Posts written by •Dr.House

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    Credevo di essere troppo vecchio per questo genere di cose, ma alla fine mi sono lasciato convincere. Insomma c'erano almeno due ragioni che mi hanno spinto ad accettare questa folle proposta dal mio amico Phoebus. Due grandi ragioni, piazzate in bella vista sotto gli occhi di tutti, principalmente i miei e coperte alla bene e meglio da vestiti che danno comunque modo alla mente di fantasticare. E che fantasie!
    Ovviamente, io sono un uomo per bene. Circa. Sono un padre, ovvio ma sono prima di ogni cosa un uomo, e l'uomo si sa, è debole, porco e traditore. Coerentemente con la mia natura quindi, io mi adeguo agli epiteti affibbiati alla mia specie, approfittando di visioni celestiali che Dio - che poi sarei io - ha piazzato direttamente nel mio ospedale. Insomma, questo fiume di parole è per dire che la bella Janis, la super dotata maga (dotata di quelle due belle doti di cui parlavo prima), vittima incosciente di una contesa amichevole tra me e il Thornton, è qui con me e l'uomo di cui poco prima, per godere della nostra compagnia. Buon per noi e peggio per lei insomma.
    Nulla di scandoloso comunque fin qui. Ed insomma sì, non c'è davvero nulla di scandoloso. Noi vogliamo soltanto divertirci, passare una serata diversa dal solito. Immergerci nella quotidianità inserendo stralci di rilassato divertimento. Ci sta, no? Massì che ci sta.
    E così sarebbe se il mio amico non si impegnasse a rendere, rendermi, tutto più complicato.
    Borbotto arrancando zoppicante tra la folla, superando il Thornton che si occupa di “parcheggiare” il nostro vivente mezzo di trasporto. Nulla contro le creature, sia chiaro, ma se azzarda a propormi di nuovo un giro sul pegaso dell'Ade, glielo ammazzo, questo è certo.

    “Eccoci.” Paleso la nostra presenza, quando arriviamo – io per primo – al cospetto della donna contesa. Lei è già qui, ben vestita e perfetta come al solito ed io per qualche attimo mi ritrovo a fissarla senza avere parole da dirle. Il che è davvero strana vista la mia parlantina sciolta.
    “Saremmo arrivati prima se il nostro comune amico si adeguasse a mezzi di trasporto normali. Ad esempio una moto.” Aggiungo, dopo essermi districato dall'ingente desiderio di spingere lo sguardo al di sotto del suo mento. Lo farò, chiaramente, ma in un modo raffirato e delicato che possa evitare di farmi catalogare come un maiale.
    “Sfreccia nel cielo che è una bellezza. Posso dimostrarglielo un giorno.” Continuo con la mia propaganda, cercando di rendermi migliore ai suoi occhi, o comunque di rendere migliore ciò che appartiene a me. Una moto. Una normalissima moto, e non un cavallo nero e scheletrico che farebbe paura a chiunque. “Bel vestito comunque. Vero, Phe?” Phe, già.
    Sì beh, sono arruginito, lo so. Sono anni che non mi affaccio alla mondanità, ma farò del mio meglio per ritornare in carreggiata. Mi serve solo una piccola spintarella.
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    A volte è bello constatare che, nonostante il tempo, tutto è rimasto com'era. A volte, appunto.
    Quando Melinda mi spunta alle spalle tuttavia, palesando la sua imperitura e per niente diminuita capacità di provocarmi l'orticaria sui cocomeri - rende bene l'idea del fastidio, no? - mi dispiaccio che l'evidente vecchiaia che si porta dietro -
    "AH! MA SONO RUGHE QUELLE?" - non le abbia donato una stasi da questa sua dote. Tutta la saggezza che avrebbe dovuto donarle il tempo, ha lasciato il posto alla capacità di essere sempre la più brava tra le rompicoglioni. E non lo dico certo perchè ho qualcosa contro di lei. No, assolutamente. Il mio è un giudizio del tutto disinteressato. Non era chiaro?
    “Lo sai che non è la festa di Halloween, sì? Togliti quella maschera, su.” Le dico, rispondendo così alla sua entrata di scena. Il nostro rapporto, dopotutto, è rimasto lo stesso. Continua ad essere, nonostante gli anni passati, una continua lotta atta a dimostrare chi sa essere il migliore tra i due. Ciò che mi dispiace è che non ha ancora imparato a perdere e vive di questa costante necessità di farsi mettere in ridicolo dal sottoscritto. Non che abbia problemi a riguardo, ma dovrebbe sviluppare un po' di amor proprio.
    Gallina.
    Faccio per tirarle un leggero pizzicotto sulla guancia, come a voler liberarla della fantomatica maschera di cui parlo. Assicuratomi però di avere dinanzi il vero volto dell'oca Gordon, porto una mano alla bocca mettendo su l'espressione colpevole di chi ha appena fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare.

    “Ops! E' la sua faccia.” Le mostro poi un sorrisetto beffardo, prima di provare a darmi una regolata e solo per un bene superiore. Se ho accettato di far parte di questa sorta di organizzazione di investigazione segreta, è solo perchè tengo particolarmente che nulla ritorni com'era. Non voglio rivivere l'incubo di un'oppressione come quella patita qualche anno fa. Non voglio che i miei figli si ritrovino a subire lo stesso trattamento perchè mezzosangue. Quindi, al diavolo chi afferma che sono un cattivo perchè ci vuole coraggio a sopportare Melinda Gordon ed io lo sto mostrando tutto.
    Scuoto il capo ignorando le pessime battute del ragazzo in gara a cui do un otto, piacevolmente sorpreso invece dalle canzoni cantate dalla prosperosa donna sul palco, a cui decido di affidare un dieci per le grandi doti. Canore.

