Posts written by .Samael

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    Ci bombardava di domande chiaramente provocatorie, voleva farci sentire peggio di quanto già non fossimo, o forse voleva vedere se riuscissimo a mantenere il controllo e la disciplina di cui parlava, almeno in quel contesto.
    Con la coda dell'occhio notai la gamba di Alexis che si muoveva nervosamente, era chiaro che anche lei stesse facendo di tutto per non accusare quel colpo.
    La Rei si stava rivelando maledettamente scorretta: magari aveva le sue ragioni, voleva insegnarci qualcosa anche in quel momento, ma di certo non era d'aiuto per noi che, in quei giorni, eravamo già piuttosto provati da tutta la situazione che ci eravamo purtroppo ritrovati ad affrontare.
    Anche in quel caso, quindi, dovetti sforzarmi per non reagire, fare finta che quelle domande idiote non fossero mai state poste. Ci stava trattando come dei maledetti bambini, come se fossimo totalmente inconsapevoli. No, non aveva capito nulla di ciò che avevamo provato, e ne stava dando la prova con quel trattamento più che ingiusto.
    "Ditemi, lo voglio sapere, quale era il vostro intento?" La Pierce aveva scelto di non proferire parola, e immaginai anche la ragione per la quale avesse scelto di imboccare quella strada. Io, però, non ero affatto intenzionato a percorrerla con lei.
    "Nessuno, Preside. Abbiamo agito chiaramente d'istinto e, come già detto, ci dispiace davvero per questo. Abbiamo sbagliato e la cosa non si ripeterà in futuro." Risposi serio e mantenendo i toni sullo stesso piano dei precedenti. Cos'altro voleva sentirsi dire, in fondo? Non potevamo fare altro che scusarci, ma sembrava come se non le bastasse. Non poteva però continuare a torturarci in quel modo all'infinito: avevamo subito già abbastanza. "Accetteremo qualsiasi conseguenza senza lamentarci. Ci dica solo cosa ci aspetta." Aggiunsi quindi, in una totale calma apparente, nella speranza che potesse scegliere di andare oltre. La parte del non lamentarsi, però, non era del tutto vera: avevo già molto di cui lamentarmi, e sentivo che di lì a poco avrebbe solo buttato ulteriore benzina sul fuoco.
    Voleva disciplina e rispetto? L'avrebbe avuto, all'apparenza, in quella scuola. Ma mai, dentro di me, avrei davvero compreso e accettato quel trattamento.
    Mai.
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    Inizialmente le sue attenzioni furono quasi esclusivamente per la Pierce, ed io mi limitai a restarmene in silenzio, così come fece anche la Grifondoro, se non per qualche brevissima risposta alle domande della preside. D'altronde c'era ben poco da replicare, se non volevamo peggiorare la nostra posizione.
    "Non raccontatemi frottole! Vi siete resi conto che se non si fosse trovato lì presente il fratello di Samael ora tu saresti in un carcere a vita e tu saresti morta?" Rimasi in silenzio, ma il messaggio che stava tentando di mandarci arrivò forte e chiaro. Era una cosa alla quale avevo pensato più volte, in quei giorni in infermeria. Tuttavia, dall'esterno sembrava sempre tutto più semplice, ed era facile giudicare.
    Razionalmente non avrei mai reagito alla notizia di una gravidanza in quel modo estremo: non avrei mai tentato di uccidere qualcuno, per questo. Purtroppo, però, era tutto ciò che ci girava attorno, ad aver portato a quell'inevitabile epilogo. La notizia inaspettata e le conseguenze che avrebbe potuto avere sul rapporto tra me e Priyanka, avevano avuto un forte impatto a livello emotivo, e la paura per quell'ulteriore fallimento mi aveva fatto perdere di lucidità. In parallelo, i colpi della Pierce avevano aggiunto solo un carico ulteriore che, purtroppo, non ero più riuscito a reggere. Per quanto potessi essere in grado di controllarmi, quello era stato decisamente troppo; un peso enorme mi era arrivato addosso nel giro di pochi secondi, schiacciandomi a annullando ogni buono proposito precedente. Dunque, per quanto potessi parzialmente concordare sul fatto che l'aggressività non fosse una giusta alternativa, quella conclusione era stata inevitabile.
