Posts written by †Crusader.

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    Aveva deciso di dar credito a quella lettera di fortuna, arrivata con il gufo di un negozio di Diagon Alley. Nick era stato in quel negozio e aveva fatto delle domande alle commesse. Aveva chiesto se avessero una lista dei clenti, se avessero visto delle dinamiche sospette fra quest'ultimi. La lista dei clienti gli rivelò un dettaglio importante, ovvero che in quel negozio v'era stata effettivamente una Helena Haugen. La ragazza che si sarebbe sposata con l'erede dei V ? Si, a quanto pareva si trattava proprio di lei. Tanto bastava a dare credibilità a quella richiesta d'aiuto della quale in fondo non aveva mai dubitato. Nick ringraziò ed uscì dal negozio.
    Tornato al quartier generale, si recò in archivio e cercò notizie ed informazioni su quelli che erano i protagonisti della vicenda. Chiede ad Anderson di cercare notizie su Chesterfield Mason. Nick trovò una denuncia verso Lorence V fatta proprio da Helena Haugen, poi ritirata e una denuncia fatta dai signori Haugen nei confronti di … Hollingsworth? Mason Hollingsworth, questo il vero nome di Chesterfield, orfano adottato da Hubert Chesterfield.
    Era chiaro che la dinamica fosse tutt'altro che chiara. Nick si alzò dal tavolo sul quale aveva consultato i vari documenti e le varie fonti, prese il mantello ed uscì di furia.
    Percorse il lungo corridoio del Ministero, fino ad uno dei grandi camini della metroplvere. Il giovane Hollingsworth frequentava l'Accademia di Magia, indirizzo di magingenieria. Era lì che si diresse entrando nel camino dalle fiamme verdognole.

    Coloro che avevano temporaneamente preso le veci del rettore (morto in misteriose circostanze) avevano messo a disposizione di quel colloquio una stanza sul piano degli uffici amministrativi. Nick ringraziò e prese a guardarsi attorno attenendo l'arrivo del giovane mago. Non dovette aspettare molto. “Signor Hollingsworth?” chiese guardando il ragazzo che varcò la porta della stanza. Nick gli si avvicinò tendendogli la mano, “ Sono l'auror MacDuff.” si presentò, prima di invitarlo a chiudere la porta ed accomodarsi su una delle sedute presenti nella stanza, “Ho bisogno di farle qualche domanda, spero nella sua sincera collaborazione.” Sarebbe stato spiacevole dover usare maniere più dure di una semplice chiacchierata... ma alle volte le circostanze rendevano l'uso di tali maniere, inevitabile.

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    Era esasperante il modo in cui Jerome pareva fidarsi di tutti, tranne che di lui. Chinò il capo, ascoltando Daphne rivelargli di essere a conoscenza del ricordo. Quella rivelazione gli mozzò il fiato, ma Nick dissimultò egregiamente l'agitazione che lo pervase. Esisteva il rischio concreto che quell'informazione finisse nelle mani sbagliate, e la volontà della ragazza che gli sedeva accanto avrebbe davvero giocato un ruolo poco rilevante. Se Bachskov avesse soltanto nutrito il sospetto di un'informazione tanto preziosa, allora sia Daphne che Jerome avrebbero corso un pericolo ancora maggiore per le loro vite.
    Era così dannatamente vicino alla soluzione, ma questa sembrava trovare mille modi per sfuggirgli. Paradossalmente quella che sembrava essere l'unica possibilità per loro di sconfiggere Bachskov, poteva essere allo stesso tempo la principale causa di incorrere ancora una volta in un grande pericolo. Non ho mai conosciuto mia madre. Quella che per anni ho creduto essere la realtà era una gigantesca menzogna, sfumata con un po' di verità. L'ho odiata per così tanto tempo.. e con lei ho odiato Jerome, perché mi era stato detto che Theresa aveva scelto il mio gemello e rifiutato me. Nick alzò lo sguardo verso di lei, distogliendo l'attenzione dai pensieri che l'avevano distratto per un attimo forse troppo lungo. Immaginò come doveva essere stato crescere con Bachskov... come un mostro dalla misoginia così violenta avesse potuto crescere una figlia, per Nick restava un raccapricciante mistero sul quale aveva timore di indagare. Una volta scoperchiato il vaso di Pandora, bisognava solo sperare di trovarci la speranza ancora sul fondo... Non si poteva richiudere e far finta che nulla fosse mai accaduto. Quando finalmente ho saputo chi era davvero Theresa Morrow ho dovuto fare i conti con la consapevolezza che il vero carnefice era il padre che mi aveva cresciuta. Carnefice. Quella parola aveva in sé un'eleganza che accostata al Giudice Soren H. Bachskov, suonava come un dolce eufemismo. Bachskov era molto più che un carnefice. Un sadico, schifoso assassino. Nick pensò che non esistesse una parola che potesse racchiudere il male di cui Bachskov era fatto, il male che era capace di infliggere.Subito dopo mi sono resa conto che per tutta l'infanzia e l'adolescenza ero stata lontana da lei mentre invece avrei potuto conoscerla. Non era così, naturalmente E poi.. Jerome mi ha detto che, in ogni caso, nostra madre non avrebbe mai saputo amarmi.
    Nick inspirò profondamente. Nella sfortunata circostanza di essere il primo di una lunga lista di figli dell'orrore, poteva vantare il ricordo di una madre amorevole, che non aveva permesso a ciò che l'era capitato di piegarla. Nick aveva avuto un'infanzia “normale”, circondato dall'affetto di Ella e di suo nonno Isaac. Aveva potuto guardare sua madre sorridergli, sentirne le carezze sul viso, il profumo quando l'abbracciava. Aveva potuto essere fiero di una madre che “combatteva i cattivi”... prima di perderla, aveva avuto la fortuna di averla. “Tu non hai colpe per l'amore di cui sei stata privata, e nemmeno Jerome.” le disse poggiandole una mano sulla spalla e cercando di mostrarle un sorriso rassicurante, “Il giudice Bachskov non sceglie a caso le sue vittime. Approfitta delle fragilità altrui.” aggiunse, pensando che, nonostante la tempra di sua madre, anche con lei Bachskov aveva approfittato di un momento di debolezza. L'inesperienza della sua prima vera missione da auror, aspettare che fosse sola, lontana dai suoi colleghi... “É come un cancro. Si insidia nel corpo e ne prende possesso. É per questo che dobbiamo estirparlo una volta per tutte.” strinse la presa sulla spalla di Daphne, quasi inconsapevolmente, mentre negli occhi si accese la fiamma della vendetta, come se fosse stato preso dalle Furie. Farò del mio meglio per convincere Jer.
    Chiuse gli occhi e scacciò per un momento quel sentimento di rivalsa che lo logorava. Lasciò di scatto la spalla della ragazza, interrompendo il contatto fra loro, e si tirò su dal letto. Di nuovo in piedi e dando la schiena a Daphne disse ancora: “"Questo non riporterà in vita le nostre madri, ma darò loro e a noi giustizia."” era una promessa, che aveva già fatto a se stesso troppe volte e non aveva mai smesso di agire per poterle tenere fede. Adesso c'era bisogno di una svolta concreta. “Aspetto tue notizie.” tornò a girarsi verso di lei e la guardò serio, ma senza omettere quella gentilezza che sapeva pervadere i suoi modi, “Per qualunque cosa, non esitare a scrivermi. ” le disse ancora prima di salutarla e congedarsi.
    Percorrendo a ritroso il viale che portava fuori dai cancelli dell'Accademia di Magia, Nick tornò a girarsi per lanciare un'occhiata a quel luogo. Il suo sguardo sfiorò la finestra della stanza del dormitorio nel quale era appena stato, in compagnia di sua sorella.
    Sua sorella.
    Si smaterializzò.

