedere senza troppa fatica. La mia presenza qui non è un caso. So cosa mi abbia spinta a piombarvi all'improvviso, a fare qualcosa per lui che potesse farlo sentire bene e che potesse ricordargli di quanto affetto... amore, io provi nei suoi confronti. Quella parolina è un altro tassello dubbioso che va sommandosi a quegli interrogativi da cui ultimamente sento di starmi lasciando soggiogare. Sono qui per mascherare il mio disagio. A lui, a me stessa. L'ennesimo sguardo attento allo specchio ha riacceso la fiammella di paranoie che credevo ormai assopitesi del tutto. Lo stringersi dei vestiti attorno alla mia pelle traboccante di una salute che vorrei desiderare come dovrei, ha instillato tarli dubbiosi nella mia mente provata. Perché non riesco ad essere felice? Perché la vita paga solo e soltanto di sofferenza gratuita? Stop.
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    Metto in pausa le elucubrazioni negative. Zittisco le paure che prendono forma dentro me, pronte ad appropriarsi persino dei suoi silenzi. Gli ho promesso comprensione e pazienza e voglio tener fede alla parola data. "Dai, fammi fare un giro qui intorno." Sono però settimane che - complici i cambiamenti sempre più evidenti che stanno avvenendo in me e nel mio corpo - rimando spiegazioni che Jace mi ha a sua volta promesso. Prima di oltrepassare il limite, quel baratro spaventoso da cui è impossibile tornare indietro, mi è necessario agire. Afferro quindi la sua mano e dopo aver posato un bacio affettuoso sulle sue labbra, torno coi piedi ben saldi a terra, trascinandolo verso uno dei cortili eleganti che ci circondano. "Così parliamo un po', ti va?" Non mi è chiaro di chi, né di cosa. Di me. Di lui. Sento solo il bisogno di un confronto e la voglia impellente di mettere a tacere alcune delle fastidiose voci che martellano incessantemente le pareti della mia mente.
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    La naturalezza con cui ci catapultiamo in quella prospettiva tutta nuova mi rilassa, sciogliendo gran parte della tensione che ancora permea le braccia rigide, i fianchi appena più pronunciati e coperti di brividi infreddoliti, le gambe tentennanti nell'incastrarsi tra quelle di Jace in principio. La paura a braccare i miei arti come la mia serenità, scemata poco a poco sotto le premure, i tocchi, i sussurri e gli sguardi dolci del ragazzo. Respirare sotto di lui è semplice. Adeguarmi ai suoi ritmi ed alle richieste scandite dai suoi sospiri spontaneo. E' solo un principio dubbioso ad interrompere l'intercorrere dei nostri frementi desideri. L'avanzata di un attimo interrogativo che sosta tra noi per pochi secondi, a seguito delle mie parole. Solo adesso riaffiorano alcuni dei miei timori, l'ansia di un rifiuto a stritolare le mie certezze in una morsa soffocare, mentre gli occhi attenti e vagamente allarmati ricercano lo sguardo assente di Jace, ritrovandolo dopo pochi attimi nel suo risorgere oltre il petto su cui ha sostato sino ad ora. Di nuovo, tra i tentennamenti della sua voce e l'attesa di un ignoto che mi spaventa, sento il mio equilibrio vacillare. In bilico tra ciò che ci ha legati sino ad ora e la consapevolezza di aver mandato tutto a monte, il cuore mi martella nel petto, urlando la propria preoccupazione. Ancora una volta, il biondo riesce incredibilmente a smentire ciascuna delle voci tetre ed opprimenti che sussurrano alla mia insicurezza insulti ed inadeguatezza. Le mie labbra si distendono gradualmente, giungendo sino ad un sorriso flebile, comprensivo e rassicurato quanto rassicurante al contempo. Le dita affusolate tornano ad arrotolarsi tra i fili dorati dei suoi capelli, lo sguardo affettuoso si tuffa senza paura nelle sue iridi cristalline. "Non te l'ho detto per sentirmelo dire indietro." Confesso in tutta sincerità, trasponendo le mie sensazioni in poche e semplici parole. Nessun ghirigoro di scusanti ad adornarle, né giustificazioni che salvino all'improvviso un imbarazzo che non sento sia venuto a crearsi. Perché mi sta bene. Perché non sono quelle tre sillabe a dettare la premura incastrata nei suoi occhi ogni volta che si posano su di me, né nelle braccia che mi cingono in strette protettive e consolatorie. L'amore è più di due parole. In questo stato di serenità assoluta, nel pieno della fiducia che ho lasciato tra le sue mani, non ho difficoltà a crederci. "Hai aspettato me... e adesso sarò io ad aspettarti." Aspettarlo. Rispettarlo. Vanno di pari passo in questo contesto. Lo fanno tra noi. E sento che nulla possa cambiarlo, perché è l'unico elemento che è riuscito a guidarci fino a questo punto. E me ne sento felice. Grata.