    "Non esiste motivo al mondo per giustificare questo comportamento, avete messo in pericolo le vostre vite e anche quelle di tutti i vostri compagni nel castello, e anche di tuo fratello" Serrai i denti sulle ultime parole e distolsi per un secondo lo sguardo. Cosa credeva, che non ci avessi pensato? Ci aveva salvati entrambi, rischiando e ferendosi lui stesso. Mi sentivo già abbastanza colpevole senza questo suo desiderio di infilare il dito nella piaga. Purtroppo, però, non ero nella condizione di poter rispondere in alcun modo, e trattenermi richiese un notevole sforzo, in quel momento.
    "Ha così poco valore per voi la vita? Avete per un solo attimo pensato che avreste potuto far soffrire le persone che vi sono accanto? Che vi vogliono bene? Avete pensato a loro o siete così egoisti da vivere in una bolla dove esistete solo e soltanto voi? Voi con i vostri sentimenti feriti?" Non risposi subito neanche in questo caso, mi forzai a restare in silenzio e contare fino a cento, prima di prendere parola. Non volevo e non potevo dire stronzate, era con la preside che stavo avendo a che fare e la mia posizione non mi permetteva di poter replicare come avrei fatto, se quelle parole fossero venute da uno studente.
    "Con tutto il rispetto, Preside, forse sono egoista, è vero, ma non credo che sia stato il mio egoismo a muovermi, quella sera." Risposi serio e con una calma che non mi apparteneva.
    Forse era solo rassegnazione, dato che sapevo che le mie parole non avrebbero cambiato comunque niente: nulla di ciò che avremmo potuto dire avrebbe migliorato la situazione, quindi bastava non peggiorarla. Ma non per questo dovevo negarmi di dire la mia, così come aveva fatto la Pierce.
    O forse, cosa decisamente più probabile, quella calma era solo una condizione richiesta dal contesto nel quale ci trovavamo.
    "Io credo che probabilmente non abbiamo ancora la maturità o l'esperienza necessaria per poter far sì che i nostri sentimenti non influenzino in alcun modo le nostre azioni. Forse questa volta l'impulsività ha preso il sopravvento, in una situazione particolarmente difficile da gestire, ma di certo il nostro intento non era quello di ferire le persone a noi care." I toni rimasero neutri, dalla prima all'ultima parola, senza lasciar trasparire in alcun modo tutto ciò che in realtà dentro mi stava divorando. Avrei avuto modo di sfogare in altri contesti. "Non lo farei mai." "Non più. Non volutamente." E, almeno questo, per quanto mi riguardava, andava chiarito prima di passare a scoprire quello che sarebbe stato il nostro destino.
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    La Rei ci invitò a sederci e l'aria che si respirava in quella stanza non era delle migliori.
    Prendemmo posto sulle poltroncine davanti alla scrivania e solo allora la preside parlò, andando dritta al punto, senza troppi giri di parole. Non che ne servissero, d'altronde, e forse era molto meglio così: era meglio evitare le perdite di tempo e arrivare al dunque, per scoprire quali conseguenze dovessimo aspettarci.
    "E' stata colpa mia, preside." Le parole della Pierce mi portarono a voltarmi istintivamente verso di lei, cercando di capire quel suo improvviso desiderio di assumersi ogni responsabilità. Non me ne lamentavo di certo, ma non mi fidavo granché della Grifondoro, e non lo vedevo un atteggiamento molto in linea con quello avuto qualche giorno prima, nella tenuta. Dov'era finita l'aggressività mostrata quella sera?