    “E' un piacere scoprire che dopo tutti questi anni, tu riesca ad essere ancora una perfetta oca pettegola.” Rispondo quando ci aggiorna sulle sue notizie recepite. Vorrei che Phoebus fosse meno imbambolato dalle parole della donna ma purtroppo Melinda Gordon e le sue bocce, sanno sempre come attirare l'attenzione. Fortuna che sono immune a quel tipo di incanto. Cioè, ehw. Fin troppi marinai hanno salpato su quella barca.
    “Sì! Illuminaci Melinda, sulla tua discreta idea.” Do man forte al mio collega qui di fianco, mentre mostro uno stiratissimo sorriso. La sua idea sarà sicuramente sbagliata, ed immagino di poterne avere una migliore ma le darò modo di esporla così da eventualmente metterla in ridicolo proponendone una migliore. Come sempre.
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    "Ti ripeto che i miei cavalli sono vivi e sani e più sicuri. Con un paio di accelerate saremo arrivati e senza rischiare la vita."Provo a ribattere al mio compagno di sventure ma Mr Thornton è sempre stato una straordinaria testa dura, che è il motivo per cui probabilmente è riuscito a sopportare la mia. Dopotutto si dice che abbiamo ciò che meritiamo, e visto che nessun'altro al mondo è probabilmente sopravvissuto alla nostra reciproca testardaggine, eccoci qui. Insieme.
    Mi lascio convincere solo perchè so che sarà inutile continuare a ribattere. Ovviamente però, è chiaro ad entrambi che tutto questo non resterà impunito. Mi riprenderò la mia rivincita in un modo o nell'altro, e presto o tardi sarà Phoebus a rendersi ridicolo così come sto facendo io adesso. Insomma, mi ci vuole un po' anche solo per saltare in sella, e saltare ovviamente non è il termine giusto, direi più che altro, scalare in modo imbarazzante. A volte deve dimenticarsi del mio problemino alla gamba, e se questo forse da un lato mi lusinga, dall'altro non fa che svantaggiarmi.

    "Sì? Beato te che hai qualcosa che sale. A me l'unica cosa che sale, è il pranzo di oggi." Gli rispondo senza troppi giri di parole. Quando mi dice di tenermi forte, roteo gli occhi e borbotto una serie infinite di imprecazioni. A questo però, siamo ormai entrambi abituati.

    "Cavalcare non fa per le mie chiappe vecchie ed ossute." Gli confesso una volta arrivati ad Hogsmeade, camminando in modo ancor più ambiguo del solito mentre provo a riabituarmi alla normalità. Stare su un Thestral sarà anche divertente ma decisamente non è per me. La natura mi piace, ma solo se la guardo dal divano, in televisione. Farne parte mi irrita enormemente.
    "Sì? Vuoi regalarmene uno? Come vengono alla griglia?" Ribatto, in modo da dirgli implicitamente che no, rifiuto il suo regalo. La colpa è mia che mi sono lasciato convincere a partecipare a tutto questo. Avrei dovuto immaginare che non sarebbe stato facile sapendo che a capo c'era Melinda. Appunto però, come avrei potuto tirarmi indietro dinanzi alla possibilità di renderle la vita di nuovo complicata? Certo, per ora non ho trovato alcun vantaggio nel patto fatto, e l'unico che ci sta rimettendo le chiappe - a quanto pare letteralmente sono io - ma sono ottimista e fiducioso che le cose miglioreranno per me. Devono. E Melinda rimpiangerà il giorno di avermi conosciuto. Probabilmente lo fa già.
    Ci ritroviamo ad ascoltare l'interpretazione di una ragazzina a questa sorta di talent che hanno messo su. Ai miei tempi avrei suonato una strabiliante opera a suon di scorregge, ma nonostante l'esibizione in modo classico e senza emissione di arie posteriori, la canzone sembra orecchiabile. E sì, avere una bambina ed una figlia adolescente, deve ormai avermi assuefatto a certi ritmi.

    "Non rubarmi il ruolo di vecchio lamentoso. Noi eravamo fortunati. Avevamo gran belle cose di cui poter godere. Loro... beh, devono arrangiarsi. Certo potrebbero farlo in modo migliore ma... siamo già noi migliori. Al mondo devono pur esserci degli sfigati, no?" Gli dico mentre a mia volta voto un 8,5 per la ragazza. "Piuttosto, dov'è la gallina?" E per gallina, intendo ovviamente Melinda. "Questa della fiera è un'ottima occasione per far succedere... cose." Aggiungo, guardandomi intorno e cercando di carpire dettagli per la nostra personale ricerca della verità. Se siamo qui dopotutto è perchè teniamo alla tranquillità delle nostre vite e perchè abbiamo passato l'inferno con l'oppressione dei maghi oscuri prima ed il Lupus poi. Ora che le cose sembrano ricominciare a muoversi in modo ambiguo, abbiamo deciso di metterci in prima linea per far del nostro meglio per evitare che le cose peggiorino ancora.

    Interagito con Phoebus, votato Reese
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    Non sono empatico, non lo sono mai stato.
    Mi sono sempre rinchiuso nella mia bolla apatica di supremazia, lontano dalla sfera affettiva perchè convinto non avesse alcuna importanza lasciarsi andare ad atteggiamenti deboli e debilitanti. Questo ha fatto di me un misantropo o forse ero già predisposto a questo tipo di solitudine.
    Non mi è mai dispiaciuto essere solo. Agogno la solitudine come se fosse il bene più prezioso al mondo ma ci sono momenti, momenti come questi, in cui mi pento di non aver quel pizzico di empatia che servirebbe per capire un concetto apparentemente così semplice.
    Soffrire, ridere, amare. Nulla di tutto questo è semplice per me.
    Capire Jack quindi viene ad essere una delle cose più complicate io mi sia mai ritrovato ad affrontare. Una debolezza. E' questo che vedo nella mia incapacità di comprensione.
    Così mi impegno.
    Lo so che soffre, lo leggo dai suoi occhi, dall'atteggiamento arrendevole con cui si volge a me e si lascia schiacciare dal mondo.
    Perdere qualcuno di importante, sopravvivere alla consapevolezza che nulla è per sempre, è terribile. La perdita lascia un vuoto incolmabile ed un cambiamento eccessivo.
    Non mi sento di dire che sia più maturo, perchè la morte non rende maturi, rende solo più arrabbiati e sconfitti.
    Di fronte a questa consapevolezza mi rendo conto di essere del tutto inutile.
    Gratto la fronte ad occhi chiusi, cercando una soluzione a tutto questo.
    Potrei andare via, come dice, e lasciarlo solo. Sarebbe la scelta più facile da prendere per entrambi ma non quella che mi porterebbe alla giusta soluzione.
    Così, dopo qualche minuto, tiro fuori dalla tasca dei pantaloni il mio cellulare babbano.
    Scavo all'interno della rubrica, in silenzio, prima di trovare ciò che cerco.
    Mi tiro in piedi ed ancora silente, vado alla ricerca di una penna e di un foglio su cui scribacchiare poche cose. Quando ho fatto, torno da lui e gli porgo il biglietto.

    "Si chiama Klara. Parla poco l'inglese ma è bravissima con i bambini. Dì che del pagamento se ne occupa il suo amico Greg." Pagargli una babysitter, dargli il tempo di riorganizzarsi mi sembra un buon modo di ricominciare o almeno lo spero.
    Potrà almeno occuparsi di rendere questo posto vivibile.
    Ed anzi, anche in questo credo di potergli dare una mano.