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    Abbastanza da accondiscendere alla sua ultima richiesta, un accenno di risata a farsi largo oltre il mio volto nuovamente luminoso, seguito da un bacio tenero con cui staglio l'ultimo istante di dialogo prima di tornare al passo tanto atteso quanto importante. "Lo voglio anch'io." Parole pregne di chiarezza, della promessa di aver compreso le sue esigenze ed essere d'accordo con esse. E' il dono più grande che posso fargli, quello della fiducia. Ed ancora mi impongo di renderglielo palese, per mantenere l'armonia che ci ha legati sino ad ora ed aiutare me stessa a porre l'attenzione su ciò che conta davvero, su dimostrazioni d'altro tipo che la voce non è sempre pronta a pronunciare. Sugello la mia parola con nuovi baci, carichi della passione precedente, lasciandomi guidare dalle sensazioni fisiche che Jace è riuscito a risvegliare. Quelle legate al cuore, ma soprattutto alla mente pronta a lasciarsi andare del tutto. I percorsi languidi delle mie mani proseguono dai suoi capelli al collo, la schiena, infine le spalle a cui mi aggrappo come fossero l'ancora di cui ho bisogno. Cingendo il suo bacino con i fianchi, sospiro al suo collo, vittima dei miei baci e sospiri, la voglia di andare avanti. Di averlo. E di diventare sua, anche solo per qualche minuto.
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    Scorre tutto limpidamente, fermi nel posto giusto, al momento giusto. Insieme. Un dettaglio che si tende a volte a dare per scontato, ma che per me non lo è per niente. Non lo è mai stato. Ho scavato poco a poco nelle intenzioni di Jace, ricavandone attimo dopo attimo sempre più affetto, premura, assenza di giudizio. Un compagno che mi stesse vicino, senza mai forzarmi verso l'uno o l'altro polo. Il desiderio di vedermi stare bene fermo nei suoi occhi come una costante che mi cullasse in una realtà bellissima, che per una volta non si rivelasse una mera illusione. Ci ho messo un po' a capirlo, ma sono riuscita a perseverare. E adesso, col successo dei miei progressi a riempire la stanza di luce e ad avvolgerci in un abbraccio che entrambi abbiamo meritato, riesco a lasciarmi andare, le mie mani sul suo viso, le sue sul mio corpo. Rabbrividisco appena sotto il suo tocco, una parte di freddo, l'altra di eccitazione. Una ricorrenza che non attraversava più la mia schiena da anni, che rifiorisce in un mix di emozioni bellissime da un terreno rimasto arido per troppo tempo, annaffiato dalla dolcezza del ragazzo che, ancora, dà prova di una tenerezza che mi tiene al sicuro. La paura scompare, mentre le sue parole ed i suoi baci mi raggiungono. "Davvero." Ribadisco tra un bacio e l'altro, lasciandomi guidare sul letto e sovrastare da lui. Sono sorrisi che uno dietro l'altro mi illuminano il volto a sopraggiungere, carezzando i suoi occhi come le mie mani fanno con le sue guance, poi le spalle e la schiena, private della maglia lanciata sul pavimento. Sembriamo riscoprirci insieme. Non è più un percorso unilaterale quello che ci accingiamo a compiere. Non sono io a badare alle sue esigenze, impedendogli di dedicarsi a me a sua volta. Lo facciamo insieme, finalmente, come dev'essere. Collaboriamo e mettiamo su una delle sinfonie più dolci di tutte, velata di supporto e comprensione.
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    Qualcosa di cui entrambi abbiamo bisogno. E non mi spaventa il percorso che le sue labbra compiono sulla mia pelle, dai lembi più scarni agli angoli riempitisi di vita. Il batticuore che avverto racconta un'emozione crescente, la felicità ed il desiderio di andare a fondo risvegliatosi da un sonno profondo ed eccessivamente lungo. Alla sua domanda, il volto ancora intenerito, il corpo scosso da altri brividi, annuisco con delicata decisione. "Mh-mh." Ribadisco in un mugugno timido, lasciandolo trafficare coi bottoni e la cerniera dei miei pantaloni, imitandolo mentre le mie labbra ricercano ancora le sue, fiondandosi poi sulle sue guance, sul collo, sulle spalle e di nuovo sulla mascella. Un misto d'eccitazione e tenerezza che ci guida sino al reciproco spogliarci degli indumenti rimasti. Lo imito, lasciando scivolare le dita sui suoi pantaloni ed attendendo se ne sbarazzi del tutto. E lo guido poi, con altrettanta leggerezza, sino al gancio del mio reggiseno. Lascio che sia lui ad occuparsene, ad assaporare di questo momento ogni particolare, con la lentezza giusta per procedere con cura ed attenzione, come Jace merita. Passo dopo passo, ci liberiamo vicendevolmente di ogni tessuto che ci ricopre. E sotto la certezza di quei gesti, l'affetto di quei baci e la protezione dei suoi tocchi, tra un sospiro e l'altro mossi dalla frenesia di questi istanti, esordisco in una realtà che mi è ormai estremamente chiara e che trattenere sarebbe superfluo. "Ti amo." E voglio che lui lo sappia, nonostante il timore che una confessione tanto intima possa mandarlo allo sbaraglio. Magari non è pronto a condividere qualcosa del genere... ma se lo fosse? Se questo fosse esattamente il momento giusto per aprirgli questa gigantesca porta della mia anima?