    Lasciai che finisse di parlare, e la sentii addirittura mettere un carico ulteriore su ciò che aveva fatto. Non riuscivo a comprendere le ragioni di tale gesto, non aveva alcun senso.
    Soffriva di personalità multipla o cosa?
    "Lo so io cosa aveva per la testa." Esordii quindi, dopo le sue scuse verso la preside. "La stessa cosa che avevo per la testa io e che mi ha fatto perdere di lucidità, probabilmente." Se voleva prendersi tutte le colpe a me andava bene, anche perché ero d'accordo con lei: se non avesse esagerato nei modi, non sarebbe successo nulla, quindi probabilmente era davvero lei, l'unica responsabile. Tuttavia, se aveva in qualche modo tentato di parare il culo a me, indipendentemente dalle motivazioni che la fecero muovere in tal senso, dovevo quanto meno dire alla Rei cosa l'avesse spinta a farlo. Non avrebbe dovuto colpirmi senza prima tentare di parlare, ma le sue ragioni le aveva, così come io avevo avuto le mie. Sicuramente non sarebbero state ritenute valide dalla preside, ma andavano comunque esposte.
    "La sua ragazza è incinta e... io sono il padre, a quanto pare." Più chiari e diretti di così si moriva, ma era inutile girarci attorno o omettere. Non eravamo lì per raccontare stronzate: avevamo esagerato, e le nostre azioni andavano quanto meno giustificate, nei limiti del possibile. "E' chiaro che la cosa abbia toccato molto entrambi, mandandoci fuori di testa." Seppure in modi diversi, ciò che aveva mosso sia me che la Pierce era un problema comune. Eravamo sulla stessa maledettissima barca. "Mi ha colpito una prima volta, ero agitato, ma sono riuscito a controllarmi. Alla seconda, però, non ce l'ho fatta e mi sono trasformato, aggredendola. Mi dispiace, Preside, ma non sono riuscito ad evitarlo." Ammisi quindi, prendendomi la mia dose di responsabilità e limitandomi a dare alla Rei le informazioni di cui necessitava per decidere del nostro destino.
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    Per qualche giorno mi ero addirittura illuso che potessero non esserci ripercussioni: nessuna chiamata in presidenza, nessun avviso di alcun genere, ma forse stavano solo aspettando che fossimo tutti in piedi e in salute.
    Già, perché quello che ottenemmo, io e la Pierce, fu un'umiliante strillettera da parte della Rei, che si sollevò proprio nel mezzo della Sala Grande durante la colazione, per urlarci di raggiungerla nel suo ufficio, e immediatamente.
    Ero seduto accanto a Priyanka quando tutti gli occhi si puntarono su di me e sulla Grifondoro, alcuni deridendoci, altri terrorizzati da quel tono di voce tanto furioso.
    Con fare minaccioso lanciai qualche occhiata a chi rideva troppo, per i miei gusti: l'umiliazione pubblica era stata davvero un colpo basso da parte della Rei. Non era necessario e, se avesse avuto un po' di tatto, magari ci sarebbe arrivata. Era tutto troppo complicato già così, non era necessario far sì che tutta la scuola ne venisse a conoscenza e parlottasse sottovoce su ciò che avevamo potuto fare o meno per meritarlo. Certo le voci giravano in fretta in quei corridoi, qualcuno aveva potuto persino sentire o vedere ciò che era accaduto, ma se anche solo uno studente non avesse saputo, ora avrebbe recuperato alla grande.
    Strinsi un pugno ed ero pronto a sbatterlo contro il tavolo, quando Priyanka posò una mano sulla mia, stringendola. Mi voltai a guardarla e cercai in lei la forza di mantenere la calma necessaria per percorrere quei corridoi assieme alla Pierce: non sarebbe stato affatto semplice.
    Dopo aver ricambiato quella stretta, e aver lanciato successivamente un'occhiata veloce a Scott, che gli comunicava quanto poco positivo fossi riguardo le conseguenze che mi aspettavano, mi alzai da quel tavolo e mi avviai verso l'uscita.