    "Chiamala. Così noi possiamo occuparci di questo posto." Gli dico, togliendo la giacca e tirando su le maniche della camicia.
    Sarebbe più semplice demolire tutto piuttosto che scavare per trovare il pavimento, ma le missioni impossibili mi sono sempre piaciute.
    Tiro su lo sguardo su di lui, aspettando una sua reazione.

    "Non avevi aiuto. Ora ne hai due. Dimostrami che è di questo che avevi bisogno e che non stai cercando una scusa per piangerti addosso. Quello lo puoi fare di notte nel tuo letto quando nessuno ti guarda ma ora, di giorno, hai bisogno di essere un uomo per te e per la bambina. E quando ti sarai rimesso, tornerai in quel cazzo di ospedale a farmi vedere che sei ancora disposto a sudare per ottenere qualcosa nella tua esistenza. Chiaro?" Sebbene le parole siano dure, non lo è il mio tono.
    Sto solo cercando di smuoverlo da un pantano in cui è finito.
    Mi sto solo mettendo alla prova, e sto mettendo alla prova lui.
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    "Un po'." ripeto atono guardandolo, prima di farmi largo tra le cianfrusaglie della sua casa.
    Il dolore è personale e l'accettazione della perdita può essere un procedimento a volte davvero lungo. E' difficile da superare ed in realtà credo che nessuno ci riesca mai per davvero. Restano dentro, ci cambiano. Modificano il nostro modo di vedere le cose ed anche il modo usato per rapportarsi al mondo.
    Sono tappe terribili e purtroppo fondamentali della vita umana.
    Il dolore di Jack, il suo essere impreparato ad un'esperienza simile, la colgo in ogni dettaglio di questa abitazione.
    E' tutto a soqquadro. Sembra quasi che l'ambiente rispecchi il casino che ha dentro e ripeto, lo capisco ma fino ad un certo punto. Bisogna non lasciarsi abbattere dagli elementi negativi della propria esistenza e so che detto da me sembra assurdo perchè da quando ho perso la gamba il mondo ha cominciato a farmi più schifo di quanto già non mi facesse prima. Il punto è che io in fondo sono sempre stato così.
    Cinico, freddo, estremamente razionale.
    Avercela con la vita è strettamente collegato alle analisi scrupolose a cui l'ho sottoposta dalla mia nascita fino ad adesso. Jack non è così. Lui è quel ragazzo forse a tratti eccessivamente dolce che sembra vedere il positivo lì dove non c'è, ed ora invece non è nient'altro che l'ombra di se stesso.
    Afferro, seppur controvoglia, la bambina che mi porge e la tengo sospesa in aria senza avvicinarla al mio corpo, quasi come se fosse una bomba pronta ad esplodere. Per quanto ne so, potrebbe sul serio essere così. Ho avuto anche io una bambina e so benissimo quanto poco preavviso possano andare al momento dell'espulsione.

    "Amaro va benissimo." Gli dico, porgendogli di nuovo la sua bomba ad orologeria.
    Con entrambe le mani poggiate sul manico del bastone, lo guardo con un sopracciglio inarcato, piegando il capo ora a destra ora a sinistra per osservarlo meglio.

    "Avevo un amico. Era il mio unico amico, in realtà." spezzo il silenzio d'un tratto, lanciando uno sguardo al casino che ci circonda.
    Mi meraviglia riesca a camminare qui dentro senza inciampare.

    "Era una spina nel fianco. Sempre polemico, lamentoso. Non gli andava mai bene niente. Eppure... non avrebbe mai lasciato che mi riducessi a questo modo." lo indico con un gesto della mano, inarcando un sopracciglio.
    Non voglio certo infierire sulla sua condizione, né tirare fuori una storia strappalacrime (nonostante le premesse possano averlo fatto credere).
    Voglio che si riprenda. Tutto qui.

    "Ora non voglio certo paragonarmi a lui perchè, Merlino, io sono decisamente migliore. E di sicuro noi non abbiamo lo stesso rapporto che avevamo io e lui - toglitelo dalla testa - ma non posso accettare che tu ti butti via perché qualcosa di assolutamente naturale è successo anche a te." Si. Non sono bravo con i discorsi di incoraggiamento.
    "La vita fa schifo per tutti. Ora che persino tu l'hai capito, datti una ripulita, disinfetta questo posto e vieni al lavoro."
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    Non è la cosa più assurda che io abbia mai fatto, ed anzi se ho accettato è perchè in fondo - davvero molto in fondo - credo che ci sia una minima possibilità d'utilità in tutto questo. Le nuove generazioni hanno il dovere di capire a pieno il significato di ciò che andranno a fare, soprattutto adesso che non rappresentano altro che bombe batteriologiche e virali, in preda a crisi ormonali e alla voglia di scoprirsi (e scoparsi, che è il vero problema).
    Non è la mia prima visita a scuola quest'anno e fatte le consuete considerazioni su quanto questo posto non sia cambiato, che bello il culo della Rei e trallalà, aspetto che qualcuno si degni di venirmi ad aprire mentre poggio parte del peso del mio corpo sul bastone, che prima o poi si romperà e mi farà capitolare rovinosamente per terra, lo so.
    Quando finalmente la porta si apre, metto su un'espressione come a dire "era ora", prima di raggiungere la ragazza e sedermi al posto assegnatomi.
    Do un'occhiata veloce all'attrezzatura e, quietata la voglia di pigiare tasti a caso, indosso le cuffie ed attendo pazientemente il mio turno di parlare.
    Corrugo la fronte, guardandomi intorno, quando nella stanza risuona un applauso di cui non scorgo la fonte.
    Mi lascio scappare uno sbuffo alle sue moine. Mi hanno detto che posso essere brutalmente sincero (forse no, ma lo sarei comunque), quindi afferro il mio microfono per sparare la prima battuta di questo incontro.

    "Molti di voi non conoscono nemmeno il modo corretto di scrivere il proprio nome." Badum tssss, prendi questa, Hogwarts, qui è capitan House che parla.
    Con aria intelligentemente annoiata, ascolto le sue domande, interessanti ma scontate. Per me almeno, immagino invece che non lo siano per dei giovani arrapati che si affacciano alla vita con buoni propositi, grandi speranze, calli alle mani ed ormoni in subbuglio.
    L'intervento della studentessa chiacchierona quanto stupida, mi lascia perplesso tanto che non riesco nemmeno a commentare il suo grado di stupidità. Devo mordere la lingua per trattenere cattiverie di ogni genere. Se solo l'ignoranza potesse essere punita con la pena capitale...