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    “Sì. Sono sicuro.” Era sincero, ma questo non voleva dire che non avesse paura. Nick lo guardò esitare e poi rispondere mostrando spavalderia. La sincerità delle sue intenzioni lo colpì, Jerome non gli si era mai mostrato così, fragile e forte, consapevole dell'importanza di smettere di tenere il punto. Finalmente consapevole di essere la possibilità che ad ognuno di loro serviva per poter mettere la parola fine a quella storia, voltare pagina e ricominciare. Ricominciare lontani da tutto quel male, liberi da quel fardello.
    Nick non era mai davvero riuscito ad immaginare come sarebbe stata la fine di quell'incubo. Forse in passato, quando era un ragazzino l'aveva immaginato. Mai avrebbe creduto, allora, che potesse volerci così tanto... e poi, ad un certo punto, aveva smesso di pensarci perchè la testa ed i pensieri erano occupati a trovare il come, ed il quando si faceva meno pressante, sempre più lontano.
    “Sono stanco.” Nick lo guardò e ancora una volta lo trovò incredibilmente sincero. Stanco. Lo era anche Nick, lo erano entrambi. Era questa probabilmente la conseguenza più logica di quella lotta logorante. Una lotta che iniziava dentro di loro e proseguiva fuori, di nuovo dentro e ancora fuori. Una lotta che logorava, feriva, straziava e faceva impazzire, perchè sembrava che tutto dipendesse da loro e al contempo che da loro non dipendesse nulla. Che fossero completamente impotenti di fronte a tutto quel male, a tratti perfino complici e responsabili. Nick sapeva benissimo come doveva sentirsi stanco Jerome... “Se credi possa servire, allora prendilo. Voglio solo non dover vedere ancora tutto questo.” Nick non ci pensò, il suo corpo agì senza aspettare comando. Si avvicinò a Jerome e gli si inginocchiò davanti. In un gesto fraterno, forse il più vero di tutti, gli mise una mano fra i capelli ed avvicinò la fronte alla sua. Decise che non importava mostrarsi forti in quel momento. In quel momento contava solo l'essersi in qualche modo... ritrovati.
    Così non trattenne la commozione di quel momento, e lasciò che Jerome guardasse i suoi occhi farsi lucidi. “Prima rimettiamoci in forze...” gli disse sorridendo, nonostante le lacrime che iniziarono a scendere lungo il viso. Non erano nelle condizioni per poter affrontare anche quella prova in quel momento. Emotivamente e fisicamente, avevano già sacrificato abbastanza per quel giorno... non sarebbe stato giusto, ma anzi avrebbe complicato ulteriormente le cose. Nick strinse i capelli di Jerome fra le mani, affettuosamente, e senza staccare la fronte dalla sua gli disse semplicemente, “Grazie.”
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    Ti scriverò il mio indirizzo. “Grazie.” le rispose dopo qualche attimo, sforzandosi di sorridere. Non si trattava di un sorriso falso, affatto. Nick voleva risultarle più rassicurante possibile, in una situazione -come la loro- dove di rassicurante c'era davvero ben poco. Riusciva a capire il nervosismo e la frustrazione della ritrovata sorella, eppure c'era sempre una punta di dissenso in sé. Non capiva come aveva fatto ad essere così cieca e per così tanto tempo. Riconosceva che Bachskov poteva essere estremamente persuasivo e manipolatore, ma una parte di sé non riusciva a trovare scuse o giustificazioni per una tale cecità. Era la stessa parte che si rimproverava di non essere abbastanza, di non fare abbastanza per poter sbattere quel mostro dietro le sbarre una volta per tutte. Quella parte così critica da non accettare limiti umani, da puntare il dito contro ogni fallimento, sottolineandolo senza pietà, né comprensione alcuna. Ed era per quello che si sforzò di sorridere, quella parte critica gli aveva dato da pensare più e più volte quando c'era da potersi fidare di quella ragazza... Nick non ne metteva in dubbio il dolore, né tanto meno i buoni propositi che la verità che le era piombata addosso le aveva fatto assumere... No, non dubitava della bontà di Daphne e nemmeno della sua intelligenza.
    Avevi altro a cui pensare, lo so. Non preoccuparti. sorrise ancora annuendo a quella affermazione. Già... Dubitava della fermezza che avrebbe potuto opporre ad un Bachskov pronto a tutto per riportarla dalla sua parte. Per quanto le sue nefandezze fossero venute finalmente agli occhi anche della figlia prediletta, Nick sospettava che la ragazza potesse essere raggirata. Era un rischio di cui lui e Justin avevano abbondantemente discusso dopo la sera dell'attacco ed erano giunti alla conclusione che non potevano non tenerne conto. Non potevano sottovalutare né trascurare nessuna possibilità. Oh.. sul serio? Di che si tratta? La vide rianimarsi, una volta cancellata la variabile di nuove brutte notizie. Nick notò nei suoi occhi chiari, una fiamma di speranza, che non sembrava nemmeno essere piccola così come il suo scoramento di poco prima avrebbe fatto supporre.
    Okay. Nick roteò le spalle, per dare sollievo al fastidio che la contrattura dei muscoli gli procurava in quel punto. Era lì che accumulava tutta la tensione. Si sedette poi sul letto accanto a Daphne e, chinandosi leggermente in avanti, poggiò i gomiti sulle ginocchia per sporgersi a guardarla dritto negli occhi. “Non ne sono ancora sicuro a dire il vero.” ed ecco la prima bugia. Nick ne era sicuro eccome, ma bisognava essere estremamente cauto e considerare tutte le variabili. Bachskov era una variabile poco prevedibile ed il suo ascendente su Daphne idem. “Ma ho buoni motivi di credere che Theresa abbia lasciato testimonianza di ciò che le è stato fatto.” ed ecco una verità. Questo era indiscutibilmente vero, ed era questa la verità che interessava principalmente arrivasse a Bachskov, se proprio gli fosse dovuta arrivare una qualsiasi informazione. Si definisce “esca” . “ Sono anche abbastanza convinto che Jerome potrebbe aiutarci a trovarla.” mezza vertià. Perchè una bugia e una verità dovevano pur essere tenute assieme da qualcosa, giusto? Le mezze verità erano perfette a questo scopo. “Il punto è, come ben saprai, che non è semplice parlare con lui, di lei. ” aggiunse poi rimettendosi dritto, senza però smettere di guardarla. E fu in quel momento, in quel preciso istante che, guardandola, Nick si chiese cosa ricordasse Daphne di sua madre. Cosa sapesse di lei, e se ricordi, racconti, immagini fossero contrapposte, si sovrapponessero... Si grattò il mento irsuto, prima di aggiungere con decisione, “Ed è qui, che entreresti in gioco tu.” in ogni caso. Che Bachskov fosse riuscito a coercizzarla oppure no.
    Nick sperò che Daphne, se mai fosse venuta a conoscenza di questo piccolo inganno, riuscisse a perdonarlo. Era solo una precauzione. Una possibile trappola per quel bastardo. In ogni caso, non avrebbe permesso che tornasse davvero da lui, a quella gabbia dorata nella quale era stata costretta a crescere.
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    A Nick non sorprese lo stupore di Daphne. Dopotutto, come abbiamo già ricordato, non l'aveva avvisata di quella sua visita.
    Mi hai trovata per puro caso. Sono venuta a recuperare un libro, io non alloggio più in accademia.. Ma la ragazza seppe ricambiare molto bene quella sorpresa. Gli era parso di essersi espresso in un inglese corretto quando aveva chiesto sia a lei che a Jerome di tenerlo informato su spostamenti significativi, aggiungendo alla richiesta anche quella di mantenere un basso profilo. Non aveva fatto davvero troppo affidamento sul fatto che il fratello l'avrebbe ascoltato con la storia del “basso profilo”, ma aveva giudicato Daphne più giudiziosa dell'altro. Doveva ricredersi? “Bene a sapersi.” le rispose cercando di mascherare la sorpresa ed accettando poi il suo invito ad entrare. La stanza in effetti sembrava essere vuota, per lo meno a metà. Si guardò attorno, distrattamente in verità, perchè quel posto adesso non raccontava nulla che valesse la pena sapere.
    Stai bene? “Discretamente, grazie.” sorrise, e stava per farle la stessa domanda, ma la rossa non gli diede modo di continuare a parlare, perchè proruppe in un fiume di parole che, nonostante la domanda inespressa di Nick, fu una chiarissima risposta. Se è successo qualcosa dimmelo, non prendere tempo. Preferisco saperlo subito: detesto gli imprevisti e ormai sembrano all'ordine del giorno. No, non doveva stare bene. O per lo meno non davvero, non del tutto. Chiuse gli occhi un istante, pensando che infondo nessuno di loro stesse bene, stare bene suonava come una promessa troppo grande, una pretesa troppo grande. “Calma.” le disse avvicinandolesi e mettendole una mano sulla spalla. Nick non era particolarmente avvezzo al contatto fisico. Abbracci, carezze... gli sembravano cose difficilissime, e lo erano considerato il disagio che simili manifestazioni di affetto potevano procurargli. In quel momento però, avrebbe voluto abbracciare sua sorella. “So che non mi si è mai presentata l'occasione di farti visita, mi spiace.” aggiunse, “Ma questo evento non porta con sé brutte notizie.” Non sta volta per lo meno. Tutt'altro. Stavolta c'era qualcosa di cui gioire, almeno parzialmente. “Devo parlarti di Jerome, e di una cosa che potrebbe esserci molto d'aiuto.” era arrivato il momento che tutti fossero informati. Sperò vivamente che questo avrebbe comportato una reciprocità vera, perchè era davvero importante conoscere spostamenti ed intenzioni di tutti loro. La situazione era delicata e oltremodo pericolosa, Nick non credeva davvero che qualcuno avesse bisogno di ulteriori prove per capirlo.