    La Pierce era a pochi metri da me. "Vedi di starmi lontana e di tenere la bacchetta al suo posto, questa volta." Un avviso, con tono deciso ma fin troppo calmo per quello che era il mio stato d'animo in quel momento. Non la guardai neanche negli occhi, per evitare di cambiare idea sul trattamento da riservarle.
    Non volevo che degenerasse tutto nuovamente, e ridurre le distanze era senza ombra di dubbio un rischio. Fu per questo che con passo veloce mi preoccupai di restare sempre almeno cinque metri avanti a lei, fino a raggiungere l'ufficio della preside.
    La porta era aperta, così entrai e mi avvicinai alla scrivania dietro la quale era seduta la Rei.
    "Buongiorno." La salutai. Ma, quello, di certo non sarebbe stato un buon giorno.

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    Gli bastarono sei semplici parole per far sì che la mia rabbia si ridimensionasse e tornassi a respirare.
    Avevo forse frainteso ogni cosa? Eppure quelle parole erano suonate proprio come un tentativo di rottura.
    Mi aveva allontanato e mi aveva chiesto tempo, dicendo che non poteva accettare la situazione. Come potevo non fraintendere?
    In ogni caso si spiegò, e fu chiaro che il tempo di cui aveva bisogno fosse solo per accettare la cosa, e per poterne forse parlare senza sentire il cuore andare in frantumi.
    Sentirla parlare di figli, in quel contesto, mi fece pensare che, per quanto potessi essere impreparato a fare il padre, avrei di gran lunga preferito che si avverasse quel suo sogno, piuttosto che quell'incubo che stavamo vivendo. Meglio due da lei, che uno da una totale sconosciuta.
    "Non credo che sarei in grado di gestire una figlia femmina, in effetti." Replicai, lasciando che quella tensione muscolare che mi aveva portato a serrare i pugni si affievolisse, e tornassi ad avere un aspetto più sereno -per quanto potesse essere definito tale-.
    Abbozzai un mezzo sorriso, non senza un certo sforzo, ma glielo dovevo. Era chiaro che fosse un modo per tentare di calmarmi, e ci riusciva sempre maledettamente bene. Ci era riuscita già alla prima domanda, con le sue mani che delicate si posarono sul mio viso. Non sarebbe servito nient'altro, ma non potevo non apprezzare quello sforzo, sapevo quanto fosse difficile per lei, lo sentivo.
    "Io non ti lascerò mai, mettitelo in testa dannato lupo" Le sue parole arrivarono forti e chiare, esattamente come avrei voluto. Mi ero lasciato travolgere dalla paura e non le avevo dato semplicemente modo di pronunciarle prima di arrivare a dare di matto, ma ormai era fatta.
    Portai le mani sui suoi fianchi e la tirai piano a me, abbassandomi appena con la testa per cercare il suo sguardo. "Tu non lascerai me ed io di certo non lascerò te. Chiaro? Quindi troveremo una soluzione, una che non escluda neanche la possibilità di realizzare i tuoi sogni, un giorno." Perché non avrei avuto mai la forza di negarle nulla, tanto meno una famiglia.
    Era assurdo parlarne in quel contesto, a quell'età e dentro una maledetta infermeria, con tanto di mano insanguinata, ma c'era forse qualcosa di sensato in tutto ciò che stavamo vivendo? Non era di certo più strano di tutto il resto, quindi al diavolo tutto. Mi sarei limitato a dire ciò che pensavo, senza farmi troppi problemi sul quando e come fosse il caso di discuterne. "Nessun castello in aria." Conclusi quindi, avvicinandomi ulteriormente e cercando le sue labbra, nella speranza di poter cercare rifugio per qualche istante in un bacio che non avrebbe risolto un bel niente, ma che ci avrebbe sicuramente riservato un momento solo nostro, escludendo tutto il resto del mondo che, ormai, sembrava volerci remare contro con insistenza da tutta una vita. Ma noi non avremmo mai mollato. Io non mi sarei mai arreso, con lei.