    "Molti di voi probabilmente si aspettano indicazioni dettagliate, una mappa da seguire. Beh, ovviamente non sono qui per questo. Vi annoierò con spiegazioni scientifiche per evitare che vi trastulliate durante le ore di trasfigurazione e incantesimi. Oh... e a tal proposito per favore, evitate di provare l'engorgio sui vostri genitali. Al San Mungo si sono stancati di avere a che fare con testicoli giganti e stare dietro a ragazzi che fluttuano per le proprie palle. Non è dignitoso per nessuno, davvero." Come presentazione mi sembra adeguata, no?
    "Ovviamente non tutti sapranno cosa sono le zone erogene. Ovviamente, non lo sapete. Sono punti del corpo umano che se stimolati portano all'eccitazione e all'orgasmo. Tra questi sì, inseriamo il punto G e il punto L che potrebbero esistere e che corrispondono al paradiso in terra per chiunque abbia la fortuna di trovarli." Pausa scenica. Ci vuole.
    "Il punto G - dove G sta per lo studioso che ne ha parlato e non per Gnagna - è un punto particolarmente sensibile della parete anteriore della vagina dietro l'osso pubico. Se volete trovarlo non vi serviranno luci e scalpello, ma solo fortuna ed una qual certa abilità. Il punto L invece, è ben più raggiungibile. E' rappresentato dal muscolo pubo-coccigeo all'altezza della zona perineale - tra i testicoli e l'ano per essere chiari - e ovviamente può essere stimolato in parecchi e fantasiosi modi. Altre domande?"
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    Non sono un filantropo. Il rapporto col genere umano è estenuante per me. Odio le emozioni, preferirei non averne e odio avere una coscienza, perchè anche se si dice il contrario, ne posseggo una.
    Questo clima tremendamente angosciante, angoscia anche me. So cosa significa perdere tutto perchè più volte nella mia vita mi sono ritrovato a vivere un'esperienza simile ma scontare perdite ogni giorno, implica una forza d'animo impossibile. Persino per me.
    Chiunque crollerebbe sotto il peso di una disperazione incontenibile come quella che stiamo vivendo.
    Non sono decisamente il tipo adatto a consolare chi decide di lasciarsi contagiare dalla tristezza dilagante ma sono il capitano della mia nave - ho persino comprato un capello da marinaio per l'occasione - e come tale è mio compito cercare di riportare in riga i miei marinai.
    Ci provo, almeno.
    L'ultima volta che ci ho provato con l'infermiera del quarto piano, ho saputo che ha chiesto le dimissioni in maniera definitiva e che ha deciso di darsi al giardinaggio ma non farò lo stesso errore. Non stavolta. Non con lui.
    Lui.
    Lessie. Maggie. Margot.
    Insomma, Jack. Ora solo Jack. Si merita un po' di rispetto dopotutto.
    Per quanto me ne infischi della vita altrui, ho saputo di ciò che gli è successo e qualcosa nel petto si è mosso. All'inizio pensavo fosse un infarto e poi ho capito essere invece compassione.
    Ho provato pena per lui.
    Non di quella brutta, anche se in effetti non ce n'è una bella. Ho sentito però di dover far qualcosa. Non so nemmeno cosa in realtà.
    So che ho cercato tra i dati anagrafici conservati al San Mungo, il suo indirizzo ed ora mi ritrovo qui a bussare col mio solito fare frenetico fino a quando la porta non si apre.
    La prima cosa che noto guardandolo è che sta male. Di merda, sì.
    Persino il suo modo di fare impacciato e patetico sembra essere scomparso dietro il peso di una responsabilità che è evidente non riesce a gestire. Lo lascio fare e me ne resto qui, almeno per ora.

    "Presto quanto all'incirca?" Gli chiedo poggiando il peso sul bastone mentre lo osservo col mio sguardo da "ti leggo l'anima". In silenzio, continuo a scrutarlo prima di passare al marmocchio che regge.
    "Ho bisogno di sedermi." gli dico dopo poco, alzando un sopracciglio. Non è una richiesta è quasi un ordine. E non è nemmeno vero che ho bisogno di farlo, credo di avere un altro po' di autonomia ma non resterò qui fuori sull'uscio mentre cerco di tirar fuori la mia umanità. "Il San Mungo è di sicuro messo peggio."
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    Non sono un tipo irascibile. Mi capita di perdere le staffe e, in occasioni del genere, so di dare di me l'impressione di un mostro pronto a mangiare tutti e a distruggere una nazione intera (Housezilla, sì), ma non sono mai, o quasi mai, irascibile.
    Avevo dimenticato però quanto fosse facile perdere completamente il nume della ragione stando per più di qualche minuto accanto a Melinda Gordon. Non mi sento di definirla una vera e propria dote, ma come riesce a mandare ai matti lei le persone, non ci riesce nessuno. Quindi complimenti per il suo primato di rompicoglioni. Le farò recapiterà una targa, una medaglia ed anche una tazza con la sua faccia stampata sopra.
    Comincio quasi a chiedermi come abbiano fatto i mangiamorte a sopportarla per così tanto tempo. Com'è che non l'hanno rilasciata prima in qualche landa sperduta di qualche paese dimenticato da Dio?! O sono particolarmente masochisti, o non sono così intelligenti e furbi come hanno tentato disperatamente di palesare al resto del mondo. Per quanto mi riguarda, ovviamente, opto per la seconda ipotesi.
    Ad ogni modo devo fare ricorso a tutto il mio autocontrollo per non sbatterle ripetutamente il bastone sulla testa. Chissà che magari non servi a risvegliare quel poco di intelligenza che deve pur avere da qualche parte in quella sua testolina da medusa squagliata al sole.

    "E credi che invece noi siamo rimasti qui a farci torturare per nulla?! Magari pensi che ce la siamo goduti mentre loro prendevano possesso del ministero, della scuola, del San Mungo?!" Il mio tono è più acido di quello che dovrebbe essere con un motivo.
    Non voglio fare a chi ha patito e sofferto di più in quel lungo periodo che oramai tutti definiscono come il "periodo oscuro". E' che è difficile non cadere nel vittimismo quando si rispolverano quei momenti.
    E a questo punto, addio autocontrollo.
    Ogni nodo viene al pettine e tutto ciò che mi sono tenuto dentro fino a questo momento, compreso il dolore per la perdita di Rufus, viene fuori come un agglomerato di parole velenose che non posso fare a meno di riversare addosso a lei.