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    -Temo di non avere molta scelta. – Il che era vero fino ad un certo punto. Apprezzò tutta via il fatto che volesse collaborare senza fare troppe storie, se non contiamo l'espressione un po' seccata. Ma quella, a parere di Nick, non era biasimabile. -Mia sorella.- Banale. -Lavora alla Gringott.- E i dettagli erano una cosa fondamentale per la credibilità di una risposta banale. La Gringott. Nick non avrebbe mancato di appurare la veridicità di questa informazione, anche se la donna davanti a lui non gli sembrava una stupida. Dare ad un Auror un'informazione così, sperando che non ne scoprisse la falsità, era davvero da stupidi. Vero anche che Nick non aveva molte altre scuse per trattenerla lì o addirittura invitarla a seguirlo al Quartier Generale. Il sospetto non era un elemento sufficiente, e sebbene questo fosse una garanzia fondamentale, spesso si rivelava essere anche un seccante intralcio al suo lavoro. -Mi ha chiesto di aspettarla qui fino alla fine del suo turno. Per poi unirci alla nostra famiglia per cena. – Sorrise, constatando che benchè la facesse una donna con molta più fantasia di quella che aveva dimostrato di avere, si confermava assolutamente scaltra. Una scusa banale, assolutamente plausibile e quindi difficilmente contestabile. Si massaggiò il mento barbuto, prima di incrociare le braccia al petto con un che di compiaciuto, “Mh... Direi che una burrobirra non è un degno aperitivo...” constatò provocatorio, notando una strana smorfia contrariata che aveva scalfito l'espressione stoica della donna dinanzi a lui, nel momento in cui la stessa aveva bevuto dal proprio boccale. “ E nemmeno il Paiolo mi pare il posto migliore in cui aspettare l'ora di cena.” , davvero poco appropriato. Il Paiolo era una locanda di transito, maghi e streghe che dovevano sbrigare affari a Diagon Alley, studenti che aspettavano di tornare ad Hogwarts... Non certo sorelle che bevevano qualcosa prima di una cena in famiglia. E poi, non c'era bisogno di uno sguardo attento per capire che Olivia Gautier mal si collocava in un contesto così... poco raffinato. Chissà se almeno ci aveva provato ad omologarsi.
    “Se mi permette di essere sincero...” disse dopo una breve pausa, nella quale aveva fatto un cenno al locandiere al bancone del bar. Ovviamente quella era una altra falsa richiesta, perchè Nick si sarebbe permesso di essere sincero, “ questo è un posto veramente insolito per una donna come lei.” così, giusto per dissipare eventuali dubbi sul perchè della curiosità verso di lei rispetto a tutti gli altri clienti di quella sera. Oliva Gautier doveva ammettere a se stessa che, in un ambiente del genere, era l'unica a destare qualche perplessità. La sua compostezza stonava in quel posto. Fu proprio in quel momento che al tavolo giunse il cameriere a posare sul tavolo un bicchiere di idromele. Anche Anderson li raggiunse, chinandosi a sussurrare qualcosa all'orecchio di Nick, che non fu bravissimo a celare la sorpresa. Recuperò dalle mani della collega il documento della Gautier e lo pose sul tavolo fra le due diverse bevande. Sorrise, sporgendosi leggermente verso di lei. “Si goda il suo drink, signora Gautier.” Auror Gautier. Nick si alzò, e guardò ancora la donna che gli stava di fronte. L'informazione appena ottenuta non l'avrebbe distolto dal verificare le sue risposte. Se un Auror di un altro Ministero arrivava a Londra, questo doveva essere segnalato al Ministero della Magia. La domanda era... Olivia Gautier era a Londra in veste di Auror o da privata cittadina venuta per far visita alla famiglia. Le sorrise e un po' provocatorio accennò ad un piccolo inchino, “A presto.” . Richiamò la sua squadra e lasciò il Paiolo ed il suo oste, Tom, a cercare di riprendere una serata ormai persa.
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    “E rovinarti la vita passandola a darti tutte le colpe che non hai, credi che aiuterà a risolvere tutto questo?” “ E ripetere che la colpa non è mia, lavandomene le mani, lo risolverebbe?” era un folle e forse patetico meccanismo della mente. Credersi responsabile aiutava Nick a pensare che avesse i mezzi per opporsi a quello stato perverso delle cose. Come avrebbe potuto modificare qualcosa su cui non aveva potere/responsabilità? Era un dovere fermare il male che Bachskov portava dietro di sé indisturbato. Un dovere. Al mondo esistevano due – si solo due per quanto Nick ne sapesse- modi di agire: voltarsi dall'altra parte, o prendersi la briga di farsi carico di quel dolore. Il primo modo era parte del problema, una bella parte, perchè se mostri come il giudice Bachskov aveva l'agio di agire indisturbato era sicuramente colpa di chi, pur sapendo, continuava a voltarsi dall'altra parte in un tacito assenso. E il secondo modo... il secondo modo era un atto di coraggio che non tutti riuscivano a fare.
    “Non credo di avere una risposta. Tutto quel che so del mondo è che niente ha senso. Se ne avesse mia madre mi avrebbe amato, avrei avuto un padre e chissà magari non sarei stato bipolare.” L'amaro di quelle parole non era occultabile. Nick si limitò a guardarlo, perchè non credeva di poter replicare in alcun modo a quelle parole. Non doveva essere stato facile, questo l'aveva sempre immaginato e forse non tenuto ben presente. O meglio, Nick aveva sempre immaginato che per quella realtà così dura, così sofferta, Jerome fosse pronto ad affrontare la vita con una grinta diversa. Per qualche motivo, superficiale e sicuramente troppo scontato, Nick aveva pensato che al dolore, suo fratello avrebbe potuto rispondere come aveva fatto lui. Si, forse era stato quello l'errore più grande. Lui era già un uomo, mentre Jerome solo un ragazzino. Avrebbe dovuto dedicare molto più tempo a lenire le sue ferite, piuttosto che scaraventarlo al fronte sperando che la rabbia avrebbe fatto il resto... così com'era stato con lui.
    La similitudine che si poteva leggere nei loro occhi, così diversi, non poteva cancellare tutte le differenze che li rendevano diversi. Sospirò, prima di restare spiazzato da ciò che Jerome disse poco dopo. “Vai. Fallo. Prendi il mio ricordo.” Rimase ad osservarlo in silenzio, chiedendosi se la mente non gli avesse tirato un brutto scherzo. Possibile che Jerome avesse pronunciato proprio quelle parole? Fece per aprire la bocca, ma poi la richiuse. Strinse gli occhi quasi per mettere a fuoco ogni espressione sul volto di suo fratello. Allungò una mano verso di lui, senza però toccarlo, “ Sei sicuro? ” gli chiese infine. Incredulo. Davvero la fine di quella triste storia stava per giungere? Per quanto desiderasse quel momento, Nick non voleva forzare oltre Jerome. Aveva imparato che quello non era un buon sistema per ottenere qualcosa da lui.