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    "Cosa? Davvero?" Si vestono di sorpresa ed incredulità i miei occhi non appena investono il sacchetto che la ragazza mi ha porto. Un misto di imbarazzo e lusinga vi si somma, con un pizzico di senso di colpa per non aver provveduto - almeno per il momento - a rivolgerle lo stesso pensiero che lei ha avuto per me. Potrei colpevolizzare tante cose, prima tra tutte l'invasività di quel loop di pensieri ridondanti che mi terrorizzano, istigando i miei silenzi ed il panico che celo sotto sorrisi di circostanza. Non dimezzerebbe comunque la mia mancanza, a cui spero di poter presto porre rimedio, mentre timidamente sollevo il contenuto della busta. Un ampio maglione rosso, ricco di dettagli bianchi natalizi ed adorabili. Non potrei desiderare di meglio, soprattutto considerata la forma e la grandezza dell'indumento. Margot pare conoscermi bene... o a sufficienza, direi. Ma in fondo un po' tutte sappiamo bene cosa si provi nei confronti dei vestiti. "Wow! E' così bello! Non dovevi!" Farfuglio esaltata, quasi dimenticandomi dei miei problemi e delle mie paure mentre saltello gioiosamente per il dono ricevuto. "Aspettami." Le dico al volo, sgattaiolando verso il bagno non così distante da noi. Avrei potuto farlo davanti a lei... ma non ne avevo il coraggio. Così mi libero della giacca e del maglione che indosso, per mettere sugli strati di magliette e canottiere sottostanti il mio splendido regalo di natale. Esco soddisfatta, sbracciandomi con foga e raggiungendo di nuovo la francese per intrappolarla in un abbraccio sentito, uno sicuro visto lo spessore che divide il mio corpo dal suo. "Lo adoro! Grazie, grazie, grazie! Wow, prometto che ricambierò!" Esordisco nuovamente, ancora in preda ad una gioia che tarda ad affievolirsi. Eppure niente sembra essere mai sufficiente. Per quanto la felicità resti incastrata nella mia anima e nella mia mente attualmente distratta, tornano a bussare in un batter d'occhio tutti i timori protagonisti di questo periodo tremendo. Passeggiando per il cortile della struttura, si fanno sempre più insistenti.
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    "Quindi, come stai? Qualcosa di carino da raccontarmi?" Le rivolgo il mio interesse, probabilmente cercando disperatamente di appigliarmi alla sua figura per distogliere l'attenzione da me. Ma sono certa che la mia domanda rimbalzerà e tornerà indietro e non solo per pura cortesia. So che in fondo a Margot interessa, perché può capirmi, qui dentro lo facciamo un po' tutti. Portarmi avanti forse mi aiuterà a reggere il colpo, a non incespicare nelle realtà che smagnetizzano di tanto in tanto la mia bussola. "Io sto... così!" Sollevo appena le spalle, sottolineando la mia stasi, la dubbiosità della remissione che si mescola al desiderio di andare avanti, di procedere nel cammino verso la salute. Un traguardo gioioso quanto catastroficamente spaventoso. "A volte è davvero difficile." Non aggiungo altro, per il momento. Attendo che sia lei a chiedere chiarimenti o a capire da sé a cosa mi riferisca, mentre mi stringo ancora di più nel maglione caldo ed accogliente.
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    Ho cercato comprensione nello sguardo di Jace. L'ho ottenuta. Tra i timori e gli scrupoli di una novità ancora parzialmente difficile da accogliere per me, i suoi occhi sono sempre le stelle che illuminano il mio cammino, l'iniezione di fiducia con cui divento soltanto una ragazza che fa progressi, la versione migliore di me stessa: quella che vuole vivere, che si impegna a farlo. Spariscono i numeri, i contorni che traccio allo specchio con un metro a portata di mano, i dettagli dei vestiti che si posano sulla mia pelle con più o meno morbidezza. Esiste solo lui, con il suo supporto, con l'incoraggiamento che riesce a suggerirmi anche solo sorridendomi, ed il resto si accantona in angoli che, anche solo per pochi minuti o una manciata d'ore, non assumono più alcuna importanza nella mia vita. Il suo tocco mi sembra giusto, molto più del mio. Lascio spazio al suo dito, sospirando sotto il fremito del polpastrello che mi scivola sulla pelle, brividi accennati che la lasciano accapponare per dettagli legati ad un affetto che non ho più sperimentato da quando lei, la malattia, ha preso possesso della mia vita. Qualcosa che va oltre il preludio di un desiderio a cui sono pronta a cedere, lo step successivo, magari definitivo, per consolidare le nuove priorità a cui appellarmi. Per migliorare, per me e per lui. Ce lo meritiamo entrambi. Sorrido al suo entusiasmo, prima di ritrovarmi a soccombere alla più tenera delle reazioni, genuino il modo in cui improvvisamente i suoi occhi si riempiono di un pizzicore che tenta di celare dietro le mani, stupore puro quello che raggiunge di rimando il mio volto, estasiato da una visione tanto dolce e profonda. Sapevo di avere dinanzi a me il più grande supporto che la vita abbia deciso di concedermi, ma non immaginavo che tastarne le fattezze potesse essere così gratificante. "Hey!" Lo richiamo con gentilezza, sorridendo con estrema tenerezza mentre le mie mani si posano sui suoi capelli, scompigliandoli un po' inizialmente per poi rilasciarvi qualche carezza. Anche le mie labbra vi si posano su, dedicandogli una manciata di baci affettuosi che scaccino via l'imbarazzo emerso dal suo viso. Non ha bisogno di nascondersi con me. E' proprio la sua spontaneità ciò che più adoro di lui. "Sei l'esserino biondo più tenero che esista in tutto l'universo." Gli suggerisco sorridente, affacciandomi oltre le sue mani, ormai pronte a liberargli il volto che vi si è celato per qualche secondo. Incontro di nuovo il suo sguardo e rimugino per poco sulla sua domanda, decisa a rivolgergli tutta la sincerità che merita. Le bugie non ci avrebbero portati sino a questo punto ed ora che riesco a toccare con mano quest'acuta fonte di benessere, non ho intenzione di tornare indietro. Ne sono sicura.