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    "Non ne ho idea. Ma era fin troppo convinta per avere dei dubbi a riguardo." La collera racchiusa nei gesti e nelle parole della Pierce parlava chiaro, ma forse aveva ragione Priyanka: non potevo averne la certezza. Avrei dovuto richiedere un test per accertarmi della cosa? Probabilmente sì. O magari le sarei andato a parlare, prima. In qualche modo dovevo accertarmene, prima di iniziare ad accettare l'idea di dover diventare padre in quel modo.
    Le sue mani si strinsero sulla mia maglia e mi accorsi che stava prendendo le distanze, seppur minime. Non si era scostata per guardarmi negli occhi, il suo sguardo era basso mentre parlava, e le parole che pronunciò mi colpirono come lame roventi.
    Cosa diavolo stava dicendo?
    Istintivamente mi ritrovai a lasciare la presa e guardarla aggrottando le sopracciglia e scuotendo la testa. Non poteva essere seria. Non me ne faceva una colpa ma aveva "bisogno di tempo"?
    "Tempo?" Domandai, sentendo la rabbia tornare a salire inevitabilmente. Le diedi le spalle mentre parlava del bambino, di me, della madre, di lei, del nostro futuro e di come non potesse accettarlo.
    Mi poggiai con gli avambracci contro la parete: la testa era bassa e gli occhi fissi sul pavimento, nel vano tentativo di ritrovare la calma persa. I denti erano serrati mentre la mente tornava alle parole della Grifondoro e, successivamente, a quelle che aveva appena pronunciato l'indiana, tra le lacrime e quel dolore che non sarei mai riuscito a cancellare. Come potevo farlo? Sapevo che aveva ragione, sapevo che non poteva essere facile per lei accettare la cosa, ma non lo era neanche per me. Io non l'accettavo.
    I pugni si strinsero finché lo sguardo non si risollevò sulla parete davanti a me, che colpii con forza, nel tentativo di ferire me stesso, questa volta: farmi del male, per rimanere ancorato alla realtà e non perdere nuovamente il controllo.
    Le nocche della mano destra erano ora insanguinate, ma era comunque un dolore più sopportabile di quello che aveva generato la parola pronunciata da Priyanka.
    Tempo.
    Era così che si rompeva con qualcuno. Era un modo carino per mandare al diavolo chi non volevi più al tuo fianco, chi avevi intenzione di mollare di lì a poco.
    Con quel pensiero a martellarmi la testa, mi voltai di scatto verso di lei, avvicinandomi di un paio di passi; gli occhi erano lucidi mentre quella rabbia era perfettamente visibile su tutti i lineamenti del mio volto, e nel tono di voce con il quale pronunciai le parole che seguirono. "Non puoi rompere con me, Priyanka. Non per questo, e di certo non per colpa di quella troietta da quattro soldi. Piuttosto la faccio fuori con le mie stesse mani, lo giuro." Ringhiai, completamente fuori di me. Non le avrei permesso di rovinarmi la vita, per nessuna ragione al mondo. Non mi interessava delle conseguenze, non mi interessava che fosse una donna o che fosse incinta, non mi interessava neanche che quello che portava in grembo fosse il mio stesso figlio: non l'avevo voluto, non lo desideravo affatto.
    Una parte di me mi accusò di essere un mostro, ma quella rabbia che sentivo crescermi dentro se ne fregava. Ero sempre stato un egoista, e se quella stupida ragazzina aveva intenzione di rovinarmi la vita, per me poteva sparire dalla faccia della Terra anche in quello stesso istante.

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    Sentirle pronunciare quelle parole, seppure incerte e uscite a fatica, tolse uno dei centinaia di pesi che mi si erano andati a posare sul petto. Non era molto, ma era pur sempre un punto di partenza. Non mi stava odiando, apparentemente non mi stava disprezzando come avrei temuto potesse accadere.