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    Aveva rimandato quell'appuntamento per troppo tempo. Controllò l'orologio affisso alla parete del suo ufficio, prima di tornare a prestare attenzione alle carte sulla sua scrivania. Un fascicolo aperto davanti a lui era scritto in francese e riportava la dicitura Ministère des Affaires Magiques de la France, letteralmente "il Ministero degli affari magici di Francia". Era arrivato qualche giorno prima direttamente dal distretto Auror di Parigi e non era troppo difficile capire di cosa trattasse. Olivia Gautier. Ecco il nome che saltava all'occhio aprendo quel fascicolo, accompagnato dalla foto della ragazza incontrata al Paiolo Magico. Quel sorriso sfrontato, lo sguardo di sfida divertito... Un auror del Ministero Francese.
    Nick si massaggiò la base del naso, pigiando indice e pollice cercando di controllare il mal di testa che da giorni lo tormentava. Sospirò, chiudendo di botto il fascicolo della giovane e misteriosa auror Gautier e si alzò, sgranchendosi la schiena e le braccia. La matassa dei casini della vita incominciava ad essere troppo ingarbugliata, andava sbrogliata. Filo per filo. Dividi et impera.
    Prese la giacca dalla sedia ed uscì dall'ufficio. La direzione era assai insolita, ma come aveva già detto, fra sé e sé, era troppo tempo che rimandava quell'appuntamento.
    Uscito in strada dal Ministero, Nick girò nel primo vicolo utile per potersi smaterializzare.

    Si materializzò fuori dai cancelli dell'Accademia delle arti magiche. Si aggiustò la giacca sulle spalle e poi li varcò, diretti alla stanza di Daphne Milkkelsen.
    Ci impiegò circa 15 minuti per trovare, prima l'ala dove erano collocati gli alloggi per gli studenti, e poi la stanza di... sua sorella. Ci aveva messo così tanto per abituarsi ad avere un fratello, riconoscendo che i risultati erano stati davvero deludenti... Non immaginava davvero che cosa potesse significare avere una sorella. Una sorella cresciuta con quel mostro senza mai sospettare di nulla. Quella storia era ancora un incognita, un qualcosa per Nick davvero poco comprensibile. Lui forse aveva scoperto la verità troppo presto e ne era stato ingabbiato.
    Arrivato alla porta della stanza, Nick indugiò per qualche istante in quei pensieri. Alla fine li rispinse giù e bussò. Quando la porta si aprì rivelando la figura di Daphne, abbozzò un sorriso,
    “ Perdona il mio arrivo imprevisto.” le disse sincero, la verità era che aveva agito di istinto, cogliendo l'occasione. Fu grato di averla trovata lì, per quel che ne sapeva avrebbe potuto essere a lezione o chissà dov'altro. “ Posso?” le chiese con un cenno del capo.