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    "Fa un po' paura." Confesso, l'espressione ancora stirata in una morbidezza rassicurante. Non c'è posto per l'amarezza in questo istante. Non c'è spazio alcuno per la negatività. "Ma credo di stare bene." Sussurro, carezzando con la nocca il suo zigomo, lo sguardo dall'alto verso il basso ancora ricolmo di amorevolezza, leggeri gli spruzzi di commozione che si nascondono dietro le iridi tremanti di serenità. "Anzi, con te sto bene. Sempre." E voglio che lo sappia. Voglio che ci creda, che lo senta, che sia pronto a chiudere gli occhi e buttarsi a capofitto in certezze che forse non sono ancora stata in grado di dargli. Le parole non sono mai state il mio forte; anche adesso sento di dover passare ai fatti, per venirne a capo. E' così che le carezze leggere che gli rivolgo vanno intensificandosi, prima che le mie dita scorrano come tracciassero un percorso sicuro sui suoi lineamenti; le guance, il collo, le spalle, la schiena e di nuovo su, in una risalita alternata, l'origine di un'audacia che sugello con un bacio, un trasporto appena maggiore quello con cui le mie labbra si fiondano sulle sue. Non più assaggi, ma l'assaporare di un amore che ormai conosco bene e a cui abbandonarmi del tutto, finalmente, sciogliendo le funi di timore che mi hanno limitata sino ad ora. Siedo cavalcioni su di lui, invitandolo silentemente ad accogliere il mio corpo sul suo, in un abbraccio che possa andare oltre, a sua discrezione. Lo metto in chiaro l'attimo dopo, posando senza indugio le dita sulle estremità del mio maglione. Un gesto lento ma pregno di decisione quello con cui me ne libero, lasciandolo scivolare ai piedi del materasso. Un "sono pronta" incastrato nel mio sguardo, puntato con trepidante attesa nel suo.
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    Progressi. Traguardi ormai sulla via del raggiungimento, condivisi con le persone a cui voglio bene, quelle a cui sento di appartenere in qualche modo, per cui provo un affetto spropositato che mi aiuti a concentrarmi su altro. Un "altro" che nella solitudine risulta insufficiente, troppo allettante invece la possibilità di perdermi nei miei passi, di tornare nelle incertezze che mi hanno sempre fatta barcollare. E' così che avanzo nel mio percorso di rinascita. Un insieme di "ma", di "se" e di "forse" per cui non riesco davvero a festeggiare come chi mi è intorno. Mio fratello, i miei amici... Jace. Davanti alla loro gioia, arranco. Sono maschere sorridenti quelle che indosso in loro presenza, soffocando ogni principio di crisi che si affaccia all'orizzonte ogni volta che mi rendo conto i jeans perdano sempre meno distanza dai miei fianchi. Riempire quello spazio è una vittoria. Eppure io non la riesco ancora a percepire come tale. Mi crogiolo quindi in "miglioramenti", da cui non deriva mai il vero e proprio benessere per cui sto lottando. Fingo mi vada bene, lo sembra, ma è insoddisfacente. Vorrei riuscire a non accontentarmi di quel "meglio" e semplicemente a prendermi quel "tutto" senza considerarlo un errore, senza credere di essere io un errore se prendo la prima cosa che mi fa voglia, a tavola, o se indosso un paio di pantaloni davanti ad uno specchio. Forse è perché voglio trovare gli errori che scandaglio la lista dei contro. Ci sono troppi segni rossi nella mia vita, troppi segnali di allerta. Vorrei essere la versione di me che non è perennemente sotto revisione, non essere una bozza di me stessa, ma essere un'originale coraggiosa a tal punto da non giudicarsi, fino a fidarsi di com'è. Una strada lunga e tortuosa che si compone di sfide, quelle che non mi tocca affrontare da sola. E sfrutterò la mia fortuna per portare a termine i miei compiti.

    Indosso un paio di jeans. Neanche ricordo se sia mai successo in presenza di Jace. Niente di particolarmente attillato, sono anzi diverse le pieghe che si soffermano sulla mia pelle, evidenti all'altezza delle ginocchia ossute ed appena più morbide sulle cosce. E' un maglione lungo e piuttosto largo quello che ricopre il mio busto, sino ad oltrepassare vistosamente il bacino. Nulla di inconsueto, almeno a prima vista, se non fosse per il piano, quel desiderio di un cambiamento evidente e necessario, che circola per la mia mente ormai da un po', con insistenza sempre maggiore. Mi muovo in camera del ragazzo ormai con una certa familiarità, così come riesco ad insidiarmi nella sua vita e nel suo quotidiano giorno dopo giorno. C'è fiducia tra noi, tanta, e per una volta non ho voglia di rimuginare sul senso di colpa, sulla convinzione di non meritarne poi davvero così tanta. Oggi voglio concederci un regalo, su cui ho continuato a riflettere per tutta la mia permanenza in casa di Jace.