    "Io sono stato ad Azkaban per otto mesi tentando di proteggere le cose a cui tenevo. Credi che se ne avessi avuto la possibilità non sarei venuto personalmente a tirarti fuori ovunque tu stessi?! Per quanto ti abbia odiato, e credimi l'ho fatto, non ho mai desiderato che alla moglie del mio migliore amico capitasse qualcosa perchè eri l'unico legame ancora vivo che mi tenesse unito a lui!"
    Il volto è ancora arrossato e sento il cuore battere veloce nel petto anche quando smetto di parlare.
    Sono stati mesi terribili per chiunque. Hanno condizionato la vita di tutti. E' una ferita che non si chiuderà mai probabilmente, e parlare di argomenti affini a quel periodo non fa altro che stuzzicare quel dolore che proprio non ha alcun bisogno di essere alimentato. E' per questo, solo per questo che mi sono lasciato andare.
    Sospiro, passandomi le mani sul viso e poi tra i capelli, cercando di calmarmi. Il bastone poggiato alla panchina, accanto a me.
    Probabilmente questo approccio non porterà a nulla. Lo so, ne sono cosciente. Devo costringermi a cambiare tattica e se neanche questo servirà, allora via, fine. Non si può aiutare chi non vuole essere aiutato ed io non ho alcuna intenzione di farmi più male di quanto non me ne faccia già da solo nel ricordare le cose che non mi fanno stare bene.

    "Ma tu preferiresti sul serio entrare in un manicomio, piuttosto che decidere di parlare di tua iniziativa con qualcuno che magari è capace sul serio di aiutarti?!" Insomma, non che mi sorprenda poi molto questo suo comportamento.
    La donnaccia deve sempre e comunque fare ciò che gli altri non si aspetterebbero mai. E' pateticamente decisa ad essere imprevedibile. In modo snervante, eh.

    "Tu, io... chiunque abbia perso qualcosa nei due anni appena passati, ha perso qualcosa alla cui mancanza non è facile adattarsi. Abbiamo perso la libertà, la dignità... Ci sono state portate via persone care a cui tenevamo e gli equilibri a cui eravamo abituati sono stati distrutti. Parlare con qualcuno, che sia uno psicologo o chiunque altro, può solo aiutarti. A tutti serve un periodo di convalescenza." continuo afferrando il bastone per stringerlo tra le mani.
    "Se decidi di farlo, giuro, verrò con te a farmi analizzare di rimando da uno strizzacervelli." E questa, è davvero l'ultima spiaggia.
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    "Oh Melinda Melinda. Persino come pazza devi essere così egocentrica?!" La mia è una domanda retorica ed è ovvio che ne sia divertito.
    Ha sempre avuto questo fastidioso vizio di sentirsi migliore di tutti Melinda che non posso negare sia un po' gratificante sminuirla. Magari, chi lo sa, potrebbe anche essere una terapia efficace per riportarla coi piedi per terra.
    Lei che è convinta di stare bene, forse nell'apprendere di essere semplicemente umana e non un robot invincibile come crede di essere, le sarà più facile tornare in sè. Che poi ad essere sinceri non era di gran lunga migliore quando era semplicemente se stessa, ma almeno non delirava.
    Mi lascio scappare una mezza risata quando dice che non ha provato ad uccidersi e che le nostre storia non sono equiparabili, cosa su cui sono costretto a darle ragione.
    Io e lei non siamo equiparabili.
    Io anche nei miei momenti peggiori sono stato intelligente sopra la media, furbo e abbastanza scaltro da non farmi mettere i piedi in testa da nessuno, ma lei invece?! Lei si è mostrata essere solo una donna debole ed egoista.

    "Certo, perchè ci hai quasi ammazzato tutti." Ed è questo il dato di fatto. Il punto che non abbiamo in comune.
    Io ho provato a far del male a me stesso forse, più e più volte, ma lei?! Lei con la sua stupidità ha messo in pericolo molte altre persone.
    Harrison prima di tutti.
    Ed è di lui che vuole parlare adesso.
    Merlino che faccia tosta.

    "Ah quindi ti ricordi di lui?" Lo so che il mio tono risulta essere duro, forse un po' troppo per un colloquio dottore-paziente, ma lei è Melinda e con lei posso permettermelo. Chissenefrega se sia eticamente giusto o meno. Dopotutto è lei che dice di non aver bisogno di un medico, di stare bene. Secondo le sue parole sono qui solo in veste di amico, e da amico posso dire tutto ciò che mi pare. Il bello dell'amicizia non è esattamente questo?! Essere sinceri da far schifo.
    "Pensi mai a qualcuno che non sia te stessa, piccola Melinda? Non ti è proprio venuto in mente di cercarlo tornata qui?!" Scuoto il capo, con un sorriso sarcastico sul volto ma posso assicurare che dentro non sto affatto sorridendo. Mi ribolle il sangue al pensiero di Rufus e della sua amicizia perduta. Ma lei questo non può saperlo. Lei era chissà dove a giocare a chissà cosa. Chi ci ha rimesso la pelle nel casino da lei creato, siamo stati noi.
    "L'ho cercato ovunque. Nulla. E sai nessuno sparisce nel nulla a meno che non sia..." faccio una smorfia evitando di dire quella parola.
    Non ho visto il suo cadavere, ma per quanti problemi avevamo, Rufus non si sarebbe mai fatto desiderare tanto. L'unica spiegazione è che gli sia successo qualcosa e visto il periodo appena superato avere dei dubbi è naturale.
    Ma a lei cosa importa?!

    "Io meno di tutti ho piacere a restare con te più del dovuto, Melinda." comincio dopo qualche minuto di tetro silenzio.
    "Ma tu mi devi un amico. Me lo hai portato via da prima che si perdessero le sue tracce. Quindi ora ti farai aiutare o giuro che ti faccio internare a vita e farò in modo di tenerti ben controllata e sedata per tutto il tempo in cui ci resterai." Insomma, non è una vera minaccia. Non ne sarei mai capace. Anche se parlando di Melinda... potrei anche fare un eccezione.
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    Avere a che fare con le due Liv in così poco tempo è disarmante ed un po' ammetto che mi confonde.
    E' un po' come avere a che fare, contemporaneamente o comunque a distanza di attimi, con un passato che ti sembra aver vissuto troppo tempo fa e con un futuro che non hai ancora conosciuto. Io sono il presente tra le due. Apparentemente immutato negli anni, o comunque se sono cambiato la differenza è poco e se lo sono- diverso intendo- è un cambiamento che non mi ha mutato come invece è accaduto a lei. A loro. Insomma a Liv e a qualsiasi parte a lei associata e dissociata.
    Quando mi regala quello che sembra- oh no, lo è per davvero- un tenero bacio sulla guancia, non posso fare a meno di guardarla con uno sguardo sorpreso. Un po' è di sicuro per l'effetto che Liv ha sempre sortito su di me, ed un po' perchè dopo l'uragano di prima, avere a che fare con questa pacata, dolce, decisamente matura Liv, mi fa strano.