    Tuttavia, quel suo silenzio, unito a quelle lacrime che la portarono addirittura a coprirsi il volto, erano la prova di quanto la stessi facendo soffrire, e mi odiai per questo. Mi odiai al punto quasi di desiderare che si mettesse ad urlare, a prendermi a parole e a dirmi che mi odiava. Forse, ripensandoci, sarebbe stato meglio. Molto più facile da sostenere rispetto a quell'assordante silenzio.
    Con il pollice scacciai una delle tante lacrime che le rigavano il viso.
    Chi era Lilith?
    Una domanda che non avrebbe avuto di certo una grande risposta. Una domanda dalla quale ci si aspetterebbe forse di avere qualche informazione dettagliata in merito, ma che l'avrebbe sicuramente delusa.
    "Lilith Owen, è una Grifondoro. Non so altro." Pronunciai le ultime parole con difficoltà, perché riportavano a galla quella superficialità che mi aveva contraddistinto fin dalla nascita. Quella superficialità che mi aveva portato a trascinarmi nel letto chiunque, senza fare un minimo di selezione, se non una prettamente estetica. Ed ecco che finiva che, una delle tante sconosciute, adesso sarebbe diventata la madre di mio figlio. Una delle tante, della quale neanche mi sarei ricordato, se non mi avessero comunicato, in quei due giorni, chi fosse la ragazza della Pierce. Altro dettaglio del quale non andai affatto fiero, per la prima volta in vita mia.
    Mi alzai in piedi e, prendendola per mano, la feci alzare da quella sedia, per stringerla a me, in un abbraccio. "Mi dispiace, non avrei mai scelto una cosa del genere. Mai." Se l'avessi fatto, di certo non sarebbe stata Lilith la donna scelta. L'unica possibile la stringevo tra le braccia in quel momento, ma non sapevo neanche se volesse ancora quel contatto.
    Quella paura di sbagliare era tornata, più forte di prima. Mi ero ripromesso di non farla soffrire, di fare di tutto per non vederla star male ancora, e avevo fallito dopo neanche due mesi. "Mi dispiace, Pri. Perdonami." Per tutto. Per ciò che avevo fatto, per averla fatta soffrire, per non essere stato in grado di donarle la felicità che avevo sperato di poterle dare. Per essere tanto sbagliato.
    "In qualche modo ne usciremo..." "Te lo prometto" avrei aggiunto. Ma come potevo farle un'altra promessa?
    Non sapevo neanch'io come ne saremmo usciti, ma l'unica cosa nella quale potevo sperare, era che ne potessimo venir fuori insieme.


    Edited by .Samael - 16/6/2020, 10:10
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    Erano passati due giorni. Due giorni in cui non avevo avuto il coraggio di dire nulla a Priyanka. Lei non chiedeva, io non parlavo.
    Era chiaro che sapesse già che domandare significava rompere quell'equilibrio che avevamo trovato, e io dal mio canto non ero riuscito ancora a trovare il coraggio di pronunciare quelle parole che mi avevano fatto perdere il controllo.
    Lo riuscivo a vedere nei suoi occhi, che aveva capito. Aveva capito che qualcosa non andava, perché io non riuscivo a nasconderle più niente ormai. Forse anche lei aspettava che trovassi la forza di parlare, o anche solo di incrociare il suo sguardo per più di due minuti: sostenerlo a lungo mi portava a serrare i denti e a distoglierlo in fretta, per far sì che gli occhi smettessero di bruciare.
    La Pierce era stata spostata e Aiden era tornato nella sua sala comune, ora eravamo soli. Io mi sentivo meglio ormai, avrei abbandonato quel posto il giorno seguente, ma non potevo tornare alla normalità senza prima aver parlato con lei.