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    Rimise in tasca il distintivo. Lo sguardo sicuro della donna gli sembrò quasi beffardo. Non escluse del tutto la possibilità che lo fosse davvero, soprattutto quando lei si degnò di presentarsi; - Gautier. Olivia Gautier. -. Oltre al nome, fu l'accento a far supporre a Nick che la donna non fosse inglese, né anglofona. Prese il documento che gentilmente gli era stato porto e lo lesse con attenzione. -Tutto a posto, Auror MacDuff? - Nick sollevò lo sguardo sulla sua interlocutrice. Sorrideva in un modo quasi irritante, ma Nick non era decisamente tipo da lasciarsi infastidire da piccole provocazioni come quelle. Era ben altro a mandarlo in bestia, qualcosa che mandava in corto il suo solito autocontrollo. “Glielo saprò dire presto, signora Gautier.” le rispose sfoggiando un sorriso tutto sommato gentile. D'altronde non aveva elementi, né motivi, per mostrarsi ostile alla donna. Si girò richiamando l'attenzione della collega. Le porse il documento che Olivia Gautier gli aveva mostrato, e non ci fu bisogno di parlarsi perchè la donna capisse cosa ci doveva fare. Bastò un cenno di assenso, quando Nick lasciò che lo prendesse.
    Tornò a rivolgere la sua attenzione alla straniera. Afferrò una sedia avvicinandola a sé e vi si sedette, “Spero non le dispiaccia dedicarmi qualche minuto del suo tempo.” le disse, d'altronde i controlli sull'effettiva autenticità di quel documento avrebbero richiesto il tempo necessario. Non troppo, ma nemmeno troppo poco.
    “Aspettava qualcuno?” le chiese guardandola con attenzione. Fu una domanda legittima, sebbene azzardata. Nick sapeva che, oltre un ragionevole sospetto, non aveva sufficienti elementi per poter sottoporre la donna che gli stava di fronte ad un formale interrogatorio... Però una colloquiale conversazione non costitutiva un reato, né un'infrazione del regolamento. Certo, Olivia Gautier non era tenuta a rispondergli, e nel caso fosse stata disposta a farlo, non era di certo tenuta a dire la verità... Eppure Nick non nutriva dubbi sul fatto che la sua presenza al Paiolo Magico non fosse casuale.

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    E' solo così che va il mondo. Esisteva un momento, nella vita di ognuno, dove alla fine ci si abituava all'amaro che quelle parole lasciano sulla lingua. Nick era stato cresciuto con altri valori, era stato cresciuto vedendo suo nonno e sua madre, sputare via quella sensazione, con caparbietà estenuante. Perchè il mondo non poteva, non doveva essere lo schifo che avevano permesso diventasse. Dopotutto, di chi era la responsabilità di tutto quel marcio? Da sempre conosceva un solo modo di starci dentro. Dibattendosi per farsi spazio, per far si che l'appiccicoso di quel morbo non gli si attaccasse addosso e magari... smettesse di attaccarsi addosso agli altri indiscriminatamente.
    Sentire Jerome pronunciare quelle parole per consolarlo, gli fece male. Pensò che doveva esser più semplice, e lo era, accettare le cose per quelle che erano e smettere di remare contro a quel mondo contorto che da finta eccezione si era imposto come mortifera regola.
    "Questo non ti rende manchevole perchè... pensaci... cosa sarebbe successo se tu non fossi arrivato in tempo stanotte?" Lentamente, Nick riprese il controllo del suo respirare. Si passò una mano fra i capelli, non più corti come un tempo, portandoseli indietro ed inspirò, ricacciando indietro le ultime lacrime. "Non sei tu il male delle nostre vite. Nè della tua." “ Questo dovrebbe deresponsabilizzarmi?” domandò tirando su col naso e alzando gli occhi su suo fratello, “Dovrei, dovremmo, semplicemente imparare a convivere con tutto questo?” chiese ancora, alzandosi e riprendendo dal medesimo cassetto i fascicoli e lanciandoli aperti sulla scrivania davanti a Jerome. Tirò fuori dalle cartelline alcune foto. Foto di donne di cui sarebbe stato impossibile risalire all'identità se non con accurate e meticolose indagini, perchè sfigurate. Con mano tremante si soffermò su uno dei fascicoli... Battuto a macchina sulla copertina c'erano le iniziali E.MD. n.1. Nick si morse il labbro, ed espirò prima di tirare fuori dallo stesso la foto di sua madre e metterla davanti agli occhi di Jerome. “Lei è... Ella MacDuff.” disse con un fil di voce, “Io... Non posso imparare a convivere con questo, Jerome.” aggiunse, ritenendo inutile e superfluo specificare che si trattasse di sua madre. Controllarsi davanti a quella foto per Nick era una prova di forza ed autocontrollo che non poteva reggere al momento, per questo la riposò con forza sulla scrivania, al contrario. Chiuse gli occhi, “Io non posso, né voglio che quel bastardo continui a uccidere senza pagarla. ” gli disse serio, “E la verità, sai qual è?” domandò, sapendo che in fondo non era così difficile come domanda. Soren Bachskov era una personalità troppo influente, in una parte di mondo ancora più oscura e corrotta di quanto loro fossero abituati. Nessuno si sarebbe mai messo contro il Giudice Bachskov, quando era un Auror a Copenaghen, Nick aveva sperimentato con frustrazione quanto potesse essere sbarrata quella strada. “Non sarò Batman, ma sono l'unico disposto ad affrontarlo.” Questa era la verità, “E se tu vuoi aiutarmi almeno un po', non venirmi a dire che è così che va il mondo. Perchè è esattamente questo che lo rende uno schifo.”