    "Sono già montato di mio, Liv. Non mi aiuti ad esserlo di meno se mi aduli così apertamente." gli rispondo ridendo quando prende a dire che non ci sono guaritori bravi come me.
    Sia chiaro, lo penso per davvero, ma sentirselo dire ( e sentirselo dire da lei) è sempre tutta un'altra storia.
    Annuisco quando mi dice che per lei, raggiungermi a Londra sarebbe stato troppo complicato per via del bambino. Certo, viaggiare con un bambino così piccolo non è mai consigliato. Non solo per i potenziali problemi che si possono causare al bambino, ma anche per lo stress che deriva da un viaggio con un esserino così piccolo, ed in genere rompiscatole.
    Beh, bisogna dire le cose come stanno.
    Sono il primo che odia le mamme che portano a forza queste piccole scimmiette urlatrici in giro a rompere le scatole al povero malcapitato che gli è seduto accanto in treno.
    Mi accomodo sulla poltrona, sistemando il bastone contro il bracciolo per far sì che non cada sul pavimento e distendo la gamba per rilassarla dopo tutto questo cammino.
    Quando Liv, di nuovo qui, avvicina la carrozzina, mi sporgo per vedere il bambino che contiene.
    Rosso, paffuto e beatamente addormentato (che è il momento in cui i bambini li apprezzo di più, e sì parlo da padre).

    "Papà e nonno nel giro di poco tempo. Una doppia batosta." confesso senza però evitarmi un sorriso ebete.
    Perchè sì, la facciata da burbero devo usarla per non minare l'idea che gli altri si sono fatti di me, ma sarei uno stupido se continuassi a mentire a me stesso dicendo che non amo le mie figlie e mio nipote.
    La mia espressione tuttavia muta, quando Liv introduce il discorso Azkaban.
    Okay sì, è passato. Oramai sono libero e mi sono gradualmente riappropriato della mia vita, ma è una ferita che brucia ancora quella di essere stato sbattuto dentro. Così come mi piace poco l'idea di avere Westwood nello stesso ospedale in cui io lavoro. Ma che la vita è ingiusta e che faccia davvero schifo, lo sapevo già da molto prima di adesso.
    Mi ci vuole qualche attimo per provare a cancellare l'espressione tetra sul mio volto e lasciare spazio ad una più scherzosa.

    "Si beh, lo sai. Sono sempre stato un cattivo ragazzo." le dico, sorridendo e facendo spallucce.
    Mi chino in avanti per afferrare la tazza della tisana che Liv mi porge, e ne sorseggio un po', prendendomi del tempo prima di decidermi a parlare di nuovo.

    "Poteva andarmi peggio, comunque. Peggio di vivere per mesi senza avere notizie di nessuno. Nè di Lisa, nè delle mie figlie. Peggio di uscire da lì e non vederci entrare il pezzo di merda che mi ci ha sbattuto." continuo, adirandomi involontariamente alla sola idea di quello che ho dovuto vivere.
    "Insomma, potevo morire." E quanto ho desiderato di farlo in alcune occasioni. Ma è passato. E' tutto passato.
    Ora sono libero.
    Impossibilitato a vivere di nuovo i primi mesi di vita della mia bambina, ma sono fuori.
    Sospiro, riprendendo a bere la bevanda calda e solo dopo un altro lungo silenzio mi costringo a riportare alla Liv così diversa che mi ritrovo dinanzi.
    Quando ci siamo conosciuti, non avrei mai immaginato nè me nè lei così, in questa condizione.
    Non avrei mai immaginato me padre, nè lei madre. Ed è strano che tutta questa situazione non sia strana in modo eccessivo.

    "Giuro Liv, che non ti avrei mai immaginato madre. Nè, sai..." cerco le parole adatte per non tirare fuori qualcosa di offensivo. "Così." alla fine opto per il generico per evitare casini internazionali.
    Ma insomma, non avrei mai detto di vedere una Liv così pacata, così... mi verrebbe da dire scontata. La immaginavo sempre come l'eterna ragazzina che libera vaga in giro sbattendo i piedi per far sì che nessuno potesse ingabbiare la sua libertà. Ed invece, ora è l'esatto opposto di quella che mi ricordavo.
    Storco il muso, cominciando ad essere impaziente di sapere per quale motivo mi ha fatto arrivare fin qui, e non posso evitare di chiedermi se dietro non ci sia qualcosa di davvero importante, perchè, sì, come le dicevo prima qui ci sono molti ottimi guaritori. E a meno che, farmi venire qui, non sia che un mero capriccio, mi chiedo se non ci sia qualcosa di davvero pesante che tormenta la mia amica.

    "Perchè mi hai fatto venire fin qui?"
  11. .
    Quando il ciarlatano lo psicologo del San Mungo è venuto a lamentarsi con me, per l'ennesima volta, della paziente M.G. e mi ha supplicato (davvero lo ha fatto)di poter rinunciare a quel caso, ho deciso di lasciarglielo fare e di lasciarlo libero, ovviamente non prima di averlo riempito di poco velati insulti sulla propria persona e sul proprio lavoro.
    Ma a ben pensarci, in fondo non è colpa sua. E' che non è neanche un vero dottore- perchè per inciso chiamare gli psicologi "dottori" è un'offesa a tutta la branca della medimagia- quindi come avrebbe potuto prendersi cura di una paziente come lei?!
    Sì, sto parlando di LEI. Melinda Gordon.
    Quella che per anni è stata la mia nemesi. Colei che si è appropriata del mio migliore amico, e lo ha ridotto alla brutta copia di quello che era.
    Sospiro mentre mi avvio verso casa sua.
    Per qualche ragione, mi sento in dovere di prendermene cura.
    Forse è per l'odio che, nei tempi d'oro, ci ha tenuti uniti a battibeccare per giorni e a farci dispetti l'un l'altro. Forse perchè quando ero depresso, perchè solo, è stata una delle poche che (nonostante l'odio) si è presa cura di me.
    Il nostro rapporto era complicato e quasi mai tranquillo ma se c'era da aiutarci, per qualche ragione che davvero faccio ancora fatica a comprendere, ci aiutavamo. E' sempre stato un aiuto non richiesto e disprezzato dall'inizio alla fine, ma un aiuto che alla fine della storia si è sempre rivelato essere fondamentale per voltare pagina.
    E spero di poter ricambiare il favore. Magari anche solo per non sentirmi in debito nei suoi confronti.
    Quando, finalmente all'interno della sua proprietà, sento la sua voce rivolgersi con astio a me, non posso che sorridere.
    Dicono che abbia perso la ragione, ma ciò che non ha perso è di sicuro la sua lingua lunga e appuntita. Gli sorrido ed anche se non vuole farmi spazio accanto a lei, mi ci siedo lo stesso sulla panchina e la spingo più in là così da prendermi lo spazio dovuto.