    "Sto meglio, le ferite sono guarite quasi del tutto." Risposi, posando gli occhi su di lei, seduta su una sedia lì accanto al letto, incerta su cosa dire o fare. Così, alla fine, scelsi di buttarmi: avrebbe fatto male comunque, l'avrei ferita e non avrei mai trovato le parole adatte per dirle ciò che era successo. Tanto valeva prendere quel briciolo di coraggio che potevo trovare e confessare ogni cosa.
    "Pri, piantiamola di far finta di niente, dobbiamo parlare. Lo so io e lo sai anche tu." Iniziai, mettendomi a sedere su quel letto, le mani poggiate sul bordo del materasso, stringendolo e cercando così la forza di andare avanti. Era dannatamente difficile.
    "Non so come sia potuto accadere, so solo che questa notizia mi è piombata addosso proprio ora che le cose tra noi stavano funzionando e..." Le parole mi morirono in gola, portai lo sguardo verso la vetrata alla mia sinistra e feci un respiro per cercare di non farmi prendere dal panico.
    Qualche secondo, e tornai a fissare gli occhi nei suoi. "Sono stato io a ridurre Alexis in quello stato, ho perso il controllo e Aiden è intervenuto appena in tempo. L'avrei uccisa, Priyanka. Stavo per farlo." Abbassai nuovamente lo sguardo e mi alzai di scatto da quel letto, portandomi una mano tra i capelli con fare nervoso. Attesi ancora qualche secondo prima di girarmi verso di lei. "La Pierce era venuta da me per dirmi che la sua ragazza è incinta." Quella parola venne fuori e i miei pugni si chiusero. "Lilith aspetta un figlio... da me." Specificai, perché glielo dovevo. Perché non potevo lasciare niente di anche solo vagamente fraintendibile: doveva essere chiaro, tutto, da subito.
    Fu a quel punto che mi lasciai ricadere sulle ginocchia, davanti a lei, stringendo il viso dell'indiana tra le mie mani, per far sì che mi guardasse negli occhi. "Lo sai che ti amo, Priyanka. Sei l'unica che io abbia mai amato e so che questa notizia ti ferirà più di quanto abbia ferito me, e il solo pensiero mi uccide." Era quel pensiero, legato alle sue possibili conseguenze, che mi avevano fatto perdere la testa. "Ma è successo prima di noi. Ti prego, credimi. Fidati di me." Una supplica, la mia, mentre la paura si faceva largo dentro di me. Non sapevo cosa avrebbe scelto di fare o dire, ma ero terrorizzato all'idea che potesse non lasciar passare anche quell'errore. Continuavo a sbagliare, da anni, e mi aveva perdonato troppe volte. L'unica cosa che mi rimaneva da fare, era pregarla affinché mi desse un'altra possibilità. L'ennesima.
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    Non era facile mantenere la lucidità, per uno come me. Mi lasciavo trascinare dalle emozioni, sempre in modo piuttosto negativo, e finivo per perdere di concentrazione. Cosa che, in incantesimi come quello, non aiutava di certo.
    Fu proprio per questo probabilmente che il primo tentativo non andò a buon fine.
    Quello che sembrava a tutti gli effetti essere mio fratello, continuava a lottare contro la creatura, e mi avvicinai ancora un po', cercando di scacciare tutte quelle emozioni che mi avrebbero impedito di centrare l'obbiettivo ancora una volta.
    La paura, la rabbia, la fretta: tutti fattori che mi remavano contro in un contesto del genere.
    Chiusi gli occhi per un istante e quando gli riaprii puntai nuovamente la bacchetta contro il Kelpie. "Imposium!" Esclamai. Un secondo tentativo, questa volta più deciso, cercando di essere presente al massimo delle mie possibilità. L'unica cosa che potevo fare era sperare che funzionasse.
    Dover provare una terza volta, sarebbe stata una vera e propria sconfitta, dal mio punto di vista.

    Samael Harrison, VII anno, Serpeverde

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