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    Un pomeriggio coronato da abbracci, giochi, una merenda decente e sotto stretta prescrizione e tutta la serenità che lui riesce a donarmi. E' un'intensa sessione di solletico quella a cui mi sottraggo dopo un po', le sfumature aranciate del crepuscolo filtrate oltre gli scudi delle persiane, ridendo ancora mentre mi metto in piedi, davanti al letto su cui Jace ancora siede. "Va bene, va bene! Ho una cosa da farti vedere." Non posso più tirarmi indietro e ne sono consapevole. Questo il motivo per cui ho pensato bene di annunciare quel principio di miglioramento. Un passo avanti che stringe i miei denti sul labbro inferiore, mentre sollevo appena i lembi inferiori del maglione per mostrargli quelli dei pantaloni. E' un dito quello che riesco a frapporre tra il tessuto di quelli e la canottiera che mi ricopre l'addome. Non gli ho mai dato modo di vedere coi suoi stessi occhi come fosse prima ed è per questo che mi accingo a spiegarmi meglio. "Ci stavano quattro dita qualche mese fa." Deglutisco, gli occhi nervosi ed impauriti a tuffarsi nei suoi, alla ricerca delle conferme di cui ho bisogno per stare meglio. Almeno spero. "Dici che sto andando bene?"
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    "Ti sentirai mai
    pronta per guarire?"


    Ogni tanto mi perdo. Ogni tanto perdo la bussola della mia consapevolezza e dimentico. Dimentico cos'ho fatto per arrivare fin qui, dimentico tutto ciò che ho vissuto, i momenti belli e quelli meno belli, dimentico i miei obiettivi e sogni, dimentico persino che aspetto io abbia, chi io sia. Dimentico di pensare, di fare ciò che mi rende felice, dimentico come si fa a respirare, a sentirsi vivi. Dimentico me stessa. Dimentico come si fa ad essere me, la me che cominciava a piacersi ma che si è fatta sempre più piccola, più flebile, più nascosta.

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    Sì è consapevoli nel momento esatto in cui la realtà prende vita, quando tutto attorno a noi in un certo senso ci rassicura della propria insensatezza, ci rassicura anche della nostra assurdità, ma è un'insensatezza di cui abbiamo consapevolezza, non prende il sopravvento ma siamo noi a prenderne atto, siamo noi che riconosciamo di vivere nella nostra vita. La consapevolezza va e viene, ha anch'essa alti e bassi, infondo è come un muscolo, va allenata e nutrita, alimentata e curata. Come il cuore. Non posso essere consapevole di essere Mackenzie se non vivo la mia vita, nella mia vita. E non posso curare la mia consapevolezza se prima non mi prendo cura di me, proprio perché la mia consapevolezza nasce da me, nasce in me. E' il benessere fisico che si scontra con quello mentale, quelli che dovrebbero essere compari che avanzano mano nella mano e che invece, in storie come la mia, non diventano che le facce opposte di una medaglia fredda, sottile, insignificante. Ci lavoriamo parecchio nelle sedute di gruppo ed il giro su queste montagne russe non sembra essere giunto al termine per me. Continuo a risalire ma poi, inevitabilmente, tocca sempre alle discese in picchiata, quelle che mi vedono davanti ad uno specchio, sulla bilancia, dinanzi all'armadio la mattina mentre indosso vestiti puliti. Sproloqui mentali ingarbugliati, presenti perennemente fino a quando la seduta terapeutica non viene sciolta. Mi fa bene, di solito, parteciparvi. Sotto l'ansia della guarigione contro cui procedo, però, con le prime tracce di salute che fanno capolino oltre i lembi di biancheria troppo stretta per il mio corpo, non sembra più tutto così roseo. Forse ho bisogno di appigliarmi a qualcos'altro, a qualcuno che possa capirmi, che ci è passato e che sorride adesso al mondo vestito di sicurezza e tenacia. Questo è ciò che sembra, perlomeno. Raggiungo quindi Margot, le braccia strette al petto per ripararmi dal freddo che provo sulla pelle. Quello è un aspetto della malattia che ancora persiste. Forse ne sono sollevata. "Quante chiacchiere oggi, eh?" Non da parte mia, in definitiva. Ma la discussione di gruppo è stata accolta da parecchi dei ragazzi e delle ragazze presenti. Invidio la loro forza, la loro voglia di vivere. Quella che, nonostante tutto, mi sembra di non aver ancora ritrovato del tutto. "Ti va di fare un giro in cortile? Non ho voglia di tornare subito al castello."