    "Anche se è un infuso all'erballegra? Guarda che se dici di no, ti faccio internare. Nessuno rinuncia qualcosa a base di erballegra." le dico, mentre distendo la gamba malandata e poggio il bastone tra di noi, mentre getto lo zaino per terra ai miei piedi.
    Me ne resto seduto per un po', con la schiena poggiata alla spalliera della panchina per neanche so di preciso quanto.
    Le sto dando il tempo che le serve per tranquillizzarsi. Non voglio stare qui a farle stupide domande di cui neanche mi interessa sapere la risposta.
    Devo capire quanto è fuori di testa e se lo è per davvero, e lo farò ma a modo mio.

    "Sai, ti ho odiato quando hai mandato quella psicologa al San Mungo a farmi controllare dopo l'accidentale caduta dalla finestra di quel ospedale psichiatrico in cui mi trovavo." comincio senza guardarla, cercando con lei un punto d'incontro.
    "Okay, diciamo che ti ho odiato in parte. Per tua fortuna era una bella sventola. Ti sei salvata." aggiungo subito dopo con un sorriso divertito. Beh sì, almeno durante quel inutile visita ho potuto godere della sua bella presenza.
    "Puoi continuare ad odiare anche me, come hai sempre fatto, ma questo non mi impedirà di aiutare...uhm" Stavo per dire amica ma... è davvero eccessivo. Così mi ingegno per trovare un altro modo di definirla. "L'ex moglie del mio ex migliore amico morto."
  12. .
    "Davvero?!" Liv si è messa con una col doppio dei miei anni?! Il tipo con cui sta è più giovane di me?! Per tutte le ciabatte da infermieri... Questo sì che mi butta giù. Ora sono quasi tentato di cominciare con una di quelle stupide cure contro la vecchiaia, e per restare giovani in eterno. Magari potrei addirittura comprare una di quelle creme antirughe. Sì, okay. Appena becco uno di quei negozi di cosmetica aperto mi ci fiondo e mi farò un abbonamento a vita.
    Faccio un'espressione come a dire "sì come no" quando dice che la gente vedendo lei a braccetto con me proverà invidia. Neanche le rispondo ma è ovvio che al massimo sarà il contrario. Si chiederanno come minimo se sono uno di quei ricconi russi che hanno una bella donna al fianco solo perchè hanno un conto in banca troppo vasto per poter goderne da solo.
    Tuttavia non mi lamento. Insomma, è Liv. O meglio la sua gemella. Ma è comunque lei. Godere della vicinanza di una così bella donna non potrà farmi male, anzi... Accanto a lei mi sento già più giovane. Al diavolo le cremine anti-age.

    "Si certo. E' sicuramente invidia e non i cadaveri di animali che ti porti addosso." rispondo così alle sue parole, quando, avanzando in stazione tutti ci guardano come se fossimo degli alieni. Certo non è cosa di tutti i giorni vedere qualcuno conciato a quel modo. Sì a Londra fa freddo, ma non così freddo da dover indossare l'intera fauna di una foresta.
    Prendiamo posto nella cabina riservata a noi sul treno. Mi guardo un po' intorno ambientandomi ancora e prendendo posto di fronte alla donna, ed è solo quando la sento parlare che la guardo di nuovo.
    Quando mi pone la sua domanda, quasi mi escono gli occhi dalle orbite. Penso che se stessi sorseggiando una bevanda, ora l'avrei sputata tutta completamente.

    "No no no, calma. Io non sono sposato!" Oh! Che non lo dica neanche per scherzo! "Conviviamo soltanto. Con una figlia. E lavoriamo insieme. Insomma passiamo tutto il nostro tempo insieme, ma non siamo sposati! Chi è andato a dire in giro che lo siamo?"
    Insomma, sì, convivo e ammetto di aver pensato seriamente di fare il grande passo con Lisa... Ma ehi, non sono sposato! Le mie dita sono libere da catene dorate a forma di anello, vedete?! Io sono ancora un uomo libeeeero!
    Tuttavia si spiega meglio subito dopo, ed io mi costringo a riavere un'espressione normale. Ma è inutile dire che sentire quel "sposato" riferito a me, mi ha fatto cascare i testicoli nei calzini. Penso di avere avuto una ptosi renale, cardiaca, polmonare. Mi è cascato ogni cosa.
    Poi la sento parlare di nuovo, e di nuovo la vedo ammiccarmi.
    Solo a questo punto arrivo alla consapevolezza, guardando di nuovo fin troppo nei particolari la mia compagna, che questo sarà un viaggio daaavvero molto lungo. Mi pento quasi di non aver portato un libro con me. Almeno mi sarei potuto distrarre in qualche modo.
    "Lo terrò a mente. Grazie dell'aiuto Liv numero 2. Non soffro il mare comunque. Insomma, sono un uomo grande e grosso. Qualche ondina non mi farà paura." rispondo così alle sue parole.
    Ovviamente invece, ho sofferto il mal di mare.
    Quando, dopo aver preso la nave, arriviamo finalmente a destinazione (un viaggio parecchio lungo in cui ho creduto di poter vomitare almeno tre volte) il gelido freddo del nord, mi arriva fin nelle ossa facendomi perdere il respiro per un secondo.
    Neanche ho la forza di aprire bocca e rispondere all'invito della mia compagna, ma ammetto che ora avere una delle sue pellicce non mi farebbe poi così male. Nel frattempo che riprendo il mio colore naturale (solo adesso mi sta passando la nausea da mal di mare) annuisco alle sue parole.

    "Oh certo, sosia di Liv. E' stato come prendere le montagne russe di quelle che vanno solo su e giù e non hanno tratti sul dritto. Uno spasso. Al ritorno... okay, saremo insieme. Ma prenderemo l'aereo." Basta viaggi subacquei. Preferisco restare chiuso in una scatoletta di tonno che vola nel cielo, piuttosto che in una che è a chissà quanti metri sotto il livello del mare. Insomma... se devo avere paura di morire, almeno fatemi decidere con cosa devo avere paura.
    Saluto Erika e mi lascio condurre fino a Durmstrang, in una stanza dove in teoria dovrei trovare Liv.
    All'inizio però, raggiunta la stanza in questione, sono solo e quindi comincio a curiosare in giro tanto per passare il tempo. Sfoglio libri, prendo foto. Mi intrufolo, per modo di dire, nella vita di Liv cercando di capire com'è cambiata, se effettivamente è cambiata.
    Per un secondo, solo un secondo, immagino come sarebbe dovuta essere la mia vita, se al mio fianco avessi deciso di avere lei, e se lei ovviamente si sarebbe accontentata solo di me. Ma non riesco a figurarmi niente oltre le lunghe e bellissime gambe della bella donna che ho in mente, che la porta si apre palesando la figura della Doom. Mi volto a guardarla con un grosso sorriso sulle labbra.