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    Nick si controllò l'orologio sul polso destro. Le lancette segnavano esattamente le 8.45 p.m. Lanciò un'occhiata ad una donna che era seduta tre tavoli più in là, poco distante dall'ingresso del più affollato porto di mare del Mondo Magico inglese: il Paiolo Magico. Avventori di ogni specie e genere approdavano lì in cerca di ristoro, risposte o per sbrigare loschi affari. La donna ricambiò il suo sguardo e si toccò l'ampia falda del cappello che indossava. Tutto tranquillo, per il momento.
    Nick afferrò il bicchiere di vodka che posava sul tavolo e fece un piccolo sorso. Era il terzo giorno che si trovavano appostati lì in attesa del loro uomo. Marcus Spree, ex Mangiamorte, fuggito dopo la presa di Azkaban. Le sue tracce si erano perse al confine coi territori del Nord. Per qualche strana ragione, Spree aveva deciso di far ritorno a Londra e questo a seguito di altri trovi movimenti di ex maghi oscuri, alcuni dei quali “perfettamente” reintegrati nella società magica. Storse il labbro a quel pensiero... Come potevano individui simili essere reintegrati? Come si poteva permettere loro di continuare a vivere le loro vite come se non si fossero resi colpevoli di alcunchè, solo perchè avevano fatto qualche nome che aveva portato alla cattura di altra feccia della terra come loro?! Non lo capiva. Non capiva quest'assurda contrattazione che la giustizia doveva abbassarsi a fare con chi non ne aveva auto rispetto; con chi di rispetto non ne aveva avuto per centinaia di vite. Per quanto il sistema dei collaboratori di giustizia avesse condotto a tanti altri arresti, c'era in Nick la convinzione che i mangiamorte non potevano cancellare così chi erano stati e cosa avevano fatto. Justin pagava con la latitanza le scelte passate... Di certo non si poteva dire che viveva la sua vita come nulla fosse. Tornando al motivo dell'appostamento, v'erano state delle sospette riunioni notturne nei manieri di tre diverse famiglie purosangue negli ultimi 4 mesi. Uno di questi era proprio la tenuta in apparente stato di abbandono della famiglia Spree.
    Il Quartier Generale Auror si era subito mobilitato. Per quanto scarne potessero essere le informazioni, non era davvero il caso di trascurare simili movimenti.
    Nick si tirò su il bavero del mantello, sussurrandovi qualche parola all'interno. Fuori l'ingresso del Paiolo, v'erano altri due Auror, i quali risposero al sussurro grazie ad una speciale spilla che gli permetteva di comunicare esattamente come una ricetrasmittente, il rumor.
    Dalla porta del locale entrò una ragazza bionda. Anche Anderson la osservò fin quando questa non trovò un tavolo al quale sedersi. Aveva un abbigliamento insolitamente elegante, troppo pretenzioso per un posto del genere... che fosse coinvolta con Spree? Con un gesto naturale quanto precedentemente concordato, Nick segnalò di tenere d'occhio anche lei. E fu proprio in quel momento che notò un piccolo dettaglio.
    Il flashback di qualcosa già visto, un deja vù. Un uomo si era mosso per raggiungere il bancone, e lo scontrarsi col cameriere aveva fatto si che il mantello gli si spostasse quel tanto che era bastato a scoprirgli per alcuni secondi la mano destra, completamente ricoperta dalle cicatrici di una grave ustione. Le pagine del dossier scorsero veloci davanti gli occhi di Nick, fino alla nota che quel dettaglio aveva richiamato: Marcus Spree si era volutamente maledetto con un incantesimo incendiario l'arto destro per cercare di eliminare il marchio nero... Come se non avesse saputo che dal marchio non si sarebbe potuto mai più liberare.
    Nick non aspettò oltre, “Ora.” disse all'interno del bavero, rimettendosi in piedi. Anderson si girò verso di lui ed immediatamente capì. Gli Auror che erano fuori entrarono ed in un battito di ciglia il posto fu chiuso da un incantesimo che non avrebbe concesso a nessuno di smaterializzarsi.
    Nick fece per avanzare verso il criminale, fingendo di dover raggiungere anche lui il bancone, ma qualcosa doveva aver messo Marcus Spree in allarme. Questi infatti si girò verso Nick e gli scagliò contro uno schiantesimo, che l'auror parò prontamente. Bastò quello a far sprofondare il locale nel caos.
    “Bloccate le uscite!” esclamò diretto ai suoi colleghi, mentre cercava di catturare l'uomo che si faceva scudo nella confusione di gente e di tavoli rovesciati.
    Ci fu una piccola colluttazione, al seguito della quale Nick costrinse Spree con la faccia contro un tavolo, bloccandogli le braccia dietro la schiena. Lo schiacciò con il proprio peso, mentre un incantesimo gli legava le mani e gli sequestrava la bacchetta. “Credevi di poter tornare e riprendere i tuoi affari indisturbato?” chiese provocatorio all'orecchio del mangiamorte, che per tutta risposta rimase in silenzio, “Hai fatto male i conti, Spree.” Aggiunse tirandolo su bruscamente e spingendolo verso i due colleghi che gli si avvicinarono. “Phil, Matt, portatelo al quartier generale... qui ci pensiamo io ed Ursula.” , disse, pulendosi via il sangue sul labbro per il pugno che quel bastardo aveva messo a segno.
    Solo in quel momento Nick notò che il tavolo sul qualche aveva eseguito l'arresto era lo stesso dove sedeva la ragazza insolitamente elegante che era entrata solo qualche minuto prima. Non s'era mossa da lì. Non era scappata, né s'era fatta prendere dal panico. Nick la guardò e lo sguardo freddo che lei gli rimandò, scottò.
    “Auror MacDuff.” si identificò mostrandole il distintivo, “ Può mostrarmi le sue generalità, signora...?” chiese poi, con il sospetto che non l'aveva abbandonato, anzi.






    Edited by †Crusader. - 16/9/2021, 11:51
  12. .

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    “Guarda cosa hai fatto...” No. “Come si vive a credere d'essere nel giusto? Con la convinzione di fare del bene mentre quel che fai uccide?” No. “Guarda quante vite la tua stupida crociata personale ha mietuto...” Non è così...
    “Guarda a cosa la tua testardaggine ha portato...” NO!
    Il getto d'acqua fredda scorreva dritto dentro lo scarico del lavandino di marmo. Nick lo guardò scorrere per qualche istante, senza davvero vederlo, poi raccolse un po' di quell'acqua nel palmo della mano per gettarsela sul viso stanco e provato. Alzò lo sguardo sullo specchio di fronte a sé, e l'immagine che gli restituì il riflesso fu dolorosa perchè gli sbattè in faccia quella terribile verità che si raccontava non fosse vera.
    La loro somiglianza era inoppugnabile.
    Afferrò l'asciugamano e si asciugò, premendo sul volto con vigore tale nella spera di poter cancellare quell'odiosa somiglianza. Speranza vana.
    Sentì poi improvvisamente dei rumori provenire dallo studio. Justin? Qualcuno, come lui, non riusciva a dormire. Scartò immediatamente l'ipotesi di un'intrusione. Per quanto potente potesse essere Bachskov, o qualsiasi altro scagnozzo a cui avrebbe potuto affidarsi, l'incantesimo messo a sicurezza dell'appartamento non avrebbe permesso a nessuno di entrare così silenziosamente e facilmente.