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    La naturalezza con cui ci adattiamo a quest'intimità mi rilassa. D'un tratto, non sembra più così spaventoso non sentire nulla o, perlomeno, non sentire perfettamente ciò che prova lui in questo momento. Non serve condividere le stesse sensazioni per viaggiare sulla stessa linea d'onda. Basta adattarsi, riscoprirsi, adeguarsi alle proprie esigenze ed a quelle dell'altro in egual misura. Equilibrio. E' la comprensione reciproca la chiave di un rapporto ed in questo io e Jace non abbiamo mai, mai fallito. Crollano tutti i muri di spaventose aspettative che i miei timori hanno tirato su, nel momento in cui con dolce cautela la sua mano esplora i lembi di pelle verso cui l'ho indirizzata. E' un invito accolto con premura, un misto di desiderio crescente e di rispetto che mi aiuta a sentirmi al sicuro, quasi protetta. L'azzardo delle sue dita sull'addome consumato non mi spaventa e nella loro risalita verso il seno coperto, lì dove la pelle scarseggia un po' meno, riescono a provocarmi brividi piacevoli, piccoli accenni di un benessere che poco a poco potrei decidere di coltivare, insieme a Jace. Annuisco quindi alla sua richiesta: farlo per entrambi. Non siamo più due singoli separati in tutto e per tutto, ma un duo unito dall'affetto scaturito dall'intendimento reciproco. Capirsi ed accettarsi, qualunque cosa esso comporti. Si muovono con altrettanta calma le mie mani in esplorazione, intente a sbottonare i suoi jeans prima di intrufolarvisi oltre, sostando per un po' sul tessuto dei suoi boxer. E' da qui che questa novità prende forma, nel principio di un momento piacevole da condividere, appagando lui per appagare, al contempo, me stessa. E' una soddisfazione crescente quella che provo, mentre le mie dita prendono a muoversi poco a poco più concitatamente, adattandosi alle sue esigenze, alle richieste suggerite dai suoi sospiri, dai sussurri che ci siamo rivolti sotto il ritmo affannato dei nostri respiri e dei baci schioccati sulla nostra pelle.
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    Mi dedico a lui e poco a poco sento accrescere in me una sicurezza che mi sembrava di aver dimenticato. Ed è una sensazione bella, piacevole, condurlo fino alle vette di un desiderio per cui ha aspettato tanto pazientemente, che sento di portare sino al limite, conscia di volergli fare dono di un approccio del tutto nuovo, verso un percorso che ci leghi, nel tempo, anche di più. E' solo al termine di quel principio di frenesia che gli rivolgo un sorriso, uno che sa di complicità, di appagamento, mentre lo spingo verso il materasso per accoccolarmi al suo petto, stretta a lui in un abbraccio in cui ho voglia di sprofondare teneramente. "Andava bene?" Esordisco con timidezza dopo qualche attimo di silenzio, permettendogli di recuperare il respiro e lasciandogli lo spazio ed il tempo necessari anche per, eventualmente, realizzare ciò che è appena successo. Io stessa continuo ad esserne stupita, in parte, ma riesco ancora a mettere a tacere la paura di non essere in grado di abbandonarmi a lui nello stesso modo. Vorrei fare uno sforzo, da una parte; dall'altra so bene però che forzarmi sarebbe solo un errore, uno che neanche Jace vorrebbe che io commettessi. "Magari la prossima volta posso provarci anch'io." Sussurro infine, in un carico di speranza su cui lavorerò ulteriormente, sì da trasformarlo nella concretezza di cui ho bisogno. "Mi piacerebbe." Sollevo il capo per guardarlo negli occhi e sorridergli con sincerità. Non voglio lasciargli credere che io mi ci senta costretta; non mi è mai successo, con lui.
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    C'è una strana magia che lega me e Jace, come se ogni sua parola riuscisse a cullarmi e riportarmi alla tranquillità, con una naturalezza che non ho probabilmente mai trovato in alcuna persona prima di lui. Tutto ciò che dice mi avvolge in una carezza rassicurante, attenua le mie paure e, lentamente, scaccia sempre di più la mia rigidità. Non sono più io a lottare contro gli assurdi concetti limitanti che la mia mente mi impone; Jace ha preso il mio posto e come un cavaliere senza macchia, si addentra nei meandri più labirintici del mio problema e ne annienta ogni oscuro nemico. Ed è bello ricevere questo genere di attenzione, farlo quotidianamente attraverso piccoli gesti che passano meno inosservati di quanto gli lasci credere e provarci in occasioni come questa, di natura più coinvolgente e diretta. Se solo il mio desiderio mentale riuscisse ad adagiarsi su quegli istinti fisici ancora crudelmente addormentati, sarebbe ancora più semplice accondiscendere alle richieste di Jace. Poco a poco, però, sento che potremmo comunque riuscirci. Potrebbe essere un ennesimo input per dedicarmi a qualche sacrificio in più e costringere me stessa a lottare con ancora più convinzione. E' così che funziona la guarigione, no? Trovare valide motivazioni per perseguirla ed impegnarsi finché non la si ha raggiunta. "Non c'è mai stato un solo istante in cui mi sia sentita giudicata da te." Ed è quella la forza incredibile di questo nostro rapporto, che mi ha spinta dritta tra le braccia di Jace sicura di trovarvi un porto sicuro. Non ho mai provato timore nell'averci a che fare e se anche sia stato dovuto al modo in cui i suoi occhi si posavano sul mio volto e mai su tutto il resto, comincio a credere che se anche gli fosse concesso scorgere qualche dettaglio in più, celato sino ad ora sotto vestiti troppo ingombranti, non proverei paura alcuna. Forse è solo l'idea che lui possa rimanere deluso dai miei scarsi progressi a mettermi in agitazione, eppure anche quel lato potrebbe rivelarsi meno tragico di quel che credo. Cos'è, allora, che ancora mi blocca? E' davvero tutto condizionato dalla mera mancanza di stimoli adatti?