    "Spero che non sia nulla di grave se hai fatto venire me fin qui. So che qui hanno degli ottimi guaritori." le dico, zoppicando verso di lei. "In realtà non vedevi l'ora di incontrarmi, eh?" scherzo un po', curioso in fondo di sapere il motivo per cui mi trovo qui.
  13. .
    Al signor Kostia Preud. Da recapitare con particolare urgenza.

    Dal mio ritorno a Londra, mi sono prodigato a soddisfare le richieste da lei postami.
    Mi spiace informarla del fatto che ho avuto modo di visitare soltanto una delle persone da lei indicatomi. Parlo della signorina Ruthie Prewett.
    La ragazza era in evidente stato di malnutrizione e disidratazione, oltre che in un profondo stato di delirio paranoide. La signorina Prewett infatti, identificando le guardie come mostri sadici lì presenti per farle del male, rifiutava di toccare cibo e acqua e rifiutava di dormire, per il timore di essere attaccata alle spalle e di essere presa alla sprovvista.
    A poco è servita la lunga chiacchierata con la signorina Prewett che ha mostrato pochi e vani sprazzi di lucidità durante il tempo passato assieme.
    Ho provveduto, ad iniettarle un sedativo, prima di andare via, che le permettesse di dormire serenamente, visto le poche ore di sonno da lei accumulate nell'ultimo periodo prima della mia visita.
    Sarò presente al processo della ragazza, e proverò a richiedere per lei l'internamento nel reparto di psichiatria del San Mungo dove mi occuperò personalmente di lei, assicurandomi che le venga somministrata la migliore terapia per la sua patologia.
    Spero di esserle stato utile.

    G. O. House
  14. .
    Mentirei se dicessi che mi aspettavo una lettera da parte di Liv. L'amabile Liv.
    Ovvio che non l'ho dimenticata. Come si può dimenticare una donna così?! Una donna capace di farti sentire vivo con un solo sguardo, non puoi dimenticarla ed io non l'ho fatto.
    Aaaaaah, Liv.
    Penso sia stata una delle cotte più forti che abbia mai avuto. Sì. Cuddy è fuori classifica ovviamente perchè lei la amo, ma Liv, lei è un'altra storia.
    E' che con Liv... Ricordo a perfezione di aver amato ogni sensazione provata nel starle accanto. Sapeva che con lei non ci avrei passato la vita. Ma averla accanto era come una ventata di ottimismo. Le stavo accanto e del futuro non me ne fregava, perchè lei in qualche modo riusciva a farti apprezzare ogni spensierato momento vissuto insieme.
    Giovinezza e freschezza allo stato puro.
    Una spensieratezza che di mio avevo perso da tempo.
    Ma poi ognuno è andato per la propria strada e... quindi davvero, non mi sarei mai aspettato di ricevere una sua missiva. Per di più, non mi aspettavo che mi avrebbe invitato a raggiungerla lì nelle fredde terre del Nord, e dopo aver discusso per un paio di motivi con la cara e dolce Lisa, ho deciso di andarci.
    Ad ogni modo, oggi è il giorno della mia partenza ma prima sono costretto ad occuparmi di noiose ed inutili faccende burocratiche ed è proprio mentre sto scribacchiando nervosamente, che sento bussare alla mia porta.
    Alzo lo sguardo solo quando la porta si apre e mi ritrovo ad osservare una scena buffa quanto insolita. Una palla di pelo con la testa di Liv fa il suo ingresso, a fatica, nel mio ufficio. La guardò con un sopracciglio inarcato, chiedendomi se ho davvero visto quello che ho visto e per qualche assurdo motivo Liv (una delle due) è vestita da orso Yoghi.

    "Sembra tu ti sia messo tutto il guardaroba invernale addosso." le dico, lasciandomi andare in una risata.
    Potevo anche prestarle una valigia se non ne aveva una.
    Mi tiro in piedi, afferrando il bastone e lasciando andare le inutili e noiose scartoffie.

    "In realtà non sono sicuro me lo abbia detto, ma forse sono semplicemente vecchio. Comunque... prendo la valigia e possiamo anche andare." le dico, mentre metto il cappotto e per l'occasione, persino il cappello. Sembro quasi una persona seria così vestito, devo dire. Prendo la ventiquattro ore e mi avvicino a lei, porgendole il braccio.
    "Se sei pronta, io sono pronto."
  15. .
    Non c'è un paragone utile per spiegare quanto io possa odiare fare cose di questo genere.
    Insomma, per intenderci, su una scala delle cose che odio di più al mondo, questa le batte tutte. Ottiene il primato. Arriva al traguardo, lo supera, lo straccia. Vince persino il premio della critica.
    Il dover presenziare a questo stupido processo, batte ognuna delle cose che ho detto di odiare fino a questo momento nella mia lunga vita.
    Tuttavia, per quanto possa sembrare strano, non ho aperto bocca.
    Non mi sono lamentato una sola volta con Lisa, che d'altronde è impicciata come me in questo casino, e sono certo che come me, non faccia salti di gioia. Lo leggo dalla sua espressione.
    E così in silenzio ci avviamo verso l'aula in cui Castiel Westwood, e gli altri squinternati come lui verranno processati.
    So che dovrei esserne felice. Dovrei sentirmi soddisfatto nel ritrovarmi qui a poter assistere a ciò che per mesi ho immaginato e sperato di vedere. Ma non mi sento felice, non mi sento soddisfatto.
    Ho solo un fastidioso bruciore allo stomaco. Potrei giustificarmi dicendo che mi è scoppiata un'ulcera così da poter scappare al San Mungo e nascondermi lì fino a quando non sarà tutto finito, ma sono certo non ci farei una bellissima figura. Ed inoltre, non posso abbondare Lisa.
    Prendiamo posto, l'uno accanto all'altro, e quando Carter fa il nome del primo convocato (toh sì, Westwood), mi ritrovo a stringere involontariamente la mano sulla coscia che ora, per qualche motivo, ha preso a farmi male più di prima. E so che non è un caso. Come non è un caso che io mi ritrovi a trattene qualsiasi tipo d'emozione sul mio volto, e a lasciare che il mio viso sia una maschera d'impassibilità.
    In queste condizioni, non ho neanche il coraggio di voltarmi verso Lisa per vedere come sta.
    Ora spero solo che questa giornata finisca il prima possibile, e ovviamente, spero finisca bene.
451 replies since 14/10/2008
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