    “Siamo vivi.” Entrato nello studio, Nick trovò Jerome seduto alla scrivania. Si guardò attorno e notò subito, con orrore, che suo fratello aveva trovato i fascicoli che mostravano di quali mostruosità Bachskov fosse capace. “Queste donne...” La domanda che stava per arrivare, Nick la conosceva e la temeva. Jerome non era uno stupido, nonostante a volte si impegnasse davvero per dimostrare il contrario, “E' opera sua?” Nick chiuse gli occhi come fosse appena stato colpito da uno schiaffo. Fece un passo in avanti, raggiungendo la scrivania. Allungò la mano destra verso le carte, quella non fasciata, immobilizzata assieme alla spalla. Segni visibili di ciò che quella notte era successo. Gli altri, quelli invisibili, continuavano a ripercuotersi vorticosamente nella sua testa.“Guarda cosa hai fatto...” “Come si vive a credere d'essere nel giusto? Con la convinzione di fare del bene mentre quel che fai uccide?” “Guarda quante vite la tua stupida crociata personale ha mietuto...” Nick richiuse gli occhi, recuperando i fascicoli. Un brivido gli percorse la schiena, lungo il collo facendogli muovere la testa in uno spasmo. “Non dovresti frugare in giro. ” Rispose semplicemente, perchè la risposta alla domanda di Jerome era scontata. Voleva davvero una conferma dell'ovvietà? “Lo sai? ” gli chiese girandosi a riporre il materiale delle indagini dentro il cassetto da cui era stato tirato fuori. Non era un rimprovero... Nick non aveva davvero intenzione di rimproverarlo, né tanto meno ne aveva voglia.
    “Come ti senti?” gli chiese, lasciandosi cadere sulla sedia di fronte a Jerome. Si passò la mano sul viso, domandandosi cosa diavolo significasse la domanda che gli aveva appena posto. Come poteva stare? Nick poteva immaginare senza difficoltà come devava sentirsi... La verità era che non sapeva cos'altro dire. Non aveva mai davvero imparato a rapportarsi a quel fratello sentendolo tale... Nick aveva sempre visto Jerome come un ragazzino potenzialmente in pericolo, una mina pronta ad esplodere o come un'arma a doppio taglio che poteva finire nelle mani sbagliate. Diventare una pedina... “Non avresti dovuto vederle...” aggiunse, puntando lo sguardo in un punto impreciso dalla stanza, ben lontano dagli occhi del fratello di fronte a lui. “Non è giusto. Io avrei...” la sua voce iniziò a tremare. Si morse il labbro, portando il pugno chiuso contro la bocca. La verità è che aveva fallito. Fallito e continuato a fallire. E sebbene volesse mettere fine a quella storia una volta per tutte... “Guarda cosa hai fatto...” “Avrei dovuto proteggervi, Jerome.” disse in un fil di voce, quasi rivolgendosi più a se stesso che a Jerome, “Ed invece...” “... quante vite la tua stupida crociata personale ha mietuto...” Fu così che Nick cominciò a singhiozzare, lasciando che la rabbia, la frustrazione ed il senso di colpa si sciogliessero in lacrime che non riuscì a trattenere.



    Edited by †Crusader. - 16/9/2021, 12:48
  13. .

    Passavo di qui per caso e ho pensato di farti visita. Nick l'ascoltò, mentre ne osservava i movimenti meccanici e nervosi. Il tremito della mano che versava il liquore nel bicchiere, la fretta del mandare giù tutto d'un fiato... La verità non si muove con tanta mal grazia... anche se si trattava di William Foreman, che non aveva idea di cosa fosse la grazia. Corrugò la fronte in un'espressione interrogativa e scettica. Non era semplice mentire a Nick, perchè durante tutti quegli anni nel corpo Auror ne aveva ascoltate di cazzate, bugie, false verità... Oltre ad essere un bravo legilimens, Nick era anche un attento osservatore. Ed erano i dettagli a fare la differenza, come sempre.
    William non passava di là per caso. Nessuno passava fuori la sua porta per caso. V'era sempre un motivo, più o meno nobile. Più o meno disinteressato. “Pensavo fossi negli States.” gli disse poi mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni ed avvicinandosi di qualche passo. “Da quanto sei a Londra?” aggiunse poi. Avrebbe voluto chiedergli anche perchè fosse tornato, cosa l'avesse riportato a riattraversare nuovamente l'oceano, ad abbandonare la terra dei sogni per le rovine di quello che fu un grandissimo impero. Ma Nick sapeva che un interrogatorio non era il miglior modo di mettere a proprio agio un ospite, e Will sembrava già abbastanza a disagio.
    Tu come stai? Gli altri dormono? Meg? Quella domanda lo colpì in viso come il freddo gelido. Come uno schiaffo. Gli altri... Nick abbassò per un attimo lo sguardo, portandosi il dorso della mano a grattarsi il naso, dissimulando ciò che nel suo profondo quella domanda aveva riacceso. Si schiarì la voce, tornando a guardarlo, “Non c'è nessun altro... ” disse poi incredibilmente serio.
    Si mosse, avvicinandosi ad uno degli ampi finestroni. Nick guardò la città di Londra che di notte non riposava mai, nel turbinio di luci, auto, rumori di sottofondo... Si girò verso l'interno del suo appartamento e l'osservò davvero, per la prima volta, dopo troppo tempo... “ Sembra tutto uguale vero?” chiese a Will, ma probabilmente anche a se stesso, “ Invece è cambiato tutto.” aggiunse con lo sguardo perso davanti a sé ed una voce diversa.


  14. .