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    "Sì... Sì, capisco." Pronuncio flebilmente, mentre gli occhi scorrono verso il basso, non in una ricercata via di fuga dall'imbarazzo provato, ma nel tentativo di racimolare un po' del coraggio necessario per adattarmi a questa situazione. E forse funge un po' da forzatura, ma mi dico che impegnarmi per qualcuno che ha passato così tanti mesi a fare lo stesso per me, sia una scelta giusta, che potrebbe persino gratificarmi. Così riporto lo sguardo sul suo torso adesso nudo ed è sorprendente come per una volta riesca ad elaborare considerazioni dalla natura staccata ai malati concetti di paragone ed associazione che mi ritrovo spesso a tirar fuori. Con mani attente, a tratti incerte come avessero dimenticato come si proceda per certe vie, sfioro la sua pelle. Carezze delicate quelle che dedico al suo addome, mentre le labbra tornano a sostare sulle sue in un insieme di baci e sospiri. Non comprendo se il battito accelerato del mio cuore dipenda dall'emozione o dal timore, ma non me ne lascio sopraffare. Così, dopo pochi istanti passati a girarci intorno, afferro la sua mano, guidandola con lentezza estenuante fin sotto la mia maglietta, all'altezza del fianco. Mi affido a lui, lasciandogli libertà di scelta. Che voglia spogliarmi o meno, non mollerò la presa o proverò a farlo finché riterrò la situazione sopportabile. Poi, con gli occhi puntati contro i suoi, riflessa in quelle gemme cristalline sotto vesti meno impaurite di ciò che sono abituata a vedere guardandomi allo specchio, lascio scivolare le dita verso i lembi dei suoi jeans sino ai bottoni, contro cui temporeggio solo qualche altro secondo, sussurrando la risposta che non è ancora arrivata alla sua proposta. "Non sembra una cattiva idea."
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    Un vasetto viola avvolto in una carta grezza marrone con sopra un nastro di raso bianco legato in un fiocco viene recapitato alla ragazza dal gufo grigiastro ed un pò paffuto, affamato di una ghiotta ricompensa. Nel vasetto, giacciono una piantina grassa ed un biglietto.

    So che nelle tue mani sarà al sicuro! Le piantine grasse non hanno bisogno di cure eccessive, ma quelle che ricevono sono per loro d'importanza vitale. Grazie per avermi fatta sentire la tua "piantina grassa".
    Buon compleanno,

    Mackenzie.

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    Sento di star mettendo in atto un inganno e sopportare lo sguardo attento e coinvolto di Jace diventa ogni secondo più complicato. Continuo a ciondolare in quell'assenza di trasporto, vestendo il ruolo di una normalissima ragazza che in realtà non mi rispecchia neanche un po'. E' il più grande dei problemi che mi tocca affrontare tuttora: l'incapacità di inserirmi entro i limiti di una comune timidezza, prima che sfoci inesorabilmente nel campo della malattia, il più duro da cui prescindere. In questo mi rendo conto di aver avanzato ancora ben pochi progressi e non riesco a non sentirmi in colpa per l'illusione in cui forse sto trasportando Jace. Precipitare giù da un mondo ideale e piombare poi dritto contro la realtà, ha sempre un impatto terribile da sopportare. Ho frenato l'avanzata dei suoi baci per il mio corpo, ma non posso procedere col bloccargli persino le mani. Forse, paradossalmente, in questo istante provo anche più paura di prima, intimorita dallo scorrere lento delle sue dita sul mio petto. E' la paura percepisca le mie ossa o che non le senta abbastanza? Un ennesimo tassello innaturale che si scaglia in un attimo che dovrebbe essere quanto di più bello al mondo, nella ricercata intimità a cui ho posto sempre dei paletti, da anni ormai, per paura di non so neanche io cosa. Punto lo sguardo verso il suo, rivolgendogli un'espressione dubbiosa quando afferra la mia mano per portarla contro il suo petto. Mi guida, insomma, ad un'esplorazione che non mi sono ancora concessa, prima con un gesto, poi con un interrogativo al quale non posso sfuggire. "Oh..." Non è solo il timore di trasporre a parole, ancora una volta, cosa io pensi del suo aspetto fisico. La verità è che non ci ho mai pensato seriamente, troppo spiritualmente impegnata a cogliere in questo rapporto tutto ciò che non è mai stato materiale, né fisico. Non lo faccio con me stessa, non lo faccio neanche con gli altri e comincio a sentire che questo sia un limite che mi rende una pessima persona. Il timore di mandare tutto all'aria è sempre dietro l'angolo, eppure non riesco ad agire per fare in modo che le cose cambino. Perché dev'essere sempre così dannatamente difficile? Sospiro, lasciando scorrere gli occhi su ciò che riesco ad intravedere di lui: le spalle strette sotto il tessuto della sua maglia, i fianchi appena scoperti oltre i jeans, la muscolatura evidente ma non accentuata in eccessi. E' qualcosa che ho sempre dato per scontato, perché mi è sempre andato bene così. Mi piace il suo viso, mi piacciono i suoi occhi e capelli, ma ancor di più mi piace lui come persona ed è questo a renderlo splendido per me.
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    "Beh, sei bello da capo a piedi. Mi piacciono tanto le tue braccia eeee... uhm..." Fingo di dare un'occhiata celere al resto, prima di tornare sul suo volto e pizzicargli con le dita un orecchio. "...le tue orecchie!" Mi lascio sfuggire così un accenno di risata, prima di lasciare un bacio spensierato sul suo naso ed uno sulle sue labbra. Torna un istante di leggerezza in cui mi sento protetta, al sicuro, lontana dalle angosce provate fino a qualche istante prima. Imporre un clima di gioco però, scappando per l'ennesima volta da quella serietà che mi intimorisce da morire, non ci aiuterà a superare tutti quei limiti che purtroppo so benissimo dipendano da me. Gli devo un po' di sincerità e mi tocca andargli incontro, almeno una volta. Per questo torno seria, carezzandogli il volto con una mano e stringendo il tessuto della sua maglia con l'altra, ancora premuta contro il suo petto. "No, davvero... E' un po' imbarazzante, ma... Mi piace tutto di te, te l'ho già detto." Ed in fondo in questo sono sempre stata sincera, esponendo il mio punto di vista nella più totale della spontaneità, a prescindere dai pensieri che ci sono dietro ogni mio azzardo. Vorrei solo potesse sentirsi sicuro che i miei blocchi non dipendano in alcun modo da lui, né per la persona che è, né per il modo in cui si rapporta a me. A volte mi sento immeritevole della sua pazienza, ma in fondo se fosse facile venir fuori dai miei abissi di angoscia suppongo che la mia sarebbe semplice insicurezza, non una diagnosi clinica. Magari avvertire la familiarità di cui lui mi ha sempre fatto dono potrebbe aiutarmi a sciogliermi, così da accendere il mio desiderio ancora tremendamente sopito. Per questo, mordendo il labbro inferiore, sentendo le guance andarmi a fuoco per la vergogna, gli rigiro la medesima domanda. "Tu che pensi, del mio?" Ed è probabilmente un quesito difficile a cui rispondere dalla sua parte, ma uno scossone sembra l'unica alternativa per movimentare l'apatia che mi trascino dietro da troppo tempo.
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    Non posso fare a meno di scorrere con lo sguardo sulla figura di Jace, estremamente intenerita anche dal modo in cui si appunta frettolosamente i dettagli pronunciati dallo speaker alla radio, dal sorriso che permane tutto il tempo sulle sue labbra, dal viso concentrato ed euforico al contempo. E' come stare a guardare un bimbo che si gode il giocattolo nuovo e non credo decisamente di star esagerando nel porre un paragone simile. Non seguo granché le parole che mi giungono alle orecchie, preferendo godermi quello spettacolo pregno di dolcezza distesa sul letto. La schiena appoggiata alla testiera del letto, le gambe ora incrociate, ora tirate al petto. Rilassata, serena. Potrei stare così per ore, ma pare che poco meno di un'ora sia stata sufficiente a portare a termine il progetto cui si è dedicato. "Oh, che barba, credevo non finisse più, stavo per addormentarmi!" Con una risata divertita gli comunico il pieno della mia ironia, che dubito Jace non riesca a cogliere. Poi mi lascio travolgere dall'improvviso entusiasmo che guida le sue labbra sulle mie, in un bacio decisamente più coinvolto rispetto al solito. Non che non gli abbia concesso, di tanto in tanto, un pò di morbidezza ed intenzione in più, ma i miei blocchi emotivi continuano sciaguratamente a giocare brutti scherzi alle sensazioni che Jace dovrebbe farmi provare. A ciò che normalmente qualunque ragazza proverebbe sotto quelle attenzioni. Non so dirmi se stia pensando troppo o se non lo stia facendo abbastanza. E' sempre un vortice di dubbi ogni mio approccio alla normalità, conscia di non essere ancora riuscita del tutto a rientrare in quei canoni che ricerco eccessivamente. E' l'istinto che mi manca, guidata da una ragione che mi impedisce di godermi la naturalezza di momenti come quello. Così lascio che le labbra di Jace si spostino verso il mio collo, sospirando leggermente sotto i brividi che il suo fiato mi provoca. Un campanello d'allarme, l'ennesimo, che mi ostino a sottovalutare: non provo appagamento in quel gesto.
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    "Wow, ti ha messo proprio su di giri questa partita, eh?" Mi lascio sfuggire questo commento con ingenua spontaneità, senza particolari intenzioni dietro. E' un dato di fatto che ho riportato perché adattarmi a quell'approccio mi risulta più complicato di quanto non riesca a comunicargli effettivamente. In fondo, continuo ad abbracciarlo. Le mie dita si intrufolano tra i suoi capelli. Ed i miei sospiri, seppur per ragioni diverse dal piacere, scivolano via dalle mie labbra con spontaneità. Vorrei essere in grado di lasciarmi andare, di godere quel momento. Vorrei essere in grado di sentire tutto ciò che lui sente, che vada per una volta ben oltre l'emotività ed i sentimenti, non per metterli da parte ma per sommarvi qualcosa in più, qualcosa che li renda anche più belli, appaganti. Eppure per quanto io ci provi e tenti di mantenere la calma al pensiero le labbra di Jace possano sfiorare, per sbaglio o meno, le ossa sporgenti delle mie clavicole o qualunque altra parte del mio corpo così dannatamente sbagliata, non mi libero della mia rigidità. Per mascherarla, poggio le mani sulle sue guance, tentando di indirizzare nuovamente il suo volto sul mio. Lo travolgo a mia volta con un bacio famelico, che nasconda ogni possibile traccia di remissione, ogni scorcio di paura che voglio combattere con tutta me stessa. E lo attiro a me, cercando di sottostare col mio corpo al suo, di svegliare i miei sensi ancora vergognosamente intorpiditi attraverso tentativi innaturali, forzati, di cui spero lui non si accorga. E' sempre stato particolarmente attento con me, ma io ho imparato nel tempo ad essere una bugiarda senza pari.
72 replies since 20/8/2018
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