    Posò le chiavi nello svuota-tasche all'ingresso e si richiuse la porta alle spalle. L'incantesimo di sicurezza la blindò immediatamente con la consueta luminescenza bluastra. Nick lasciò che l'altro incanto, quello governante, gli sfilasse via il cappotto per riporlo sull'attaccapanni.
    Si passò una mano sul viso chiudendo gli occhi per un istante. La stanchezza di quella giornata di ricerche, con i suoi zero risultati, gli piombò addosso in un attimo. Tutta assieme. Avanzò stancamente verso il carrello degli alcolici e svogliatamente si servì due dita di vodka in un bicchiere. Il camino si accese sotto la premura dell'incanto che si occupava di gestire l'appartamento e le esigenze del suo unico inquilino. Nick lanciò un occhio al fuco scoppiettante, mentre buttava giù il primo sorso.
    E fu proprio fissando il fuco che gli venne improvvisamente in mente di scrivere a Justin. Posò il bicchiere sul carrello e fece per muoversi diretto allo scrittoio quando qualcuno bussò alla porta. Ci fu un momento, un breve lasso di tempo, in cui Nick corrugando la fronte si chiese se non fosse solo una suggestione della sua mente. In quel breve lasso di tempo spostò lo sguardo sull'orologio a pendolo nella stanza. Segnava le 3.17 del mattino. Il ripetersi del battere alla porta dissipò ogni dubbio sulla possibilità di essersi suggestionato. Ma chi poteva essere a quell'ora? Nick non aspettava nessuno e si sentì immediatamente in allarme. Afferrò la bacchetta e si diresse con cautela verso l'ingresso. Arrivato dietro la porta, ancora una volta bussarono. Nick poggiò il palmo della mano sul legno massello e chiudendo gli occhi pronunciò parole in una lingua antica. Immediatamente sul portone apparirono simboli luminescenti, di un blu fioco. In un attimo dalla porta venne sprigionato un forte fascio energetico, un incantesimo di protezione non invincibile, ma che avrebbe concesso a Nick un vantaggio da non sottovalutare in caso di pericolo. Chiunque fosse stato oltre la porta in quel momento, si sarebbe ritrovato legato in pochi secondo, se sufficientemente colto di sorpresa da non correre ai ripari; altrimenti sarebbe stato preso da quell'attimo di confusione prezioso che avrebbe permesso a Nick di lanciargli contro un altro incantesimo, aprendo la porta.
    Quando lo fece, Nick era pronto a schiantare chiunque ci fosse al di là della porta, ma quando vide chi era l'individuo legato a terra come un salame, la confusione colpì lui come un pugno allo stomaco. “.... Foreman?” Com'era quello strano, ma veritiero modo di dire? A volte il passato torna a bussare alla tua porta.
    Nick lo liberò con un lesto movimento della bacchetta e poi gli porse una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. Quelle corde l'avevano legato molto stretto, abbastanza da addormentargli gli arti. “ Non avevo idea... Entra forza.” fece per scusarsi, invitandolo ad entrare.
    “... Cosa ci fai qui?” e la domanda fu spontanea, una volta che la porta dell'appartamento 6A del numero 10 di Kensington Road fu nuovamente richiusa.
  15. .

    “Non lo farò.” La voce di Jerome sembrò provenire da molto lontano, eppure fu chiaramente udibile. Il suono limpido di una speranza. Nick sollevò la testa e lo sguardo su suo fratello, ne cercò gli occhi. E cercò dentro quegli occhi incredibilmente diversi dai suoi, la sincerità di cui aveva bisogno, la promessa alla promessa che aveva appena pronunciato. Fu solo guardandolo negli occhi che Nick si chiese se poteva ancora una volta fidarsi. La verità? Non c'era tempo per verificare la bontà delle intenzione di Jerome.
    In quella stanza ad ognuno dei presenti toccava un incredibile atto di fede. Non c'era altro modo. Troppo era il passato a renderli conosciuti estranei.
    Nick scovò Daphne muoversi con la coda dell'occhio. Non la seguì con lo sguardo, perchè sentì che all'interno di quel salone, lo spazio non bastava più.
    L'aria gelida dell'inverno gli arrivò alla schiena come conferma ai suoi pensieri. C'era bisogno di aria, e per una ragazza che era vissuta alle radici del male senza saperlo, beh, quello era decisamente uno spazio troppo piccolo. Specialmente se l'aria era da dividere con quei due estranei di sangue. Estranei che raccontavano una verità ben diversa da quella che si è sempre conosciuta.
    Possiamo collaborare... Ma non voglio mai più trovarmelo davanti. Non voglio vederlo, non voglio avvicinarmi a lui. Quindi non me lo chiedete, per favore.
    Nick si rimise dritto ascoltando la sua ragionevole richiesta. Si voltò a guardarla e le indirizzò uno sguardo disarmato, comprensivo, “Non te lo chiederò.” , ma allo stesso modo carico di una profonda, consapevole verità, “Ma sai che non posso prometterti che non accadrà.” aggiunse guardandola serio.
    Se c'era una cosa che a Daphne non poteva essere sfuggita, nonostante la coltre di menzogne dorate che le era stata ricamata attorno, quella cosa doveva essere l'incredibile determinazione dell'uomo che indegnamente aveva chiamato padre.
    “Se Bachskov ti ha tenuta con sé tutto questo tempo, deve esserci un motivo. Un motivo decisamente valido per permetterti di andartene quando ti pare. Soprattutto ora che sa che tu sai.”
    “Tu cosa credi sia giusto fare?”
    “Ho bisogno di un paio di giorni di tempo.” Rispose passandosi una mano sugli occhi. Doveva trovare Justin ed informarlo. Quella storia andava chiusa, ma occorreva tutto l'aiuto possibile. Aveva bisogno di lui, l'unica persona al mondo che poteva franare l'entusiasmo che nel cuore di Nick alimentava la speranza della tanto agognata resa dei conti, facendogli mantenere i piedi ben ancorati per terra. Bachskov non lo rendeva lucido, e questo gli avrebbe dato un vantaggio che Nick non poteva permettersi di regalargli. Non più. “Devo parlare con un amico, coinvolto quanto noi in questa faccenda...” Spiegò, guardando prima l'uno e poi l'altra con fare eloquente. Gli avrebbe presentato Justin a tempo debito, spiegandogli presto il resto che c'era da sapere. Niente segreti, non più. Ma prima di parlare di quella parte della storia, aveva bisogno di avere la conferma della sua collaborazione. Non aveva troppi dubbi in merito, ma sapeva anche che quella di Dravensen non era una situazione semplice. D'altronde niente di ciò che li aveva riguardati era mai stato semplice.
    “Nel frattempo vi chiedo di mantenere un profilo basso e stare in guardia.” disse loro serio, prima di muoversi e sparire dietro quello che sembrava essere un enorme specchio, ma che nascondeva il passaggio per la palestra nella qualche Nick si allenava quando non poteva usufruire di quella del Quartier Generale. Si avvicinò ad un grosso baule e lo aprì, prima di chinarcisi dentro e rovistare. Quando si rimise in piedi aveva fra le mani qualcosa.
    Fece segno a Daphne e Jerome di raggiungerlo.
    “Questo è un Lumino. Più rapido di un patronus o di un periculum e direttamente collegato l'uno all'altro.” disse loro mostrando i piccoli oggetti cilindrici, “In caso di pericolo attivatelo, rompendolo anche in terra se la situazione è drastica, ed io sarò avvisato e potrò raggiungervi.” spiegò loro brevemente consegnando un lumino ad ognuno di loro. Tecnologia Auror. Non era autorizzato a consegnarla a dei civili, ma non temeva davvero una nota disciplinare in quel momento.
    A quel punto tirò fuori la propria bacchetta e chiese ai due di mostrargli le loro. “Ricordate che questo è un luogo sicuro.” disse, poco prima di pronunciare parole antiche, incantando le bacchette dei due in modo tale che potessero accedere al suo appartamento in caso di necessità, riconosciuti dall'incantesimo di protezione che circondava e proteggeva l'appartamento.
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